— Non so cosa vogliate dire, amico — gli faccio.
Però non mi sento tanto sicuro, ve lo garantisco.
Il fatto che Siegella si trovi in quel momento lì, mi dice che è giusta la mia idea che lui sia l’uomo che si maschera dietro Lacassar. Mi aspetto di sentir freddo, così su due piedi, con qualche pallottola calda. Invece non succede nulla.
Siegella apre il portasigarette e me lo porge. Prendo una sigaretta, una la prende lui, e poi le accende entrambe. Alla fiammella dell’accendisigaro posso vedere che ride.
— Be’, ci rivedremo — mi fa, e torna lungo il corridoio nella sala da ballo dove tutto è ormai tranquillo.
Io me la batto. Passo dal vestibolo, dove ritiro il cappello. Poi sgattaiolo dalla porta posteriore, filo lungo la strada, tenendomi dalla parte in ombra, diretto nel punto dove ho lasciato la mia macchina. Poco dopo, marcio a cento all’ora.
E intanto, la frase di Siegella rimbalza nella cassa cranica: “Una bella fuga, eh?”. Mi domando se Siegella ha fiutato il mio gioco…
È singolare la rapidità con cui l’uomo può pensare; quanto vi ho narrato m’è passato per la testa mentre passeggio per Haymarket, a Londra. In questo momento mi trovo esattamente di fronte al Teatro Reale. Lo spettacolo è terminato, e la gente comincia a uscire. Mi fermo qualche attimo per osservare una bella signora che si avvia verso la sua lussuosa macchina.
Mentre vi entra, provo l’impressione che mi abbia lanciato un’occhiata ch’è anche un invito: una di quelle occhiate carezzevoli e dolci che sembrano dire: “Vieni con me, caro”.
Be’, mentre mi sto chiedendo se la cosa è vera, e se non mi illudo sulla mia avvenenza, la macchina parte. Transita a pochi metri da me, e, attraverso il finestrino posteriore, posso vedere la dama che mi guarda e che mi sorride esplicitamente; poi la macchina si ferma.
Ormai sono deciso: mi avvicino e mi tolgo il cappello. Quella intanto mi guarda e mi sembra bella come una madonna dipinta. Inoltre sa come portare i vestiti, la signora.
— Ebbene, Lemmy — mi fa — mi lasciavate andar via senza dirmi niente, eh?
Sorrido. — Sentite — le dico — vi trovo stupenda e penso che mi quali-ficherete uno zoticone o peggio, quando vi avrò detto che non riesco a rammentarmi di voi. — “Ma come ho potuto dimenticare una donna così bella?” mi domando.
L’altra sorride e mostra i dentini più belli delle perle.
— Lemmy — mi fa — vi rammentate quella notte a New York, quando beveste del cattivo liquore? Sono stata io a portarvi a casa perché vi senti-vate male. Sapete, la sera in cui Scholler diede quel ricevimento al “Ritz”…
Emetto un lieve sibilo.
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