-
99
Il re Agramante volentier s'attenne
al parer di Sobrin discreto e saggio;
e Marfisa lasciò;, che non le venne,
né; patì; ch'altri andasse a farle oltraggio,
né; di farla pregare anco sostenne:
e tolerò;, Dio sa con che coraggio,
per poter acchetar liti maggiori,
e del suo campo tor tanti romori.
100
Di ciò; si ride la Discordia pazza,
che pace o triegua ormai più; teme poco.
Scorre di qua e di là; tutta la piazza,
né; può; trovar per allegrezza loco.
La Superbia con lei salta e gavazza,
e legne ed esca va aggiungendo al fuoco:
e grida sì;, che fin ne l'alto regno
manda a Michel de la vittoria segno.
101
Tremò; Parigi e turbidossi Senna
all'alta voce, a quello orribil grido;
rimbombò; il suon fin alla selva Ardenna
sì; che lasciar tutte le fiere il nido.
Udiron l'Alpi e il monte di Gebenna,
di Blaia e d'Arli e di Roano il lido;
Rodano e Sonna udì;, Garonna e il Reno:
si strinsero le madri i figli al seno.
102
Son cinque cavallier c'han fisso il chiodo
d'essere i primi a terminar sua lite,
l'una ne l'altra aviluppata in modo,
che non l'avrebbe Apolline espedite.
Commincia il re Agramante a sciorre il nodo
de le prime tenzon ch'aveva udite,
che per la figlia del re Stordilano
eran tra il re di Scizia e il suo Africano.
103
Il re Agramante andò; per porre accordo
di qua e di là; più; volte a questo e a quello,
e a questo e a quel più; volte diè; ricordo
da signor giusto e da fedel fratello:
e quando parimente trova sordo
l'un come l'altro, indomito e rubello
di volere esser quel che resti senza
la donna da cui vien lor differenza;
104
s'appiglia al fin, come a miglior partito,
di che amendui si contentar gli amanti,
che de la bella donna sia marito
l'uno de' duo, quel che vuole essa inanti;
e da quanto per lei sia stabilito,
più; non si possa andar dietro né; avanti.
All'uno e all'altro piace il compromesso,
sperando ch'esser debbia a favor d'esso.
105
Il re di Sarza, che gran tempo prima
di Mandricardo amava Doralice,
ed ella l'avea posto in su la cima
d'ogni favor ch'a donna casta lice;
che debba in util suo venire estima
la gran sentenza che 'l può; far felice:
né; egli avea questa credenza solo,
ma con lui tutto il barbaresco stuolo.
106
Ognun sapea ciò; ch'egli avea già; fatto
per essa in giostre, in torniamenti, in guerra;
e che stia Mandricardo a questo patto,
dicono tutti che vaneggia ed erra.
Ma quel che più; fiate e più; di piatto
con lei fu mentre il sol stava sotterra,
e sapea quanto avea di certo in mano,
ridea del popular giudicio vano.
107
Poi lor convenzion ratificaro
in man del re quei duo prochi famosi,
ed indi alla donzella se n'andaro.
Ed ella abbassò; gli occhi vergognosi,
e disse che più; il Tartaro avea caro:
di che tutti restar maravigliosi;
Rodomonte sì; attonito e smarrito,
che di levar non era il viso ardito.
108
Ma poi che l'usata ira cacciò; quella
vergogna che gli avea la faccia tinta,
ingiusta e falsa la sentenza appella;
e la spada impugnando, ch'egli ha cinta,
dice, udendo il re e gli altri, che vuol ch'ella
gli dia perduta questa causa o vinta,
e non l'arbitrio di femina lieve
che sempre inchina a quel che men far deve.
109
Di nuovo Mandricardo era risorto,
dicendo: - Vada pur come ti pare: -
sì; che prima che 'l legno entrasse in porto,
v'era a solcare un gran spazio di mare:
se non che 'l re Agramante diede torto
a Rodomonte, che non può; chiamare
più; Mandricardo per quella querela;
e fe' cadere a quel furor la vela.
110
Or Rodomonte che notar si vede
dinanzi a quei signor di doppio scorno,
dal suo re, a cui per riverenza cede,
e da la donna sua, tutto in un giorno,
quivi non volse più; fermare il piede;
e de la molta turba ch'avea intorno
seco non tolse più; che duo sergenti,
ed uscì; dei moreschi alloggiamenti.
111
Come, partendo, afflitto tauro suole,
che la giuvenca al vincitor cesso abbia,
cercar le selve e le rive più; sole
lungi dai paschi, o qualche arrida sabbia;
dove muggir non cessa all'ombra e al sole,
né; però; scema l'amorosa rabbia:
così; sen va di gran dolor confuso
il re d'Algier da la sua donna escluso.
112
Per riavere il buon destrier si mosse
Ruggier, che già; per questo s'era armato;
ma poi di Mandricardo ricordasse,
a cui de la battaglia era ubligato:
non seguì; Rodomonte, e ritornosse
per entrar col re tartaro in steccato
prima che 'ntrasse il re di Sericana,
che l'altra lite avea di Durindana.
113
Veder torsi Frontin troppo gli pesa
dinanzi agli occhi, e non poter vietarlo;
ma dato ch'abbia fine a questa impresa,
ha ferma intenzion di ricovrarlo.
Ma Sacripante, che non ha contesa,
come Ruggier, che possa distornarlo,
e che non ha da far altro che questo,
per l'orme vien di Rodomonte presto.
114
E tosto l'avria giunto, se non era
un caso strano che trovò; tra via,
che lo fe' dimorar fin alla sera,
e perder le vestigie che seguia.
Trovò; una donna che ne la riviera
di Senna era caduta, e vi peria,
s'a darle tosto aiuto non veniva:
saltò; ne l'acqua e la ritrasse a riva.
115
Poi quando in sella volse risalire,
aspettato non fu dal suo destriero,
che fin a sera si fece seguire,
e non si lasciò; prender di leggiero:
preselo al fin, ma non seppe venire
più;, donde s'era tolto dal sentiero:
ducento miglia errò; tra piano e monte,
prima che ritrovasse Rodomonte.
116
Dove trovollo, e come fu conteso
con disvantaggio assai di Sacripante,
come perdé; il cavallo e restò; preso,
or non dirò;; c'ho da narrarvi inante
di quanto sdegno e di quanta ira acceso
contra la donna e contra il re Agramante
del campo Rodomonte si partisse,
e ciò; che contra all'uno e all'altro disse.
117
Di cocenti sospir l'aria accendea
dovunque andava il Saracin dolente:
Ecco per la pietà; che gli n'avea,
da' cavi sassi rispondea sovente.
- Oh feminile ingegno (egli dicea),
come ti volgi e muti facilmente,
contrario oggetto proprio de la fede!
Oh infelice, oh miser chi ti crede!
118
Né; lunga servitù;, né; grand'amore
che ti fu a mille prove manifesto,
ebbono forza di tenerti il core,
che non fossi a cangiarsi almen sì; presto.
Non perch'a Mandricardo inferiore
io ti paressi, di te privo resto;
né; so trovar cagione ai casi miei,
se non quest'una, che femina sei.
119
Credo che t'abbia la Natura e Dio
produtto, o scelerato sesso, al mondo
per una soma, per un grave fio
de l'uom, che senza te saria giocondo:
come ha produtto anco il serpente rio
e il lupo e l'orso, e fa l'aer fecondo
e di mosche e di vespe e di tafani,
e loglio e avena fa nascer tra i grani.
120
Perché; fatto non ha l'alma Natura,
che senza te potesse nascer l'uomo,
come s'inesta per umana cura
l'un sopra l'altro il pero, il corbo e 'l pomo?
Ma quella non può; far sempre a misura:
anzi, s'io vo' guardar come io la nomo,
veggo che non può; far cosa perfetta,
poi che Natura femina vien detta.
121
Non siate però; tumide e fastose,
donne, per dir che l'uom sia vostro figlio;
che de le spine ancor nascon le rose,
e d'una fetida erba nasce il giglio:
importune, superbe, dispettose,
prive d'amor, di fede e di consiglio,
temerarie, crudeli, inique, ingrate,
per pestilenza eterna al mondo nate. -
122
Con queste ed altre er infinite appresso
querele il re di Sarza se ne giva,
or ragionando in un parlar sommesso,
quando in un suon che di lontan s'udiva,
in onta e in biasmo del femineo sesso:
e certo da ragion si dipartiva;
che per una o per due che trovi ree,
che cento buone sien creder si dee.
123
Se ben di quante io n'abbia fin qui amate,
non n'abbia mai trovata una fedele,
perfide tutte io non vo' dir né; ingrate,
ma darne colpa al mio destin crudele.
Molte or ne sono, e più; già; ne son state,
che non dan causa ad uom che si querele;
ma mia fortuna vuol che s'una ria
ne sia tra cento, io di lei preda sia.
124
Pur vo' tanto cercar prima ch'io mora,
anzi prima che 'l crin più; mi s'imbianchi,
che forse dirò; un dì;, che per me ancora
alcuna sia che di sua fé; non manchi.
Se questo avvien (che di speranza fuora
io non ne son), non fia mai ch'io mi stanchi
di farla, a mia possanza, gloriosa
con lingua e con inchiostro, e in verso e in prosa.
125
Il Saracin non avea manco sdegno
contra il suo re, che contra la donzella;
e così; di ragion passava il segno,
biasmando lui, come biasmando quella.
Ha disio di veder che sopra il regno
gli cada tanto mal, tanta procella,
ch'in Africa ogni casa si funesti,
né; pietra salda sopra pietra resti;
126
e che spinto del regno, in duolo e in lutto
viva Agramante misero e mendico:
e ch'esso sia che poi gli renda il tutto,
e lo riponga nel suo seggio antico,
e de la fede sua produca il frutto;
e gli faccia veder ch'un vero amico
a dritto e a torto esser dovea preposto,
se tutto 'l mondo se gli fosse opposto.
127
E così; quando al re, quando alla donna
volgendo il cor turbato, il Saracino
cavalca a gran giornate, e non assonna,
e poco riposar lascia Frontino.
Il dì; seguente o l'altro in su la Sonna
si ritrovò;, ch'avea dritto il camino
verso il mar di Provenza, con disegno
di navigare in Africa al suo regno.
128
Di barche e di sottil legni era tutto
fra l'una ripa e l'altra il fiume pieno,
ch'ad uso de l'esercito condutto
da molti lochi vettovaglie avieno;
perché; in poter de' Mori era ridutto,
venendo da Parigi al lito ameno
d'Acquamorta, e voltando invêr la Spagna,
ciò; che v'è; da man destra di campagna.
129
Le vettovaglie in carra ed in iumenti,
tolte fuor de le navi, erano carche,
e tratte con la scorta de le genti,
ove venir non si potea con barche.
Avean piene le ripe i grassi armenti
quivi condotti da diverse marche;
e i conduttori intorno alla riviera
per vari tetti albergo avean la sera.
130
Il re d'Algier, perché; gli sopravenne
quivi la notte e l'aer nero e cieco,
d'un ostier paesan lo 'nvito tenne,
che lo pregò; che rimanesse seco.
Adagiato il destrier, la mensa venne
di vari cibi e di vin corso e greco;
che 'l Saracin nel resto alla moresca
ma volse far nel bere alla francesca.
131
L'oste con buona mensa e miglior viso
studiò; di fare a Rodomonte onore;
che la presenza gli diè; certo aviso
ch'era uomo illustre e pien d'alto valore:
ma quel che da se stesso era diviso,
né; quella sera avea ben seco il core
(che mal suo grado s'era ricondotto
alla donna già; sua), non facea motto.
132
Il buon ostier, che fu dei diligenti
che mai si sien per Francia ricordati,
quando tra le nimiche e strane genti
l'albergo e' beni suoi s'avea salvati,
per servir, quivi, alcuni suoi parenti,
a tal servigio pronti, avea chiamati;
de' quai non era alcun di parlar oso,
vedendo il Saracin muto e pensoso.
133
Di pensiero in pensiero andò; vagando
da se stesso lontano il pagan molto,
col viso a terra chino, né; levando
sì; gli occhi mai, ch'alcun guardasse in volto.
Dopo un lungo star cheto, suspirando,
sì; come d'un gran sonno allora sciolto,
tutto si scosse, e insieme alzò; le ciglia,
e voltò; gli occhi all'oste e alla famiglia.
134
Indi roppe il silenzio, e con sembianti
più; dolci un poco e viso men turbato,
domandò; all'oste e agli altri circostanti
se d'essi alcuno avea mogliere a lato.
Che l'oste e che quegli altri tutti quanti
l'aveano, per risposta gli fu dato.
Domanda lor quel che ciascun si crede
de la sua donna nel servargli fede.
135
Eccetto l'oste, fer tutti risposta,
che si credeano averle e caste e buone.
Disse l'oste: - Ognun pur creda a sua posta;
ch'io so ch'avete falsa opinione.
Il vostro sciocco credere vi costa
ch'io stimi ognun di voi senza ragione;
e così; far questo signor deve anco,
se non vi vuol mostrar nero per bianco.
136
Perché;, sì; come è; sola la fenice,
né; mai più; d'una in tutto il mondo vive,
così; né; mai più; d'uno esser si dice,
che de la moglie i tradimenti schive.
Ognun si crede d'esser quel felice,
d'esser quel sol ch'a questa palma arrive.
Come è; possibil che v'arrivi ognuno,
se non ne può; nel mondo esser più; d'uno?
137
Io fui già; ne l'error che siete voi,
che donna casta anco più; d'una fusse.
Un gentilomo di Vinegia poi,
che qui mia buona sorte già; condusse,
seppe far sì; con veri esempi suoi,
che fuor de l'ignoranza mi ridusse.
Gian Francesco Valerio era nomato;
che 'l nome suo non mi s'è; mai scordato.
138
Le fraudi che le mogli e che l'amiche
sogliano usar, sapea tutte per conto:
e sopra ciò; moderne istorie e antiche,
e proprie esperienze avea sì; in pronto,
che mi mostrò; che mai donne pudiche
non si trovaro, o povere o di conto;
e s'una casta più; de l'altra parse,
venì;a, perché; più; accorta era a celarse.
139
E fra l'altre (che tante me ne disse,
che non ne posso il terzo ricordarmi),
sì; nel capo una istoria mi si scrisse,
che non si scrisse mai più; saldo in marmi:
e ben parria a ciascuno che l'udisse,
di queste rie quel ch'a me parve e parmi.
E se, signor, a voi non spiace udire,
a lor confusion ve la vo' dire. -
140
Rispose il Saracin: - Che puoi tu farmi,
che più; al presente mi diletti e piaccia,
che dirmi istoria e qualche esempio darmi
che con l'opinion mia si confaccia?
