Dio sia lodato: Egli non abbandona i poveretti. Questo è certamente un biglietto da venticinque lire: io sono salva, la mia vecchiaia è assicurata. San Michele Arcangelo sia benedetto. Era lui! Era lui!»

Si trascinò sulle ginocchia, baciò il suolo dove lo sconosciuto aveva posto i piedi, e pregò.

In questa posizione la sorpresero due paesani che passavano a cavallo e che la credettero svenu-ta. La chiamarono, ed uno di essi smontò da cavallo. Ella si rialzò e raccontò la storia, dicendo d’aver veduto San Michele Arcangelo che le aveva fatto l’elemosina. La credettero pazza, le chiesero di far vedere il biglietto, e le dissero, meravigliati che era un biglietto da cento lire.

Poi passarono oltre.

Cento lire! La vecchia credette d’impazzire davvero: cominciò a ridere e piangere nello stesso tempo, picchiandosi il petto, gettandosi per terra e baciando nuovamente il posto ove lo sconosciuto s’era fermato.

Qualche tempo dopo, zia Biròra, che continuava a negoziare le uova, viaggiando però a cavallo, si trovò per caso, a Nuoro, davanti alla Corte d’Assise. Si discuteva un famoso processo contro un bandito accusato di omicidi, grassazioni, vendette, rapine. La vecchia mercantessa entrò anch’essa e si mescolò alla folla dei curiosi. Ad un tratto fra questa folla s’elevarono grida, esclamazioni, mor-morii. Che è, che non è? Era la vecchia che nel bandito crudele aveva riconosciuto il suo San Michele Arcangelo.

Nostra Signora del Buon Consiglio9

Oggi, miei piccoli amici, voglio raccontarvi una storia che vi commuoverà moltissimo, e che, se non vi commuoverà, non sarà certamente per colpa mia o delle cose che vi narro, ma perché avete il cuore di pietra.

C’era dunque una volta, in un villaggio della Sardegna per il quale voi non siete passati e forse non passerete mai, un uomo cattivo, che non credeva in Dio e non dava mai elemosina ai poveri.

Quest’uomo si chiamava don Juanne Perrez, perché d’origine spagnola, ed era brutto come il demonio.

Abitava una casa immensa, ma nera e misteriosa, composta di cento e una stanza, e aveva con sé, per servirlo, una nipotina di quindici anni, chiamata Mariedda.

Mariedda era buona, bella e devota quanto suo zio era cattivo, brutto e scomunicato. Mariedda possedeva i più bei capelli neri di tutta la Sardegna, e i suoi occhi sembravano uno la stella del mattino, l’altro la stella della sera.

Don Juanne voleva male a Mariedda, come del resto voleva male a tutti i cristiani della terra; e, potendo, le avrebbe cavato gli occhioni belli; ma per un ultimo scrupolo di coscienza non voleva farle danno; solo, quando essa ebbe compito i quindici anni, pensò di sbarazzarsene maritandola a un brutto uomo del villaggio.

Ella però non volte acconsentire a questo infelice matrimonio, e il brutto uomo del villaggio, per vendicarsi dell’umiliante rifiuto, una notte sradicò tutte le piante del giardino di don Juanne e pose sulla soglia della casa, ove Mariedda e lo zio abitavano, un paio di corna e due grandissime zucche; e ogni notte passava sotto le finestre cantando canzoni cattive.

Impossibile descrivere l’ira di don Juanne, e l’avversione che d’allora cominciò a nutrire contro la povera Mariedda. Basta dire che un giorno la prese con sé nella stanza più remota della casa, e le disse:

«Tu non hai voluto per marito Predu Concaepreda (Pietro Testadipietra). Beh! Ma siccome tu devi assolutamente maritarti, preparati a sposare me».

La poveretta rimase, come suol dirsi, di stucco, poi esclamò:

«Ma come va quest’affare? Voi non siete mio zio? E da quando in qua gli zii possono sposar le nipoti?».

«Tu sta zitta, fraschetta! Io ho dal papa il permesso di sposarmi con chi voglio, anche senza prete. E ho deciso di ammogliarmi con chi mi pare e piace. Tu pensa bene ai fatti tuoi.