Scusa se ti ho contato tante storie. Addio, Marianna; dammi la mano.»

Marianna gli porse la mano, sollevando gli occhi; ma fu adesso lui a non guardarla; le strinse appena le dita e se ne andò, senza voltarsi. Dal suo posto ella lo seguiva con gli occhi, provando un senso di liberazione e nello stesso tempo un dolore ardente, un impeto di orgoglio e di umiliazione, come se il suo antico servo l’avesse offesa pure non riuscendo a toglierla dalla sua condizione di padrona.

«Va in buon’ora», gli augurava fra sé «tanto non ci rivedremo mai più.»

In fondo però sentiva ch’egli sarebbe tornato.

Dopo cena preparò le sue cose per il ritorno a Nuoro; doveva partire alla prima alba, tuttavia a tarda notte stava ancora in faccende e non si decideva ad andarsene a letto. Guardava intorno per la stanzetta solitaria avvolta come un nido dal vago mormorio degli alberi, e la sua grande casa di Nuoro, umida e scura, col portone ferrato e le finestre solide, tornava ad apparirle come una prigione: non mancava neppure la guardiana inesorabile, la serva Fidela, con le chiavi alla cintura, e gli occhi di spia. Del resto tutti nella vita siamo così, in carcere, a scontare la colpa stessa di esser vivi; o rassegnarsi o rompere i muri come Simone. Verrà per tutti l’ora della liberazione e del premio.

Sedette sul limitare della porta verso oriente, pensando tutte queste cose sagge; ma si sentiva agitata; le pareva di doversi preparare ancora per il viaggio di ritorno, e che dimenticasse qualche cosa di importante, anzi la più importante; non sapeva quale.

Gli uomini dormivano nella cucina, tutto era silenzio, scintillìo di stelle, canti di grilli come quella sera della seconda visita di Simone: ella desiderava di addormentarsi così sulla soglia; le pareva di essere come ubbriaca, ubbriaca di tutta quell’aria bevuta in quei giorni, di quel tepore di primavera.

Vedeva l’albero in mezzo alla radura argentea e i cani addormentati nell’ombra; e più in là le due ali del bosco, chiara quella degli elci fioriti, nera quella dei soveri; e fra un’ala e l’altra il vuoto della lontananza rischiarato dall’alba della luna coi monti che cominciavano a profilarsi come avvicinandosi attraverso un tremulo velo di luce.

11

Dapprima fu il monte d’Oliena, bianco, fatto d’aria, poi i monti di Dorgali a destra e quelli di Nuoro a sinistra, azzurri e neri; e d’un tratto tutto l’orizzonte parve fiorire di nuvole d’oro. Era la luna che spuntava.

E subito al velo d’oro che si stese dai monti alla Serra parve sovrapporsi un altro velo, una rete di perle che tremava sopra tutte le cose e le rendeva più belle, vive nel sogno. La foresta rideva nella notte, eppure le foglie che cadevano dagli elci parevano lagrime. Erano gli usignuoli che cantavano. Uno era proprio sull’albero della radura che con quel canto e la luna in mezzo ai rami raggiava tutto come una sfera.

Marianna ricordava confusamente che da bambina, nella notte di San Giovanni, aspettava qualche cosa di simile; aspettava, nel buio cortile di casa sua, che il cielo a mezzanotte si aprisse e lasciasse scorgere Dio in mezzo a un giardino luminoso.

Si sollevò stupita; sentì di nuovo il passo lontano, vide un uomo avanzarsi dalla radura, dapprima piccolo poi sempre più alto, più alto, alto fino a toccare il cielo. Riconobbe Simone. Allora tornò a sedersi irrigidita da un’attesa quasi paurosa.

Lo sapeva, che sarebbe tornato; e si accorgeva che era rimasta lì sulla soglia ad aspettarlo. Adesso avrebbe voluto ritirarsi e non poteva più; le pareva di vedere gli occhi di lui brillare nell’ombra dorata della luna, fissi su lei con uno sguardo che la inchiodava alla pietra; e le mani di lui tendersi per afferrarla come quella prima sera davanti a lei avevano tentato di afferrare la terra.

Tornò ad alzarsi. Aveva paura; ricordava bene che due uomini erano lì accanto pronti a proteggerla; eppure le sembrava di essere sola nel mondo, sola con l’ombra dolce e terribile che si avanzava silenziosa come nei sogni; e in fondo sentiva che nessuno poteva liberarla dal pericolo che la sovrastava, se lei stessa non riusciva a difendersi.

A misura però che l’uomo si avvicinava ella perdeva anche la coscienza ultima della sua forza. Le ginocchia le si piegavano; e quando Simone le prese le mani e l’attirò giù invitandola a sedersi di nuovo e anche lui sedette davanti a lei per terra a gambe in croce, senza rallentare la stretta delle mani, si sentì subito un’altra, una cosa di lui.

«Mio padre è là», mormorò.

Senza rispondere Simone gittò via con un moto del capo la berretta e le posò la testa sul grembo, infantile e stanco. I suoi capelli folti, corti, a piccole onde nere inargentate dalla luna odoravano d’erba, di polvere, di sudore; un odore selvatico e profumato assieme, che turbò Marianna più che il gesto di lui.