«Che idiota sono stato! Ma a Costantino dirò bene che l’ho baciata. Eccolo che finalmente, grazie a Dio, arriva, quel diavoletto lento.»
16
Lo riconosceva dal passo, un passo cauto ma non agile e sicuro come il suo, e che gli dava noia, ogni volta che lo sentiva. Del resto, tutto in Costantino lo urtava, quando specialmente si trattava di muoversi, di operare insieme. Erano come due fratelli bambini che si vogliono bene ma questionano di continuo e il maggiore è il tiranno ma anche il protettore. Eccolo dunque che arriva, Costantino, piccolo, tranquillo come un cacciatore di lepri, col fucile attraverso la giacca di velluto verdastro: un berretto di pelo a riccioli neri mette attorno al suo viso rossiccio, dagli zigomi sporgenti, una seconda capigliatura selvaggia. La grossa bocca semiaperta sui grandi denti pare sorridere di continuo, ma gli occhi obliqui sono tristi, torvi sotto i riccioli neri del berretto calato sulla fronte.
Sedette nella grotta e cominciò a slacciarsi le scarpe, al chiaro di luna, senza rispondere alle domande ironiche che Simone balzatogli giù incontro gli rivolgeva.
«Costantì! Beato chi ti vede! Sei stato alla festa? Sei stato a trovare l’amica?»
Costantino si sdraiò per terra, senza rispondere: ansava. Il compagno gli toccò la mano e sentì che bruciava; allora cambiò tono.
«Che c’è? Hai la febbre? Dove sei stato e chi è venuto qui?»
Costantino gli afferrò la mano e non gliela lasciò più, lamentandosi:
«Perché mi hai lasciato solo, perché?».
«E che sono tua madre e devo darti il latte?»
«Son venuti tre, a cercarti, due anziani e un giovinetto: volevano vederti a tutti i costi. “Cercatelo,” dico io” “devo farvelo di legno? Manca dall’altro venerdì e non so dov’è”. Ma quelli insistevano e mi insultavano. Andarono via, tornarono, portarono una pecora e del vino. Ti aspettavano. Dai loro discorsi, ma sopratutto da quanto mi disse il più giovane, intesi che ti volevano per andare a derubare un prete degli stazzi, un prete ricco che possiede non so quant’oro e argenteria. È parroco in un paese, il prete, ma la roba la tiene nascosta nello stazzo dove vive sua madre, una vecchia, e dove lui va di tanto in tanto a passare un po’ di tempo. Ebbene, Simone, non vedendoti tornare, quei tre se la prendevano con me. “Che fai tu qui, sagrestano?” mi dicevano: “Faccio il fatto mio”. E si burlavano di me e dicevano: “noi non sappiamo come Simone Sole possa sopportare la tua compagnia. Va, prendi una bisaccia e va coi mendicanti a domandare l’elemosina nelle feste campestri”. Finirono col farmi arrabbiare. Tu sai che non mi arrabbio mai, Simone, ma quando mi arrabbio mi arrabbio. Hanno avuto paura di me e se ne sono andati; ma per un momento ho creduto che tornassero e mi uccidessero. Allora mi sono allontanato anch’io.»
Immobile, curvo ad ascoltare, adesso era Simone che taceva, guardando intento il compagno, il cui racconto gli sembrava strano e incompleto.
«No», disse alla fine, «tu mi imbrogli, Costantì! Apri gli occhi e guardami: dove sei stato?»
Costantino si sollevò sul gomito e lo fissò negli occhi.
«Che t’importa? E tu, dove sei stato, tu?»
Ricadde, con la testa sul braccio, e chiuse gli occhi; allora Simone ricordando che, geloso e puntiglioso come era, bisognava prendere Costantino con violenza o con dolcezza, gli si sdraiò a fianco e gli toccò lievemente il piede col piede.
«Ti racconterò, sì, dove sono stato; perché non devo raccontartelo? Tu, però, parla prima. Com’erano questi tre?»
E quando Costantino glieli ebbe bene bene descritti sorrise lusingato.
«So adesso chi sono: il più giovane è Bantine Fera: sapevo che finiva col venire a cercarmi.»
Costantino riaprì gli occhi gelosi: sapeva chi era questo Bantine Fera, un bandito giovanissimo, più giovane ancora di Simone e più audace, spregiudicato, indipendente: il compagno gliene aveva parlato tante volte, e pur adesso riprese a lodarlo non senza una lieve punta d’invidia.
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