Benché nel corso dei decenni siano circolate molte storie sul fatto che io mi schierassi nella linea di successione al trono thembu, la semplice genealogia che ho appena accennato dimostra come quelle storie fossero solo un mito. Benché facessi parte della corte, non ero tra i pochi privilegiati che venivano addestrati alle arti di governo. Invece, quale discendente della casa Ixhiba, ero destinato, come mio padre, a fungere da consigliere ai governanti della tribù.
Mio padre era un uomo alto e di pelle scura, con un portamento dritto e solenne che mi piace pensare di aver ereditato. Proprio sopra la fronte aveva un ciuffo di capelli bianchi: da ragazzo, per imitarlo, prendevo della cenere bianca e me la strofinavo tra i capelli. Mio padre era severo nei modi, e non risparmiava il bastone quando si trattava di imporre la disciplina tra i suoi figli. Sapeva essere oltremodo ostinato, un altro tratto che può essersi malauguratamente tramandato di padre in figlio.
A volte ci si è riferiti a mio padre come al primo ministro del Thembuland durante i regni di Dalindyebo, padre di Sabata, che governò ai primi del Novecento, e di suo figlio Jongintaba che gli succedette al trono. La denominazione è impropria, in quanto tale titolo non esisteva, ma il ruolo che egli ricopriva non era molto diverso da quello che si intende con quel termine. Come stimato e rispettato consigliere di entrambi i re, egli li accompagnava nei loro viaggi, ed era solitamente al loro fianco negli incontri importanti con le autorità di governo. Era un profondo conoscitore della storia xhosa, e in parte a questo doveva la stima di cui godeva come consigliere. Anche il mio interesse per la storia fu precoce, e mio padre non mancò mai di incoraggiarlo. Pur non sapendo né leggere né scrivere, era considerato un ottimo oratore, che affascinava il pubblico divertendolo ed educandolo al tempo stesso.
Anni dopo scoprii che mio padre non era solo un consigliere, ma anche un artefice di re. Dopo la morte prematura di Jongilizwe nel 1920, suo figlio Sabata, infante della Grande moglie, era troppo giovane per ascendere al trono. Nacque una disputa su quale dei tre figli più grandi che Dalindyebo aveva avuto dalle altre mogli - Jongintaba, Dabulamanzi e Melithafa - dovesse essere scelto per la successione. Mio padre fu consultato e consigliò Jongintaba in ragione del fatto che era il più istruito. Egli sosteneva che Jongintaba non solo sarebbe stato un abile depositario della corona, ma anche un ottimo mentore per il giovane principe. Mio padre e alcuni altri capi influenti avevano quel grande rispetto per l’istruzione che spesso si riscontra in coloro che ne sono privi. La proposta non mancò di suscitare polemiche, perché la madre di Jongintaba veniva da una casa più modesta, ma infine la scelta di mio padre fu accettata sia dai thembu che dal governo inglese.
Nel tempo, Jongintaba ebbe modo di restituire il favore in una forma che mio padre allora non poteva immaginare.
In tutto, mio padre aveva quattro mogli, la terza delle quali, mia madre, Nosekeni Fanny, figlia di Nkedama del clan amampemvu degli xhosa, apparteneva alla Casa di destra. Ognuna di queste mogli - la Grande moglie, la moglie della Casa di destra (mia madre), la moglie della Casa di sinistra, e la moglie dell’Iqadi o Casa di sostegno - aveva il proprio “kraal”. Un “kraal” era un nucleo abitativo che comprendeva di solito un rudimentale recinto per le bestie, un po’ di terreno da semina, e una o più capanne con il tetto di paglia. I
“kraal” delle mogli di mio padre erano separati da molte miglia, e lui faceva a turno a visitarli. Tra un viaggio e l’altro mio padre mise al mondo tredici figli, dei quali quattro maschi e nove femmine. Io sono il figlio maggiore della Casa di destra e il minore dei suoi quattro figli. Ho tre sorelle: Baliwe, che era la più grande, Notancu e Makhutswana. Benché il maggiore dei suoi figli fosse Mlahlwa, l’erede di mio padre come capo era Daligqili, il figlio della Grande Casa, che morì nei primi anni trenta. Tutti i suoi figli, a eccezione di me, oggi sono scomparsi, e tutti erano maggiori di me non solo per età ma anche per condizione.
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