Il conte andò ad aprire l'uscio, e aspettò fin che udì il passo nel corridoio.
"Lume!" diss'egli; e andò a sedersi al tavolo.
"Non è vero, non è vero!" disse Silla sottovoce. "Non fui questo sciagurato ch'Ella dice! Me lo provi, se può."
Il conte non rispondeva.
"Io" continuò Silla "che avrei dato il sangue per mia madre, che l'adoravo, che non volevo neppure quel denaro perché i parenti di mia madre non potevano soffrire ch'io scrivessi, e, conoscendoli, temevo s'irritassero contro mia madre per causa mia!"
Il conte si pose l'indice alle labbra. Un domestico entrò con il lume, lo pose sul tavolo e si ritirò.
"Quando io affermo una cosa, mio caro signore" disse il conte "è provata."
"Ma in nome di Dio, chi!..."
"Adesso lasciamo stare. Io non voglio accusarvi di avere accettato un sacrificio simile. Voi non lo sapevate. Del resto la vita è così. Vi è sempre nei giovani questa baldanza ridicola di credere che la terra è beata del loro piede e il cielo del loro sguardo, mentre i loro genitori pestano fango e spine per portarli avanti, nascondendo quello che soffrono proprio negli anni in cui il loro corpo invecchia, il loro spirito è stanco, e tutte le dolcezze della vita, ad una ad una, se ne vanno."
"Dio! Se fosse vero, mi vituperi, m'insulti!"
"Io non vi ho fatto venire in casa mia per vituperarvi. E poi, se avrete figli, pagherete. Bisognerebbe vituperar Voi, me e tutta questa buffonesca razza umana. Proseguiamo. Il Vostro libro non ebbe fortuna; per verità mi pare di potermi rallegrare con Voi, che la fortuna non è Vostra amica. Nel 58..."
Il conte si fermò e poi riprese a voce bassissima:
"Non è a temere che Voi dimentichiate mai il colpo che riceveste nel 1858."
Tacque daccapo, e per qualche momento durò non interrotto il silenzio.
"Devo pur dirvi, a questo punto" riprese il conte "che se io V'intrattengo sui casi della Vostra vita oltre quanto sarebbe necessario per dimostrare che Vi conosco bene, si è perché intendo di meglio giustificare in tal modo le proposte che vado a farvi. Dunque, nel 59 avete fatto il Vostro dovere e Vi siete battuto per l'Italia. Vostro padre..."
"Signor conte!"
"Oh, Voi mi conoscete molto male se potete credere che io voglia offendere davanti a un figlio la memoria di suo padre, anche se quest'uomo ha commesso degli errori e ha meritato delle censure. State tranquillo. Vostro padre non era più a Milano quando vi siete tornato Voi. Era nel paese straniero dove intendo che ha cessato di vivere due anni sono, nel maggio del 62. Vi trovaste solo colla Vostra letteratura. Allora foste improvvisamente chiamato a insegnar lingua italiana, geografia e storia in un istituto privato, di cui non conoscevate neppure il nome. Avete mai saputo come quei signori abbiano scelto appunto Voi?"
"No."
"Non importa. In quel tempo avete avuto una offerta dai parenti di Vostra madre, dai Pernetti Anzati, non è vero? Volevano che entraste nella loro Filatura e Vi offrivano un lauto assegno; non è così?"
"Sì, ma è forse Lei che mi ha fatto eleggere?..."
"Non importa, Vi dico. Avete rifiutata l'offerta dei Pernetti Anzati. Fatto bene, molto nobilmente. Meglio un lavoro che frutta poco pane e molta civiltà, di un lavoro che converte in denaro il tempo, la salute e una buona parte dell'anima. Ma adesso l'istituto al quale appartenevate ha fatto cattivi affari e venne chiuso. Io credo che Voi non sarete malcontento di occuparvi in qualche altro modo degno, ed è per questo che Vi ho pregato di venire da me."
"La ringrazio" rispose Silla asciutto asciutto. "Prima di tutto, posso vivere."
"Oh!" interruppe il conte. "Chi parla di questo? Lo so benissimo. I Pernetti Vi passano l'interesse di una parte della dote di Vostra madre che si trattennero sempre, un migliaio e mezzo di lire circa. E poi?"
"E poi" proruppe Silla con forza "voglio sapere finalmente chi è Lei, perché si occupa di me!"
Il conte indugiò un poco a rispondere.
"Io sono un vecchio amico della famiglia di Vostra madre, e Vi porto molt'affezione per la memoria di persone che mi furono assai care.
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