-

 

13

Dissel tra sé;, ma non che fosse inteso,

che saria stato agli altri ingiuria e scorno.

L'uno e l'altro del campo avea già; preso,

e si faceano incontra aspro ritorno.

Non fu Rinaldo per terra disteso,

che valea tutti gli altri ch'avea intorno;

le lance si fiaccar, come di vetro,

né; i cavallier si piegar oncia a dietro.

 

14

L'uno e l'altro cavallo in guisa urtosse,

che gli fu forza in terra a por le groppe.

Baiardo immantinente ridrizzosse,

tanto ch'a pena il correre interroppe.

Sinistramente sì; l'altro percosse,

che la spalla e la schena insieme roppe.

Il cavallier che 'l destrier morto vede,

lascia le staffe ed è; subito in piede.

 

15

Ed al figlio d'Amon, che già; rivolto

tornava a lui con la man vota, disse:

- Signore, il buon destrier che tu m'hai tolto,

perché; caro mi fu mentre che visse,

mi faria uscir del mio debito molto,

se così; invendicato si morisse:

sì; che vientene, e fa ciò; che tu puoi,

perché; battaglia esser convien tra noi. -

 

16

Disse Rinaldo a lui: - Se 'l destrier morto,

e non altro ci de' porre a battaglia,

un de' miei ti darò;, piglia conforto,

che men del tuo non crederò; che vaglia. -

Colui soggiunse: - Tu sei malaccorto,

se creder vuoi che d'un destrier mi caglia.

Ma poi che non comprendi ciò; ch'io voglio,

ti spiegherò; più; chiaramente il foglio.

 

17

Vo' dir che mi parria commetter fallo,

se con la spada non ti provassi anco,

e non sapessi s'in quest'altro ballo

tu mi sia pari, o se più; vali o manco.

Come ti piace, o scendi, o sta a cavallo:

pur che le man tu non ti tegna al fianco,

io son contento ogni vantaggio darti:

tanto alla spada bramo di provarti. -

 

18

Rinaldo molto non lo tenne in lunga,

e disse: - La battaglia ti prometto;

e perché; tu sia ardito, e non ti punga

di questi c'ho d'intorno alcun sospetto,

andranno inanzi fin ch'io gli raggiunga;

né; meco resterà; fuor ch'un valletto

che mi tenga il cavallo: - e così; disse

alla sua compagnia che se ne gisse.

 

19

La cortesia del paladin gagliardo

commendò; molto il cavalliero estrano.

Smontò; Rinaldo, e del destrier Baiardo

diede al valletto le redine in mano:

e poi che più; non vede il suo stendardo,

il qual di lungo spazio è; già; lontano,

lo scudo imbraccia e stringe il brando fiero,

e sfida alla battaglia il cavalliero.

 

20

E quivi s'incomincia una battaglia

di ch'altra mai non fu più; fiera in vista.

Non crede l'un che tanto l'altro vaglia,

che troppo lungamente gli resista.

Ma poi che 'l paragon ben gli ragguaglia,

né; l'un de l'altro più; s'allegra o attrista,

pongon l'orgoglio ed il furor da parte,

ed al vantaggio loro usano ogn'arte.

 

21

S'odon lor colpi dispietati e crudi

intorno rimbombar con suono orrendo,

ora i canti levando a' grossi scudi,

schiodando or piastre, e quando maglie aprendo.

Né; qui bisogna tanto che si studi

a ben ferir, quanto a parar, volendo

star l'uno a l'altro par; ch'eterno danno

lor può; causar il primo error che fanno.

 

22

Durò; l'assalto un'ora e più; che 'l mezzo

d'un'altra; ed era il sol già; sotto l'onde,

ed era sparso il tenebroso rezzo

de l'orizzon fin all'estreme sponde;

né; riposato o fatto altro intermezzo

aveano alle percosse furibonde

questi guerrier, che non ira o rancore,

ma tratto all'arme avea disio d'onore.

 

23

Rivolve tuttavia tra sé; Rinaldo

chi sia l'estrano cavallier sì; forte,

che non pur gli sta contra ardito e saldo,

ma spesso il mena a risco de la morte;

e già; tanto travaglio e tanto caldo

gli ha posto, che del fin dubita forte:

e volentier, se con suo onor potesse,

vorria che quella pugna rimanesse.

 

24

Da l'altra parte il cavallier estrano,

che similmente non avea notizia

che quel fosse il signor di Montalbano,

quel sì; famoso in tutta la milizia,

che gli avea incontra con la spada in mano

condotto così; poca nimicizia,

era certo che d'uom di più; eccellenza

non potesson dar l'arme esperienza.

 

25

Vorrebbe de l'impresa esser digiuno,

ch'avea di vendicare il suo cavallo;

e se potesse senza biasmo alcuno,

si trarria fuor del periglioso ballo.

Il mondo era già; tanto oscuro e bruno,

che tutti i colpi quasi ivano in fallo.

Poco ferire e men parar sapeano,

ch'a pena in man le spade si vedeano.

 

26

Fu quel da Montalbano il primo a dire

che far battaglia non denno allo scuro,

ma quella indugiar tanto e differire,

ch'avesse dato volta il pigro Arturo;

e che può; intanto al padiglion venire,

ove di sé; non sarà; men sicuro,

ma servito, onorato e ben veduto,

quanto in loco ove mai fosse venuto.

 

27

Non bisognò; a Rinaldo pregar molto,

che 'l cortese baron tenne lo 'nvito.

Ne vanno insieme ove il drappel raccolto

di Montalbano era in sicuro sito.

Rinaldo al suo scudiero avea già; tolto

un bel cavallo e molto ben guernito,

a spada e a lancia e ad ogni prova buono,

ed a quel cavallier fattone dono.

 

28

Il guerrier peregrin conobbe quello

esser Rinaldo, che venì;a con esso;

che prima che giungessero all'ostello,

venuto a caso era a nomar se stesso:

e perché; l'un de l'altro era fratello,

si sentì;r dentro di dolcezza oppresso,

e di pietoso affetto tocco il core;

e lacrimar per gaudio e per amore.

