Io lascio andare perché spessissimo non vale la pena di mettersi a discutere con certi tipi. Così pago la consumazione e me ne torno nella sala da ballo. Da lì passo nella veranda, esco e svolto all’angolo.

L’autorimessa, che si trova nella parte posteriore della costruzione, è un locale lungo e basso, con due uscite, e corre parallelo alla strada secondaria che si innesta sull’autostrada, quella che passa davanti alla “Taverna”. E

in fondo al garage, ma già all’uscita, dall’altra parte, chi ti vedo? Un tizio che guarda verso l’autostrada, fuma e sembra che non pensi proprio a nulla.

Ho visto tante volte gente che se ne sta così, con l’aria distratta, a fumare una sigaretta, e invece attende qualcosa o qualcuno. Quello mi vede, mi dà una seconda occhiata e porta la mano alla tasca destra della giacca, gesto che non posso ignorare, dopo essere vissuto tanti anni negli Stati Uniti.

Butto via il mozzicone della sigaretta e m’avvicino.

— Come va, amico? — gli faccio. — Avete un cerino?

Tiro fuori le sigarette e gliene offro. Costui mi guarda e, osservandolo ben bene in faccia da vicino, mi convinco che è un fesso.

Mi sorride mostrandomi una bella dentatura. Tira fuori di tasca l’accendisigaro e infine guarda di nuovo verso la strada.

— Non vi piace stare dentro? — mi fa.

Mi passo il fazzoletto sul collo sudato.

— No, almeno finché non mettono l’aria condizionata — osservo. —

Non so davvero perché tanti vengano qui a bere, a ballare e a sentire ancora più caldo.

L’altro mi guarda.

— Se il locale non vi va, perché non ve ne andate? — obietta lui.

— Andarmene? Una parola! Dove volete che vada? E poi, francamente, mi sembra che anche a voi non piaccia stare là dentro. Perché non venite a bere un sorso con me?

Quello infila di nuovo la mano nella tasca destra. — Sentite, amico —

mi fa — se voglio bere qualcosa posso pagarmela, la consumazione. E se la smetteste lasciandomi in pace? Ho da fare, io.

Scuoto la cenere della sigaretta. — Scusate — gli faccio — davvero non vi avevo pensato. Aspettate qualcuno?

L’amico mi fissa inferocito. — Ehi, piccolo, volete darmi retta? Non vi ho già detto di filare? Ma lo sapete che siete un tipo curioso? E la mammi-na non vi ha raccontato che a volte la curiosità procura grossi guai?

— Be’, mi sembra che non sia il caso di prendersela così! — gli dico. —

Non intendevo proprio darvi noia.

Do un’altra occhiata in giro così, tranquillamente, e non vedo nulla di anormale. Poi faccio un movimento, come per voltarmi, ma contemporaneamente colpisco con un diretto il mio uomo, proprio in mezzo agli occhi.