La terra sembrava cielo, e il mio destino su di essa prometteva di essere un’estasi di piacere. «Questo è guarire dall’amore», pensai; «vedrò Bertha oggi stesso, e lei troverà il suo innamorato freddo e indifferente; troppo felice per essere sprezzante, e tuttavia di una totale indifferenza nei suoi confronti!»
Le ore passarono danzando. Il filosofo, sicuro di essere riuscito una volta, e convinto di poterlo fare ancora, si rimise a combinare lo stesso composto. Si rinchiuse coi suoi libri e con le sue droghe, e io ebbi la giornata libera. Mi vestii con cura, mi guardai in uno scudo vecchio ma lucido che mi serviva da specchio; mi parve che il mio aspetto fosse migliorato in modo prodigioso. Mi affrettai a varcare i confini della città; nell’animo la gioia, e tutt’intorno, la bellezza del cielo e della terra. Diressi i miei passi verso il castello - potevo guardare le sue alte torri con cuore leggero, poiché ero guarito dall’amore. La mia Bertha mi vide da lontano, appena imboccai il viale. Non so quale impulso improvviso animasse il suo petto, ma alla vista balzò con un lieve salto da cerbiatta giù per i gradini marmorei, e mi venne velocemente incontro. Ma ero stato notato anche da un’altra persona. La vecchia strega aristocratica, che si autodefiniva sua protettrice, ed era la sua tiranna, mi aveva avvistato anch’essa; venne zoppicando e ansimando sul terrazzo; un paggio, brutto come lei, le teneva lo strascico e le faceva vento mentre lei si affrettava, e arrestava la mia bella fanciulla con un «E allora, mia sfacciata signorina? Dove si corre? Torna nella tua gabbia - ci sono i falchi in giro!»
Bertha serrò le mani - i suoi occhi erano ancora fissi sulla mia sagoma mentre mi avvicinavo. Mi resi conto della situazione. Come aborrivo la vecchia megera che reprimeva i generosi impulsi del cuore raddolcito della mia Bertha! Fino allora, il rispetto per il suo rango mi aveva fatto evitare la signora del castello; ora sdegnai considerazioni così banali. Ero guarito dall’amore, e innalzato al disopra di ogni paura umana; avanzai con passo accelerato, e ben presto giunsi al terrazzo. Com’era bella Bertha! Gli occhi che dardeggiavano fuoco, le guance lustre di impazienza e ira, era mille volte più graziosa e incantevole che mai - io non l’amavo più - Oh! No! La adoravo! - la veneravo - la idolatravo!
Quella mattina era stata vessata con più violenza del solito, perché acconsentisse alle nozze immediate col mio rivale. Le era stato rimproverato l’incoraggiamento che gli aveva mostrato - era stata minacciata di essere scacciata di casa, umiliata e svergognata. Il suo spirito fiero si era inalberato alla minaccia; ma quando si ricordò del disprezzo con cui mi aveva sommerso, e di come forse aveva così perduto uno che adesso considerava il suo unico amico, pianse di rimorso e di rabbia. In quel momento comparvi io. «Oh, Winzy!» esclamò, «portami alla casetta di tua madre; presto, fammi lasciare il detestato lusso e le miserie di questa nobile magione -
portami verso la povertà e la felicità.»
La strinsi tra le braccia con trasporto. Dal furore la vecchia signora restò senza parole, ed eruppe in invettive solo quando noi eravamo già lontani, sulla strada della mia casetta natia. Mia madre accolse la bella fuggiasca, evasa da una gabbia dorata verso la natura e la libertà, con tenerezza e gioia; mio padre, che le voleva bene, le diede un benvenuto cordiale; fu un giorno di festa, che non ebbe bisogno dell’aggiunta della celestiale pozione dell’alchimista per tuffarmi nella contentezza.
Poco dopo questa giornata fatidica io divenni il marito di Bertha. Cessai di essere il discepolo di Cornelio, ma continuai ad essere suo amico. Gli fui sempre grato per avermi inavvertitamente procurato quel delizioso sorso di un divino elisir, che invece di guarirmi dall’amore (trista cura! Solitario e cupo rimedio di mali che sembrano beni nel ricordo!), mi aveva infuso coraggio e determinazione, così conquistandomi un tesoro inestimabile con la mia Bertha.
Richiamai spesso alla memoria quel periodo di estatica ebbrezza, non senza stupore. La bevanda di Cornelio non aveva eseguito il compito per la quale egli affermava di averla preparata, ma i suoi effetti erano stati più potenti e felici di quanto le parole possano esprimere.
Erano svaniti gradualmente, ma si erano trattenuti a lungo - e avevano dipinto la vita a colori splendidi. Bertha si stupiva spesso della mia leggerezza di cuore e della mia inconsueta allegria; poiché in precedenza ero stato alquanto serioso, o persino triste, nel mio umore. Mi amò di più per il mio carattere ilare, e i nostri giorni ebbero le ali della gioia.
Cinque anni dopo fui improvvisamente convocato al capezzale di Cornelio moribondo.
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