In quel tempo ero a casa tua.

Sì, odiavo anche te perché eri ricca e potevi sposarti e loro no. Ero grande e pensavo ancora cose da bambino. Pensavo di chiudere te e tuo zio in una camera, una notte, di legarvi, di costringervi a darmi tutti i vostri denari: ma gli occhi di tuo zio, il Signore mi aiuti, mi facevano paura; li vedo ancora adesso: e anche la tua serva, che si svegliava ad ogni rumore, mi dava da pensare. Una volta mi mandaste a fare un viaggio: e io andai dal mio padrino, un prete ricco che vive in un villaggio; andai con la scusa di domandargli se mi voleva per servo, ma in verità perché speravo, non so, che mi prendesse con sé e mi lasciasse l’eredità, come tuo zio faceva con te. Egli mi accolse bene, malanno gli frughi le viscere, ma non mi volle neppure per servo. E così mi è passata la fanciullezza. Pensavo di andare a rubare per far ricca la famiglia; ma avrei voluto rubare molto, molto, non un agnello o un bue. Fare qualche bardana, sì, andare nella casa magari del mio padrino e rubargli il tesoro; non un agnello come l’aquila o la faina. Ma dov’erano i compagni per la bardana? Passati quei tempi, Marianna mia! Il malanno è che andavo a raccontare a tutti queste cose: e mi feci una mala fama, e fui tenuto d’occhio, e sorvegliato e spiato, io che non facevo male ad una mosca. E quando tornavo a casa, mia madre mi guardava triste e mio padre mi predicava dalla stuoia con la voce che pareva venire di sotto 10

terra. Io glielo dicevo: “padre, siete un morto vivo; siete così, seppellito senza terra perché non avete mai avuto forza e coraggio, perché siete vissuto come una lepre nel suo nido”. Le mie sorelle sorridevano, sotto i loro fazzoletti, quasi approvandomi… Così, Marianna, così un giorno pensai di cambiar vita. Lo ricorderò sempre: era d’inverno, una domenica di carnevale. Io mi ero mischiato alla gente, giù dietro alle maschere, ma mentre tutti si divertivano io pensavo alle mie sorelle sedute tristi in casa attorno al focolare, e a mio padre appoggiato al muro fuori nel vicolo deserto. A che ero buono io, se non riuscivo ad alleviare la vita grama della mia famiglia? Quella notte dovevo tornare qui all’ovile e invece me ne andai ai monti di Orgosolo.

Dapprima non avevo una idea chiara, in mente; ma pensavo di unirmi a qualche bandito e cercare la sorte con lui. Era sempre meglio che fare il servo tutta la settimana e tornare a casa per sentire le prediche di mio padre. Incontrai Costantino Moro, il mio compagno, che stava a scaldarsi a un fuoco sull’orlo della strada come un mendicante. Quando mi contò le sue pene risi, in fede mia di cristiano: mi fece pietà; ma per non stare solo rimasi con lui. E così, Marianna, fui subito accusato di mille delitti che non ho commesso. E farei ridere il giudice se glielo dicessi. Però adesso… adesso…»

Tacque, riabbassò la testa.

«Adesso», riprese dopo un breve silenzio, «adesso vorrei di nuovo cambiare vita; ma come, Marianna, come?»

«Ci sarebbe, il modo…», rispose Marianna con una voce rauca di cui lei stessa sentì l’incertezza e il turbamento; e non ebbe coraggio di proseguire.

Simone però intese subito ciò che lei voleva consigliargli; e parve destarsi, ribellarsi. La guardò di sbieco, quasi con odio, poi si alzò, si scosse tutto, accomodandosi bene la cartucciera intorno alla vita e riprendendo il suo fucile.

Dall’alto cercò ancora gli occhi di lei, ma ella non lo guardava più. Pareva si tendessero scambievolmente un laccio e badassero tutti e due a non lasciarsi prendere.

«Del resto è tutto bene, pur di non perdere la libertà», egli disse con voce forte. «Tutto, Marianna; fuori che tornare servi.