O quell’uomo del villaggio, o me. Ti lascio una notte per deciderti.»
E se n’andò chiudendola dentro.
Appena sola, Mariedda si mise a piangere e a pregare fervorosamente Nostra Signora del Buon Consiglio, perché l’aiutasse e la ispirasse.
Ed ecco, appena fatto notte, le apparve una donna bellissima, tutta circondata di luce, vestita di raso e di velo bianco, con un mantello azzurro e un diadema d’oro simile a quello della regina di Spagna.
Donde era entrata?
Mariedda non poteva spiegarselo, e stava a guardar a bocca aperta la bella Signora, quando questa le disse con voce che sembrava musica di violino:
9 Leggenda pubblicata presso R. Sandon, Palermo, 1899.
«Io sono Nostra Signora del Buon Consiglio, ed ho sentito la tua preghiera. Senti, Mariedda: Chiedi a tuo zio otto giorni di tempo, e se in capo a questi egli non avrà deposto il suo pensiero, chiamami di nuovo. Conservati sempre buona, e mai ti mancherà il mio aiuto e il mio consiglio».
Ciò detto sparve, lasciando nella stanza come una luce di luna e un odore di gelsomino.
Mariedda, che provava una viva gioia, pregò tutta la notte; e il domani chiese a suo zio otto giorni di tempo. Sebbene a malincuore, don Juanne glieli concesse; intanto, perché non fuggisse, la teneva sempre rinchiusa in quella stanza remota, nella quale perdurava la luce di luna e l’odore di gelsomino. Passati però gli otto giorni, le chiese se si era decisa, ché lui voleva assolutamente sposarla il giorno dopo.
Rimasta sola, Mariedda si rimise a piangere e pregare, ma tosto ricomparve quella Celeste Signora, che ora aveva un vestito di broccato d’oro e un diadema di perle come quello della Regina di Francia.
«Dormi, Mariedda, e non temere», le disse con voce che pareva musica di rosignuolo. «Prendi questo rosario, che ha virtù di guarire i malati, e nella fortuna non dimenticarti di me, se non vuoi che t’incolga sventura.»
E sparì, lasciando nella stanza una luce d’aurora primaverile e una fragranza di garofani.
Mariedda non aveva potuto dire una sola parola. Speranzosa ed estasiata baciò il rosario di ma-dreperla lasciatole dalla divina Signora, se lo pose al collo e si addormentò tranquillamente senza chiedersi che cosa l’indomani sarebbe avvenuto.
Ma l’indomani ella si svegliò sotto un roveto, vicino ad una palude; e tosto pensò che colà doveva averla trasportata, durante il sonno, la sua Santa Protettrice.
Levatasi, recitò la solita preghiera, poi si avviò verso una città che si scorgeva in lontananza, tra i vapori rosei del bellissimo mattino.
Cammina, cammina, vide un piccolo pescatore che, a piedi scalzi e con la lenza sulla spalla, si recava a pescare in certi piccoli stagni azzurreggianti là intorno. Gli chiese:
«Bel pescatore, in grazia, come si chiama quella città?».
Il pescatore non rispose, ma si mise a cantare:
Io pesco anguilla, e do la caccia all’oca;
10
Quella città laggiù si chiama Othoca .
«Be’», pensò Mariedda, «siamo ad Oristano.»
Cammina, cammina, entrò in città, e subito si diede a cercar una casa in cui potesse entrar come serva; ma inutilmente. Dopo tre giorni e tre notti di viavai da una porta all’altra, morente di fame e di stanchezza, non aveva ancora trovato padrona. Ma non disperava; e pregava, pregava sempre la bella Signora del Buon Consiglio, perché l’aiutasse.
Ora, al quarto giorno, passando davanti al palazzo reale, vide molta gente che parlava sommessa, pallida in volto e piena di dolore.
«Bel soldato», chiese ad un giovine armigero, triste anch’egli come il resto della folla, «che cosa avviene?»
«Sta per morire il figlio del Giudice di Arboréa, e nessun medico può più salvarlo.»
Il Giudice era il re di Arboréa; quindi il figlio era il principe reale, il più bel cavaliere di tutta la Sardegna.
Mariedda fu scossa dalla dolorosa notizia e stava per dire un’ Ave per il principe moribondo, quando, toccando i grani del suo rosario si ricordò con gioia che questo possedeva la virtù di guarire i malati.
Senza dir nulla, attraversò la folla e riuscì a penetrare nel reale palazzo; ma un capitano delle guardie la fermò, e le chiese con arroganza cosa voleva.
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