Perch'io possa udir meglio, e tu narrarmi,
siedemi incontra, ch'io ti vegga in faccia. -
Ma nel canto che segue io v'ho da dire
quel che fe' l'oste a Rodomonte udire.
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CANTO VENTOTTESIMO
1
Donne, e voi che le donne avete in pregio,
per Dio, non date a questa istoria orecchia,
a questa che l'ostier dire in dispregio
e in vostra infamia e biasmo s'apparecchia;
ben che né; macchia vi può; dar né; fregio
lingua sì; vile, e sia l'usanza vecchia
che 'l volgare ignorante ognun riprenda,
e parli più; di quel che meno intenda.
2
Lasciate questo canto, che senza esso
può; star l'istoria, e non sarà; men chiara.
Mettendolo Turpino, anch'io l'ho messo,
non per malivolenza né; per gara.
Ch'io v'ami, oltre mia lingua che l'ha espresso,
che mai non fu di celebrarvi avara,
n'ho fatto mille prove; e v'ho dimostro
ch'io son, né; potrei esser se non vostro.
3
Passi, chi vuol, tre carte o quattro, senza
leggerne verso, e chi pur legger vuole,
gli dia quella medesima credenza
che si suol dare a finzioni e a fole.
Ma tornando al dir nostro, poi ch'udienza
apparecchiata vide a sue parole,
e darsi luogo incontra al cavalliero,
così; l'istoria incominciò; l'ostiero.
4
- Astolfo, re de' Longobardi, quello
a cui lasciò; il fratel monaco il regno,
fu ne la giovinezza sua sì; bello,
che mai poch'altri giunsero a quel segno.
N'avria a fatica un tal fatto a penello
Apelle, o Zeusi, o se v'è; alcun più; degno.
Bello era, ed a ciascun così; parea:
ma di molto egli ancor più; si tenea.
5
Non stimava egli tanto per l'altezza
del grado suo, d'avere ognun minore;
né; tanto, che di genti e di ricchezza,
di tutti i re vicini era il maggiore;
quanto che di presenza e di bellezza
avea per tutto 'l mondo il primo onore.
Godea di questo, udendosi dar loda,
quanto di cosa volentier più; s'oda.
6
Tra gli altri di sua corte avea assai grato
Fausto Latini, un cavallier romano:
con cui sovente essendosi lodato
or del bel viso or de la bella mano,
ed avendolo un giorno domandato
se mai veduto avea, presso o lontano,
altro uom di forma così; ben composto;
contra quel che credea, gli fu risposto.
7
- Dico (rispose Fausto) che secondo
ch'io veggo e che parlarne odo a ciascuno,
ne la bellezza hai pochi pari al mondo;
e questi pochi io li restringo in uno.
Quest'uno è; un fratel mio, detto Iocondo.
Eccetto lui, ben crederò; ch'ognuno
di beltà; molto a dietro tu ti lassi;
ma questo sol credo t'adegui e passi. -
8
Al re parve impossibil cosa udire,
che sua la palma infin allora tenne;
e d'aver conoscenza alto desire
di sì; lodato giovene gli venne.
Fe' sì; con Fausto, che di far venire
quivi il fratel prometter gli convenne;
ben ch'a poterlo indur che ci venisse,
saria fatica, e la cagion gli disse:
9
che 'l suo fratello era uom che mosso il piede
mai non avea di Roma alla sua vita,
che del ben che Fortuna gli concede,
tranquilla e senza affanni avea notrita:
la roba di che 'l padre il lasciò; erede,
né; mai cresciuta avea né; minuita;
e che parrebbe a lui Pavia lontana
più; che non parria a un altro ire alla Tana.
10
E la difficultà; saria maggiore
a poterlo spiccar da la mogliere,
con cui legato era di tanto amore,
che non volendo lei, non può; volere.
Pur per ubbidir lui che gli è; signore,
disse d'andare e fare oltre il potere.
Giunse il re a' prieghi tali offerte e doni,
che di negar non gli lasciò; ragioni.
11
Partisse, e in pochi giorni ritrovosse
dentro di Roma alle paterne case.
Quivi tanto pregò;, che 'l fratel mosse
sì; ch'a venire al re gli persuase;
e fece ancor (ben che difficil fosse)
che la cognata tacita rimase,
proponendole il ben che n'usciria,
oltre ch'obligo sempre egli l'avria.
12
Fisse Iocondo alla partita il giorno:
trovò; cavalli e servitori intanto;
vesti fe' far per comparire adorno,
che talor cresce una beltà; un bel manto.
La notte a lato, e 'l dì; la moglie intorno,
con gli occhi ad or ad or pregni di pianto,
gli dice che non sa come patire
potrà; tal lontananza e non morire;
13
che pensandovi sol, da la radice
sveller si sente il cor nel lato manco.
- Deh, vita mia, non piagnere (le dice
Iocondo, e seco piagne egli non manco);
così; mi sia questo camin felice,
come tornar vo' fra duo mesi almanco:
né; mi faria passar d'un giorno il segno,
se mi donasse il re mezzo il suo regno.-
14
Né; la donna perciò; si riconforta:
dice che troppo termine si piglia;
e s'al ritorno non la trova morta,
esser non può; se non gran maraviglia.
Non lascia il duol che giorni e notte porta,
che gustar cibo, e chiuder possa ciglia;
tal che per la pietà; Iocondo spesso
si pente ch'al fratello abbia promesso.
15
Dal collo un suo monile ella si sciolse,
ch'una crocetta avea ricca di gemme,
e di sante reliquie che raccolse
in molti luoghi un peregrin boemme;
ed il padre di lei, ch'in casa il tolse
tornando infermo, di Ierusalemme,
venendo a morte poi ne lasciò; erede:
questa levossi ed al marito diede.
16
E che la porti per suo amore al collo
lo prega, sì; che ognor gli ne sovenga.
Piacque il dono al marito, ed accettollo;
non perché; dar ricordo gli convenga:
che né; tempo né; assenza mai dar crollo,
né; buona o ria fortuna che gli avenga,
potrà; a quella memoria salda e forte
c'ha di lei sempre, e avrà; dopo la morte.
17
La notte ch'andò; inanzi a quella aurora
che fu il termine estremo alla partenza,
al suo Iocondo par ch'in braccio muora
la moglie, che n'ha tosto da star senza.
Mai non si dorme; e inanzi al giorno un'ora
viene il marito all'ultima licenza.
Montò; a cavallo e si partì; in effetto;
e la moglier si ricorcò; nel letto.
18
Iocondo ancor duo miglia ito non era,
che gli venne la croce raccordata,
ch'avea sotto il guancial messo la sera,
poi per oblivion l'avea lasciata.
- Lasso! (dicea tra sé;) di che maniera
troverò; scusa che mi sia accettata,
che mia moglie non creda che gradito
poco da me sia l'amor suo infinito? -
19
Pensa la scusa, e poi gli cade in mente
che non sarà; accettabile né; buona,
mandi famigli, mandivi altra gente,
s'egli medesmo non vi va in persona.
Si ferma, e al fratel dice: - Or pianamente
fin a Baccano al primo albergo sprona;
che dentro a Roma è; forza ch'io rivada:
e credo anco di giugnerti per strada.
20
Non potria fare altri il bisogno mio:
né; dubitar, ch'io sarò; tosto teco. -
voltò; il ronzin di trotto, e disse a Dio;
né; de' famigli suoi volse alcun seco.
Già; cominciava, quando passò; il rio,
dinanzi al sole a fuggir l'aer cieco.
Smonta in casa, va al letto, e la consorte
quivi ritrova addormentata forte.
21
La cortina levò; senza far motto,
e vide quel che men veder credea:
che la sua casta e fedel moglie, sotto
la coltre, in braccio a un giovene giacea.
Riconobbe l'adultero di botto,
per la pratica lunga che n'avea;
ch'era de la famiglia sua un garzone,
allevato da lui, d'umil nazione.
22
S'attonito restasse e malcontento,
meglio è; pensarlo e farne fede altrui,
ch'esserne mai per far l'esperimento
che con suo gran dolor ne fe' costui.
Da lo sdegno assalito, ebbe talento
di trar la spada e uccidergli ambedui:
ma da l'amor che porta, al suo dispetto,
all'ingrata moglier, gli fu interdetto.
23
Né; lo lasciò; questo ribaldo Amore
(vedi se sì; l'avea fatto vasallo)
destarla pur, per non le dar dolore
che fosse da lui colta in sì; gran fallo.
Quanto poté; più; tacito uscì; fuore,
scese le scale, e rimontò; a cavallo;
e punto egli d'amor, così; lo punse,
ch'all'albergo non fu, che 'l fratel giunse.
24
Cambiato a tutti parve esser nel volto;
vider tutti che 'l cor non avea lieto.
ma non v'è; chi s'apponga già; di molto,
e possa penetrar nel suo secreto.
Credeano che da lor si fosse tolto
per gire a Roma, e gito era a Corneto.
Ch'amor sia del mal causa ognun s'avisa;
ma non è; già; chi dir sappia in che guisa.
25
Estimasi il fratel, che dolor abbia
d'aver la moglie sua sola lasciata;
e pel contrario duolsi egli ed arrabbia
che rimasa era troppo accompagnata.
Con fronte crespa e con gonfiate labbia
sta l'infelice, e sol la terra guata.
Fausto ch'a confortarlo usa ogni prova,
perché; non sa la causa, poca giova.
26
Di contrario liquor la piaga gli unge,
e dove tor dovria, gli accresce doglie;
dove dovria saldar, più; l'apre e punge:
questo gli fa col ricordar la moglie.
Né; posa dì; né; notte: il sonno lunge
fugge col gusto, e mai non si raccoglie:
e la faccia, che dianzi era sì; bella,
si cangia sì;, che più; non sembra quella.
27
Par che gli occhi se ascondin ne la testa;
cresciuto il naso par nel viso scarno:
de la beltà; sì; poca gli ne resta,
che ne potrà; far paragone indarno.
Col duol venne una febbre sì; molesta,
che lo fe' soggiornar all'Arbia e all'Arno:
e se di bello avea serbata cosa,
tosto restò; come al sol colta rosa.
28
Oltre ch'a Fausto incresca del fratello
che veggia a simil termine condutto,
via più; gl'incresce che bugiardo a quello
principe, a chi lodollo, parrà; in tutto:
mostrar di tutti gli uomini il più; bello
gli avea promesso, e mostrerà; il più; brutto.
Ma pur continuando la sua via,
seco lo trasse al fin dentro a Pavia.
29
Già; non vuol che lo vegga il re improviso,
per non mostrarsi di giudicio privo:
ma per lettere inanzi gli dà; aviso
che 'l suo fratel ne viene a pena vivo;
e ch'era stato all'aria del bel viso
un affanno di cor tanto nocivo,
accompagnato da una febbre ria,
che più; non parea quel ch'esser solia.
30
Grata ebbe la venuta di Iocondo
quanto potesse il re d'amico avere;
che non avea desiderato al mondo
cosa altretanto, che di lui vedere.
Né; gli spiace vederselo secondo,
e di bellezza dietro rimanere;
ben che conosca, se non fosse il male,
che gli saria superiore o uguale.
31
Giunto, lo fa alloggiar nel suo palagio,
lo visita ogni giorno, ogni ora n'ode;
fa gran provision che stia con agio,
e d'onorarlo assai si studia e gode.
Langue Iocondo, che 'l pensier malvagio
c'ha de la ria moglier, sempre lo rode:
né; 'l veder giochi, né; musici udire,
dramma del suo dolor può; minuire.
32
Le stanze sue, che sono appresso al tetto
l'ultime, inanzi hanno una sala antica.
Quivi solingo (perche ogni diletto,
perch'ogni compagnia prova nimica)
si ritraea, sempre aggiungendo al petto
di più; gravi pensier nuova fatica:
e trovò; quivi (or chi lo crederia?)
chi lo sanò; de la sua piaga ria.
33
In capo de la sala, ove è; più; scuro
(che non vi s'usa le finestre aprire,)
vede che 'l palco mal si giunge al muro,
e fa d'aria più; chiara un raggio uscire.
Pon l'occhio quindi, e vede quel che duro
a creder fôra a chi l'udisse dire:
non l'ode egli d'altrui, ma se lo vede;
ed anco agli occhi suoi propri non crede.
34
Quindi scopria de la regina tutta
la più; secreta stanza e la più; bella,
ove persona non verria introdutta,
se per molto fedel non l'avesse ella.
Quindi mirando vide in strana lutta
ch'un nano aviticchiato era con quella:
ed era quel piccin stato sì; dotto,
che la regina avea messa di sotto.
35
Attonito Iocondo e stupefatto,
e credendo sognarsi, un pezzo stette;
e quando vide pur che gli era in fatto
e non in sogno, a se stesso credette.
- A uno sgrignuto mostro e contrafatto
dunque (disse) costei si sottomette,
che 'l maggior re del mondo ha per marito,
più; bello e più; cortese? oh che appetito! -
36
E de la moglie sua, che così; spesso
più; d'ogn'altra biasmava, ricordosse,
perché; 'l ragazzo s'avea tolto appresso:
ed or gli parve che escusabil fosse.
Non era colpa sua più; che del sesso,
che d'un solo uomo mai non contentosse:
e s'han tutte una macchia d'uno inchiostro,
almen la sua non s'avea tolto un mostro.
37
Il dì; seguente, alla medesima ora,
al medesimo loco fa ritorno;
e la regina e il nano vede ancora,
che fanno al re pur il medesmo scorno.
Trova l'altro dì; ancor che si lavora,
e l'altro; e al fin non si fa festa giorno:
e la regina (che gli par più; strano)
sempre si duol che poco l'ami il nano.
38
Stette fra gli altri un giorno a veder, ch'ella
era turbata e in gran malenconia,
che due volte chiamar per la donzella
il nano fatto avea, n'ancor venì;a.
Mandò; la terza volta, ed udì; quella,
che: - Madonna, egli giuoca (riferia);
e per non stare in perdita d'un soldo,
a voi niega venire il manigoldo. -
39
A sì; strano spettacolo Iocondo
raserena la fronte e gli occhi e il viso;
e quale in nome, diventò; giocondo
d'effetto ancora, e tornò; il pianto in riso.
Allegro torna e grasso e rubicondo,
che sembra un cherubin del paradiso;
che 'l re, il fratello e tutta la famiglia
di tal mutazion si maraviglia.
40
Se da Iocondo il re bramava udire
onde venisse il subito conforto,
non men Iocondo lo bramava dire,
e fare il re di tanta ingiuria accorto;
ma non vorria che, più; di sé;, punire
volesse il re la moglie di quel torto;
sì; che per dirlo e non far danno a lei,
il re fece giurar su l'agnusdei.
