Allo svegliarsi vide Greca, e il luogo gli parve ancora più ameno.
«Vuoi tu darmi la fanciulla?», chiese al vecchio. «La sposerò e resterò qui coi miei compagni.»
Così si formò in Sardegna una delle prime colonie fenicie, ed il vecchio Sadur continuò a suonare, tutti assieme, i suoi flauti di canna.
San Michele Arcangelo
La mercantessa d’uova, zia Biròra Portale, viaggiava recando un cesto d’uova da Orotelli a Nuoro.
Era una notte d’agosto, pura e luminosa come una perla. Sulla grande distesa della pianura di stoppia, la luna gettava una luce viva ed eguale; il cielo era azzurro quasi come di giorno, e solo ad oriente l’orizzonte appariva vaporoso, velando le montagne che sembravano nuvole sorgenti dal ma-re.
Zia Biròra viaggiava di notte perché viaggiava a piedi, e viaggiava a piedi perché i guadagni del suo commercio erano tanto esigui da non permetterle di viaggiare a cavallo.
Figuratevi che tutti i capitali del suo commercio, assai fragili invero, stavano dentro quel cestino intessuto di canne che ella recava sul capo: duecento uova. Ogni tre giorni zia Biròra, comprava duecento uova, le disponeva nel cestino, fra la paglia, e si metteva in viaggio per Nuoro. Col guada-gno viveva tre giorni.
Da anni ed anni ella faceva quel mestiere. A Nuoro, dove con la scusa di vendere le uova chiedeva qualche volta anche l’elemosina, tutti la conoscevano, e divenne anche più popolare per il caso strano accadutole una notte d’agosto.
Ella dunque viaggiava, attraversando la pianura, illuminata dalla luna, pei sentieri tracciati fra le stoppie, nelle tancas così melanconicamente poetiche, perfettamente disabitate e deserte.
A che pensava? È un po’ difficile dirlo, perché i suoi pensieri non avevano nesso: erano piuttosto frammenti di pensieri, brani di idee semplici che si sperdevano in uno sfondo incolore.
Sì, zia Biròra, che non era mai stata una donna allegra, quella notte provava una grande melanconia; si sentiva stanca; aveva sonno e non poteva riposare. Era stanca, stanca di quel suo viaggio che durava da trent’anni e non finiva mai.
Inoltre aveva come il presentimento d’una vicina disgrazia; ma giammai avrebbe creduto dovesse succederle così presto, così, fra dieci minuti, fra cento, fra dieci passi. Ecco, nel salire un piccolo rialzo che dai campi metteva sullo stradale, la vecchia mercantessa scivolò e cadde. Blum! fece il cestino, e le uova scricchiolarono e una cascata di paglia bagnata e di gusci bianchi inondò il piccolo rialzo.
La vecchia si rialzò, guardò pallida, stordita come se avesse ricevuto una mazzata sul capo. Tutto, tutto era perduto. Ella era rovinata per sempre. Si sedette sul rialzo e cominciò a piangere acco-ratamente, come una bimba di dieci anni.
Da qualche minuto stava così immersa nel suo dolore piangendo e lamentandosi ad alta voce, quando udì una voce sonora risuonare alle sue spalle.
«Donna!», diceva la voce, «Che cosa vi è capitato? Perché spaventate coi vostri pianti i tranquilli viandanti notturni?»
La vecchia guardò e vide, fitto sull’orlo dello stradale, circonfuso dalla luminosità lunare, un bellissimo giovine signorilmente vestito. Sulla spalla egli teneva un ricco fucile, la cui canna arabesca-ta brillava alla luna.
Zia Biròra lo credette un cacciatore e gli raccontò il miserevole caso.
«Da trent’anni», disse, «da trent’anni io viaggio, di giorno e di notte, per guadagnarmi un tozzo di pane. Ah, come sono misera! Non mi era giammai capitato di cadere: ma ora invecchio, le gambe si piegano, il sonno mi sorprende. Come farò ora?»
«Non avete parenti?»
«Nessuno, nessuno.
1 comment