In molte occasioni, tuttavia, il reggente dispose affinché mia madre e le mie sorelle venissero condotte al Grande Posto.
Quando arrivai per la prima volta a Mqhekezweni alcuni dei miei coetanei mi guardavano come se fossi uno zotico irrimediabilmente incapace di vivere nella rarefatta atmosfera del Grande Posto. Come è proprio dei giovani, facevo del mio meglio per apparire esperto ed educato. Un giorno, in chiesa, avevo notato una bella ragazza, che si chiamava Winnie ed era una delle figlie del reverendo Matyolo; le avevo chiesto di uscire e lei aveva accettato. La ragazza aveva un debole per me, ma sua sorella maggiore, nomaMpondo, mi considerava troppo «indietro». Diceva alla sorella che ero un barbaro, che non ero all’altezza della figlia del reverendo Matyolo. Per dimostrare alla sorella minore quanto fossi incivile, un giorno mi invitò a pranzo in canonica. Io mangiavo ancora secondo le abitudini di casa, dove non usavamo forchetta e coltello. A tavola, presente tutta la famiglia, la sorella maggiore mi porse malignamente un piatto che conteneva unicamente un’ala di pollo.
Quest’ala, anziché essere tenera e morbida, era piuttosto coriacea, per cui la carne non si staccava facilmente dall’osso.
Vedendo gli altri che maneggiavano disinvoltamente le posate, impugnai lentamente forchetta e coltello.
Stetti qualche momento a osservare gli altri e poi tentai di far presa sull’ala. All’inizio la spostai solamente nel piatto sperando che la carne si staccasse da sola. Infine tentai invano di tenerla ferma per poterla tagliare, ma quella mi sfuggiva, e con mia grande frustrazione riuscivo solo a dare colpi di coltello sul piatto. Dopo aver fatto diversi tentativi, notai che la sorella maggiore aveva sulle labbra un sorriso d’intesa e guardava la sorella minore come a dire: «Te l’avevo detto». Mi sforzai in tutti i modi di riuscire finché fui grondante di sudore, ma non volevo ammettere la sconfitta afferrando con le mani quel boccone infernale. Alla fine del pranzo non avevo mangiato granché di quel pollo.
Dopo quell’episodio la sorella maggiore disse alla minore: «Sprecherai la tua vita se ti innamori di un tipo così arretrato», ma sono lieto di dire che la giovane non ascoltò, e mi amò arretrato com’ero. Alla fine, naturalmente, le nostre strade si divisero e ognuno seguì il suo destino. Lei frequentò una scuola diversa dalla mia e intraprese la carriera di insegnante. Per qualche anno ci scrivemmo, finché la persi di vista, ma nel frattempo le mie maniere a tavola erano notevolmente migliorate.
4.
Quando ebbi sedici anni il reggente decise che era tempo per me di diventare uomo. Nella tradizione xhosa, ciò si raggiunge con un solo mezzo: la circoncisione. Nella tradizione, un maschio non circonciso non può ereditare i beni del padre, non può sposarsi né officiare nei riti tribali. Un uomo xhosa non circonciso è una contraddizione in termini, in quanto questi non è considerato un uomo bensì un ragazzo. Per il popolo xhosa la circoncisione rappresenta l’integrazione ufficiale del maschio nella società. Non è tanto un procedimento chirurgico quanto un lunghissimo ed elaborato rituale che prepara all’ingresso nell’età adulta. Come xhosa, io conto gli anni della mia vita da uomo a partire dal giorno in cui sono stato circonciso.
La scuola di circoncisione organizzò la cerimonia tradizionale soprattutto per Justice; noi altri, ventisei in tutto, partecipavamo più che altro per tenergli compagnia.
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