 

29

Questo guerriero era Guidon selvaggio,

che dianzi con Marfisa e Sansonetto

e' figli d'Olivier molto viaggio

avea fatto per mar, come v'ho detto.

Di non veder più; tosto il suo lignaggio

il fellon Pinabel gli avea interdetto,

avendol preso e a bada poi tenuto

alla difesa del suo rio statuto.

 

30

Guidon, che questo esser Rinaldo udio,

famoso sopra ogni famoso duce,

ch'avuto avea più; di veder disio,

che non ha il cieco la perduta luce,

con molto gaudio disse: - O signor mio,

qual fortuna a combatter mi conduce

con voi, che lungamente ho amato ed amo,

e sopra tutto il mondo onorar bramo?

 

31

Mi partorì; Costanza ne le estreme

ripe del mar Eusino: io son Guidone,

concetto de lo illustre inclito seme,

come ancor voi, del generoso Amone.

Di voi vedere e gli altri nostri insieme

il desiderio è; del venir cagione;

e dove mia intenzion fu d'onorarvi,

mi veggo esser venuto a ingiuriarvi.

 

32

Ma scusimi apo voi d'un error tanto,

ch'io non ho voi né; gli altri conosciuto;

e s'emendar si può;, ditemi quanto

far debbo, ch'in ciò; far nulla rifiuto. -

Poi che si fu da questo e da quel canto

de' complessi iterati al fin venuto,

rispose a lui Rinaldo: - Non vi caglia

meco scusarvi più; de la battaglia:

 

33

che per certificarne che voi sè;te

di nostra antiqua stirpe un vero ramo,

dar miglior testimonio non potete,

che 'l gran valor ch'in voi chiaro proviamo.

Se più; pacifiche erano e quiete

vostre maniere, mal vi credevamo;

che la damma non genera il leone,

né; le colombe l'aquila o il falcone. -

 

34

Non, per andar, di ragionar lasciando,

non di seguir, per ragionar, lor via,

vennero ai padiglioni; ove narrando

il buon Rinaldo alla sua compagnia

che questo era Guidon, che disiando

veder, tanto aspettato aveano pria,

molto gaudio apportò; ne le sue squadre;

e parve a tutti assimigliarsi al padre.

 

35

Non dirò; l'accoglienze che gli fero

Alardo, Ricciardetto e gli altri dui;

che gli fece Viviano ed Aldigiero,

e Malagigi, frati e cugin sui;

ch'ogni signor gli fece e cavalliero;

ciò; ch'egli disse a loro, ed essi a lui:

ma vi concluderò; che finalmente

fu ben veduto da tutta la gente.

 

36

Caro Guidone a' suoi fratelli stato

credo sarebbe in ogni tempo assai;

ma lor fu al gran bisogno ora più; grato,

ch'esser potesse in altro tempo mai.

Poscia che 'l nuovo sole incoronato

del mare uscì; di luminosi rai,

Guidon coi frati e coi parenti in schiera

se ne tornò; sotto la lor bandiera.

 

37

Tanto un giorno ed un altro se n'andaro,

che di Parigi alle assediate porte

a men di dieci miglia s'accostaro

in ripa a Senna; ove per buona sorte

Grifone ed Aquilante ritrovaro,

i duo guerrier da l'armatura forte:

Grifone il bianco ed Aquilante il nero,

che partorì; Gismonda d'Oliviero.

 

38

Con essi ragionava una donzella,

non già; di vil condizione in vista,

che di sciamito bianco la gonnella

fregiata intorno avea d'aurata lista;

molto leggiadra in apparenza e bella,

fosse quantunque lacrimosa e trista:

e mostrava ne' gesti e nel sembiante

di cosa ragionar molto importante.

 

39

Conobbe i cavallier, come essi lui,

Guidon, che fu con lor pochi dì; inanzi;

ed a Rinaldo disse: - Eccovi dui

a cui van pochi di valore inanzi;

e se per Carlo ne verran con nui,

non ne staranno i Saracini inanzi. -

Rinaldo di Guidon conferma il detto,

che l'uno e l'altro era guerrier perfetto.

 

40

Gli avea riconosciuti egli non manco;

però; che quelli sempre erano usati,

l'un tutto nero, e l'altro tutto bianco

vestir su l'arme, e molto andare ornati.

Da l'altra parte essi conobbero anco

e salutar Guidon, Rinaldo e i frati;

ed abbracciar Rinaldo come amico,

messo da parte ogni lor odio antico.

 

41

S'ebbero un tempo in urta e in gran dispetto

per Truffaldin, che fôra lungo a dire;

ma quivi insieme con fraterno affetto

s'accarezzar, tutte obliando l'ire.

Rinaldo poi si volse a Sansonetto,

ch'era tardato un poco più; a venire,

e lo raccolse col debito onore,

a pieno istrutto del suo gran valore.

 

42

Tosto che la donzella più; vicino

vide Rinaldo, e conosciuto l'ebbe

(ch'avea notizia d'ogni paladino),

gli disse una novella che gl'increbbe;

e cominciò;: - Signore, il tuo cugino,

a cui la Chiesa e l'alto Imperio debbe,

quel già; sì; saggio ed onorato Orlando,

è; fatto stolto, e va pel mondo errando.

 

43

Onde causato così; strano e rio

accidente gli sia, non so narrarte.

La sua spada e l'altr'arme ho vedute io,

che per li campi avea gittate e sparte;

e vidi un cavallier cortese e pio

che le andò; raccogliendo da ogni parte,

e poi di tutte quelle un arbuscello

fe', a guisa di trofeo, pomposo e bello.

 

44

Ma la spada ne fu tosto levata

dal figliuol d'Agricane il dì; medesmo.

Tu pò;i considerar quanto sia stata

gran perdita alla gente del battesmo

l'essere un'altra volta ritornata

Durindana in poter del paganesmo.