41
Giurar lo fe' che né; per cosa detta,
né; che gli sia mostrata che gli spiaccia,
ancor ch'egli conosca che diretta-
mente a sua Maestà; danno si faccia,
tardi o per tempo mai farà; vendetta;
e di più; vuole ancor che se ne taccia,
sì; che né; il malfattor giamai comprenda
in fatto o in detto, che 'l re il caso intenda.
42
Il re, ch'ogn'altra cosa, se non questa,
creder potria, gli giurò; largamente.
Iocondo la cagion gli manifesta,
ond'era molti dì; stato dolente:
perché; trovata avea la disonesta
sua moglie in braccio d'un suo vil sergente;
e che tal pena al fin l'avrebbe morto,
se tardato a venir fosse il conforto.
43
Ma in casa di sua Altezza avea veduto
cosa che molto gli scemava il duolo;
che se bene in obbrobrio era caduto,
era almen certo di non v'esser solo.
Così; dicendo, e al bucolin venuto,
gli dimostrò; il bruttissimo omiciuolo
che la giumenta altrui sotto si tiene,
tocca di sproni e fa giuocar di schene.
44
Se parve al re vituperoso l'atto,
lo crederete ben, senza ch'io 'l giuri.
Ne fu per arrabbiar, per venir matto;
ne fu per dar del capo in tutti i muri;
fu per gridar, fu per non stare al patto:
ma forza è; che la bocca al fin si turi,
e che l'ira trangugi amara ed acra,
poi che giurato avea su l'ostia sacra.
45
- Che debbo far, che mi consigli, frate,
(disse a Iocondo), poi che tu mi tolli
che con degna vendetta e crudeltate
questa giustissima ira io non satolli? -
- Lascià;n (disse Iocondo) queste ingrate,
e proviam se son l'altre così; molli:
faccià;n de le lor femine ad altrui
quel ch'altri de le nostre han fatto a nui.
46
Ambi gioveni siamo, e di bellezza,
che facilmente non troviamo pari.
Qual femina sarà; che n'usi asprezza,
se contra i brutti ancor non han ripari?
Se beltà; non varrà; né; giovinezza,
varranne almen l'aver con noi danari.
Non vo' che torni, che non abbi prima
di mille moglie altrui la spoglia opima.
47
La lunga assenza, il veder vari luoghi,
praticare altre femine di fuore,
par che sovente disacerbi e sfoghi
de l'amorose passioni il core. -
Lauda il parer, né; vuol che si prorò;ghi
il re l'andata; e fra pochissime ore,
con due scudieri, oltre alla compagnia
del cavallier roman, si mette in via.
48
Travestiti cercaro Italia, Francia,
le terre de' Fiaminghi e de l'Inglesi;
e quante ne vedean di bella guancia,
trovavan tutte ai prieghi lor cortesi.
Davano, e dato loro era la mancia;
e spesso rimetteano i danar spesi.
Da loro pregate foro molte, e foro
anch'altretante che pregaron loro.
49
In questa terra un mese, in quella dui
soggiornando, accertarsi a vera prova
che non men ne le lor, che ne l'altrui
femine, fede e castità; si trova.
Dopo alcun tempo increbbe ad ambedui
di sempre procacciar di cosa nuova;
che mal poteano entrar ne l'altrui porte,
senza mettersi a rischio de la morte.
50
Gli è; meglio una trovarne che di faccia
e di costumi ad ambi grata sia;
che lor communemente sodisfaccia,
e non n'abbin d'aver mai gelosia.
- E perché; (dicea il re) vo' che mi spiaccia
aver più; te ch'un altro in compagnia?
So ben ch'in tutto il gran femineo stuolo
una non è; che stia contenta a un solo.
51
Una, senza sforzar nostro potere,
ma quando il natural bisogno inviti,
in festa goderemoci e in piacere,
che mai contese non avren né; liti.
Né; credo che si debba ella dolere:
che s'anco ogn'altra avesse duo mariti,
più; ch'ad un solo, a duo saria fedele;
né; forse s'udirian tante querele. -
52
Di quel che disse il re, molto contento
rimaner parve il giovine romano.
Dunque fermati in tal proponimento,
cercar molte montagne e molto piano:
trovaro al fin, secondo il loro intento,
una figliuola d'uno ostiero ispano,
che tenea albergo al porto di Valenza,
bella di modi e bella di presenza.
53
Era ancor sul fiorir di primavera
sua tenerella e quasi acerba etade.
Di molti figli il padre aggravat'era,
e nimico mortal di povertade;
sì; ch'a disporlo fu cosa leggiera,
che desse lor la figlia in potestade;
ch'ove piacesse lor potesson trarla,
poi che promesso avean di ben trattarla.
54
Pigliano la fanciulla, e piacer n'hanno
or l'un or l'altro in caritade e in pace,
come a vicenda i mantici che danno,
or l'uno or l'altro, fiato alla fornace.
Per veder tutta Spagna indi ne vanno,
e passar poi nel regno di Siface;
e 'l dì; che da Valenza si partiro,
ad albergare a Zattiva veniro.
55
I patroni a veder strade e palazzi
ne vanno, e lochi publici e divini;
ch'usanza han di pigliar simil solazzi
in ogni terra ove entran peregrini;
e la fanciulla resta coi ragazzi.
Altri i letti, altri acconciano i ronzini,
altri hanno cura che sia alla tornata
dei signor lor la cena apparecchiata.
56
Ne l'albergo un garzon stava per fante,
ch'in casa de la giovene già; stette
a' servigi del padre, e d'essa amante
fu da' primi anni, e del suo amor godette.
Ben s'adocchiar, ma non ne fer sembiante,
ch'esser notato ognun di lor temette:
ma tosto ch'i patroni e la famiglia
lor dieron luogo, alzar tra lor le ciglia.
57
Il fante domandò; dove ella gisse,
e qual dei duo signor l'avesse seco.
A punto la Fiammetta il fatto disse
(così; avea nome, e quel garzone il Greco).
- Quando sperai che 'l tempo ohimè;! venisse
(il Greco le dicea) di viver teco,
Fiammetta, anima mia, tu te ne vai,
e non so più; di rivederti mai.
58
Fannosi i dolci miei disegni amari,
poi che sei d'altri, e tanto mi ti scosti.
Io disegnava, avendo alcun' danari
con gran fatica e gran sudor riposti,
ch'avanzato m'avea de' miei salari
e de le bene andate di molti osti,
di tornare a Valenza, e domandarti
al padre tuo per moglie, e di sposarti. -
59
La fanciulla negli omeri si stringe,
e risponde che fu tardo a venire.
Piange il Greco e sospira, e parte finge:
- Vuommi (dice) lasciar così; morire?
Con le tuo braccia i fianchi almen mi cinge,
lasciami disfogar tanto desire:
ch'inanzi che tu parta, ogni momento
che teco io stia mi fa morir contento. -
60
La pietosa fanciulla rispondendo:
- Credi (dicea) che men di te nol bramo;
ma né; luogo né; tempo ci comprendo
qui, dove in mezzo di tanti occhi siamo. -
Il Greco soggiungea: - Certo mi rendo,
che s'un terzo ami me di quel ch'io t'amo,
in questa notte almen troverai loco
che ci potren godere insieme un poco. -
61
- Come potrò; (diceagli la fanciulla),
che sempre in mezzo a duo la notte giaccio?
e meco or l'uno or l'altro si trastulla,
e sempre a l'un di lor mi trovo in braccio? -
- Questo ti fia (suggiunse il Greco) nulla;
che ben ti saprai tor di questo impaccio,
e uscir di mezzo lor, pur che tu voglia:
e dé;i voler, quando di me ti doglia. -
62
Pensa ella alquanto, e poi dice che vegna
quando creder potrà; ch'ognuno dorma;
e pianamente come far convegna,
e de l'andare e del tornar l'informa.
Il Greco, sì; come ella gli disegna,
quando sente dormir tutta la torma,
viene all'uscio e lo spinge, e quel gli cede:
entra pian piano, e va a tenton col piede.
63
Fa lunghi i passi, e sempre in quel di dietro
tutto si ferma, e l'altro par che muova
a guisa che di dar tema nel vetro,
non che 'l terreno abbia a calcar, ma l'uova;
e tien la mano inanzi simil metro,
va brancolando infin che 'l letto trova:
e di là; dove gli altri avean le piante,
tacito si cacciò; col capo inante.
64
Fra l'una e l'altra gamba di Fiammetta,
che supina giacea, diritto venne;
e quando le fu a par, l'abbracciò; stretta,
e sopra lei sin presso al dì; si tenne.
Cavalcò; forte, e non andò; a staffetta;
che mai bestia mutar non gli convenne:
che questa pare a lui che sì; ben trotte,
che scender non ne vuol per tutta notte.
65
Avea Iocondo ed avea il re sentito
il calpestio che sempre il letto scosse;
e l'uno e l'altro, d'uno error schernito,
s'avea creduto che 'l compagno fosse.
Poi ch'ebbe il Greco il suo camin fornito,
sì; come era venuto, anco tornosse.
Saettò; il sol da l'orizzonte i raggi;
sorse Fiammetta, e fece entrare i paggi.
66
Il re disse al compagno motteggiando:
- Frate, molto camin fatto aver dé;i;
e tempo è; ben che ti riposi, quando
stato a cavallo tutta notte sei. -
Iocondo a lui rispose di rimando,
e disse: - Tu di' quel ch'io a dire avrei.
A te tocca posare, e pro ti faccia,
che tutta notte hai cavalcato a caccia. -
67
- Anch'io (suggiunse il re) senza alcun fallo
lasciato avria il mio can correre un tratto,
se m'avessi prestato un po' il cavallo,
tanto che 'l mio bisogno avessi fatto. -
Iocondo replicò;: - Son tuo vasallo,
e puoi far meco e rompere ogni patto:
sì; che non convenia tal cenni usare;
ben mi potevi dir: lasciala stare. -
68
Tanto replica l'un, tanto soggiunge
l'altro, che sono a grave lite insieme.
Vengon da' motti ad un parlar che punge,
ch'ad amenduo l'esser beffato preme.
Chiaman Fiammetta (che non era lunge,
e de la fraude esser scoperta teme)
per fare in viso l'uno all'altro dire
quel che negando ambi parean mentire.
69
- Dimmi (le disse il re con fiero sguardo),
e non temer di me né; di costui;
chi tutta notte fu quel sì; gagliardo,
che ti godé; senza far parte altrui? -
Credendo l'un provar l'altro bugiardo,
la risposta aspettavano ambedui.
Fiammetta a' piedi lor si gittò;, incerta
di viver più;, vedendosi scoperta.
70
Domandò; lor perdono, che d'amore
ch'a un giovinetto avea portato, spinta,
e da pietà; d'un tormentato core
che molto avea per lei patito, vinta,
caduta era la notte in quello errore;
e seguitò;, senza dir cosa finta,
come tra lor con speme si condusse,
ch'ambi credesson che 'l compagno fusse.
71
Il re e Iocondo si guardaro in viso,
di maraviglia e di stupor confusi;
né; d'aver anco udito lor fu aviso,
ch'altri duo fusson mai così; delusi.
Poi scoppiaro ugualmente in tanto riso,
che con la bocca aperta e gli occhi chiusi,
potendo a pena il fiato aver del petto,
a dietro si lasciar cader sul letto.
72
Poi ch'ebbon tanto riso, che dolere
se ne sentiano il petto, e pianger gli occhi,
disson tra lor: - Come potremo avere
guardia, che la moglier non ne l'accocchi,
se non giova tra duo questa tenere,
e stretta sì;, che l'uno e l'altro tocchi?
Se più; che crini avesse occhi il marito,
non potria far che non fosse tradito.
73
Provate mille abbiamo, e tutte belle;
né; di tante una è; ancor che ne contraste.
Se provian l'altre, fian simili anch'elle;
ma per ultima prova costei baste.
Dunque possiamo creder che più; felle
non sien le nostre, o men de l'altre caste:
e se son come tutte l'altre sono,
che torniamo a godercile fia buono. -
74
Conchiuso ch'ebbon questo, chiamar fero
per Fiammetta medesima il suo amante;
e in presenza di molti gli la diero
per moglie, e dote gli fu bastante.
Poi montaro a cavallo, e il lor sentiero
ch'era a ponente, volsero a levante;
ed alle mogli lor se ne tornaro,
di ch'affanno mai più; non si pigliaro. -
75
L'ostier qui fine alla sua istoria pose,
che fu con molta attenzione udita.
Udilla il Saracin, né; gli rispose
parola mai, fin che non fu finita.
Poi disse: - Io credo ben che de l'ascose
feminil frode sia copia infinita;
né; si potria de la millesma parte
tener memoria con tutte le carte. -
76
Quivi era un uom d'età;, ch'avea più; retta
opinion degli altri, e ingegno e ardire;
e non potendo ormai, che sì; negletta
ogni femina fosse, più; patire,
si volse a quel ch'avea l'istoria detta,
e gli disse: - Assai cose udimo dire,
che veritade in sé; non hanno alcuna:
e ben di queste è; la tua favola una.
77
A chi te la narrò; non do credenza,
s'evangelista ben fosse nel resto;
ch'opinione, più; ch'esperienza
ch'abbia di donne, lo facea dir questo.
L'avere ad una o due malivolenza,
fa ch'odia e biasma l'altre oltre all'onesto;
ma se gli passa l'ira, io vo' tu l'oda,
più; ch'ora biasmo, anco dar lor gran loda.
78
E se vorrà; lodarne, avra maggiore
il campo assai, ch'a dirne mal non ebbe:
di cento potrà; dir degne d'onore
verso una trista che biasmar si debbe.
Non biasmar tutte, ma serbarne fuore
la bontà; d'infinite si dovrebbe;
e se 'l Valerio tuo disse altrimente,
disse per ira, e non per quel che sente.
79
Ditemi un poco: è; di voi forse alcuno
ch'abbia servato alla sua moglie fede?
che nieghi andar, quando gli sia oportuno,
all'altrui donna, e darle ancor mercede?
credete in tutto 'l mondo trovarne uno?
chi 'l dice, mente; e folle è; ben chi 'l crede.
Trovatene vo' alcuna che vi chiami?
(non parlo de le publiche ed infami).
80
Conoscete alcun voi, che non lasciasse
la moglie sola, ancor che fosse bella,
per seguire altra donna, se sperasse
in breve e facilmente ottener quella?
Che farebbe egli, quando lo pregasse
o desse premio a lui donna o donzella?
Credo, per compiacere or queste or quelle,
che tutti lasciaremmovi la pelle.
81
Quelle che i lor mariti hanno lasciati,
le più; volte cagione avuta n'hanno.
