Le circostanze della vita ci hanno tenuti lontani fino ad oggi; un male che noi ripareremo. Vi basta quello?"
"Perdoni, non mi può bastare; è impossibile!"
"Ebbene, mettiamo un poco da parte la mia amicizia. In fine dei conti non è un beneficio che io Vi offro, è un favore che Vi domando. Io so che avete molto ingegno, molta cultura, che siete probo e che Vi è mancata la Vostra occupazione ordinaria. Io ho a proporvi un lavoro di lunga lena, mezzo scientifico mezzo letterario, di cui ho raccolto i materiali e che amerei fare io stesso se fossi mai stato uomo di penna, o almeno, se avessi l'età Vostra. Questi materiali sono tutti qui, presso di me, e io desidero mantenere una continua comunicazione d'idee con la persona che scriverà il libro, il quale dovrà quindi essere scritto in casa mia. Questa persona mi farà le sue condizioni, naturalmente."
"Io non esco di qua, signor conte" rispose Silla "se Ella non mi dice come ha potuto sapere le cose che ha narrate!"
"Dunque non volete che trattiamo di questo lavoro?"
"Così, no."
"E se io adoperassi i buoni uffici di una persona che ha grande autorità sopra di Voi?"
"Pur troppo, signor conte, non vi è nessuno al mondo che abbia grande autorità sopra di me."
"Io non Vi ho detto che questa persona sia viva."
Silla provò una scossa, un formicolìo freddo nel petto.
Il conte aperse un cassetto del tavolo, ne trasse una lettera e gliela porse.
"Leggete" diss'egli, e si gettò addietro sulla spalliera della seggiola con le mani in tasca e la testa china sul petto.
L'altro afferrò rapidamente la lettera, ne lesse la soprascritta e fu preso da un tremito violento che gli tolse di proferir parola. V'era scritto di pugno di sua madre:
PER CORRADO
Tremava così forte che poté a mala pena aprir la lettera. La voce cara di sua madre gli pareva venir dal mondo degli spiriti per dir parole non potute dire in vita e sepolte nel suo cuore sotto una pietra più grave di quella della tomba. Le parole erano queste:
Se ti è cara la memoria mia, se credi ch'io abbia fatto qualche cosa per te, affidati all'uomo giusto che ti dà questa lettera. Dal paese della pace dove spero m'abbia posato la misericordia di Dio quando la leggerai, ti benedico.
La mamma
Nessuno dei due parlò. Si udì un singhiozzo disperato, prepotente; poi più nulla.
Ad un tratto Silla, contro la sua ragione, contro la sua volontà, il suo cuore istesso, guardò il conte con tale angosciosa domanda negli occhi sbarrati, che quegli menò un furibondo pugno sul tavolo esclamando:
"No!"
"Dio! Non ho voluto dir questo!" gridò Silla.
Il conte si alzò in piedi e allargò le braccia.
"Amica venerata" diss'egli.
Silla piegò la testa sul tavolo e pianse.
Il conte aspettò un momento in silenzio e poi disse a bassa voce:
"Vidi Vostra madre per l'ultima volta un anno prima del suo matrimonio. Ella mi ha scritto poi molte lettere di cui Voi eravate il solo argomento. Ecco perché io conosco molti particolari intimi della Vostra vita. Dopo il 58 sono stato informato da certi amici miei di Milano. Voi comprenderete facilmente perché abbiate ritrovato in casa mia quelle suppellettili; esse mi ricordano la persona più virtuosa e più rispettabile che mi abbia onorato della sua amicizia."
Silla stese ambedue le mani verso di lui senz'alzare il capo dal tavolo.
Il conte gliele strinse affettuosamente, le tenne qualche momento fra le sue.
"Dunque?" diss'egli.
"Oh!" rispose Silla alzando la testa.
Era detto tutto.
"Bene" rispose il conte "adesso uscite, uscite subito, andate a pigliar aria. Vi faccio accompagnare dal mio segretario."
Suonò e fece venire Steinegge che si mise, tutto sorridente, agli ordini del signor Silla. Egli si professava lieto dell'onorevolissimo incarico. Non sapeva se gli abiti che si trovava indosso fossero degni dello stesso onore. Sì? Ringraziava. Se n'andò finalmente con Silla, strisciando inchini e facendo infinite cerimonie ad ogni uscio, come se al di là della soglia vi fosse stata una torpedine. Appena uscito dal cancello del cortile, mutò modi e parole. Prese a braccetto il compagno: "Andiamo a R..." disse "bisogna bere un poco, caro signor."
"No" rispose Silla, distratto, non sapendo ancora bene in che mondo si fosse.
"Oh, non dite no, io vedo. Voi siete serio, molto serio; io poi sono serissimo."
Steinegge si fermò, accese un sigaro, sbuffò una gran boccata di fumo, batté con il palmo della destra la spalla del suo interlocutore e disse ex abrupto:
"Oggi sono dodici anni, mia moglie è morta."
Fece un passo avanti, poi voltossi a guardar Silla, con le braccia incrociate sul petto, le labbra strette, le sopracciglia aggrottate.
"Andiamo, voglio raccontarvi questo."
E, ripreso il braccio di Silla, tirò avanti a passi sgangherati, fermandosi di tratto in tratto su' due piedi.
"Io, per il mio paese, mi sono battuto nel 1848, Voi sapete. Io lasciai il servizio austriaco e mi battei nel Nassau per la libertà. Bene, quando si calò il sipario fui gittato per grazia alla frontiera con mia moglie e mia figlia. Sono andato in Svizzera. Là ho lavorato come un cane, col piccone, sopra una linea di ferrovia. Non dico niente, questo è un onore. Sono di buona famiglia, fui Rittmeister, ma fa niente, questo è un onore, di aver lavorato con le mie mani.
1 comment