Né; Brigliadoro men, ch'errava sciolto

intorno all'arme, fu dal pagan tolto.

 

45

Son pochi dì; ch'Orlando correr vidi

senza vergogna e senza senno, ignudo,

con urli spaventevoli e con gridi:

ch'è; fatto pazzo in somma ti conchiudo;

e non avrei, fuor ch'a questi occhi fidi,

creduto mai sì; acerbo caso e crudo. -

Poi narrò; che lo vide giù; dal ponte

abbracciato cader con Rodomonte.

 

46

- A qualunque io non creda esser nimico

d'Orlando (soggiungea) di ciò; favello,

acciò; ch'alcun di tanti a ch'io lo dico,

mosso a pietà; del caso strano e fello,

cerchi o a Parigi o in altro luogo amico

ridurlo, fin che si purghi il cervello.

Ben so, se Brandimarte n'avrà; nuova,

sarà; per farne ogni possibil prova. -

 

47

Era costei la bella Fiordiligi,

più; cara a Brandimarte che se stesso,

la qual, per lui trovar, venì;a a Parigi:

e de la spada ella suggiunse appresso,

che discordia e contesa e gran litigi

tra il Sericano e l' Tartaro avea messo;

e ch'avuta l'avea, poi fu casso,

di vita Mandricardo, al fin Gradasso.

 

48

Di così; strano e misero accidente

Rinaldo senza fin si lagna e duole;

né; il core intenerir men se ne sente,

che soglia intenerirsi il ghiaccio al sole:

e con disposta ed immutabil mente,

ovunque Orlando sia, cercar lo vuole,

con speme, poi che ritrovato l'abbia,

di farlo risanar di quella rabbia.

 

49

Ma già; lo stuolo avendo fatto unire,

sia volontà; del cielo o sia aventura,

vuol fare i Saracin prima fuggire,

e liberar le parigine mura.

Ma consiglia l'assalto differire,

che vi par gran vantaggio, a notte scura,

ne la terza vigilia o ne la quarta,

ch'avrà; l'acqua di Lete il Sonno sparta.

 

50

Tutta la gente alloggiar fece al bosco,

e quivi la posò; per tutto 'l giorno;

ma poi che 'l sol, lasciando il mondo fosco,

alla nutrice antiqua fe' ritorno,

ed orsi e capre e serpi senza tosco

e l'altre fere ebbeno il cielo adorno,

che state erano ascose al maggior lampo,

mosse Rinaldo il taciturno campo:

 

51

e venne con Grifon, con Aquilante,

con Vivian, con Alardo e con Guidone,

con Sansonetto, agli altri un miglio inante,

a cheti passi e senza alcun sermone.

Trovò; dormir l'ascolta d'Agramante:

tutta l'uccise, e non ne fe' un prigione.

Indi arrivò; tra l'altra gente Mora,

che non fu visto né; sentito ancora.

 

52

Del campo d'infedeli a prima giunta

la ritrovata guardia all'improviso

lasciò; Rinaldo sì; rotta e consunta,

ch'un sol non ne restò;, se non ucciso.

Spezzata che lor fu la prima punta,

i Saracin non l'avean più; da riso,

che sonnolenti, timidi ed inermi,

poteano a tai guerrier far pochi schermi.

 

53

Fece Rinaldo per maggior spavento

dei Saracini, al mover de l'assalto,

a trombe e a corni dar subito vento,

e, gridando, il suo nome alzar in alto.

Spinse Baiardo, e quel non parve lento;

che dentro all'alte sbarre entrò; d'un salto,

e versò; cavallier, pestò; pedoni,

ed atterrò; trabacche e padiglioni.

 

54

Non fu sì; ardito tra il popul pagano,

a cui non s'arricciassero le chiome,

quando sentì; Rinaldo e Montalbano

sonar per l'aria, il formidato nome.

Fugge col campo d'Africa l'ispano,

né; perde tempo a caricar le some;

ch'aspettar quella furia più; non vuole,

ch'aver provata anco si piagne e duole.

 

55

Guidon lo segue, e non fa men di lui;

né; men fanno i duo figli d'Oliviero,

Alardo e Ricciardetto, e gli altri dui:

col brando Sansonetto apre il sentiero:

Aldigiero e Vivian provar altrui

fan quanto in arme l'uno e l'altro è; fiero.

Così; fa ognun che segue lo stendardo

di Chiaramonte, da guerrier gagliardo.

 

56

Settecento con lui tenea Rinaldo

in Montalbano e intorno a quelle ville,

usati a portar l'arme al freddo e al caldo,

non già; più; rei dei Mirmidon d'Achille.

Ciascun d'essi al bisogno era sì; saldo,

che cento insieme non fuggian per mille;

e se ne potean molti sceglier fuori,

che d'alcun dei famosi eran migliori.

 

57

E se Rinaldo ben non era molto

ricco né; di città; né; di tesoro,

facea sì; con parole e con buon volto,

e ciò; ch'avea partendo ognor con loro,

ch'un di quel numer mai non gli fu tolto

per offerire altrui più; somma d'oro.

Questi da Montalban mai non rimuove,

se non lo stringe un gran bisogno altrove.

 

58

Ed or, perch'abbia il Magno Carlo aiuto,

lasciò; con poca guardia il suo castello.

Tra gli African questo drappel venuto,

questo drappel del cui valor favello,

ne fece quel che del gregge lanuto

sul falanteo Galeso il lupo fello,

o quel che soglia, del barbato, appresso

il barbaro Cinifio, il leon spesso.

 

59

Carlo, ch'aviso da Rinaldo avuto

avea che presso era a Parigi giunto,

e che la notte il campo sproveduto

volea assalir, stato era in arme e in punto;

e quando bisognò;, venne in aiuto

coi paladini; e ai paladini aggiunto

avea il figliol del ricco Monodante,

di Fiordiligi il fido e saggio amante;

 

60

ch'ella più; giorni per sì; lunga via

cercato avea per tutta Francia invano.