Del suo di casa, li veggon svogliati,
e che fuor, de l'altrui bramosi, vanno.
Dovriano amar, volendo essere amati,
e tor con la misura ch'a lor danno.
Io farei (se a me stesse il darla e torre)
tal legge, ch'uom non vi potrebbe opporre.
82
Saria la legge, ch'ogni donna colta
in adulterio, fosse messa a morte,
se provar non potesse ch'una volta
avesse adulterato il suo consorte:
se provar lo potesse, andrebbe asciolta,
né; temeria il marito né; la corte.
Cristo ha lasciato nei precetti suoi:
non far altrui quel che patir non vuoi.
83
La incontinenza è; quanto mal si puote
imputar lor, non già; a tutto lo stuolo.
Ma in questo chi ha di noi più; brutte note?
che continente non si trova un solo.
E molto più; n'ha ad arrossir le gote,
quando bestemmia, ladroneccio, dolo,
usura ed omicidio, e se v'è; peggio,
raro, se non dagli uomini, far veggio. -
84
Appresso alle ragioni avea il sincero
e giusto vecchio in pronto alcuno esempio
di donne, che né; in fatto né; in pensiero
mai di lor castità; patiron scempio.
Ma il Saracin, che fuggia udire il vero,
lo minacciò; con viso crudo ed empio,
sì; che lo fece per timor tacere;
ma già; non lo mutò; di suo parere.
85
Posto ch'ebbe alle liti e alle contese
termine il re pagan, lasciò; la mensa;
indi nel letto per dormir si stese
fin al partir de l'aria scura e densa:
ma de la notte, a sospirar l'offese
più; de la donna ch'a dormir, dispensa.
Quindi parte all'uscir del nuovo raggio,
e far disegna in nave il suo viaggio.
86
Però; ch'avendo tutto quel rispetto
ch'a buon cavallo dee buon cavalliero,
a quel suo bello e buono, ch'a dispetto
tenea di Sacripante e di Ruggiero;
vedendo per duo giorni averlo stretto
più; che non si dovria sì; buon destriero,
lo pon, per riposarlo, e lo rassetta
in una barca, e per andar più; in fretta.
87
Senza indugio al nocchier varar la barca,
e dar fa i remi all'acqua da la sponda.
Quella, non molto grande e poco carca,
se ne va per la Sonna giù; a seconda.
Non fugge il suo pensier né; se ne scarca
Rodomonte per terra né; per onda:
lo trova in su la proda e in su la poppa;
e se cavalca, il porta dietro in groppa.
88
Anzi nel capo, o sia nel cor gli siede,
e di fuor caccia ogni conforto e serra.
Di ripararsi il misero non vede,
da poi che gli nimici ha ne la terra.
Non sa da chi sperar possa mercede,
se gli fanno i domestici suoi guerra:
la notte e 'l giorno e sempre è; combattuto
da quel crudel che dovria dargli aiuto.
89
Naviga il giorno e la notte seguente
Rodomonte col cor d'affanni grave;
e non si può; l'ingiuria tor di mente,
che da la donna e dal suo re avuto have;
e la pena e il dolor medesmo sente,
che sentiva a cavallo, ancora in nave:
né; spegner può;, per star ne l'acqua, il fuoco,
né; può; stato mutar, per mutar loco.
90
Come l'infermo, che dirotto e stanco
di febbre ardente, va cangiando lato;
o sia su l'uno o sia su l'altro fianco
spera aver, se si volge, miglior stato;
né; sul destro riposa né; sul manco,
e per tutto ugualmente è; travagliato:
così; il pagano al male ond'era infermo
mal trova in terra e male in acqua schermo.
91
Non puote in nave aver più; pazienza,
e si fa porre in terra Rodomonte.
Lion passa e Vienna, indi Valenza
e vede in Avignone il ricco ponte;
che queste terre ed altre ubidienza,
che son tra il fiume e 'l celtibero monte,
rendean al re Agramante e al re di Spagna
dal dì; che fur signor de la campagna.
92
Verso Acquamorta a man dritta si tenne
con animo in Algier passare in fretta;
e sopra un fiume ad una villa venne
e da Bacco e da Cerere diletta,
che per le spesse ingiurie, che sostenne
dai soldati, a votarsi fu costretta.
Quinci il gran mare, e quindi ne l'apriche
valli vede ondeggiar le bionde spiche.
93
Quivi ritrova una piccola chiesa
di nuovo sopra un monticel murata,
che poi ch'intorno era la guerra accesa,
i sacerdoti vota avean lasciata.
Per stanza fu da Rodomonte presa;
che pel sito, e perch'era sequestrata
dai campi, onde avea in odio udir novella,
gli piacque sì;, che mutò; Algieri in quella.
94
Mutò; d'andare in Africa pensiero,
sì; commodo gli parve il luogo e bello.
Famigli e carriaggi e il suo destriero
seco alloggiar fe' nel medesmo ostello.
Vicino a poche leghe a Mompoliero
e ad alcun altro ricco e buon castello
siede il villaggio allato alla riviera;
sì; che d'avervi ogn'agio il modo v'era.
95
Standovi un giorno il Saracin pensoso
(come pur era il più; del tempo usato),
vide venir per mezzo un prato erboso,
che d'un piccol sentiero era segnato,
una donzella di viso amoroso
in compagnia d'un monaco barbato;
e si traeano dietro un gran destriero
sotto una soma coperta di nero.
96
Chi la donzella, chi 'l monaco sia,
chi portin seco, vi debbe esser chiaro.
Conoscere Issabella si dovria,
che 'l corpo avea del suo Zerbino caro.
Lasciai che vêr Provenza ne venì;a
sotto la scorta del vecchio preclaro,
che le avea persuaso tutto il resto
dicare a Dio del suo vivere onesto.
97
Come ch'in viso pallida e smarrita
sia la donzella ed abbia i crini inconti;
e facciano i sospir continua uscita
del petto acceso, e gli occhi sien duo fonti;
ed altri testimoni d'una vita
misera e grave in lei si veggan pronti;
tanto però; di bello anco le avanza,
che con le Grazie Amor vi può; aver stanza.
98
Tosto che 'l Saracin vide la bella
donna apparir, messe il pensiero al fondo,
ch'avea di biasmar sempre e d'odiar quella
schiera gentil che pur adorna il mondo.
E ben gli par dignissima Issabella,
in cui locar debba il suo amor secondo,
e spenger totalmente il primo, a modo
che da l'asse si trae chiodo con chiodo.
99
Incontra se le fece, e col più; molle
parlar che seppe, e col miglior sembiante,
di sua condizione domandolle;
ed ella ogni pensier gli spiegò; inante;
come era per lasciare il mondo folle,
e farsi amica a Dio con opre sante.
Ride il pagano altier ch'in Dio non crede,
d'ogni legge nimico e d'ogni fede.
100
E chiama intenzione erronea e lieve,
e dice che per certo ella troppo erra;
né; men biasmar che l'avaro si deve,
che 'l suo ricco tesor metta sotterra:
alcuno util per sé; non ne riceve,
e da l'uso degli altri uomini il serra.
Chiuder leon si denno, orsi e serpenti,
e non le cose belle ed innocenti.
101
Il monaco, ch'a questo avea l'orecchia,
e per soccorrer la giovane incauta,
che ritratta non sia per la via vecchia,
sedea al governo qual pratico nauta,
quivi di spiritual cibo apparecchia
tosto una mensa sontuosa e lauta.
Ma il Saracin, che con mal gusto nacque,
non pur la saporò;, che gli dispiacque:
102
e poi ch'invano il monaco interroppe,
e non poté; mai far sì; che tacesse,
e che di pazienza il freno roppe,
le mani adosso con furor gli messe.
Ma le parole mie parervi troppe
potriano omai, se più; se ne dicesse:
sì; che finirò; il canto; e mi fia specchio
quel che per troppo dire accade al vecchio.
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CANTO VENTINOVESIMO
1
O degli uomini inferma e instabil mente!
come sià;n presti a variar disegno!
Tutti i pensier mutamo facilmente,
più; quei che nascon d'amoroso sdegno.
Io vidi dianzi il Saracin sì; ardente
contra le donne, e passar tanto il segno,
che non che spegner l'odio, ma pensai
che non dovesse intiepidirlo mai.
2
Donne gentil, per quel ch'a biasmo vostro
parlò; contra il dover, sì; offeso sono,
che sin che col suo mal non gli dimostro
quanto abbia fatto error, non gli perdono.
Io farò; sì; con penna e con inchiostro,
ch'ognun vedrà; che gli era utile e buono
aver taciuto, e mordersi anco poi
prima la lingua, che dir mal di voi.
3
Ma che parlò; come ignorante e sciocco,
ve lo dimostra chiara esperienza.
Incontra tutte trasse fuor lo stocco
de l'ira, senza farvi differenza:
poi d'Issabella un sguardo sì; l'ha tocco,
che subito gli fa mutar sentenza.
Già; in cambio di quell'altra la disia,
l'ha vista a pena, e non sa ancor chi sia.
4
E come il nuovo amor lo punge e scalda,
muove alcune ragion di poco frutto,
per romper quella mente intera e salda
ch'ella avea fissa al Creator del tutto.
Ma l'eremita che l'è; scudo e falda,
perché; il casto pensier non sia distrutto,
con argumenti più; validi e fermi,
quanto più; può;, le fa ripari e schermi.
5
Poi che l'empio pagan molto ha sofferto
con lunga noia quel monaco audace,
e che gli ha detto invan ch'al suo deserto
senza lei può; tornar quando gli piace;
e che nuocer si vede a viso aperto,
e che seco non vuol triegua né; pace:
la mano al mento con furor gli stese,
e tanto ne pelò;, quanto ne prese.
6
E sì; crebbe la furia, che nel collo
con man lo stringe a guisa di tanaglia;
e poi ch'una e due volte raggirollo,
da sé; per l'aria e verso il mar lo scaglia.
Che n'avenisse, né; dico né; sollo:
varia fama è; di lui, né; si raguaglia.
Dice alcun che sì; rotto a un sasso resta,
che 'l piè; non si discerne da la testa;
7
ed altri, ch'a cadere andò; nel mare,
ch'era più; di tre miglia indi lontano,
e che morì; per non saper notare,
fatti assai prieghi e orazioni invano;
altri, ch'un santo lo venne aiutare,
lo trasse al lito con visibil mano.
Di queste, qual si vuol, la vera sia:
di lui non parla più; l'istoria mia.
8
Rodomonte crudel, poi che levato
s'ebbe da canto il garrulo eremita,
si ritornò; con viso men turbato
verso la donna mesta e sbigottita;
e col parlar ch'è; fra gli amanti usato,
dicea ch'era il suo core e la sua vita
e 'l suo conforto e la sua cara speme,
ed altri nomi tai che vanno insieme.
9
E si mostrò; sì; costumato allora,
che non le fece alcun segno di forza.
Il sembiante gentil che l'innamora,
l'usato orgoglio in lui spegne ed ammorza:
e ben che 'l frutto trar ne possa fuora,
passar non però; vuole oltre a la scorza;
che non gli par che potesse esser buono,
quando da lei non lo accettasse in dono.
10
E così; di disporre a poco a poco
a' suoi piaceri Issabella credea.
Ella, che in sì; solingo e strano loco,
qual topo in piede al gatto si vedea,
vorria trovarsi inanzi in mezzo il fuoco;
e seco tuttavolta rivolgea
s'alcun partito, alcuna via fosse atta
a trarla quindi immaculata e intatta.
11
Fa ne l'animo suo proponimento
di darsi con sua man prima la morte,
che 'l barbaro crudel n'abbia il suo intento,
e che le sia cagion d'errar sì; forte
contra quel cavallier ch'in braccio spento
l'avea crudele e dispietata sorte;
a cui fatto have col pensier devoto
de la sua castità; perpetuo voto.
12
Crescer più; sempre l'appetito cieco
vede del re pagan, né; sa che farsi.
Ben sa che vuol venire all'atto bieco,
ove i contrasti suoi tutti fien scarsi.
Pur discorrendo molte cose seco,
il modo trovò; al fin di ripararsi,
e di salvar la castità; sua, come
io vi dirò;, con lungo e chiaro nome.
13
Al brutto Saracin, che le venì;a
già; contra con parole e con effetti
privi di tutta quella cortesia
che mostrata le avea ne' primi detti:
- Se fate che con voi sicura io sia
del mio onor (disse) e ch'io non ne sospetti,
cosa all'incontro vi darò;, che molto
più; vi varrà;, ch'avermi l'onor tolto.
14
Per un piacer di sì; poco momento,
di che n'ha sì; abondanza tutto 'l mondo,
non disprezzate un perpetuo contento,
un vero gaudio a nullo altro secondo.
Potrete tuttavia ritrovar cento
e mille donne di viso giocondo;
ma chi vi possa dar questo mio dono,
nessuno al mondo, o pochi altri ci sono.
15
Ho notizia d'un'erba, e l'ho veduta
venendo, e so dove trovarne appresso,
che bollita con elera e con ruta
ad un fuoco di legna di cipresso,
e fra mano innocenti indi premuta,
manda un liquor, che, chi si bagna d'esso
tre volte il corpo, in tal modo l'indura,
che dal ferro e dal fuoco l'assicura.
16
Io dico, se tre volte se n'immolla,
un mese invulnerabile si trova.
Oprar conviensi ogni mese l'ampolla;
che sua virtù; più; termine non giova.
Io so far l'acqua, ed oggi ancor farolla,
ed oggi ancor voi ne vedrete prova:
e vi può;, s'io non fallo, esser più; grata,
che d'aver tutta Europa oggi acquistata.
17
Da voi domando in guiderdon di questo,
che su la fede vostra mi giuriate
che né; in detto né; in opera molesto
mai più; sarete alla mia castitate. -
Così; dicendo, Rodomonte onesto
fe' ritornar; ch'in tanta voluntate
venne ch'inviolabil si facesse,
che più; ch'ella non disse, le promesse:
18
e servaralle fin che vegga fatto
de la mirabil acqua esperienza;
e sforzerasse intanto a non fare atto,
a non far segno alcun di violenza.
Ma pensa poi di non tenere il patto,
perché; non ha timor né; riverenza
di Dio o di santi; e nel mancar di fede
tutta a lui la bugiarda Africa cede.
19
Ad Issabella il re d'Algier scongiuri
di non la molestar fe' più; di mille,
pur ch'essa lavorar l'acqua procuri,
che far lo può; qual fu già; Cigno e Achille.
Ella per balze e per valloni oscuri
da le città; lontana e da le ville
ricoglie di molte erbe; e il Saracino
non l'abandona, e l'è; sempre vicino.
