I fenici lo trovarono così, in apparenza tranquillo, e credettero ch’egli vivesse solo con le poche pecore smarrite nel prato vicino. Com’egli aveva preveduto, essi s’indugiarono laggiù: frugarono la capanna, la distrussero per accender il fuoco coi rami dei quali era formata, sgozzarono le pecore e banchettarono. Alcuni di loro volevano legare e bastonare Sadur, ma il capo della spedizione, ch’era un giovine pallido dai lunghi capelli nerissimi, unti d’olio profumato, vi si oppose. Solo, finito il banchetto, comandò al vecchio di suonare. Sadur prese i suoi flauti e suonò. Il giovine capo si mise ad ascoltarlo attentamente, pensieroso e quasi triste.
Ad un tratto parve preso da un capriccio strano, e comandò a Sadur di suonare tutti assieme i suoi flauti.
«Come farò?», disse il vecchio.
«Accomodati, altrimenti ti farò bastonare.»
Allora il vecchio cercò certe erbe filamentose e unì in fila i suoi flauti, formando la prima delle leoneddas sarde. Prova e riprova, gli riuscì di suonare abilmente una melodia melanconica, armo-niosa, discretamente sonora.
Presi dalla sonnolenza dei meriggi primaverili, dopo il pasto abbondante, i fenici ascoltavano sdraiati sull’erba, e una grande dolcezza li invadeva a quel suono.
Il giovine capo, specialmente, pareva incantato. A poco a poco si addormentò, e gli parve di non aver mai gustato un sonno così delizioso, in luogo più ameno di quello.
Svegliandosi, disse al vecchio di chiedergli tutto ciò che desiderava; glielo avrebbe accordato, se era in suo potere. Sadur tremò, poi disse:
«Ebbene, senti. Io ho moglie e una figlia vergine: se le incontri, non toccarle».
«Tu puoi farle tornar qui», disse il capo, «non sarete più molestati.»
Intanto fece ricostruir la capanna e attese che il vecchio, andato in cerca delle sue donne, fosse di ritorno.
Desiderava sentire ancora il suono dei flauti riuniti e di addormentarsi ancora una volta sull’erba.
Sadur e le donne e le gregge tornarono, e il vecchio suonò ancora, e il giovine si addormentò.
Allo svegliarsi vide Greca, e il luogo gli parve ancora più ameno.
«Vuoi tu darmi la fanciulla?», chiese al vecchio. «La sposerò e resterò qui coi miei compagni.»
Così si formò in Sardegna una delle prime colonie fenicie, ed il vecchio Sadur continuò a suonare, tutti assieme, i suoi flauti di canna.
San Michele Arcangelo
La mercantessa d’uova, zia Biròra Portale, viaggiava recando un cesto d’uova da Orotelli a Nuoro.
Era una notte d’agosto, pura e luminosa come una perla. Sulla grande distesa della pianura di stoppia, la luna gettava una luce viva ed eguale; il cielo era azzurro quasi come di giorno, e solo ad oriente l’orizzonte appariva vaporoso, velando le montagne che sembravano nuvole sorgenti dal ma-re.
Zia Biròra viaggiava di notte perché viaggiava a piedi, e viaggiava a piedi perché i guadagni del suo commercio erano tanto esigui da non permetterle di viaggiare a cavallo.
Figuratevi che tutti i capitali del suo commercio, assai fragili invero, stavano dentro quel cestino intessuto di canne che ella recava sul capo: duecento uova. Ogni tre giorni zia Biròra, comprava duecento uova, le disponeva nel cestino, fra la paglia, e si metteva in viaggio per Nuoro. Col guada-gno viveva tre giorni.
Da anni ed anni ella faceva quel mestiere.
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