Quivi all'insegne che portar solia,

fu da lei conosciuto di lontano.

Come lei Brandimarte vide pria,

lasciò; la guerra, e tornò; tutto umano,

e corse ad abbracciarla; e d'amor pieno,

mille volte baciolla o poco meno.

 

61

De le lor donne e de le lor donzelle

si fidar molto a quella antica etade.

Senz'altra scorta andar lasciano quelle

per piani e monti e per strane contrade;

ed al ritorno l'han per buone e belle,

né; mai tra lor suspizione accade.

Fiordiligi narrò; quivi al suo amante,

che fatto stolto era il signor d'Anglante.

 

62

Brandimarte sì; strana e ria novella

credere ad altri a pena avria potuto;

ma lo credette a Fiordiligi bella,

a cui già; maggior cose avea creduto.

Non pur d'averlo udito gli dice ella,

ma che con gli occhi propri l'ha veduto

(c'ha conoscenza e pratica d'Orlando,

quanto alcun altro), e dice dove e quando

 

63

E gli narra del ponte periglioso,

che Rodomonte ai cavallier difende,

ove un sepolcro adorna e fa pomposo

di sopraveste e d'arme di chi prende.

Narra c'ha visto Orlando furioso

far cose quivi orribili e stupende;

che nel fiume il pagan mandò; riverso,

con gran periglio di restar summerso.

 

64

Brandimarte, che 'l conte amava quanto

si può; compagno amar, fratello o figlio,

disposto di cercarlo, e di far tanto,

non ricusando affanno né; periglio,

che per opra di medico o d'incanto

si ponga a quel furor qualche consiglio,

così; come trovossi armato in sella,

si mise in via con la sua donna bella.

 

65

Verso la parte ove la donna il conte

avea veduto, il lor camin drizzaro,

di giornata in giornata, fin ch'al ponte

che guarda il re d'Algier, si ritrovaro.

La guardia ne fe' segno a Rodomonte;

e gli scudieri a un tempo gli arrecaro

l'arme e il cavallo: e quel si trovò; in punto,

quando fu Brandimarte al passo giunto.

 

66

Con voce qual conviene al suo furore

il Saracino a Brandimarte grida:

- Qualunque tu ti sia, che, per errore

di via o di mente, qui tua sorte guida,

scendi e spogliati l'arme, e fanne onore

al gran sepolcro, inanzi ch'io t'uccida,

e che vittima all'ombre tu sia offerto:

ch'io 'l farò; poi, né; te n'avrò; alcun merto. -

 

67

Non volse Brandimarte a quell'altiero

altra risposta dar, che de la lancia.

Sprona Batoldo, il suo gentil destriero,

e inverso quel con tanto ardir si lancia,

che mostra che può; star d'animo fiero

con qual si voglia al mondo alla bilancia:

e Rodomonte, con la lancia in resta,

lo stretto ponte a tutta briglia pesta.

 

68

Il suo destrier ch'avea continuo uso

d'andarvi sopra, e far di quel sovente

quando uno e quando un altro cader giuso,

alla giostra correa sicuramente;

l'altro, del corso insolito confuso,

venì;a dubbioso, timido e tremente.

Trema anco il ponte, e par cader ne l'onda,

oltre che stretto e che sia senza sponda.

 

69

I cavallier, di giostra ambi maestri,

che le lance avean grosse come travi,

tali qual fur nei lor ceppi silvestri,

si dieron colpi non troppo soavi.

Ai lor cavalli esser possenti e destri

non giovò; molto agli aspri colpi e gravi;

che si versar di pari ambi sul ponte,

e seco i signor lor tutti in un monte.

 

70

Nel volersi levar con quella fretta

che lo spronar de' fianchi insta e richiede,

l'asse del ponticel lor fu sì; stretta,

che non trovaro ove fermare il piede;

sì; che una sorte uguale ambi li getta

ne l'acqua; e gran rimbombo al ciel ne riede,

simile a quel ch'uscì; del nostro fiume,

quando ci cadde il mal rettor del lume.

 

71

I duo cavalli con tutto 'l pondo

dei cavallier, che steron fermi in sella,

a cercar la rivera insin al fondo,

se v'era ascosa alcuna ninfa bella.

Non è; già; il primo salto né; 'l secondo,

che giù; del ponte abbia il pagano in quella

onda spiccato col destrero audace;

però; sa ben come quel fondo giace:

 

72

sa dove è; saldo e sa dove è; più; molle,

sa dove è; l'acqua bassa e dove è; l'alta.

Dal fiume il capo e il petto e i fianchi estolle,

e Brandimarte a gran vantaggio assalta.

Brandimarte il corrente in giro tolle:

ne la sabbia il destrier, che 'l fondo smalta,

tutto si ficca, e non può; riaversi,

con rischio di restarvi ambi sommersi.

 

73

L'onda si leva e li fa andar sozzopra,

e dove è; più; profonda li trasporta:

va Brandimarte sotto, e 'l destrier sopra.

Fiordiligi dal ponte afflitta e smorta

e le lacrime e i voti e i prieghi adopra:

- Ah Rodomonte, per colei che morta

tu riverisci, non esser sì; fiero,

ch'affogar lasci un tanto cavalliero!

 

74

Deh, cortese signor, s'unque tu amasti,

di me, ch'amo costui, pietà; ti vegna.

Di farlo tuo prigion, per Dio, ti basti;

che s'orni il sasso tuo di quella insegna,

di quante spoglie mai tu gli arrecasti,

questa fia la più; bella e la più; degna. -

E seppe sì; ben dir, ch'ancor che fosse

sì; crudo il re pagan, pur lo commosse;

 

75

e fe' che 'l suo amator ratto soccorse,

che sotto acqua il destrier tenea sepolto,

e de la vita era venuto in forse,

e senza sete avea bevuto molto.

Ma aiuto non però; prima gli porse,

che gli ebbe il brando e dipoi l'elmo tolto.

