Ma la signorina aveva il giudizio e l'età; conosceva il bene e il male; non doveva far mai con mio figlio quello che fece. Debbo parlare? Se lo tirava su in casa tutti i giorni. Vossignoria m'intende... Un ragazzaccio... A quell'età, non si ragiona, non si bada... Ora ci posso perdere così il figlio, che Dio sa quanto mi costa? La signorina. Con rispetto parlando, gli può esser madre... Il Bandi dovette promettere la cessione in dote del podere e un assegno giornaliero alla sorella. Così il matrimonio fu stabilito; e, quando ebbe luogo, fu un vero avvenimento per quella cittaduzza. Parve che tutti provassero un gran piacere nel far pubblicamente strazio dell'ammirazione, del rispetto per tanti anni tributati a quella donna; come se tra l'ammirazione e il rispetto, di cui non la stimavano più degna, e il dileggio, con cui ora la accompagnavano a quelle nozze vergognose, non ci potesse esser posto per un po' di commiserazione. La commiserazione era tutta per il fratello; il quale, s'intende, non volle prender parte alla cerimonia. Non vi prese parte neanche il D'Andrea, scusandosi che doveva tener compagnia, in quel triste giorno, al suo povero Giorgio. Un vecchio medico della città, ch'era già stato di casa dei genitori d'Eleonora, e a cui il D'Andrea, venuto di fresco dagli studii, con tutti i fumi e le sofisticherie della novissima terapeutica, aveva tolto gran parte della clientela, si profferse per testimonio e condusse con sé un altro vecchio, suo amico, per secondo testimonio. Con essi Eleonora si recò in vettura chiusa al Municipio; poi in una chiesetta fuorimano, per la cerimonia religiosa. In un'altra vettura era lo sposo, Gerlando, torbido e ingrugnato, coi genitori. Questi, parati a festa, stavano su di sé, gonfi e serii, perché, alla fin fine, il figlio sposava una vera signora, sorella d'un avvocato, e gli recava in dote una campagna con una magnifica villa, e denari per giunta. Gerlando, per rendersi degno del nuovo stato, avrebbe seguitato gli studii. Al podere avrebbe atteso lui, il padre, che se n'intendeva. La sposa era un po' anzianotta? Tanto meglio! L'erede già c'era per via. Per legge di natura ella sarebbe morta prima, e Gerlando allora sarebbe rimasto libero e ricco. Queste e consimili riflessioni facevano anche, in una terza vettura, i testimonii dello sposo, contadini amici del padre, in compagnia di due vecchi zii materni. Gli altri parenti e amici dello sposo innumerevoli, attendevano nella villa, tutti parati a festa, con gli abiti di panno turchino, gli uomini; con le mantelline nuove e i fazzoletti dai colori più sgargianti, le donne; giacché il mezzadro, d'idee larghe, aveva preparato un trattamento proprio coi fiocchi. Al Municipio, Eleonora, prima d'entrare nell'aula dello Stato civile, fu assalita da una convulsione di pianto; lo sposo che si teneva discosto, in crocchio coi parenti, fu spinto da questi ad accorrere; ma il vecchio medico lo pregò di non farsi scorgere, di star lontano, per il momento. Non ben rimessa ancora da quella crisi violenta, Eleonora entrò nell'aula; si vide accanto quel ragazzo, che l'impaccio e la vergogna rendevano più ispido e goffo; ebbe un impeto di ribellione; fu per gridare: «No! No!» e lo guardò come per spingerlo a gridar così anche lui. Ma poco dopo dissero <I>sì</I> tutti e due, come condannati a una pena inevitabile. Sbrigata in gran fretta l'altra funzione nella chiesetta solitaria, il triste corteo s'avviò alla villa. Eleonora non voleva staccarsi dai due vecchi amici; ma le fu forza salire in vettura con lo sposo e coi suoceri. Strada facendo, non fu scambiata una parola nella vettura. Il mezzadro e la moglie parevano sbigottiti: alzavano di tanto in tanto gli occhi per guardar di sfuggita la nuora; poi si scambiavano uno sguardo e riabbassavano gli occhi. Lo sposo guardava fuori, tutto ristretto in sé, aggrottato.
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