20
Poi ch'in più; parti quant'era a bastanza
colson de l'erbe e con radici e senza,
tardi si ritornaro alla lor stanza;
dove quel paragon di continenza
tutta la notte spende, che l'avanza,
a bollir erbe con molta avertenza:
e a tutta l'opra e a tutti quei misteri
si trova ognor presente il re d'Algieri.
21
Che producendo quella notte in giuoco
con quelli pochi servi ch'eran seco,
sentia, per lo calor del vicin fuoco
ch'era rinchiuso in quello angusto speco,
tal sete, che bevendo or molto or poco,
duo baril votar pieni di greco,
ch'aveano tolto uno o duo giorni inanti
i suoi scudieri a certi viandanti.
22
Non era Rodomonte usato al vino,
perché; la legge sua lo vieta e danna:
e poi che lo gustò;, liquor divino
gli par, miglior che 'l nettare o la manna;
e riprendendo il rito saracino,
gran tazze e pieni fiaschi ne tracanna.
Fece il buon vino, ch'andò; spesso intorno,
girare il capo a tutti come un torno.
23
La donna in questo mezzo la caldaia
dal fuoco tolse, ove quell'erbe cosse;
e disse a Rodomonte: - Acciò; che paia
che mie parole al vento non ho mosse,
quella che 'l ver da la bugia dispaia,
e che può; dotte far le genti grosse,
te ne farò; l'esperienza ancora,
non ne l'altrui, ma nel mio corpo or ora.
24
Io voglio a far il saggio esser la prima
del felice liquor di virtù; pieno,
acciò; tu forse non facessi stima
che ci fosse mortifero veneno.
Di questo bagnerommi da la cima
del capo giù; pel collo e per lo seno:
tu poi tua forza in me prova e tua spada,
se questo abbia vigor, se quella rada.-
25
Bagnossi, come disse, e lieta porse
all'incauto pagano il collo ignudo,
incauto, e vinto anco dal vino forse,
incontra a cui non vale elmo né; scudo.
Quel uom bestial le prestò; fede, e scorse
sì; con la mano e sì; col ferro crudo,
che del bel capo, già; d'Amore albergo,
fe' tronco rimanere il petto e il tergo.
26
Quel fe' tre balzi; e funne udita chiara
voce, ch'uscendo nominò; Zerbino,
per cui seguire ella trovò; sì; rara
via di fuggir di man del Saracino.
Alma, ch'avesti più; la fede cara,
e 'l nome quasi ignoto e peregrino
al tempo nostro, de la castitade,
che la tua vita e la tua verde etade,
27
vattene in pace, alma beata e bella!
Così; i miei versi avesson forza, come
ben m'affaticherei con tutta quella
arte che tanto il parlar orna e come,
perché; mille e mill'anni e più;, novella
sentisse il mondo del tuo chiaro nome.
Vattene in pace alla superna sede,
e lascia all'altre esempio di tua fede.
28
All'atto incomparabile e stupendo,
dal cielo il Creator giù; gli occhi volse,
e disse: - Più; di quella ti commendo,
la cui morte a Tarquinio il regno tolse;
e per questo una legge fare intendo
tra quelle mie, che mai tempo non sciolse,
la qual per le inviolabil'acque giuro
che non muterà; seculo futuro.
29
Per l'avvenir vo' che ciascuna ch'aggia
il nome tuo, sia di sublime ingegno,
e sia bella, gentil, cortese e saggia,
e di vera onestade arrivi al segno:
onde materia agli scrittori caggia
di celebrare il nome inclito e degno;
tal che Parnasso, Pindo ed Elicone
sempre Issabella, Issabella risuone. -
30
Dio così; disse, e fe' serena intorno
l'aria, e tranquillo il mar più; che mai fusse.
Fe' l'alma casta al terzo ciel ritorno,
e in braccio al suo Zerbin si ricondusse.
Rimase in terra con vergogna e scorno
quel fier senza pietà; nuovo Breusse;
che poi che 'l troppo vino ebbe digesto,
biasmò; il suo errore, e ne restò; funesto.
31
Placare o in parte satisfar pensosse
a l'anima beata d'Issabella,
se, poi ch'a morte il corpo le percosse,
desse almen vita alla memoria d'ella.
Trovò; per mezzo, acciò; che così; fosse,
di convertirle quella chiesa, quella
dove abitava e dove ella fu uccisa,
in un sepolcro; e vi dirò; in che guisa.
32
Di tutti i lochi intorno fa venire
mastri, chi per amore e chi per tema;
e fatto ben seimila uomini unire,
de' gravi sassi i vicin monti scema,
e ne fa una gran massa stabilire,
che da la cima era alla parte estrema
novanta braccia; e vi rinchiude dentro
la chiesa, che i duo amanti have nel centro.
33
Imita quasi la superba mole
che fe' Adriano all'onda tiberina.
Presso al sepolcro una torre alta vuole;
ch'abitarvi alcun tempo si destina.
Un ponte stretto e di due braccia sole
fece su l'acqua che correa vicina.
Lungo il ponte, ma largo era sì; poco,
che dava a pena a duo cavalli loco;
34
a duo cavalli che venuti a paro,
o ch'insieme si fossero scontrati:
e non avea né; sponda né; riparo,
e si potea cader da tutti i lati.
Il passar quindi vuol che costi caro
a guerrieri o pagani o battezzati;
che de le spoglie lor mille trofei
promette al cimiterio di costei.
35
In dieci giorni e in manco fu perfetta
l'opra del ponticel che passa il fiume;
ma non fu già; il sepolcro così; in fretta,
né; la torre condutta al suo cacume:
pur fu levata sì;, ch'alla veletta
starvi in cima una guardia avea costume,
che d'ogni cavallier che venì;a al ponte,
col corno facea segno a Rodomonte.
36
E quel s'armava, e se gli venì;a a opporre
ora su l'una, ora su l'altra riva;
che se 'l guerrier venì;a di vêr la torre,
su l'altra proda il re d' Algier veniva.
Il ponticello è; il campo ove si corre;
e se 'l destrier poco del segno usciva,
cadea nel fiume, ch'alto era e profondo:
ugual periglio a quel non avea il mondo.
37
Aveasi imaginato il Saracino,
che, per gir spesso a rischio di cadere
dal ponticel nel fiume a capo chino,
dove gli converria molt'acqua bere,
del fallo a che l'indusse il troppo vino,
dovesse netto e mondo rimanere;
come l'acqua, non men che 'l vino, estingua
l'error che fa pel vino o mano o lingua.
38
Molti fra pochi dì; vi capitaro:
alcuni la via dritta vi condusse,
ch'a quei che verso Italia o Spagna andaro
altra non era che più; trita fusse;
altri l'ardire, e, più; che vita caro,
l'onore, a farvi di sé; prova indusse.
E tutti, ove acquistar credean la palma,
lasciavan l'arme, e molti insieme l'alma.
39
Di quelli ch'abbattea, s'eran pagani,
si contentava d'aver spoglie ed armi;
e di chi prima furo, i nomi piani
vi facea sopra, e sospendeale ai marmi:
ma ritenea in prigion tutti i cristiani;
e che in Algier poi li mandasse parmi.
Finita ancor non era l'opra, quando
vi venne a capitare il pazzo Orlando.
40
A caso venne il furioso conte
a capitar su questa gran riviera,
dove, come io vi dico, Rodomonte
fare in fretta facea, né; finito era
la torre né; il sepolcro, e a pena il ponte:
e di tutte arme, fuor che di visiera,
a quell'ora il pagan si trovò; in punto,
ch'Orlando al fiume e al ponte è; sopragiunto.
41
Orlando (come il suo furor lo caccia)
salta la sbarra e sopra il ponte corre.
Ma Rodomonte con turbata faccia,
a piè;, com'era inanzi a la gran torre,
gli grida di lontano e gli minaccia,
né; se gli degna con la spada opporre:
Indiscreto villan, ferma le piante,
temerario, importuno ed arrogante!
42
Sol per signori e cavallieri è; fatto
il ponte, non per te, bestia balorda. -
Orlando, ch'era in gran pensier distratto,
vien pur inanzi e fa l'orecchia sorda.
- Bisogna ch'io castighi questo matto -
disse il pagano; e con la voglia ingorda
venì;a per traboccarlo giù; ne l'onda,
non pensando trovar chi gli risponda.
43
In questo tempo una gentil donzella,
per passar sovra il ponte, al fiume arriva,
leggiadramente ornata e in viso bella,
e nei sembianti accortamente schiva.
Era (se vi ricorda, Signor) quella
che per ogni altra via cercando giva
di Brandimarte, il suo amator, vestigi,
fuor che, dove era, dentro da Parigi.
44
Ne l'arrivar di Fiordiligi al ponte
(che così; la donzella nomata era),
Orlando s'attaccò; con Rodomonte
che lo volea gittar ne la riviera.
La donna, ch'avea pratica del conte,
subito n'ebbe conoscenza vera:
e restò; d'alta maraviglia piena,
de la follia che così; nudo il mena.
45
Fermasi a riguardar che fine avere
debba il furor dei duo tanti possenti.
Per far del ponte l'un l'altro cadere
a por tutta lor forza sono intenti.
- Come è; ch'un pazzo debba sì; valere? -
seco il fiero pagan dice tra' denti;
e qua e là; si volge e si raggira,
pieno di sdegno e di superbia e d'ira.
46
Con l'una e l'altra man va ricercando
far nuova presa, ove il suo meglio vede;
or tra le gambe, or fuor gli pone, quando
con arte il destro, e quando il manco piede.
Simiglia Rodomonte intorno a Orlando
lo stolido orso che sveller si crede
l'arbor onde è; caduto; e come n'abbia
quello ogni colpa, odio gli porta e rabbia.
47
Orlando, che l'ingegno avea sommerso,
io non so dove, e sol la forza usava,
l'estrema forza a cui per l'universo
nessuno o raro paragon si dava,
cader del ponte si lasciò; riverso
col pagano abbracciato come stava.
Cadon nel fiume e vanno al fondo insieme:
ne salta in aria l'onda, e il lito geme.
48
L'acqua gli fece distaccare in fretta.
Orlando è; nudo, e nuota com'un pesce:
di qua le braccia, e di là; i piedi getta,
e viene a proda; e come di fuor esce,
correndo va, né; per mirare aspetta,
se in biasmo o in loda questo gli riesce.
Ma il pagan, che da l'arme era impedito,
tornò; più; tardo e con più; affanno al lito.
49
Sicuramente Fiordiligi intanto
avea passato il ponte e la riviera;
e guardato il sepolcro in ogni canto,
se del suo Brandimarte insegna v'era,
poi che né; l'arme sue vede né; il manto,
di ritrovarlo in altra parte spera.
Ma ritorniamo a ragionar del conte,
che lascia a dietro e torre e fiume e ponte.
50
Pazzia sarà;, se le pazzie d'Orlando
prometto raccontarvi ad una ad una;
che tante e tante fur, ch'io non so quando
finir: ma ve n'andrò; scegliendo alcuna
solenne ed atta da narrar cantando,
e ch'all'istoria mi parrà; oportuna;
né; quella tacerò; miraculosa,
che fu nei Pirenei sopra Tolosa.
51
Trascorso avea molto paese il conte,
come dal grave suo furor fu spinto;
ed al fin capitò; sopra quel monte
per cui dal Franco è; il Tarracon distinto;
tenendo tuttavia volta la fronte
verso là; dove il sol ne viene estinto:
e quivi giunse in uno angusto calle,
che pendea sopra una profonda valle.
52
Si vennero a incontrar con esso al varco
duo boscherecci gioveni, ch'inante
avean di legna un loro asino carco;
e perché; ben s'accorsero al sembiante,
ch'avea di cervel sano il capo scarco,
gli gridano con voce minacciante,
o ch'a dietro o da parte se ne vada,
e che si levi di mezzo la strada.
53
Orlando non risponde altro a quel detto,
se non che con furor tira d'un piede,
e giunge a punto l'asino nel petto
con quella forza che tutte altre eccede;
ed alto il leva, sì;, ch'uno augelletto
che voli in aria, sembra a chi lo vede.
Quel va a cadere alla cima d'un colle,
ch'un miglio oltre la valle il giogo estolle.
54
Indi verso i duo gioveni s'aventa,
dei quali un, più; che senno, ebbe aventura,
che da la balza, che due volte trenta
braccia cadea, si gittò; per paura.
A mezzo il tratto trovò; molle e lenta
una macchia di rubi e di verzura,
a cui bastò; graffiargli un poco il volto:
del resto lo mandò; libero e sciolto.
55
L'altro s'attacca ad un scheggion ch'usciva
fuor de la roccia, per salirvi sopra;
perché; si spera, s'alla cima arriva,
di trovar via che dal pazzo lo cuopra.
Ma quel nei piedi (che non vuol che viva)
lo piglia, mentre di salir s'adopra:
e quanto più; sbarrar puote le braccia,
le sbarra sì;, ch'in duo pezzi lo straccia;
56
a quella guisa che veggià;n talora
farsi d'uno aeron, farsi d'un pollo,
quando si vuol de le calde interiora
che falcone o ch'astor resti satollo.
Quanto è; bene accaduto che non muora
quel che fu a risco di fiaccarsi il collo!
ch'ad altri poi questo miracol disse,
sì; che l'udì; Turpino, e a noi lo scrisse.
57
E queste ed altre assai cose stupende
fece nel traversar de la montagna.
Dopo molto cercare, al fin discende
verso meriggie alla terra di Spagna;
e lungo la marina il camin prende,
ch'intorno a Taracona il lito bagna:
e come vuol la furia che lo mena,
pensa farsi uno albergo in quella arena,
58
dove dal sole alquanto si ricuopra;
e nel sabbion si caccia arrido e trito.
Stando così;, gli venne a caso sopra
Angelica la bella e il suo marito,
ch'eran (sì; come io vi narrai di sopra)
scesi dai monti in su l'ispano lito.
A men d'un braccio ella gli giunse appresso,
perché; non s'era accorta ancora d'esso.
59
Che fosse Orlando, nulla le soviene:
troppo è; diverso da quel ch'esser suole.
Da indi in qua che quel furor lo tiene,
è; sempre andato nudo all'ombra e al sole:
se fosse nato all'aprica Siene,
o dove Ammone il Garamante cole,
o presso ai monti onde il gran Nilo spiccia,
non dovrebbe la carne aver più; arsiccia.
60
Quasi ascosi avea gli occhi ne la testa,
la faccia macra, e come un osso asciutta,
la chioma rabuffata, orrida e mesta,
la barba folta, spaventosa e brutta.
Non più; a vederlo Angelica fu presta,
che fosse a ritornar, tremando tutta:
tutta tremando, e empiendo il ciel di grida,
si volse per aiuto alla sua guida.