De l'acqua mezzo morto il trasse, e porre

con molti altri lo fe' ne la sua torre.

 

76

Fu ne la donna ogni allegrezza spenta,

quando prigion vide il suo amante gire;

ma di questo pur meglio si contenta,

che di vederlo nel fiume perire.

Di se stessa, e non d'altri, si lamenta,

che fu cagion di farlo ivi venire,

per averli narrato ch'avea il conte

riconosciuto al periglioso ponte.

 

77

Quindi si parte, avendo già; concetto

di menarvi Rinaldo paladino,

o il Selvaggio Guidone, o Sansonetto,

o altri de la corte di Pipino,

in acqua e in terra cavallier perfetto

da poter contrastar col Saracino;

se non più; forte, almen più; fortunato

che Brandimarte suo non era stato.

 

78

Va molti giorni, prima che s'abbatta

in alcun cavallier ch'abbia sembiante

d'esser come lo vuol, perché; combatta

col Saracino e liberi il suo amante.

Dopo molto cercar di persona atta

al suo bisogno, un le vien pur avante,

che sopravesta avea ricca ed ornata,

a tronchi di cipressi ricamata.

 

79

Chi costui fosse, altrove ho da narrarvi;

che prima ritornar voglio a Parigi,

e de la gran sconfitta seguitarvi,

ch'a' Mori diè; Rinaldo e Malagigi.

Quei che fuggiro io non saprei contarvi,

né; quei che fur cacciati ai fiumi stigi.

Levò; a Turpino il conto l'aria oscura,

che di contarli s'avea preso cura.

 

80

Nel primo sonno dentro al padiglione

dormia Agramante; e un cavallier lo desta,

dicendogli che fia fatto prigione,

se la fuga non è; via più; che presta.

Guarda il re intorno, e la confusione

vede dei suoi, che van senza far testa

chi qua chi là; fuggendo inermi e nudi,

che non han tempo di pur tor gli scudi.

 

81

Tutto confuso e privo di consiglio

si facea porre indosso la corazza,

quando con Falsiron vi giunse il figlio,

Grandonio e Balugante e quella razza;

e al re Agramante mostrano il periglio

di restar morto o preso in quella piazza:

e che può; dir, se salva la persona,

che Fortuna gli sia propizia e buona.

 

82

Così; Marsilio e così; il buon Sobrino,

e così; dicon gli altri ad una voce,

ch'a sua distruzion tanto è; vicino,

quanto a Rinaldo il qual ne vien veloce;

che s'aspetta che giunga il paladino

con tanta gente, e un uom tanto feroce,

render certo si può; ch'egli e i suo' amici

rimarran morti, o in man degli nimici.

 

83

Ma ridur si può; in Arli o sia in Narbona

con quella poca gente c'ha d'intorno;

che l'una e l'altra terra è; forte e buona

da mantener la guerra più; d'un giorno:

e quando salva sia la sua persona,

si potrà; vendicar di questo scorno,

rifacendo l'esercito in un tratto,

onde al fin Carlo ne sarà; disfatto.

 

84

Il re Agramante al parer lor s'attenne,

ben che 'l partito fosse acerbo e duro.

Andò; verso Arli, e parve aver le penne,

per quel camin che più; trovò; sicuro.

Oltre alle guide, in gran favor gli venne

che la partita fu per l'aer scuro.

Ventimila tra d'Africa e di Spagna

fur, ch'a Rinaldo uscir fuor de la ragna.

 

85

Quei ch'egli uccise e quei che i suoi fratelli,

quei che i duo figli del signor di Vienna,

quei che provaro empi nimici e felli

i settecento a cui Rinaldo accenna,

e quei che spense Sansonetto, e quelli

che ne la fuga s'affogaro in Senna,

chi potesse contar, conteria ancora

ciò; che sparge d'april Favonio e Flora.

 

86

Istima alcun che Malagigi parte

ne la vittoria avesse de la notte;

non che di sangue le campagne sparte

fosser per lui, né; per lui teste rotte:

ma che gl'infernali angeli per arte

facesse uscir da le tartaree grotte,

e con tante bandiere e tante lance,

ch'insieme più; non ne porrian due France;

 

87

e che facesse udir tanti metalli,

tanti tamburi e tanti varii suoni,

tanti anitriri in voce di cavalli,

tanti gridi e tumulti di pedoni,

che risonare e piani e monti e valli

dovean de le longique regioni:

ed ai Mori con questo un timor diede,

che li fece voltare in fuga il piede.

 

88

Non si scordò; il re d'Africa Ruggiero,

ch'era ferito e stava ancora grave.

Quanto poté; più; acconcio s'un destriero

lo fece por, ch'avea l'andar soave;

e poi che l'ebbe tratto ove il sentiero

fu più; sicuro, il fe' posar in nave,

e verso Arli portar commodamente,

dove s'avea a raccor tutta la gente.

 

89

Quei ch'a Rinaldo e a Carlo dier le spalle

(fur, credo, centomila o poco manco),

per campagne, per boschi e monte e valle

cercaro uscir di man del popul franco;

ma la più; parte trovò; chiuso il calle,

e fece rosso ov'era verde e bianco.

Così; non fece il re di Sericana,

ch'avea da lor la tenda più; lontana:

 

90

anzi, come egli sente che 'l signore

di Montalbano è; questo che gli assalta,

gioisce di tal iubilo nel core,

che qua e là; per allegrezza salta.

Loda e ringrazia il suo sommo Fattore,

che quella notte gli occorra tant'alta

e sì; rara aventura d'acquistare

Baiardo, quel destrier che non ha pare.

 

91

Avea quel re gran tempo desiato

(credo ch'altrove voi l'abbiate letto)

d'aver la buona Durindana a lato,

e cavalcar quel corridor perfetto.

E già; con più; di centomila armato

era venuto in Francia a questo effetto;

e con Rinaldo già; sfidato s'era

per quel cavallo alla battaglia fiera;

 

92

e sul lito del mar s'era condutto

ove dovea la pugna diffinire:

ma Malagigi a turbar venne il tutto,

che fe' il cugin, mal grado suo, partire,

avendol sopra un legno in mar ridutto.

