Egli aveva parecchi flauti, più o meno sottili, e ogni volta che suonava li provava tutti, ad uno ad uno.

Ciascuno aveva un suono particolare, e Sadur sapeva trarne diverse melodie.

Ora, nell’ultimo anno della sua vita, gli accadde questo fatto.

Era di maggio: un giorno egli se ne stava vicino al mare, quando con terrore scorse le vele fenicie a poca distanza dalla costa.

Tutto tremante corse dalle sue donne e disse loro:

«Ahimè, succede ciò che io da vari anni temevo. Non c’è che un mezzo per salvarci. Fuggite voi due con buona parte della greggia; avviatevi al nascondiglio che sapete. Io rimarrò qui con quindici o venti pecore: crederanno ch’io viva qui solo e si indugeranno a banchettare. Intanto voi potrete salvarvi, e, dopo la loro partenza, ci riuniremo».

Le donne partirono, piangendo, spingendo verso i monti il grosso della greggia; e il vecchio rimase. Finse d’esser quasi cieco e si mise a suonare.

I fenici lo trovarono così, in apparenza tranquillo, e credettero ch’egli vivesse solo con le poche pecore smarrite nel prato vicino. Com’egli aveva preveduto, essi s’indugiarono laggiù: frugarono la capanna, la distrussero per accender il fuoco coi rami dei quali era formata, sgozzarono le pecore e banchettarono. Alcuni di loro volevano legare e bastonare Sadur, ma il capo della spedizione, ch’era un giovine pallido dai lunghi capelli nerissimi, unti d’olio profumato, vi si oppose. Solo, finito il banchetto, comandò al vecchio di suonare. Sadur prese i suoi flauti e suonò. Il giovine capo si mise ad ascoltarlo attentamente, pensieroso e quasi triste.

Ad un tratto parve preso da un capriccio strano, e comandò a Sadur di suonare tutti assieme i suoi flauti.

«Come farò?», disse il vecchio.

«Accomodati, altrimenti ti farò bastonare.»

Allora il vecchio cercò certe erbe filamentose e unì in fila i suoi flauti, formando la prima delle leoneddas sarde. Prova e riprova, gli riuscì di suonare abilmente una melodia melanconica, armo-niosa, discretamente sonora.

Presi dalla sonnolenza dei meriggi primaverili, dopo il pasto abbondante, i fenici ascoltavano sdraiati sull’erba, e una grande dolcezza li invadeva a quel suono.

Il giovine capo, specialmente, pareva incantato. A poco a poco si addormentò, e gli parve di non aver mai gustato un sonno così delizioso, in luogo più ameno di quello.

Svegliandosi, disse al vecchio di chiedergli tutto ciò che desiderava; glielo avrebbe accordato, se era in suo potere. Sadur tremò, poi disse:

«Ebbene, senti. Io ho moglie e una figlia vergine: se le incontri, non toccarle».

«Tu puoi farle tornar qui», disse il capo, «non sarete più molestati.»

Intanto fece ricostruir la capanna e attese che il vecchio, andato in cerca delle sue donne, fosse di ritorno.

Desiderava sentire ancora il suono dei flauti riuniti e di addormentarsi ancora una volta sull’erba.

Sadur e le donne e le gregge tornarono, e il vecchio suonò ancora, e il giovine si addormentò.