61
Come di lei s'accorse Orlando stolto,
per ritenerla si levò; di botto:
così; gli piacque il delicato volto,
così; ne venne immantinente giotto.
D'averla amata e riverita molto
ogni ricordo era in lui guasto e rotto.
Gli corre dietro, e tien quella maniera
che terria il cane a seguitar la fera.
62
Il giovine che 'l pazzo seguir vede
la donna sua, gli urta il cavallo adosso,
e tutto a un tempo lo percuote e fiede,
come lo trova che gli volta il dosso.
Spiccar dal busto il capo se gli crede:
ma la pelle trovò; dura come osso,
anzi via più; ch'acciar; ch'Orlando nato
impenetrabile era ed affatato.
63
Come Orlando sentì; battersi dietro,
girossi, e nel girare il pugno strinse,
e con la forza che passa ogni metro,
ferì; il destrier che 'l Saracino spinse.
Feril sul capo, e come fosse vetro,
lo spezzò; sì;, che quel cavallo estinse:
e rivoltosse in un medesmo istante
dietro a colei che gli fuggiva inante.
64
Caccia Angelica in fretta la giumenta,
e con sferza e con spron tocca e ritocca;
che le parrebbe a quel bisogno lenta,
se ben volasse più; che stral da cocca.
De l'annel c'ha nel dito si ramenta,
che può; salvarla, e se lo getta in bocca:
e l'annel, che non perde il suo costume,
la fa sparir come ad un soffio il lume.
65
O fosse la paura, o che pigliasse
tanto disconcio nel mutar l'annello,
o pur, che la giumenta traboccasse,
che non posso affermar questo né; quello;
nel medesmo momento che si trasse
l'annello in bocca e celò; il viso bello,
levò; le gambe ed uscì; de l'arcione,
e si trovò; riversa in sul sabbione.
66
Più; corto che quel salto era dua dita,
aviluppata rimanea col matto,
che con l'urto le avria tolta la vita;
ma gran ventura l'aiutò; a quel tratto.
Cerchi pur, ch'altro furto le dia aita
d'un'altra bestia, come prima ha fatto;
che più; non è; per riaver mai questa
ch'inanzi al paladin l'arena pesta.
67
Non dubitate già; ch'ella non s'abbia
a provedere; e seguitiamo Orlando,
in cui non cessa l'impeto e la rabbia
perché; si vada Angelica celando.
Segue la bestia per la nuda sabbia,
e se le vien più; sempre approssimando:
già; già; la tocca, ed ecco l'ha nel crine,
indi nel freno, e la ritiene al fine.
68
Con quella festa il paladin la piglia,
ch'un altro avrebbe fatto una donzella:
le rassetta le redine e la briglia,
e spicca un salto ed entra ne la sella;
e correndo la caccia molte miglia,
senza riposo, in questa parte e in quella:
mai non le leva né; sella né; freno,
né; le lascia gustare erba né; fieno.
69
Volendosi cacciare oltre una fossa,
sozzopra se ne va con la cavalla.
Non nocque a lui, né; sentì; la percossa;
ma nel fondo la misera si spalla.
Non vede Orlando come trar la possa;
e finalmente se l'arreca in spalla,
e su ritorna, e va con tutto il carco,
quanto in tre volte non trarrebbe un arco.
70
Sentendo poi che gli gravava troppo,
la pose in terra, e volea trarla a mano.
Ella il seguia con passo lento e zoppo;
dicea Orlando: - Camina! - e dicea invano.
Se l'avesse seguito di galoppo,
assai non era al desiderio insano.
Al fin dal capo le levò; il capestro,
e dietro la legò; sopra il piè; destro;
71
e così; la strascina, e la conforta
che lo potrà; seguir con maggior agio.
Qual leva il pelo, e quale il cuoio porta,
dei sassi ch'eran nel camin malvagio.
La mal condotta bestia restò; morta
finalmente di strazio e di disagio.
Orlando non le pensa e non la guarda,
e via correndo il suo camin non tarda.
72
Di trarla, anco che morta, non rimase,
continoando il corso ad occidente;
e tuttavia saccheggia ville e case,
se bisogno di cibo aver si sente;
e frutte e carne e pan, pur ch'egli invase,
rapisce; ed usa forza ad ogni gente:
qual lascia morto e qual storpiato lassa;
poco si ferma, e sempre inanzi passa.
73
Avrebbe così; fatto, o poco manco,
alla sua donna, se non s'ascondea;
perché; non discernea il nero dal bianco,
e di giovar, nocendo si credea.
Deh maledetto sia l'annello ed anco
il cavallier che dato le l'avea!
che se non era, avrebbe Orlando fatto
di sé; vendetta e di mill'altri a un tratto.
74
Né; questa sola, ma fosser pur state
in man d'Orlando quante oggi ne sono;
ch'ad ogni modo tutte sono ingrate,
né; si trova tra loro oncia di buono.
Ma prima che le corde rallentate
al canto disugual rendano il suono,
fia meglio differirlo a un'altra volta,
acciò; men sia noioso a chi l'ascolta.
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CANTO TRENTESIMO
1
Quando vincer da l'impeto e da l'ira
si lascia la ragion, né; si difende,
e che 'l cieco furor sì; inanzi tira
o mano o lingua, che gli amici offende;
se ben dipoi si piange e si sospira,
non è; per questo che l'error s'emende.
Lasso! io mi doglio e affliggo invan di quanto
dissi per ira al fin de l'altro canto.
2
Ma simile son fatto ad uno infermo,
che dopo molta pazienza e molta,
quando contra il dolor non ha più; schermo,
cede alla rabbia e a bestemmiar si volta.
Manca il dolor, né; l'impeto sta fermo,
che la lingua al dir mal facea sì; sciolta;
e si ravvede e pente e n'ha dispetto:
ma quel c'ha detto, non può; far non detto.
3
Ben spero, donne, in vostra cortesia
aver da voi perdon, poi ch'io vel chieggio.
Voi scusarete, che per frenesia,
vinto da l'aspra passion, vaneggio.
Date la colpa alla nimica mia,
che mi fa star, ch'io non potrei star peggio,
e mi fa dir quel di ch'io son poi gramo:
sallo Idio, s'ella ha il torto; essa, s'io l'amo.
4
Non men son fuor di me, che fosse Orlando;
e non son men di lui di scusa degno,
ch'or per li monti, or per le piagge errando,
scorse in gran parte di Marsilio il regno,
molti dì; la cavalla strascinando
morta, come era, senza alcun ritegno;
ma giunto ove un gran fiume entra nel mare,
gli fu forza il cadavero lasciare.
5
E perché; sa nuotar come una lontra,
entra nel fiume, e surge all'altra riva.
Ecco un pastor sopra un cavallo incontra,
che per abeverarlo al fiume arriva.
Colui, ben che gli vada Orlando incontra,
perché; egli è; solo e nudo, non lo schiva.
- Vorrei del tuo ronzin (gli disse il matto)
con la giumenta mia far un baratto.
6
Io te la mostrerò; di qui, se vuoi;
che morta là; su l'altra ripa giace:
la potrai far tu medicar dipoi;
altro diffetto in lei non mi dispiace.
Con qualche aggiunta il ronzin dar mi puoi:
smontane in cortesia, perché; mi piace. -
Il pastor ride, e senz'altra risposta
va verso il guado, e dal pazzo si scosta.
7
- Io voglio il tuo cavallo: olà; non odi? -
suggiunse Orlando, e con furor si mosse.
Avea un baston con nodi spessi e sodi
quel pastor seco, e il paladin percosse.
La rabbia e l'ira passò; tutti i modi
del conte; e parve fier più; che mai fosse.
Sul capo del pastore un pugno serra,
che spezza l'osso, e morto il caccia in terra.
8
Salta a cavallo, e per diversa strada
va discorrendo, e molti pone a sacco.
Non gusta il ronzin mai fieno né; biada,
tanto ch'in pochi dì; ne riman fiacco:
ma non però; ch'Orlando a piedi vada,
che di vetture vuol vivere a macco;
e quante ne trovò;, tante ne mise
in uso, poi che i lor patroni uccise.
9
Capitò; al fin a Malega, e più; danno
vi fece, ch'egli avesse altrove fatto:
che oltre che ponesse a saccomanno
il popul sì;, che ne restò; disfatto,
né; si poté; rifar quel né; l'altr'anno;
tanti n'uccise il periglioso matto,
vi spianò; tante case e tante accese,
che disfe' più; che 'l terzo del paese.
10
Quindi partito, venne ad una terra,
Zizera detta, che siede allo stretto
di Zibeltarro, o vuoi di Zibelterra,
che l'uno e l'altro nome le vien detto;
ove una barca che sciogliea da terra
vide piena di gente da diletto,
che solazzando all'aura matutina,
gì;a per la tranquillissima marina.
11
Cominciò; il pazzo a gridar forte: -Aspetta! -
che gli venne disio d'andare in barca.
Ma bene invano e i gridi e gli urli getta;
che volentier tal merce non si carca.
Per l'acqua il legno va con quella fretta
che va per l'aria irondine che varca.
Orlando urta il cavallo e batte e stringe,
e con un mazzafrusto all'acqua spinge.
12
Forza è; ch'al fin nell'acqua il cavallo entre,
ch'invan contrasta, e spende invano ogni opra:
bagna i genocchi, e poi la groppa e 'l ventre,
indi la testa, e a pena appar di sopra.
Tornare a dietro non si speri, mentre
la verga tra l'orecchie se gli adopra.
Misero! o si convien tra via affogare,
o nel lito african passare il mare.
13
Non vede Orlando più; poppe né; sponde
che tratto in mar l'avean dal lito asciutto;
che son troppo lontane, e le nasconde
agli occhi bassi l'alto e mobil flutto:
e tuttavia il destrier caccia tra l'onde,
ch'andar di là; dal mar dispone in tutto.
Il destrier, d'acqua pieno e d'alma voto,
finalmente finì; la vita e il nuoto.
14
Andò; nel fondo, e vi traea la salma,
se non si tenea Orlando in su le braccia.
Mena le gambe e l'una e l'altra palma,
e soffia, e l'onda spinge da la faccia.
Era l'aria soave e il mare in calma:
e ben vi bisognò; più; che bonaccia;
ch'ogni poco che 'l mar fosse più; sorto,
restava il paladin ne l'acqua morto.
15
Ma la Fortuna, che dei pazzi ha cura,
del mar lo trasse nel lito di Setta,
in una spiaggia, lungi da le mura
quanto sarian duo tratti di saetta.
Lungo il mar molti giorni alla ventura
verso levante andò; correndo in fretta;
fin che trovò;, dove tendea sul lito
di nera gente esercito infinito.
16
Lasciamo il paladin ch'errando vada:
ben di parlar di lui tornerà; tempo.
Quanto, Signore, ad Angelica accada
dopo ch'uscì; di man del pazzo a tempo;
e come a ritornare in sua contrada
trovasse e buon navilio e miglior tempo,
e de l'India a Medor desse lo scettro,
forse altri canterà; con miglior plettro.
17
Io sono a dir tante altre cose intento,
che di seguir più; questa non mi cale.
Volger conviemmi il bel ragionamento
al Tartaro, che spinto il suo rivale,
quella bellezza si godea contento,
a cui non resta in tutta Europa uguale,
poscia che se n'è; Angelica partita,
e la casta Issabella al ciel salita.
18
De la sentenza Mandricardo altiero,
ch'in suo favor la bella donna diede,
non può; fruir tutto il diletto intero;
che contra lui son altre liti in piede.
L'una gli muove il giovene Ruggiero,
perché; l'aquila bianca non gli cede;
l'altra il famoso re di Sericana,
che da lui vuol la spada Durindana.
19
S'affatica Agramante, né; disciorre,
né; Marsilio con lui, sa questo intrico:
né; solamente non li può; disporre
che voglia l'un de l'altro essere amico;
ma che Ruggiero a Mandricardo torre
lasci lo scudo del Troiano antico,
o Gradasso la spada non gli vieti,
tanto che questa o quella lite accheti.
20
Ruggier non vuol ch'in altra pugna vada
con lo suo scudo; né; Gradasso vuole
che, fuor che contra sé; porti la spada
che 'l glorioso Orlando portar suole.
- Al fin veggiamo in cui la sorte cada
(disse Agramante), e non sian più; parole;
veggià;n quel che Fortuna ne disponga,
e sia preposto quel ch'ella preponga.
21
E se compiacer meglio mi volete,
onde d'aver ve n'abbia obligo ognora,
chi de' di voi combatter, sortirete;
ma con patto, ch'al primo ch'esca fuora,
amendue le querele in man porrete:
sì; che, per sé; vincendo, vinca ancora
pel compagno; e perdendo l'un di vui,
così; perduto abbia per ambidui.
22
Tra Gradasso e Ruggier credo che sia
di valor nulla o poca differenza;
e di lor qual si vuol venga fuor pria,
so ch'in arme farà; per eccellenza.
Poi la vittoria da quel canto stia,
che vorrà; la divina providenza.
Il cavallier non avrà; colpa alcuna,
ma il tutto imputerassi alla Fortuna. -
23
Steron taciti al detto d'Agramante
e Ruggiero e Gradasso; ed accordarsi
che qualunque di loro uscirà; inante,
e l'una briga e l'altra abbia a pigliarsi.
Così; in duo brevi, ch'avean simigliante
ed ugual forma, i nomi lor notarsi;
e dentro un'urna quelli hanno rinchiusi,
versati molto, e sozzopra confusi.
24
Un semplice fanciul nell'urna messe
la mano, e prese un breve; e venne a caso
ch'in questo il nome di Ruggier si lesse,
essendo quel del Serican rimaso.
Non si può; dir quanta allegrezza avesse,
quando Ruggier si sentì; trar del vaso,
e d'altra parte il Sericano doglia;
ma quel che manda il ciel, forza è; che toglia.
25
Ogni suo studio il Sericano, ogni opra
a favorire, ad aiutar converte
perché; Ruggiero abbia a restar di sopra:
e le cose in suo pro, ch'avea già; esperte,
come or di spada, or di scudo si cuopra,
qual sien botte fallaci e qual sien certe,
quando tentar, quando schivar fortuna
si dee, gli torna a mente ad una ad una.
26
Il resto di quel dì;, che da l'accordo
e dal trar de le sorti sopravanza,
è; speso dagli amici in dar ricordo,
chi a l'un guerrier chi all'altro, come è; usanza.
Il popul, di veder la pugna ingordo,
s'affretta a gara d'occupar la stanza:
né; basta a molti inanzi giorno andarvi,
che voglion tutta notte anco veggiarvi.
27
La sciocca turba disiosa attende
ch'i duo buon cavallier vengano in prova;
che non mira più; lungi né; comprende
di quel ch'inanzi agli occhi si ritrova.
