La madre sola si ostinava a tornare di tanto in tanto da Marianna a chiedere notizie com’egli si trovasse ancora nell’ovile. Aveva un aspetto strano, a volte, la madre; pareva chiedesse ai padroni, ai quali lo aveva affidato quasi ancora bambino, che le restituissero il suo figliuolo.
Più tardi Simone aveva mandato sue notizie, e lei s’era chiusa nella sua casetta, per non più uscirne. Marianna, contenta di non vedersela più davanti con quei grandi occhi pieni di angoscia e di domande, s’era dimenticata del piccolo servo, come fosse davvero morto. Ed ecco invece egli adesso le balzava davanti, risorgeva dal sepolcro della sua miseria e afferrava quanto gli capitava sotto mano.
«Quello che è mio è mio e guai a chi lo tocca!»
7
Tutte le parole di lui le restavano in mente, e cercava di contraddirle ancora, col pensiero; ma la replica di lui gliele ribatteva sul cuore. Si volse sul suo lettuccio e cercò di addormentarsi, sorridendo un po’ di se stessa. Il sonno non veniva. Qualche cosa si interponeva tra lei e il sonno. È ancora lui; le stringe ancora il polso fissandola minaccioso e implorante. Anche nel sogno si guardavano come si conoscessero da anni ed anni e uno sapesse dell’altra sino in fondo all’anima. Ella gli diceva: «Io so che ti piaccio e che ti vuoi vendicare d’essere stato mio servo»; ed egli rispondeva: «So che tu aspettavi un uomo come me: eccomi, ti do tutto di me, il bene e il male, ma ti prendo tutta, col tuo bene e col tuo male».
Si volse ancora, infastidita, accaldata. Sentiva bene che tutto questo era un sogno della sua fantasia eccitata dal passaggio di Simone nella solitudine dell’ovile: canzone passeggera come il mormorio del bosco agitato nella notte dal vento di levante: forse Simone non sarebbe più ripassato nella sua vita, eppure… eppure in fondo sapeva già che non era così. Egli sarebbe tornato. Le aveva messo un anello intorno al polso, di cui non era facile liberarsi. E di nuovo lo rivedeva nell’atto di guardarla tutta con uno sguardo intenso come la carezza di una mano amorosa; e sollevando gli occhi nel buio, arrossiva sul suo guanciale come se il viso di lui, pure intraveduto nel sogno che non ha consistenza, si accostasse al suo e il battito delle loro tempia si confondesse in un battito solo.
S’egli fosse lì fuori e spingesse la porta? «Ho la febbre», pensò, toccandosi il polso; «Marianna, che fai?»
Il mormorio confuso del bosco le rispondeva, cullandola un poco. Ripensò alla sua casa di Nuoro, calda, oscura, quieta, piena di cose preziose; rivide la serva Fidela che vegliava contro i ladri, e tornò a sorridere di se stessa.
«Marianna, che fai?» le pareva di sentire la sua voce lenta e calma, «ti è entrato un verme nel cervello, stanotte? Perché un uomo un poco brillo ti ha stretto il polso ti fai venire la febbre? O è il demonio che ti tenta? Che ti entra in corpo?»
E il pensiero che il demonio le fosse davvero penetrato nell’anima e nel corpo sotto forma di Simone, le diede un senso di angoscia e di vergogna.
«Marianna, che fai? Non ti ricordi chi sei? Tu la padrona, egli il servo, tu anziana egli giovane, tu ricca egli miserabile senza casa e senza libertà!»
«Ma appunto per questo: la vita è bella così nel contrasto, nel pericolo, come dice la canzone.»
«Ah, Marianna, che fai? Ecco che egli ti è davvero dentro. È la tentazione.»
«Signore Dio liberami», mormorò tirandosi il fazzoletto sul viso: e le parve di essere come un uccellino che si nasconde sotto la sua ala.
Simone partì durante la notte, e nei giorni seguenti non si lasciò più vedere.
Marianna non lo aspettava, certo; anzi le pareva di aver sognato e non voleva più neppure ricordare il suo sogno; a volte però sollevava la testa sembrandole di sentire un passo lontano e si incantava a guardare il bosco.
Un gruppo d’elci fioriva, al di là del prato: le foglie morte cadevano sospinte dalle nuove, e i fiori spuntavano e s’aprivano in pari tempo con le foglie, tutti di uno stesso colore d’oro pallido che anche dopo il tramonto dava agli alberi millenari uno splendore, come ci fosse ancora il sole. Lei s’indugiava alla finestruola della cucina, verso sera, guardando quella distesa chiara tra il verde cupo della foresta; non sapeva perché provava un senso confuso di gioia a vedere i vecchi elci ringiovanirsi tutto d’un tratto e risplendere come di luce interna. Sebastiano la vide così, al finestrino, pallida ma con gli occhi luminosi, un giorno che tornò per portarle i denari della caparra per il sughero. Anche lui era allegro, come sempre quando aveva occasione di avvicinarsi a lei; ma un’ombra di gelosia tornò a oscurargli il viso nel sorprenderla così.
«Ecco», le disse contandole i denari sul piccolo davanzale «puoi tenerli anche qui fuori; nessuno si accosterà per rubarli finché hai così buona guardia».
Marianna sentì il suo cuore sbattersi, dentro, come un uccello che si desta nella sua gabbia: aveva capito; ma volle saper meglio.
1 comment