All’inizio dell’anno nuovo ci stabilimmo in due capanne di frasche che sorgevano in una valletta appartata nota come Tyhalarha, lungo il corso del fiume Mbashe, nel luogo dove un tempo solevano circoncidere i re thembu. Le capanne erano luoghi di ritiro nei quali dovevamo vivere isolati dal mondo. Era tradizione che si trascorresse lì un periodo sacro; io ero felice e soddisfatto di condividere le usanze del mio popolo, e mi sentivo pronto per il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Andammo a Tyhalarha presso il fiume alcuni giorni prima della circoncisione vera e propria: quegli ultimi giorni da ragazzi li trascorremmo assieme agli altri iniziandi, la cui compagnia trovai molto piacevole. I nostri alloggi si trovavano nelle vicinanze della casa di Banabakhe Blayi, il ragazzo più ricco e popolare del gruppo. Era un giovane che non passava inosservato, campione di lotta col bastone e ragazzo attraente le cui molte ammiratrici ci fornivano spesso prelibatezze. Pur non sapendo leggere né scrivere, era uno dei più intelligenti tra noi, e ci intratteneva con i racconti dei suoi viaggi a Johannesburg, dove nessuno di noi era mai stato. Ci entusiasmò tanto con le sue storie di miniera da farmi quasi credere che il mestiere di minatore fosse più interessante del mestiere di re. I minatori erano circondati da un mito: essere minatore voleva dire essere forte e audace, voleva dire essere uomo. Molto più tardi capii che erano le storie esagerate di ragazzi come Banabakhe a far sì che molti giovani fuggissero di casa per andare a lavorare nelle miniere di Johannesburg, dove spesso perdevano la salute e la vita. A quei tempi, lavorare in miniera era diventato un rito di passaggio quasi quanto la circoncisione, un mito che risultava vantaggioso più per i proprietari delle miniere che non per il mio popolo.

Un’usanza dei riti preparatori alla circoncisione è che ognuno prima della cerimonia debba compiere un’impresa temeraria. Nei tempi antichi questo avrebbe potuto comportare una scorreria di bestiame o addirittura una battaglia, ma ai nostri giorni le imprese erano più di astuzia che marziali. Due notti prima della cerimonia decidemmo di rubare un maiale. A neanche due chilometri dai nostri alloggi viveva un uomo della tribù che aveva un vecchio maiale irascibile. Per evitare di far rumore mettendo l’uomo sull’avviso, studiammo le cose in modo che fosse il porco a venire da noi. Prendemmo numerose manciate del fondo di una birra artigianale il cui forte odore è apprezzatissimo dai maiali, e ne stendemmo una traccia che portava dal recinto in direzione delle nostre capanne. Il porco era così eccitato dall’odore che fuggì dal recinto e piano piano, ansimando e sbuffando, incominciò a dirigersi verso di noi ingollando, man mano che avanzava, i fondi di birra. Quando il povero maiale ci arrivò a tiro lo catturammo, lo macellammo, poi allestimmo un fuoco e mangiammo porco arrostito sotto le stelle. Mai carne di maiale ci era parsa più squisita.

La notte prima della circoncisione, nei pressi delle nostre capanne vi fu una cerimonia di canti e danze. Le donne vennero dai villaggi vicini, e noi danzammo mentre loro cantavano scandendo il ritmo con le mani.

Mentre la musica aumentava di ritmo e di volume la danza diventava via via più frenetica, finché per un momento fummo totalmente dimentichi della prova che tra breve dovevamo affrontare.

Era l’alba - le stelle brillavano ancora nel cielo - quando incominciammo a prepararci. Come rito di purificazione preliminare, ci condussero a bagnarci nelle fredde acque del fiume. La cerimonia ebbe luogo a mezzogiorno. Ci ordinarono di metterci in fila in uno slargo a una certa distanza dal fiume, sulla riva del quale si era radunata una folla di genitori e parenti, tra cui il reggente e un gruppetto di capi e consiglieri.

Eravamo avvolti - nostro unico indumento - in una coperta rituale. Quando, con un rullo di tamburi, la cerimonia ebbe inizio, ci fecero stendere la coperta sul terreno e ognuno di noi vi si sedette con le gambe protese in avanti. Io ero teso e ansioso, non sapevo come avrei dovuto comportarmi quando fosse venuto il momento cruciale.