Per qualche giorno tutto andò bene. Torella non accennò mai alle mie stravaganze; mi trattò come un figlio prediletto. Ma quando discutemmo i preliminari della mia unione con sua figlia giunse il momento in cui questa lieta prospettiva delle cose si annuvolò. Durante la vita di mio padre era stato steso un contratto, che io avevo reso di fatto nullo, avendo sperperato tutto il patrimonio destinato ad essere condiviso con Giulietta. Di conseguenza Torella decise di annullare questo patto, e ne propose un altro, nel quale benché il patrimonio che mi assegnava era sconfinatamente accresciuto, c’erano tanti vincoli riguardo al modo di spenderlo che io, per il quale l’indipendenza consisteva solo nel libero corso consentito alla mia imperiosa volontà, lo accusai di approfittarsi della mia situazione, e mi rifiutai recisamente di sottoscrivere alle sue condizioni. Il vecchio tentò garbatamente di riportarmi alla ragione. L’orgoglio sfidato divenne il tiranno del mio pensiero: lo ascoltai con indignazione - lo respinsi con sdegno.
«Giulietta, tu sei mia! Non ci siamo scambiati giuramenti, nella nostra innocente fanciullezza? Non siamo una cosa sola agli occhi di Dio? E dovrà dividerci il freddo cuore, il freddo sangue di tuo padre? Sii generosa, amor mio, sii giusta; non riprenderti un dono, o ultimo tesoro del tuo Guido - non rimangiarti i tuoi giuramenti
- sfidiamo insieme il mondo, e noncuranti dei calcoli della vecchiaia, troviamo nel nostro reciproco affetto un rifugio contro ogni male!»
Un demonio debbo essere stato, per tentare con tali sofismi di avvelenare quel santuario di santi pensieri e di tenero amore. Giulietta si ritrasse da me, spaventata.
Suo padre era il migliore e il più gentile degli uomini, ed ella si sforzò di mostrarmi come all’obbedirgli sarebbe seguito ogni bene. Egli avrebbe accolto la mia sottomissione, per quanto tardiva, con caldo affetto; e il mio pentimento sarebbe stato seguito da un generoso perdono. Parole infruttuose da parte di una figlia giovane e gentile, all’orecchio di un uomo avvezzo a far legge della sua volontà, e a sentire nel proprio cuore un despota così terribile e rigido da non poter offrire obbedienza ad altro che ai propri imperiosi desideri! Il mio risentimento crebbe con la resistenza; i miei sfrenati compagni erano pronti a versare combustibile sulla fiamma. Ordimmo un piano per rapire Giulietta. Sulle prime questo parve coronato dal successo. A mezza strada, di ritorno, fummo raggiunti dal padre dolente e dai suoi attendenti.
Seguì un conflitto. Prima che la guardia cittadina venisse a far pendere la vittoria dalla parte dei nostri antagonisti, due servitori di Torella erano stati feriti in modo grave.
Questa parte della mia storia è la più pesante per me. Uomo cambiato quale sono, mi detesto al ricordo. Che nessuno ascoltando questo racconto possa mai essersi sentito come mi sento io. Un cavallo spinto fino al parossismo da un cavaliere armato di speroni dentati non era più schiavo di me alla violenta tirannia del mio temperamento. Un demone possedeva la mia anima, irritandola fino alla follia.
Sentivo dentro di me la voce della coscienza; ma se le cedevo per un breve intervallo, era solo per essere strappato via, un momento dopo, da una sorte di turbine -
trasportato sulla corrente di un’ira disperata - trastullo delle tempeste suscitate dall’orgoglio. Fui incarcerato, e poi, dietro istanza di Torella, rimesso in libertà.
Tornai un’altra volta deciso a portar via sia lui sia sua figlia in Francia, infelice paese, preda com’era a quel tempo di briganti e soldataglia senza legge, che offriva un provvido rifugio a un criminale come me. I nostri piani furono scoperti. Fui condannato all’esilio; e poiché i miei debiti erano già enormi, per pagarli quel che restava delle mie proprietà fu affidato a dei commissari. Torella offrì di nuovo la propria mediazione, chiedendomi solo l’impegno di non rinnovare i miei tentativi falliti contro di lui e contro sua figlia. Respinsi con disprezzo le sue offerte, immaginandomi trionfatore quando fui scacciato da Genova, esule solitario e senza un soldo. I miei compagni se n’erano andati: erano stati allontanati dalla città qualche settimana prima, e si trovavano già in Francia.
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