Era un luogo d’una bellezza orrida; una grotta con due aperture da una delle quali si sbucava in una scalinata di roccie donde era facile salvarsi in caso di inseguimento. Per arrivare dovette aggirarsi in un vero labirinto di macigni, di pietre, di macchie e di alberi selvaggi: fra le querce nere contorte dallo spasimo millenario dei venti le roccie sbucavano qua e là come teste diaboliche; poi un bosco di lecci aspri nani si stringeva intorno alla grotta; ma una volta lassù, egli dominò da una specie di nicchia incavata nel macigno tutto il panorama della valle.

Esplorata con uno sguardo d’aquila la solitudine attorno penetrò nella grotta: il fuoco coperto di cenere, un pezzo di carne cruda in un ripostiglio e una cordicella legata a un piuolo sul muro lo avvertirono che il compagno, assente, sarebbe presto tornato. Dai segni dei cespugli calpestati davanti all’apertura della grotta, dalla cenere ancora fumante di grasso e dalle ossa sparse, s’avvide però che altri uomini erano stati là dentro a banchettare e forse a complottare, e divenne inquieto. Del compagno si fidava come di un fratello, ma diffidava della semplicità di lui.

Tornò quindi nella nicchia sopra la roccia, col fucile a fianco, e attese vigilando. Vide il cielo schiarirsi, e fra i cespugli brillare lo specchio d’una conca dove si raccoglieva l’acqua di una sorgente, che dopo essere scesa con impeto dai macigni sopra la grotta pareva fermarsi in mezzo a una ghirlanda di giunchi fioriti, per riposarsi, come faceva lui, prima di correre per la sua via.

15

La luna cadeva sopra la conca come per scendervi dentro attirata dai riflessi dolci della sua stessa luce.

E pareva giocasse nella notte morente, la luna, libera e sola nel deserto del cielo crepuscolare, sopra la terra ancora addormentata; e si nascondeva, e riappariva tra le fronde, e si specchiava nell’acqua destandovi mille sorrisi, compiacendosi a vedersi nuda, libera e sola.

Ma qualche cosa di inevitabile attirava anche lei lontano laggiù verso la sua sorte; e accorgendosene impallidiva e diventava triste e fredda, e anche il suo sorriso nello specchio dell’acqua si spegneva. Tentò di attardarsi tra le fronde di un elce, come in un rifugio; tosto però dovette scendere; si attaccò allo stelo più alto di un cespuglio e vi si sostenne un attimo ma già stanca e pallida; e d’un tratto si staccò anche dallo stelo e parve precipitare e infine sciogliersi come un fiore che si sfoglia.

Tutto allora sospirò, nella penombra argentea dell’alba; al respiro dell’acqua fra i giunchi rispose il respiro delle foglie. Il giorno si destava nella solitudine. Simone invece si sentiva attirato giù come la luna dalla forza dolce del sonno. E anche lui lottava; e Marianna era con lui che lo baciava, ma fra i macigni stavano in agguato i nemici e non bisognava perdersi nel sonno e nell’amore.

Così tutto fu rosso, dopo l’argento dell’alba; poi tutto oro e azzurro; e il vento sbatté gli alberi contro il cielo; passarono le nuvolette bianche d’estate, i falchi e i nibbi; il sole fu in mezzo al cielo e la conca dell’acqua lo rifletté intero.

Simone balzò ormai rassicurato e ridiscese nella grotta.

Riaccese il fuoco, infilò la carne nello spiedo di legno e la mise ad arrostire davanti alla fiamma; infine si spogliò e scese nudo alla conca guardandosi il petto bianco come quello di una donna.

Non cessava di spiare attorno, mentre si strofinava i piedi con ciuffi di capelvenere che gli lasciavano la pelle verdastra; nel sollevare il viso per ascoltare i rumori lontani, i suoi begli occhi riflettevano il verde e l’oro intorno; e sul suo dorso bianco macchiato di grossi nèi simili a lenticchie passava un brivido e tremolavano le ombre dei giunchi.

Si sollevò e tentò col piede il fondo della conca; così piano piano avanzò e si tuffò tutto nell’acqua, anche la testa che trasse subito fuori e scosse sprizzando scintille dai capelli.

E subito diventò allegro, fidente; tutto era bello attorno; fra i giunchi brillavano come fiammelle i gigli d’oro; tra un fiore e l’altro ondulavano i fili iridati dei ragni. Un usignuolo gorgheggiò, e pareva che dal suo canto sgorgasse l’acqua della sorgente.

Piegato dentro l’acqua egli si strofinava bene la pelle, ma ogni tanto balzava guardandosi il petto e le braccia sui cui peli scintillavano goccioline perlate; poi di nuovo si piegava tentando invano di prendere fra le mani giunte qualche piccola trota bruna che passava di traverso trasportata dall’acqua corrente.

«Ma te ti prenderò, Marianna!», gridò d’improvviso, destando l’eco. «Marianna!

Marianna!»

L’eco rispondeva; e a lui pareva una voce vera, lontana, calma e velata; la voce stessa di Marianna.

Allora gridò anche il suo nome.

«Simone! Simone!», illudendosi infantilmente che fosse lei a rispondere.

Così le ore passarono, e tornò la sera, con la luna e i grandi sospiri dell’aria che davano un misterioso turbamento alle cose; i profili delle roccie, sulla china del monte, parevano visi umani rivolti a guardare il cielo: le stelle stavano loro vicine ma non si decidevano a toccarli; tutto era sospeso, tutto nella sua immobilità aspettava, anelava a qualche cosa che era imminente ma non veniva mai.

Simone aveva a lungo dormicchiato, dopo il bagno ed il pasto, e stava di nuovo nella nicchia sopra la grotta, aspettando il compagno: era più quieto, ma nello stesso tempo più turbato dal pensiero di Marianna.

«Ieri notte a quest’ora eravamo insieme…», e gli pareva di affondare il viso fra le ginocchia di lei e aveva desiderio di mordergliele.