Lungo saria tutta l'istoria dire.

Da indi in qua stimò; timido e vile

sempre Gradasso il paladin gentile.

 

93

Or che Gradasso esser Rinaldo intende

costui ch'assale il campo, se n'allegra.

Si veste l'arme, e la sua alfana prende,

e cercando lo va per l'aria negra:

e quanti ne riscontra, a terra stende;

ed in confuso lascia afflitta ed egra

la gente, o sia di Libia o sia di Francia:

tutti li mena a un par la buona lancia.

 

94

Lo va di qua di là; tanto cercando,

chiamando spesso e quanto può; più; forte,

e sempre a quella parte declinando,

ove più; folte son le genti morte,

ch'al fin s'incontra in lui brando per brando

poi che le lance loro ad una sorte

eran salite in mille schegge rotte

sin al carro stellato de la Notte.

 

95

Quando Gradasso il paladin gagliardo

conosce, e non perché; ne vegga insegna,

ma per gli orrendi colpi e per Baiardo,

che par che sol tutto quel campo tegna;

non è;, gridando, a improverargli tardo

la prova che di sé; fece non degna:

ch'al dato campo il giorno non comparse,

che tra lor la battaglia dovea farse.

 

96

Suggiunse poi: - Tu forse avevi speme,

se potevi nasconderti quel punto,

che non mai più; per raccozzarci insieme

fossimo al mondo: or vedi ch'io t'ho giunto.

Sie certo, se tu andassi ne l'estreme

fosse di Stige, o fossi in cielo assunto,

ti seguirò;, quando abbi il destrier teco,

ne l'alta luce e giù; nel mondo cieco.

 

97

Se d'aver meco a far non ti dà; il core,

e vedi già; che non puoi starmi a paro,

e più; stimi la vita che l'onore,

senza periglio ci puoi far riparo,

quando mi lasci in pace il corridore;

e viver puoi, se sì; t'è; il viver caro:

ma vivi a piè;, che non merti cavallo,

s'alla cavalleria fai sì; gran fallo. -

 

98

A quel parlar si ritrovò; presente

con Ricciardetto il cavallier Selvaggio;

e le Spade ambi trassero ugualmente,

per far parere il Serican mal saggio.

Ma Rinaldo s'oppose immantinente,

e non patì; che se gli fêsse oltraggio,

dicendo: - Senza voi dunque non sono

a chi m'oltraggia per risponder buono? -

 

99

Poi se ne ritornò; verso il pagano,

e disse: - Odi, Gradasso; io voglio farte,

e tu m'ascolti, manifesto e piano

ch'io venni alla marina a ritrovarte:

e poi ti sosterrò; con l'arme in mano,

che t'avrò; detto il vero in ogni parte;

e sempre che tu dica mentirai,

ch'alla cavalleria mancass'io mai.

 

100

Ma ben ti priego che prima che sia

pugna tra noi, che pianamente intenda

la giustissima e vera scusa mia,

acciò; ch'a torto più; non mi riprenda;

e poi Baiardo al termine di pria

tra noi vorrò; ch'a piedi si contenda

da solo a solo in solitario lato,

sì; come a punto fu da te ordinato. -

 

101

Era cortese il re di Sericana,

come ogni cor magnanimo esser suole;

ed è; contento udir la cosa piana,

e come il paladin scusar si vuole.

Con lui ne viene in ripa alla fiumana,

ove Rinaldo in semplici parole

alla sua vera istoria trasse il velo,

e chiamò; in testimonio tutto 'l cielo:

 

102

e poi chiamar fece il figliuol di Buovo,

l'uom che di questo era informato a pieno,

ch'a parte a parte replicò; di nuovo

l'incanto suo, né; disse più; né; meno.

Soggiunse poi Rinaldo: - Ciò; ch'io provo

col testimonio, io vo' che l'arme sieno,

che ora e in ogni tempo che ti piace,

te n'abbiano a far prova più; verace. -

 

103

Il re Gradasso, che lasciar non volle

per la seconda la querela prima,

le scuse di Rinaldo in pace tolle,

ma se son vere o false in dubbio stima.

Non tolgon campo più; sul lito molle

di Barcelona, ove lo tolser prima;

ma s'accordaro per l'altra matina

trovarsi a una fontana indi vicina:

 

104

ove Rinaldo seco abbia il cavallo,

che posto sia communemente in mezzo:

se 'l re uccide Rinaldo o il fa vassallo,

se ne pigli il destrier senz'altro mezzo,

ma se Gradasso è; quel che faccia fallo,

che sia condotto all'ultimo ribrezzo,

o, per più; non poter, che gli si renda,

da lui Rinaldo Durindana prenda.

 

105

Con maraviglia molta e più; dolore

(come v'ho detto) avea Rinaldo udito

da Fiordiligi bella, ch'era fuore

de l'intelletto il suo cugino uscito.

Avea de l'arme inteso anco il tenore,

e del litigio che n'era seguito;

e ch'in somma Gradasso avea quel brando

ch'ornò; di mille e mille palme Orlando.

 

106

Poi che furon d'accordo, ritornosse

il re Gradasso ai servitori sui

ben che dal paladin pregato fosse

che ne venisse ad alloggiar con lui.

Come fu giorno, il re pagano armosse;

così; Rinaldo: e giunsero ambedui

ove dovea non lungi alla fontana

combattersi Baiardo e Durindana.

 

107

De la battaglia che Rinaldo avere

con Gradasso dovea da solo a solo,

parean gli amici suoi tutti temere,

e inanzi il caso ne faceano il duolo.

Molto ardir, molta forza, alto sapere

avea Gradasso; ed or che del figliuolo

del gran Milone avea la spada al fianco,

di timor per Rinaldo era ognun bianco.

