Cade come se gli avessero assestato un colpo con una mazza. Lo afferro per il bavero e lo trascino in un angolo del garage, che è quanto mai buio.

Lo sospingo dietro una macchina e poi lo perquisisco.

L’amico ha una Smith & Wesson infilata nel fodero, sotto l’ascella e nella tasca destra una pistola calibro 7. Infilato alla cintura dei calzoni c’è un coltellaccio da marinaio, e nella tasca dei pantaloni tiene una bomba a forma di uovo. Non si può negare che il mio tipo sia un arsenale ambulan-te!

Lo spingo contro il muro e comincio a pizzicargli le narici, che è il sistema migliore per richiamare sulla terra i morti. Dopo un po’ quello comincia a muovere la testa, poi apre gli occhi.

— Sei un furbastro — mi dice. — Ma non hai che da aspettare. Ti concerò che neanche tua madre ti riconoscerà! Aspetta che Lacassar ti metta le mani addosso!

— Chiudi il becco, bambino — gli rispondo e gli mollo un cazzotto sul muso. — E ascoltami bene. Non è che io voglia farti del male, credi pure a me, voglio sapere soltanto chi stavi aspettando. E adesso, amore, vuoi cantare o debbo sbucciarmi le nocche delle dita?

— Ma sentite, io non so proprio nulla… Ero là, a prendere un po’ d’aria.

Forse che non si può prendere una boccata d’aria, in questo paese?

— Ma certo che si può. Però tu sei uno della gang di Lacassar, o sbaglio? Ma di’ un po’, credevi che non mi fossi accorto che metà dei frequen-tatori del locale sono dei suoi? E anche i camerieri hanno certe grinte! Il capo-cameriere ha un rigonfio sotto il braccio sinistro che si vede a un miglio di distanza, e mi lascio tagliare la testa se il barista non tiene in tasca una Smith & Wesson. Insomma qua dentro c’è un’atmosfera alquanto tesa, direi, come se da un momento all’altro le pallottole dovessero fischiare.

Perciò tu non devi far altro che parlare, ma parlare svelto, altrimenti comincio a far funzionare i miei ditini.

— Accidenti — fa l’amico — non posso dirvi quello che non so. Sì, può darsi che stanotte ci sia un po’ di movimento nei paraggi.

— Bene — dico io — ecco una bella notizia!

L’amico ghigna. — Per me fa lo stesso. E adesso, forse mi restituirete i miei ferri, eh?

Gli rispondo di non dire sciocchezze, e lo pesto ancora. L’amico cade come un tronco e io lo lego ben bene con del filo metallico che trovo lì vicino, poi gli tappo la bocca con un fazzoletto e infine lo infilo in una grossa cilindrata priva di una ruota. Immagino che per un bel po’ nessuno si servirà di quella macchina.

Dopo di che mi avvio verso la strada, e mi concedo una sigaretta. Poi ritorno nel garage e scopro una bella macchina con un “M. van Z.” sullo sportello. Senza far rumore, faccio uscire la fuoriserie verso la strada ch’è un tantino in discesa, lontano dal ristorante. Nascondo la macchina dietro un gruppo di alberi, e la lascio là, con il motore acceso.

Poi ritorno.