Voleva Marianna e Marianna dovette uscire nello spiazzo per consultarsi con lui.
«Tuo padre mi ha fatto ammazzare una pecora: dimmi cosa devo cuocere, e se devo preparare anche il sanguinaccio. Ti avverto però che non ho il mentastro; ho solo due foglie d’alloro, eccole.»
3
Gliene fece vedere fra le dita insanguinate, e lei andò a prendere anche il sale, il cacio e un poco di pane di orzo triturato. Il tutto fu mischiato al sangue raccolto nel ventricolo della pecora, pulito come una borsa di velluto: e il ventricolo fu poi cucito con un ago di canna e messo a cuocere sotto un mucchio di cenere calda.
Intanto gli uomini discutevano sul prezzo del sughero, e il padre diceva, guardando per terra poiché non sapeva mentire, che i mercanti ozieresi avevano offerto mille scudi; ma Sebastiano rideva, con gli occhi neri brillanti nel viso giallognolo, e guardava Marianna ammiccando.
«Zio Berte, sapete vantarla la vostra roba!»
«Non è mia perché è di mia figlia!»
«È vostra perché è mia», ribatté Marianna, e il padre ne fu tutto felice anche perché gli pareva che Sebastiano si beffasse un poco di lui.
Marianna intanto, china sul focolare, aiutava il servo a preparare la cena; aveva sollevato rigettandole al sommo della testa le cocche del fazzoletto nero, lasciando liberi il collo bianco e la gola rosea; al riflesso del fuoco i bottoni d’oro della sua camicia, uniti da un nastrino verde, rosseggiavano come due fragole non bene mature, ed ella ogni tanto se li guardava come paurosa che si slacciassero, ma in realtà perché si accorgeva dello sguardo di Simone fisso su di lei, e ne provava un turbamento oscuro. Aveva quasi soggezione a rivolgersi a lui, che pure era stato il suo servetto; le pareva ch’egli tornasse da un viaggio in altre terre, dove era cresciuto, dov’era diventato uomo e aveva appreso tutte le cose cattive e anche le cose buone della vita, come gli emigrati che tornano dalle Americhe. Appunto per questo, però, provava anche piacere ch’egli la guardasse: era finalmente uno sguardo d’uomo che vedeva in lei solo la donna senza ricordarne il denaro.
Quando la cena fu pronta ella sedette in mezzo agli uomini intorno al desco imbandito per terra davanti alla porta spalancata. Il desco era una lastra di sughero, una intera scorza spaccata e spianata di un albero; e anche i vassoi e i recipienti erano di sughero e le tazze di corno incise dai pastori; il grande servo impassibile faceva da scalco, spezzando le ossa dell’arrosto con le sue dita forti: quando ebbe fatte le porzioni spinse il tagliere davanti a Marianna dicendole con voce grave:
«Metti il sale».
E lei prese il sale fra le dita, e con la stessa gentilezza con cui aveva mischiato le foglie dell’alloro al sangue, lo sparse pensierosa, a testa china, sull’arrosto fragrante.
Mangiavano in silenzio. La luna rossa sorgeva come un fuoco tranquillo fra i soveri laggiù in fondo alla radura, illuminando i prati con un chiarore sanguigno; la donna, col suo corsetto di scarlatto reso più vivo dalla luce della fiamma del focolare, splendeva in mezzo alle figure degli uomini come la luna fra i tronchi.
Dopo l’arrosto il servo tolse il sanguinaccio di fra la cenere, lo pulì un poco, lo spaccò, e di nuovo porse il tagliere a Marianna.
«Metti il sale.»
Pareva compiessero un rito, il servo rigido, con la barba nera quadrata di sacerdote egiziano, lei pallida e fina nel fiore di melagrano del suo corsetto.
Simone fu il primo ad essere servito.
«Non ti capita tutte le sere a dividere il tuo pane con donna», disse zio Berte versandogli da bere nella tazza di corno.
«E che donna!», rispose pronto Simone bevendo e guardandola; e a lei parve che il vino brillasse attraverso la tazza opaca.
«Eppure anche ieri notte Simone ha mangiato con donne, e belle anche, non ignorando Marianna!», disse Sebastiano geloso.
Marianna sollevò gli occhi.
«Erano mie sorelle sì: sono stato a casa perché mia madre è malata.»
Un momento di silenzio, grave e triste: poi Marianna domandò, quieta:
«Come sta adesso tua madre?».
«Mah, il solito male suo, al cuore. Sorelle mie sono brave, per conto loro, ma si spaventano facilmente per gli altri; così mi mandarono a chiamare, perché vedessi la madre. Il guaio è che se io vado a vederla c’è pericolo di peggio: e lei lo sa bene! La scorsa notte io non osava entrare nella sua camera; lei però disse: “il mio Simone dev’essere vicino, lo sento: fatelo entrare”. Allora 4
entrai, e lei mi pose la mano sulla testa e poi mi pregò di andarmene subito via. Mah, cose del mondo!», concluse, scuotendo un po’ la testa sul collo con un gesto infantile che Marianna gli aveva osservato da ragazzo.
«Mah!», sospirò anche Berte Sirca; e Sebastiano non insisté nei suoi scherzi.
Solo il servo rimaneva duro, impassibile, come se nulla, tranne il suo servizio, lo riguardasse; eppure fu lui a dissipare l’ombra caduta intorno, domandando a Simone:
«Tu avevi un compagno: che ne è stato? È dentro?».
«Dentro?», protestò Simone quasi offeso.
1 comment