 

108

E più; degli altri il frate di Viviano

stava di questa pugna in dubbio e in tema,

ed anco volentier vi porria mano

per farla rimaner d'effetto scema:

ma non vorria che quel da Montalbano

seco venisse a inimicizia estrema;

ch'anco avea di quell'altra seco sdegno,

che gli turbò;, quando il levò; sul legno.

 

109

Ma stiano gli altri in dubbio, in tema, in doglia:

Rinaldo se ne va lieto e sicuro,

sperando ch'ora il biasmo se gli toglia,

ch'avere a torto gli parea pur duro;

sì; che quei da Pontieri e d'Altafoglia

faccia cheti restar, come mai furo.

Va con baldanza e sicurtà; di core

di riportarne il trionfale onore.

 

110

Poi che l'un quinci e l'altro quindi giunto

fu quasi a un tempo in su la chiara fonte,

s'accarezzaro, e fero a punto a punto

così; serena ed amichevol fronte,

come di sangue e d'amistà; congiunto

fosse Gradasso a quel di Chiaramonte.

Ma come poi s'andassero a ferire,

vi voglio a un'altra volta differire.

 

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CANTO TRENTADUESIMO

 

 

1

Soviemmi che cantar io vi dovea

(già; lo promisi, e poi m'uscì; di mente)

d'una sospizion che fatto avea

la bella donna di Ruggier dolente,

de l'altra più; spiacevole e più; rea,

e di più; acuto e venenoso dente,

che per quel ch'ella udì; da Ricciardetto,

a devorare il cor l'entrò; nel petto.

 

2

Dovea cantarne, ed altro incominciai,

perché; Rinaldo in mezzo sopravenne;

e poi Guidon mi diè; che fare assai,

che tra camino a bada un pezzo il tenne.

D'una cosa in un'altra in modo entrai,

che mal di Bradamante mi sovenne:

sovienmene ora, e vo' narrarne inanti

che di Rinaldo e di Gradasso io canti.

 

3

Ma bisogna anco, prima ch'io ne parli,

che d'Agramante io vi ragioni un poco,

ch'avea ridutte le reliquie in Arli,

che gli restar del gran notturno fuoco,

quando a raccor lo sparso campo e a darli

soccorso e vettovaglie era atto il loco:

l'Africa incontra, e la Spagna ha vicina,

ed è; in sul fiume assiso alla marina.

 

4

Per tutto 'l regno fa scriver Marsilio

gente a piedi e a cavallo, e trista e buona.

Per forza e per amore ogni navilio

atto a battaglia s'arma in Barcelona.

Agramante ogni dì; chiama a concilio;

né; a spesa né; a fatica si perdona.

Intanto gravi esazioni e spesse

tutte hanno le città; d'Africa oppresse.

 

5

Egli ha fatto offerire a Rodomonte,

perché; ritorni (ed impetrar nol puote),

una cugina sua, figlia d'Almonte,

e 'l bel regno d'Oran dargli per dote.

Non si volse l'altier muover dal ponte,

ove tant'arme e tante selle vote

di quei che son già; capitati al passo

ha ragunate, che ne cuopre il sasso.

 

6

Già; non volse Marfisa imitar l'atto

di Rodomonte: anzi com'ella intese

ch'Agramante da Carlo era disfatto,

sue genti morte, saccheggiate e prese,

e che con pochi in Arli era ritratto,

senza aspettare invito, il camin prese:

venne in aiuto de la sua corona,

e l'aver gli proferse e la persona.

 

7

E gli menò; Brunello, e gli ne fece

libero dono, il qual non avea offeso:

l'avea tenuto dieci giorni e diece

notti sempre in timor d'essere appeso;

e poi che né; con forza né; con prece

da nessun vide il patrocinio preso,

in sì; sprezzato sangue non si volse

bruttar l'altiere mani, e lo disciolse.

 

8

Tutte l'antique ingiurie gli remesse,

e seco in Arli ad Agramante il trasse.

Ben dovete pensar che gaudio avesse

il re di lei ch'ad aiutarlo andasse:

e del gran conto ch'egli ne facesse,

volse che Brunel prova le mostrasse;

che quel di ch'ella gli avea fatto cenno,

di volerlo impiccar, fe' da buon senno.

 

9

Il manigoldo, in loco inculto ed ermo,

pasto di corvi e d'avoltoi lasciollo.

Ruggier ch'un'altra volta gli fu schermo,

e che 'l laccio gli avria tolto dal collo,

la giustizia di Dio fa ch'ora infermo

s'è; ritrovato, ed aiutar non puollo:

e quando il seppe, era già; il fatto occorso;

sì; che restò; Brunel senza soccorso.

 

10

Intanto Bradamante iva accusando

che così; lunghi sian quei venti giorni,

li quai finiti, il termine era quando

a lei Ruggiero ed alla fede torni.

A chi aspetta di carcere o di bando

uscir, non par che 'l tempo più; soggiorni

a dargli libertade, o de l'amata

patria vista gioconda e disiata.

 

11

In quel duro aspettare ella talvolta

pensa ch'Eto e Pirò;o sia fatto zoppo;

o sia la ruota guasta, ch'a dar volta

le par che tardi, oltr'all'usato, troppo.

Più; lungo di quel giorno a cui, per molta

fede, nel cielo il giusto Ebreo fe' intoppo,

più; de la notte ch'Ercole produsse,

parea lei ch'ogni notte, ogni dì; fusse.

 

12

Oh quante volte da invidiar le diero

e gli orsi e i ghiri e i sonnacchiosi tassi!

che quel tempo voluto avrebbe intero

tutto dormir, che mai non si destassi;

né; potere altro udir, fin che Ruggiero

dal pigro sonno lei non richiamassi.

Ma non pur questo non può; far, ma ancora

non può; dormir di tutta notte un'ora.

 

13

Di qua di là; va le noiose piume

tutte premendo, e mai non si riposa.

