Salvador la salutò dalla finestra, sporgendo il piccolo viso abbronzato, e cominciò a raccontarle mille bugie graziose, e qualcuna anche terribile, come quella, per esempio, che un giorno stava per affogarsi.

- Ma la mia mamma, su in cielo, ha pregato « il » Dio di salvarmi.

- Ricordi la tua mamma? - domandò Lia a bassa voce.

- Sì, sì, - egli rispose indifferente. - Ero piccolo, quando è morta; adesso è in cielo davanti

«al » Dio.

- Sai le preghiere?

Egli recitò l’ave-maria in spagnuolo e immediatamente dopo domandò:

- Adesso mi dai lo zucchero?

- Perchè?

- Perchè così fa la signora Rosario.

- Vieni a casa mia e te lo darò.

Egli corse a domandare il permesso, ma subito ritornò alla finestra scuotendo la testa.

- Non posso. Ora deve venire papà.

Ed entrambi attesero il ritorno del vedovo, sorridendosi di tanto in tanto, come uniti dallo stesso pensiero.

Ben presto la portinaia oziosa, Costantina, le erbivendole, si accorsero che Lia e il vedovo si guardavano con tenerezza; e la prima per speranza di lucro, la seconda per bontà naturale, le altre per curiosità cominciarono a spiare con simpatia l’idillio: solo la mulatta fece subito capire che non approvava le aspirazioni del suo padrone. Cominciò a proibire a Salvador di andare da Lia e di affacciarsi alla finestra; a Villa Borghese cambiò posto e un giorno dichiarò francamente a Costantina che il suo padrone cercava una seconda moglie, sì, ma con dote.

Costantina riferì i discorsi a Lia.

- Per farla arrabbiare le dissi, a quella cornacchia, che lei, s-i-g-n-o-r-i-c-c-a, è molto benestante, che ha tanche e bestiame e servi in Sardegna, e che se vuole può sposare i più ricchi proprietari sardi, non un forestiere che non si sa da dove venga, un vedovo con figlio, uno che oggi guadagna, ma che domani può morir di fame.

Lia arrossì e protestò, ma in breve le chiacchiere di Costantina giunsero fino allo zio Asquer e immediatamente la commedia volse in dramma. Il vecchio non domandò a Lia se nelle supposizioni delle serve e delle erbivendole ci fosse ombra di vero; ma diventò più irritabile del solito, e a tavola, a passeggio, per giorni e mesi non fece altro che parlar male degli stranieri, e specialmente degli americani del sud, che dipingeva a sua nipote come altrettanti avventurieri, astuti, beffardi, calcolatori. Ella ascoltava, inquieta e disgustata; capiva le allusioni dello zio, e nel veder il suo segreto divulgato provava come un senso di pudore offeso.

- Io non domando nulla, - diceva a sè stessa, - perchè dunque questa volgare ostilità?

E sembrandole che lo zio fosse animato, come la serva mulatta, da un solo impulso d’egoismo, sentiva un istinto di ribellione e di difesa: non si affacciò più alla finestra, nelle ore in cui sapeva che il vedovo usciva o rientrava, ma le sue fantasticherie si fecero più intense e più luminose, come le nuvole all’appressarsi del sole.

IV.

Non vedendola più, Justo Villanueva, che non ostante le cattive qualità affibbiategli dallo zio Asquer era un uomo timido, stanco e nostalgico, credette che ella fosse malata o fosse ripartita: ogni volta che usciva o rientrava, sollevava gli occhi, e la finestra di Lia senza la caratteristica figurina di lei gli sembrava una cornice da cui fosse sparita una immagine prediletta.

Salvador parlava di Lia ma senza preoccuparsene troppo; la mulatta, più astuta del cavaliere Asquer, si guardava bene dal riferire al padrone le chiacchiere della portinaia e di Costantina.

Un giorno, verso la fine di settembre, Justo s’era appena seduto a tavola, nella sala da pranzo la cui finestra era appunto attigua a quella di Lia, quando la mulatta, dopo averlo servito con aria truce, tese l’indice verso Salvador.

- Lo guardi bene, e gli domandi che cosa ha fatto stamattina.

Salvador, di solito sfacciato, chinò la testa e chiuse gli occhi per sfuggire lo sguardo paterno.

- Che hai fatto?

Silenzio, seguìto dalla domanda ripetuta più energicamente. Allora Salvador scoppiò a piangere e mormorò fra i singhiozzi:

- Ho rubato.

Il padre, quasi sempre molle e affettuoso col bimbo, si turbò: guardò la donna come per rinfacciarle la colpa di Salvador, e fu a lei che domandò:

- Che cosa? Dove, come, come?

La storia era breve: passando accanto ad una fruttivendola, Salvador aveva rubato una pera: ma i commenti furono lunghi, e il padre si sdegnò maggiormente quando il bimbo, per difendersi, disse che «aveva veduto un altro ragazzo prendere c-o-s-ì una pera».

- Anche bugiardo! Sì, chi è bugiardo è ladro!

Per castigarlo lo mandò a mangiare in cucina: e tutti rimasero scontenti, la mulatta perchè trovava il castigo troppo mite, Salvador perchè lo trovava troppo duro, il padre perchè una nuvola nera passava davanti alla sua fantasia inquieta.

«Mio figlio ha rubato!» Egli ricordava davvero, fra i suoi ascendenti spagnuoli, qualche tipo di avventuriero: sua moglie era stata una donna nervosa, morta giovanissima per anemia cerebrale: egli quindi vedeva talvolta il suo bimbo come circondato da una fitta caligine, e provava un’angoscia paurosa perchè si sentiva impotente a strapparlo al suo destino fatale.