Ma Sobrino e Marsilio, e chi più; intende
e vede ciò; che nuoce e ciò; che giova,
biasma questa battaglia, ed Agramante,
che voglia comportar che vada inante.
28
Né; cessan raccordargli il grave danno
che n'ha d'avere il popul saracino,
muora Ruggiero o il tartaro tiranno,
quel che prefisso è; dal suo fier destino:
d'un sol di lor via più; bisogno avranno
per contrastare al figlio di Pipino,
che di dieci altri mila che ci sono,
tra' quai fatica è; ritrovare un buono.
29
Conosce il re Agramante che gli è; vero,
ma non può; più; negar ciò; c'ha promesso.
Ben prega Mandricardo e il buon Ruggiero,
che gli ridonin quel c'ha lor concesso;
e tanto più; che 'l lor litigio è; un zero,
né; degno in prova d'arme esser rimesso:
e s'in ciò; pur nol vogliono ubbidire,
voglino almen la pugna differire.
30
Cinque o sei mesi il singular certame,
o meno o più;, si differisca, tanto
che cacciato abbin Carlo del reame,
tolto lo scettro, la corona e il manto.
Ma l'un e l'altro, ancor che voglia e brame
il re ubbidir, pur sta duro da canto;
che tale accordo obbrobrioso stima
a chi 'l consenso suo vi darà; prima,
31
Ma più; del re, ma più; d'ognun ch'invano
spenda a placare il Tartaro parole,
la bella figlia del re Stordilano
supplice il priega, e si lamenta e duole:
lo prega che consenta al re africano
e voglia quel che tutto il campo vuole;
si lamenta e si duol che per lui sia
timida sempre e piena d'angonia.
32
- Lassa! (dicea) che ritrovar poss'io
rimedio mai ch'a riposar mi vaglia,
s'or contra questo, or quel, nuovo disio
vi trarrà; sempre a vestir piastra e maglia?
C'ha potuto giovare al petto mio
il gaudio che sia spenta la battaglia
per me da voi contra quell'altro presa,
se un'altra non minor se n'è; già; accesa?
33
Ohimè;! ch'invano i' me n'andava altiera
ch'un re sì; degno, un cavallier sì; forte
per me volesse in perigliosa e fiera
battaglia porsi al risco de la morte;
ch'or veggo per cagion tanto leggiera
non meno esporvi alla medesma sorte.
Fu natural ferocità; di core
ch'a quella v'istigò;, più; che 'l mio amore.
34
Ma se gli è; ver che 'l vostro amor sia quello
che vi sforzate di mostrarmi ognora,
per lui vi prego, e per quel gran flagello
che mi percuote l'alma e che m'accora,
che non vi caglia se 'l candido augello
ha ne lo scudo quel Ruggiero ancora.
Utile o danno a voi non so ch'importi,
che lasci quella insegna o che la porti.
35
Poco guadagno, e perdita uscir molta
de la battaglia può;, che per far sè;te:
quando abbiate a Ruggier l'aquila tolta,
poca mercé; d'un gran travaglio avrete;
ma se Fortuna le spalle vi volta
(che non però; nel crin presa tenete),
causate un danno, ch'a pensarvi solo
mi sento il petto già; sparrar di duolo.
36
Quando la vita a voi per voi non sia
cara, e più; amate un'aquila dipinta,
vi sia almen cara per la vita mia:
non sarà; l'una senza l'altra estinta.
Non già; morir con voi grave mi fia:
son di seguirvi in vita e in morte accinta;
ma non vorrei morir sì; malcontenta
come io morrò;, se dopo voi son spenta. -
37
Con tai parole e simili altre assai,
che le lacrime accompagnano e sospiri,
pregar non cessa tutta notte mai
perch'alla pace il suo amator ritiri;
e quel, suggendo dagli umidi rai
quel dolce pianto, e quei dolci martiri
da le vermiglie labra più; che rose,
lacrimando egli ancor, così; rispose:
38
- Deh, vita mia, non vi mettete affanno,
deh non, per Dio, di così; lieve cosa;
che se Carlo e 'l re d'Africa, e ciò; c'hanno
qui di gente moresca e di franciosa,
spiegasson le bandiere in mio sol danno,
voi pur non ne dovreste esser pensosa.
Ben mi mostrate in poco conto avere,
se per me un Ruggier sol vi fa temere.
39
E vi dovria pur ramentar che, solo
(e spada io non avea né; scimitarra),
con un troncon di lancia a un grosso stuolo
d'armati cavallier tolsi la sbarra.
Gradasso, ancor che con vergogna e duolo
lo dica, pure, a chi 'l domanda, narra
che fu in Soria a un castel mio prigioniero;
ed è; pur d'altra fama che Ruggiero.
40
Non niega similmente il re Gradasso,
e sallo Isolier vostro e Sacripante,
io dico Sacripante, il re circasso,
e 'l famoso Grifone ed Aquilante,
cent'altri e più;, che pure a questo passo
stati eran presi alcuni giorni inante,
macometani e gente di battesmo,
che tutti liberai quel dì; medesmo.
41
Non cessa ancor la maraviglia loro
de la gran prova ch'io feci quel giorno,
maggior, che se l'esercito del Moro
e del Franco inimici avessi intorno.
Ed or potrà; Ruggier, giovine soro,
farmi da solo a solo o danno o scorno?
Ed or c'ho Durindana e l'armatura
d'Ettò;r, vi de' Ruggier metter paura?
42
Deh, perché; dianzi in prova non venni io,
se far di voi con l'arme io potea acquisto?
So che v'avrei sì; aperto il valor mio,
ch'avresti il fin già; di Ruggier previsto.
Asciugate le lacrime, e, per Dio,
non mi fate uno augurio così; tristo;
e siate certa che 'l mio onor m'ha spinto,
non ne lo scudo il bianco augel dipinto. -
43
Così; disse egli; e molto ben risposto
gli fu da la mestissima sua donna,
che non pur lui mutato di proposto,
ma di luogo avria mossa una colonna.
Ella era per dover vincer lui tosto,
ancor ch'armato, e ch'ella fosse in gonna;
e l'avea indutto a dir, se 'l re gli parla
d'accordo più;, che volea contentarla.
44
E lo facea; se non, tosto ch'al Sole
la vaga Aurora fe' l'usata scorta,
l'animoso Ruggier, che mostrar vuole
che con ragion la bella aquila porta,
per non udir più; d'atti e di parole
dilazion, ma far la lite corta,
dove circonda il popul lo steccato,
sonando il corno s'appresenta armato.
45
Tosto che sente il Tartaro superbo,
ch'alla battaglia il suono altier lo sfida,
non vuol più; de l'accordo intender verbo,
ma si lancia del letto, ed arme grida;
e si dimostra sì; nel viso acerbo,
che Doralice istessa non si fida
di dirgli più; di pace né; di triegua:
e forza è; infin che la battaglia segua.
46
Subito s'arma, ed a fatica aspetta
da' suoi scudieri i debiti servigi;
poi monta sopra il buon cavallo in fretta,
che del gran difensor fu di Parigi;
e vien correndo invêr la piazza eletta
a terminar con l'arme i gran litigi.
Vi giunse il re e la corte allora allora;
sì; ch'all'assalto fu poca dimora.
47
Posti lor furo ed allacciati in testa
i lucidi elmi, e date lor le lance.
Siegue la tromba a dare il segno presta,
che fece a mille impallidir le guance.
Posero l'aste i cavallieri in resta,
e i corridori punsero alle pance;
e venner con tale impeto a ferirsi,
che parve il ciel cader, la terra aprirsi.
48
Quinci e quindi venir si vede il bianco
augel che Giove per l'aria sostenne;
come ne la Tessalia si vide anco
venir più; volte, ma con altre penne.
Quanto sia l'uno e l'altro ardito e franco,
mostra il portar de le massicce antenne;
e molto più;, ch'a quello incontro duro,
quai torri ai venti, o scogli all'onde furo.
49
I tronchi fin al ciel ne sono ascesi:
scrive Turpin, verace in questo loco,
che dui o tre giù; ne tornaro accesi,
ch'eran saliti alla sfera del fuoco.
I cavallieri i brandi aveano presi:
e come quei che si temeano poco,
si ritornaro incontra; e a prima giunta
ambi alla vista si ferir di punta.
50
Ferirsi alla visiera al primo tratto;
e non miraron, per mettersi in terra,
dare ai cavalli morte, ch'è; mal atto,
perch'essi non han colpa de la guerra.
Chi pensa che tra lor fosse tal patto,
non sa l'usanza antiqua, e di molto erra:
senz'altro patto, era vergogna e fallo
e biasmo eterno a chi feria il cavallo.
51
Ferirsi alla visiera, ch'era doppia,
ed a pena anco a tanta furia resse.
L'un colpo appresso all'altro si raddoppia:
le botte più; che grandine son spesse,
che spezza fronde e rami e grano e stoppia,
e uscir invan fa la sperata messe.
Se Durindana e Balisarda taglia,
sapete, e quanto in queste mani vaglia.
52
Ma degno di sé; colpo ancor non fanno,
sì; l'uno e l'altro ben sta su l'aviso.
Uscì; da Mandricardo il primo danno,
per cui fu quasi il buon Ruggiero ucciso:
d'uno di quei gran colpi che far sanno,
gli fu lo scudo pel mezzo diviso,
e la corazza apertagli di sotto;
e fin sul vivo il crudel brando ha rotto.
53
L'aspra percossa agghiacciò; il cor nel petto,
per dubbio di Ruggiero, ai circostanti,
nel cui favor si conoscea lo affetto
dei più; inchinar, se non di tutti quanti.
E se Fortuna ponesse ad effetto
quel che la maggior parte vorria inanti,
già; Mandricardo saria morto o preso:
sì; che 'l suo colpo ha tutto il campo offeso.
54
Io credo che qualche agnol s'interpose
per salvar da quel colpo il cavalliero.
Ma ben senza più; indugio gli rispose,
terribil più; che mai fosse, Ruggiero.
La spada in capo a Mandricardo pose;
ma sì; lo sdegno fu subito e fiero,
e tal fretta gli fe', ch'io men l'incolpo
se non mandò; a ferir di taglio il colpo.
55
Se Balisarda lo giungea pel dritto,
l'elmo d'Ettorre era incantato invano.
Fu sì; del colpo Mandricardo afflitto,
che si lasciò; la briglia uscir di mano.
D'andar tre volte accenna a capo fitto,
mentre scorrendo va d'intorno il piano
quel Brigliador che conoscete al nome,
dolente ancor de le mutate some.
56
Calcata serpe mai tanto non ebbe,
né; ferito leon, sdegno e furore,
quanto il Tartaro, poi che si riebbe
dal colpo che di sé; lo trasse fuore.
E quanto l'ira e la superbia crebbe,
tanto e più; crebbe in lui forza e valore:
fece spiccare a Brigliadoro un salto
verso Ruggiero, e alzò; la spada in alto.
57
Levossi in su le staffe, ed all'elmetto
segnolli; e si credette veramente
partirlo a quella volta fin al petto:
ma fu di lui Ruggier più; diligente;
che, pria che 'l braccio scenda al duro effetto,
gli caccia sotto la spada pungente,
e gli fa ne la maglia ampla finestra,
che sotto difendea l'ascella destra.
58
E Balisarda al suo ritorno trasse
di fuori il sangue tiepido e vermiglio,
e vietò; a Durindana che calasse
impetuosa con tanto periglio;
ben che fin su la groppa si piegasse
Ruggiero, e per dolor strignesse il ciglio:
e s'elmo in capo avea di peggior tempre,
gli era quel colpo memorabil sempre.
59
Ruggier non cessa, e spinge il suo cavallo,
e Mandricardo al destro fianco trova.
Quivi scelta finezza di metallo
e ben condutta tempra poco giova
contra la spada che non scende in fallo,
che fu incantata non per altra prova,
che per far ch'a' suoi colpi nulla vaglia
piastra incantata ed incantata maglia.
60
Taglionne quanto ella ne prese, e insieme
lasciò; ferito il Tartaro nel fianco,
che 'l ciel bestemmia, e di tant'ira freme,
che 'l tempestoso mare è; orribil manco.
Or s'apparecchia a por le forze estreme:
lo scudo ove in azzurro è; l'augel bianco,
vinto da sdegno, si gittò; lontano,
e messe al brando e l'una e l'altra mano.
61
- Ah (disse a lui Ruggier), senza più; basti
a mostrar che non merti quella insegna,
ch'or tu la getti, e dianzi la tagliasti;
né; potrai dir mai più; che ti convegna. -
Così; dicendo, forza è; che egli attasti
con quanta furia Durindana vegna;
che sì; gli grava e sì; gli pesa in fronte,
che più; leggier potea cadervi un monte.
62
E per mezzo gli fende la visiera;
buon per lui che dal viso si discosta:
poi calò; su l'arcion che ferrato era,
né; lo difese averne doppia crosta:
giunse al fin su l'arnese, e come cera
l'aperse con la falda sopraposta;
e ferì; gravemente ne la coscia
Ruggier, sì; ch'assai stette a guarir poscia.
63
De l'un, come de l'altro, fatte rosse
il sangue l'arme avea con doppia riga;
tal che diverso era il parer, chi fosse
di lor, ch'avesse il meglio in quella briga.
Ma quel dubbio Ruggier tosto rimosse
con la spada che tanti ne castiga:
mena di punta, e drizza il colpo crudo
onde gittato avea colui lo scudo.
64
Fora de la corazza il lato manco,
e di venire al cor trova la strada,
che gli entra più; d'un palmo sopra il fianco:
sì; che convien che Mandricardo cada
d'ogni ragion che può; ne l'augel bianco,
o che può; aver ne la famosa spada;
e da la cara vita cada insieme,
che, più; che spada e scudo, assai gli preme.
65
Non morì; quel meschin senza vendetta;
ch'a quel medesmo tempo che fu colto,
la spada, poco sua, menò; di fretta;
ed a Ruggier avria partito il volto,
se già; Ruggier non gli avesse intercetta
prima la forza, e assai del vigor tolto:
di forza e di vigor troppo gli tolse
dianzi, che sotto il destro braccio il colse.
66
Da Mandricardo fu Ruggier percosso
nel punto ch'egli a lui tolse la vita;
tal ch'un cerchio di ferro, anco che grosso,
e una cuffia d'acciar ne fu partita.
Durindana tagliò; cotenna ed osso,
e nel capo a Ruggiero entrò; due dita.
Ruggier stordito in terra si riversa,
e di sangue un ruscel dal capo versa.
