Le donne accettarono. Finito il pasto, dopo molti inutili ragionamenti, esse chiesero ai tre lavoratori chi fossero e come si chiamavano.
«Siamo tre fratelli orfani», risposero essi con buona grazia, «e lavoriamo per vivere. Siamo tanto poveri che se sapessimo come migliorare la nostra condizione davvero che lo faremmo volentieri.»
Le tre donne che erano tre streghe ( orgianas) o meglio tre fate, si consultarono con lo sguardo, prima; poi parvero combinare qualcosa fra loro, con uno strano linguaggio che sembrava piuttosto un miagolio.
Quindi la più vecchia si levò di tasca una tovaglia e la diede al maggiore dei fratelli dicendogli:
«Buon giovine, prendi questo dono che ti faccio da vera amica. Tutte le volte che vorrai mangia-re, tu, i tuoi fratelli e tutta la compagnia, non avrai che da sbattere tre volte questa tovaglia, sten-dendola poscia dove tu vorrai. E sopra di essa ti comparirà ogni ben di Dio».
La seconda delle fate si rivolse al secondo fratello e gli offrì un portafogli dicendogli:
«E tu prendi questo. Tutte le volte che lo aprirai ci troverai denaro a tua volontà».
La più giovine intanto porgeva un piffero ( sas leoneddas) al terzo, con queste parole: «Questo strumento da fiato che io ti do servirà non solo per te, ma per tutti coloro che lo suoneranno e lo u-dranno. Va’, caro fanciullo, io non ho altro di meglio, ma vedrai che questo umile dono ti renderà un servigio maggiore di quello che renderanno ai tuoi fratelli la tovaglia e il portafogli».
Dopo tutto questo i giovani e le tre fate si congedarono amabilmente, ringraziandosi scambie-volmente e dicendosi il rituale teneis’accontu (tenetevi bene) dei sardi meridionali.
I tre giovani, possessori di quei talismani meravigliosi, non avendo più bisogno di lavorare, presero a viaggiare per le città dell’isola in cerca di avventure e di piaceri.
Da per tutto lasciavano tracce di beneficenza e di generosità - giovani di buon cuore come erano
-, ma un giorno un prete potente e strapotente intimò loro di lasciar l’uso dei loro talismani, pena la scomunica e il carcere.
Qui (apro una parentesi) la leggenda non parla chiaro, ma probabilmente questo brano è un vago ricordo dell’Inquisizione impiantata in Sardegna verso la metà del secolo XV, ma esercitata anche prima d’allora da alcuni frati minoriti, e importata naturalmente dalla Spagna.
I tre fratelli risero per l’intimazione del prete. I talismani erano invisibili a tutti, tranne che ai loro possessori; quindi essi non avevano di che temere. Alle replicate minacce del prete il più giovane dei fratelli si pose a suonare il piffero, che aveva l’incanto di far ballare con la sua musica tutti coloro che la sentivano, tranne i tre fratelli. Ed ecco il prete che, contro volontà, si diede a ballare con uno slancio proprio ridicolo e irrefrenabile.
Accorse molta gente; ma a misura che si accostavano e che sentivano distintamente il magico suono, tutti ballavano senza potersi mai fermare. In breve la strada fu piena zeppa di gente che pa-7 Questa leggenda è stata raccolta a Nurri, grosso villaggio del circondario di Lanusei, dalla gentile signora Maria Manca, studiosa dei costumi e delle tradizioni sarde.
reva impazzita, che saltava smaniando, contorcendosi, chiedendo grazia al misterioso suonatore.
Costui però si divertiva molto nel veder ballare il prete, che grasso e tondo soffriva più degli altri in quella danza infernale, e non smise finché non lo vide cadere a terra sfinito e svenuto.
I tre fratelli, dopo tutto ciò, si diedero alla fuga, ma ben presto furono raggiunti, legati e gettati in fondo ad una torre.
Ma anche laggiù essi si divertivano suonando, ballando e mangiando insieme con gli altri prigio-nieri ed ai custodi della torre.
Perciò il loro processo fu presto sbrigato, e, condannati a morte, furono dopo pochi giorni con-dotti alla forca. Una fiumana immensa di gente, anche dei paesi lontani, si accalcava intorno intorno per godersi lo spettacolo dell’impiccagione dei tre fattucchieri.
Sul punto di morire i tre condannati chiesero ai magistrati presenti di accordar loro una grazia per uno. E siccome ai condannati non viene negata un’ultima grazia, tranne quella della vita, i tre fratelli ebbero ciò che chiedevano.
Il primo chiese di offrire un pranzo a tutta la moltitudine, compresi i giudici.
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