Intanto il bellissimo bambino, che si chiamava Consiglio, cresceva come i piccoli aranci del boschetto, e rideva e correva su cavalli di canna, ai quali, sebbene non avessero che la coda, faceva eseguire rapidissimi volteggi.
Scorsero cinque anni. Un giorno, finalmente, passò vicino alla casetta verde una comitiva di cacciatori, che si erano smarriti in quelle campagne disabitate, e chiesero ospitalità a Mariedda.
Immaginatevi voi il batticuore, la sorpresa e la gioia di Mariedda nel riconoscere il suo sposo nel capo di quei cacciatori smarriti!
«Ecco giunto il giorno!», pensò trepidando. Ma non si fece conoscere, perché era alquanto cam-biata e vestiva in costume. Però accolse graziosamente i cacciatori, fra i quali eravi anche don Juanne, il medico del diavolo.
Tutti furono incantati della buona accoglienza e della bellezza di Mariedda e di Consiglio. A tavola don Mariano, che sedeva accanto alla padrona, le raccontò la sua sventura, e le disse che si era pentito del suo atroce comando, che aveva fatto cercare la povera sposa per tutti i monti e le valli di Sardegna, e che, non avendola potuta ritrovare, ora egli era l’uomo più infelice della terra, tormenta-to dai rimorsi e dalle ricordanze.
Mariedda fu intenerita da questo racconto, e decise rivelarsi prima che i cacciatori partissero.
Intanto accadde questo fatto straordinario, che dimostrò come la giustizia di Dio si riveli nelle più piccole cose. Sentite. Un cucchiarino d’oro del servizio da tavola era caduto per terra. Consiglio, che giocherellava attraverso le sedie, lo raccolse, e introdottosi sotto la mensa, così giocando, lo po-se dentro la scarpina di marocchino ricamata di don Juanne. Poi se n’andò via, e dalla serva fu posto a dormire.
Quando si venne a sparecchiare, si notò la mancanza del cucchiarino d’oro, e questo non si poté rinvenire in alcun posto.
«Bel signore», allora disse Mariedda al principe, «io ho dato ospitalità a voi ed ai vostri cavalieri.
Perché dunque mi si paga così?»
E raccontò l’affare del cucchiarino d’oro, che, senza dubbio, era stato rubato da qualcuno dei cacciatori.
Don Mariano salì su tutte le furie, e traendo la spada, gridò:
«Cavalieri, qualcuno da qui ha rubato. Confessate la vostra onta o ve ne pentirete amaramente!».
Tutti negarono: don Mariano riprese:
«Bene, bei signori! Frugherò io stesso le vostre persone, e guai al traditore indegno, che ha così ricompensato l’ospitalità di questa nobile dama. Lo trapasserò con la mia spada».
Detto fatto. Frugò tutti i cacciatori, e trovò il cucchiarino d’oro nella scarpina di marocchino ri-camato di don Juanne. Invano questo si protestò innocente.
«Messere», gli disse il principe, «voi morrete per mia mano.»
E stava per ucciderlo, quando Mariedda impietosita, chiese grazia per lui, e si rivelò con grande contentezza del principe.
Commosso da questa scena, don Juanne si gettò ai piedi della nipote, che lo aveva salvato, e confessò le sue colpe.
Mariedda e il principe lo perdonarono; solo, in penitenza, gl’imposero di viver sempre nella casetta verde nascosta fra gli aranci e le rose, perché si pentisse ed espiasse i suoi peccati nella solitu-dine. Non sappiamo se egli veramente si sia pentito: sappiamo però che egli non si mosse più di là; mentre Mariedda, Consiglio col suo cavallo di canna, la serva col suo costume e il suo velo, don Mariano e tutti gli altri cacciatori tornarono alla Corte, dove furono accolti con grandi feste, e dove vissero lungamente felici. Mentre passavano vicino agli stagni, quel pescatore che aveva cantato quando Mariedda veniva la prima volta ad Oristano, questa volta cantava così: Uccelli che volate, che volate,
In compagnia di me,
Andate e ritornate,
Fatto han la pace la regina e il re.
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