67
Il primo fu Ruggier, ch'andò; per terra;
e dipoi stette l'altro a cader tanto,
che quasi crede ognun che de la guerra
riporti Mandricardo il pregio e il vanto:
e Doralice sua, che con gli altri erra,
e che quel dì; più; volte ha riso e pianto,
Dio ringraziò; con mani al ciel supine,
ch'avesse avuta la pugna tal fine.
68
Ma poi ch'appare a manifesti segni
vivo chi vive, e senza vita il morto,
nei petti dei fautor mutano regni:
di là; mestizia, e di qua vien conforto.
I re, i signori, i cavallier più; degni,
con Ruggier ch'a fatica era risorto,
a rallegrarsi ed abbracciarsi vanno,
e gloria senza fine e onor gli danno.
69
Ognun s'allegra con Ruggiero, e sente
il medesmo nel cor, c'ha ne la bocca.
Sol Gradasso il pensiero ha differente
tutto da quel che fuor la lingua scocca:
mostra gaudio nel viso; e occultamente
del glorioso acquisto invidia il tocca;
e maledice o sia destino o caso,
il qual trasse Ruggier prima del vaso.
70
Che dirò; del favor, che de le tante
carezze e tante, affettuose e vere,
che fece a quel Ruggiero il re Agramante,
senza il qual dare al vento le bandiere,
né; volse muover d'Africa le piante,
né; senza lui si fidò; in tante schiere?
Or che del re Agricane ha spento il seme,
prezza più; lui, che tutto il mondo insieme.
71
Né; di tal volontà; gli uomini soli
eran verso Ruggier, ma le donne anco,
che d'Africa e di Spagna fra gli stuoli
eran venute al tenitorio franco.
E Doralice istessa, che con duoli
piangea l'amante suo pallido e bianco,
forse con l'altre ita sarebbe in schiera,
se di vergogna un duro fren non era.
72
Io dico forse, non ch'io ve l'accerti,
ma potrebbe esser stato di leggiero:
tal la bellezza e tali erano i merti,
i costumi e i sembianti di Ruggiero.
Ella, per quel che già; ne siamo esperti,
sì; facile era a variar pensiero,
che per non si veder priva d'amore,
avria potuto in Ruggier porre il core.
73
Per lei buono era vivo Mandricardo:
ma che ne volea far dopo la morte?
Proveder le convien d'un che gagliardo
sia notte e dì; ne' suoi bisogni, e forte.
Non era stato intanto a venir tardo
il più; perito medico di corte,
che di Ruggier veduta ogni ferita,
già; l'avea assicurato de la vita.
74
Con molta diligenza il re Agramante
fece colcar Ruggier ne le sue tende;
che notte e dì; veder sel vuole inante:
sì; l'ama, sì; di lui cura si prende.
Lo scudo al letto e l'arme tutte quante,
che fur di Mandricardo, il re gli appende;
tutte le appende, eccetto Durindana,
che fu lasciata al re di Sericana.
75
Con l'arme l'altre spoglie a Ruggier sono
date di Mandricardo, e insieme dato
gli è; Brigliador, quel destrier bello e buono,
che per furore Orlando avea lasciato.
Poi quello al re diede Ruggiero in dono,
che s'avide ch'assai gli saria grato.
Non più; di questo; che tornar bisogna
a chi Ruggiero invan sospira e agogna.
76
Gli amorosi tormenti che sostenne
Bradamante aspettando, io v'ho da dire.
A Montalbano Ippalca a lei rivenne
e nuova le arrecò; del suo desire.
Prima, di quanto di Frontin le avenne
con Rodomonte, l'ebbe a riferire;
poi di Ruggier, che ritrovò; alla fonte
con Ricciardetto e' frati d'Agrismonte:
77
e che con esso lei s'era partito
con speme di trovare il Saracino,
e punirlo di quanto avea fallito
d'aver tolto a una donna il suo Frontino;
e che 'l disegno poi non gli era uscito,
perché; diverso avea fatto il camino.
La cagione anco, perché; non venisse
a Montalban Ruggier, tutta le disse;
78
e riferille le parole a pieno,
ch'in sua scusa Ruggier le avea commesse.
Poi si trasse la lettera di seno,
ch'egli le diè;, perch'ella a lei la desse.
Con viso più; turbato che sereno
prese la carta Bradamante, e lesse;
che, se non fosse la credenza stata
già; di veder Ruggier, fôra più; grata.
79
L'aver Ruggiero ella aspettato, e invece
di lui vedersi ora appagar d'un scritto,
del bel viso turbar l'aria le fece
di timor, di cordoglio e di despitto.
Baciò; la carta diece volte e diece,
avendo a chi la scrisse il cor diritto.
Le lacrime vietar, che su vi sparse,
che con sospiri ardenti ella non l'arse.
80
Lesse la carta quattro volte e sei,
e volse ch'altretante l'imbasciata
replicata le fosse da colei
che l'una e l'altra avea quivi arrecata,
pur tuttavia piangendo: e crederei
che mai non si saria più; racchetata,
se non avesse avuto pur conforto
di riveder il suo Ruggier di corto.
81
Termine a ritornar quindici o venti
giorni avea Ruggier tolto, ed affermato
l'avea ad Ippalca poi con giuramenti
da non temer che mai fosse mancato.
- Chi m'assicura, ohimè;, degli accidenti
(ella dicea), c'han forza in ogni lato,
ma ne le guerre più;, che non distorni
alcun tanto Ruggier, che più; non torni?
82
Ohimè;! Ruggiero, ohimè;! chi arì;a creduto
ch'avendoti amato io più; di me stessa,
tu più; di me, non ch'altri, ma potuto
abbi amar gente tua inimica espressa?
A chi opprimer dovresti, doni aiuto:
chi tu dovresti aitare, è; da te oppressa.
Non so se biasmo o laude esser ti credi,
ch'al premiar e al punir sì; poco vedi.
83
Fu morto da Troian (non so se 'l sai)
il padre tuo; ma fin ai sassi il sanno:
e tu del figlio di Troian cura hai
che non riceva alcun disnor né; danno.
è; questa la vendetta che ne fai,
Ruggiero? e a quei che vendicato l'hanno,
rendi tal premio, che del sangue loro
me fai morir di strazio e di martoro? -
84
Dicea la donna al suo Ruggiero assente
queste parole ed altre, lacrimando,
non una sola volta, ma sovente.
Ippalca la venì;a pur confortando,
che Ruggier servarebbe interamente
sua fede, e ch'ella l'aspettasse, quando
altro far non potea, fin a quel giorno
ch'avea Ruggier prescritto al suo ritorno.
85
I conforti d'Ippalca, e la speranza
che degli amanti suole esser compagna,
alla tema e al dolor tolgon possanza
di far che Bradamante ognora piagna;
in Montalban senza mutar mai stanza
voglion che fin al termine rimagna,
fino al promesso termine e giurato,
che poi fu da Ruggier male osservato.
86
Ma ch'egli alla promessa sua mancasse
non però; debbe aver la colpa affatto;
ch'una causa ed un'altra sì; lo trasse,
che gli fu forza preterire il patto.
Convenne che nel letto si colcasse,
e più; d'un mese si stesse di piatto
in dubbio di morir, sì; il dolor crebbe
dopo la pugna che col Tartaro ebbe.
87
L'innamorata giovane l'attese
tutto quel giorno e desiollo invano,
né; mai ne seppe, fuor quanto ne 'ntese
ora da Ippalca, e poi dal suo germano,
che le narrò; che Ruggier lui difese,
e Malagigi liberò; e Viviano.
Questa novella, ancor ch'avesse grata,
pur di qualche amarezza era turbata:
88
che di Marfisa in quel discorso udito
l'alto valore e le bellezze avea:
udì; come Ruggier s'era partito
con esso lei, e che d'andar dicea
là; dove con disagio in debol sito
malsicuro Agramante si tenea.
Sì; degna compagnia la donna lauda
ma non che se n'allegri, o che l'applauda.
89
Né; picciolo è; il sospetto che la preme;
che se Marfisa è; bella, come ha fama,
e che fin a quel dì; sien giti insieme,
è; maraviglia se Ruggier non l'ama.
Pur non vuol creder anco, e spera e teme:
e 'l giorno che la può; far lieta e grama,
misera aspetta; e sospirando stassi,
da Montalban mai non movendo i passi.
90
Stando ella quivi, il principe, il signore
del bel castello, il primo de' suoi frati
(io non dico d'etade, ma d'onore,
che di lui prima dui n'erano nati),
Rinaldo, che di gloria e di splendore
gli ha, come il sol le stelle, illuminati,
giunse al castello un giorno in su la nona;
né;, fuor ch'un paggio, era con lui persona.
91
Cagion del suo venir fu, che da Brava
ritornandosi un dì; verso Parigi
(come v'ho detto che sovente andava
per ritrovar d'Angelica vestigi),
avea sentita la novella prava
del suo Viviano e del suo Malagigi,
ch'eran per essere dati al Maganzese;
e perciò; ad Agrismonte la via prese.
92
Dove intendendo poi ch'eran salvati,
e gli aversari lor morti e distrutti,
e Marfisa e Ruggiero erano stati,
che gli aveano a quei termini ridutti;
e suoi fratelli e suoi cugin tornati
a Montalbano insieme erano tutti;
gli parve un'ora un anno di trovarsi
con esso lor là; dentro ad abbracciarsi.
93
Venne Rinaldo a Montalbano, e quivi
madre, moglie abbracciò;, figli e fratelli,
e i cugini che dianzi eran captivi;
e parve, quando egli arrivò; tra quelli,
dopo gran fame irondine ch'arrivi
col cibo in bocca ai pargoletti augelli.
E poi ch'un giorno vi fu stato o dui,
partissi, e fe' partire altri con lui.
94
Ricciardo, Alardo, Ricciardetto, e d'essi
figli d'Amone, il più; vecchio Guicciardo,
Malagigi e Vivian, si furon messi
in arme dietro al paladin gagliardo.
Bradamante aspettando che s'appressi
il tempo ch'al disio suo ne vien tardo,
inferma disse agli fratelli ch'era,
e non volse con lor venire in schiera.
95
E ben lor disse il ver, ch'ella era inferma,
ma non per febbre o corporal dolore:
era il disio che l'alma dentro inferma,
e le fa alterazion patir d'amore.
Rinaldo in Montalban più; non si ferma,
e seco mena di sua gente il fiore.
Come a Parigi appropinquosse, e quanto
Carlo aiutò;, vi dirà; l'altro canto.
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CANTO TRENTUNESIMO
1
Che dolce più;, che più; giocondo stato
saria di quel d'un amoroso core?
che viver più; felice e più; beato,
che ritrovarsi in servitù; d'Amore?
se non fosse l'uom sempre stimulato
da quel sospetto rio, da quel timore,
da quel martì;r, da quella frenesia,
da quella rabbia detta gelosia.
2
Però; ch'ogni altro amaro che si pone
tra questa soavissima dolcezza,
è; un augumento, una perfezione,
ed è; un condurre amore a più; finezza.
L'acque parer fa saporite e buone
la sete, e il cibo pel digiun s'apprezza:
non conosce la pace e non l'estima
chi provato non ha la guerra prima.
3
Se ben non veggon gli occhi ciò; che vede
ognora il core, in pace si sopporta.
Lo star lontano, poi quando si riede,
quanto più; lungo fu, più; riconforta.
Lo stare in servitù; senza mercede
(pur che non resti la speranza morta)
patir si può;: che premio al ben servire
pur viene al fin, se ben tarda a venire.
4
Gli sdegni, le repulse, e finalmente
tutti i martì;r d'amor, tutte le pene,
fan per lor rimembranza, che si sente
con miglior gusto un piacer quando viene.
Ma se l'infernal peste una egra mente
avvien ch'infetti, ammorbi ed avelene;
se ben segue poi festa ed allegrezza,
non la cura l'amante e non l'apprezza.
5
Questa è; la cruda e avelenata piaga
a cui non val liquor, non vale impiastro,
né; murmure, né; imagine di saga,
né; val lungo osservar di benigno astro,
né; quanta esperienza d'arte maga
fece mai l'inventor suo Zoroastro:
piaga crudel che sopra ogni dolore
conduce l'uom, che disperato muore.
6
Oh incurabil piaga che nel petto
d'un amator sì; facile s'imprime,
non men per falso che per ver sospetto!
piaga che l'uom sì; crudelmente opprime,
che la ragion gli offusca e l'intelletto,
e lo tra' fuor de le sembianze prime!
Oh iniqua gelosia, che così; a torto
levasti a Bradamante ogni conforto!
7
Non di questo ch'Ippalca e che 'l fratello
le avea nel core amaramente impresso,
ma dico d'uno annunzio crudo e fello
che le fu dato pochi giorni appresso.
Questo era nulla a paragon di quello
ch'io vi dirò;, ma dopo alcun digresso.
Di Rinaldo ho da dir primieramente,
che vêr Parigi vien con la sua gente.
8
Scontraro il dì; seguente invêr la sera
un cavallier ch'avea una donna al fianco,
con scudo e sopravesta tutta nera,
se non che per traverso ha un fregio bianco.
Sfidò; alla giostra Ricciardetto, ch'era
dinanzi, e vista avea di guerrier franco:
e quel, che mai nessun ricusar volse,
girò; la briglia e spazio a correr tolse.
9
Senza dir altro, o più; notizia darsi
de l'esser lor, si vengono all'incontro.
Rinaldo e gli altri cavallier fermarsi
per veder come seguiria lo scontro.
- Tosto costui per terra ha da versarsi,
se in luogo fermo a mio modo lo incontro -
dicea tra sé; medesmo Ricciardetto;
ma contrario al pensier seguì; l'effetto:
10
però; che lui sotto la vista offese
di tanto colpo il cavalliero istrano,
che lo levò; di sella, e lo distese
più; di due lance al suo destrier lontano.
Di vendicarlo incontinente prese
l'assunto Alardo, e ritrovossi al piano
stordito e male acconcio: sì; fu crudo
lo scontro fier, che gli spezzò; lo scudo.
11
Guicciardo pone incontinente in resta
l'asta, che vede i duo germani in terra,
ben che Rinaldo gridi: - Resta, resta;
che mia convien che sia la terza guerra: -
ma l'elmo ancor non ha allacciato in testa
sì; che Guicciardo al corso si disserra;
né; più; degli altri si seppe tenere,
e ritrovossi subito a giacere.
12
Vuol Ricciardo, Viviano e Malagigi,
e l'un prima de l'altro essere in giostra:
ma Rinaldo pon fine ai lor litigi;
ch'inanzi a tutti armato si dimostra,
dicendo loro: - è; tempo ire a Parigi;
e saria troppo la tardanza nostra,
s'io volesse aspettar fin che ciascuno
di voi fosse abbattuto ad uno ad uno.
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