Spesso aprir la finestra ha per costume,

per veder s'anco di Titon la sposa

sparge dinanzi al matutino lume

il bianco giglio e la vermiglia rosa:

non meno ancor, poi che nasciuto è; 'l giorno,

brama vedere il ciel di stelle adorno.

 

14

Poi che fu quattro o cinque giorni appresso

il termine a finir, piena di spene

stava aspettando d'ora in ora il messo

che le apportasse: - Ecco Ruggier che viene. -

Montava sopra un'alta torre spesso,

ch'i folti boschi e le campagne amene

scopria d'intorno, e parte de la via

onde di Francia a Montalban si gì;a.

 

15

Se di lontano o splendor d'arme vede,

o cosa tal ch'a cavallier simiglia,

che sia il suo disiato Ruggier crede,

e rasserena i begli occhi e le ciglia;

se disarmato o viandante a piede,

che sia messo di lui speranza piglia:

e se ben poi fallace la ritrova,

pigliar non cessa una ed un'altra nuova.

 

16

Credendolo incontrar, talora armossi,

scese dal monte e giù; calò; nel piano;

né; lo trovando, si sperò; che fossi

per altra strada giunto a Montalbano:

e col disir con ch'avea i piedi mossi

fuor del castel, ritornò; dentro invano.

Né; qua né; là; trovollo; e passò; intanto

il termine aspettato da lei tanto.

 

17

Il termine passò; d'uno, di dui,

di tre giorni, di sei, d'otto e di venti;

né; vedendo il suo sposo, né; di lui

sentendo nuova, incominciò; lamenti

ch'avrian mosso a pietà; nei regni bui

quelle Furie crinite di serpenti;

e fece oltraggio a' begli occhi divini,

al bianco petto, all'aurei crespi crini.

 

18

- Dunque fia ver (dicea) che mi convegna

cercare un che mi fugge e mi s'asconde?

Dunque debbo prezzare un che mi sdegna?

Debbo pregar chi mai non mi risponde?

Patirò; che chi m'odia, il cor mi tegna?

un che sì; stima sue virtù; profonde,

che bisogno sarà; che dal ciel scenda

immortal dea che 'l cor d'amor gli accenda.

 

19

Sa questo altier ch'io l'amo e ch'io l'adoro,

né; mi vuol per amante né; per serva.

Il crudel sa che per lui spasmo e moro,

e dopo morte a darmi aiuto serva.

E perché; io non gli narri il mio martoro

atto a piegar la sua voglia proterva,

da me s'asconde, come aspide suole,

che, per star empio, il canto udir non vuole.

 

20

Deh, ferma, Amor, costui che così; sciolto

dinanzi al lento mio correr s'affretta;

o tornami nel grado onde m'hai tolto

quando né; a te né; ad altri era suggetta!

Deh, come è; il mio sperar fallace e stolto,

ch'in te con prieghi mai pietà; si metta;

che ti diletti, anzi ti pasci e vivi

di trar dagli occhi lacrimosi rivi!

 

21

Ma di che debbo lamentarmi, ahi lassa

fuor che del mio desire irrazionale?

ch'alto mi leva, e sì; ne l'aria passa,

ch'arriva in parte ove s'abbrucia l'ale;

poi non potendo sostener, mi lassa

dal ciel cader: né; qui finisce il male;

che le rimette, e di nuovo arde: ond'io

non ho mai fine al precipizio mio.

 

22

Anzi via più; che del disir, mi deggio

di me doler, che sì; gli apersi il seno;

onde cacciata ha la ragion di seggio,

ed ogni mio poter può; di lui meno.

Quel mi trasporta ognor di male in peggio,

né; lo posso frenar, che non ha freno:

e mi fa certa che mi mena a morte,

perch'aspettando il mal noccia più; forte.

 

23

Deh perché; voglio anco di me dolermi?

Ch'error, se non d'amarti, unqua commessi?

Che maraviglia, se fragili e infermi

feminil sensi fur subito oppressi?

Perché; dovev'io usar ripari e schermi

che la somma beltà; non mi piacessi,

gli alti sembianti e le sagge parole?

Misero è; ben chi veder schiva il sole!

 

24

Ed oltre al mio destino, io ci fui spinta

da le parole altrui degne di fede:

somma felicità; mi fu dipinta,

ch'esser dovea di questo amor mercede.

Se la persuasione, ohimè;! fu finta,

se fu inganno il consiglio che mi diede

Merlin, posso di lui ben lamentarmi,

ma non d'amar Ruggier posso ritrarmi.

 

25

Di Merlin posso e di Melissa insieme

dolermi, e mi dorrò; d'essi in eterno,

che dimostrare i frutti del mio seme

mi fero dagli spirti de lo 'nferno,

per pormi sol con questa falsa speme

in servitù;; né; la cagion discerno,

se non ch'erano forse invidiosi

dei miei dolci, sicuri, almi riposi. -

 

26

Sì; l'occupa il dolor, che non avanza

loco ove in lei conforto abbia ricetto;

ma, mal grado di quel, vien la speranza

e vi vuole alloggiare in mezzo il petto,

rifrescandole pur la rimembranza

di quel ch'al suo partir l'ha Ruggier detto:

e vuol, contra il parer degli altri affetti,

che d'ora in ora il suo ritorno aspetti.

 

27

Questa speranza dunque la sostenne,

finito i venti giorni, un mese appresso;

sì; che il dolor sì; forte non le tenne,

come tenuto avria, l'animo oppresso.

Un dì; che per la strada se ne venne,

che per trovar Ruggier solea far spesso,

novella udì; la misera, ch'insieme

fe' dietro all'altro ben fuggir la speme.

 

28

Venne a incontrare un cavallier guascone

che dal campo african venì;a diritto,

ove era stato da quel dì; prigione,

che fu inanzi a Parigi il gran conflitto.

Da lei fu molto posto per ragione,

fin che si venne al termine prescritto.

Domandò; di Ruggiero, e in lui fermosse;

né; fuor di questo segno più; si mosse.

 

29

Il cavallier buon conto ne rendette,

che ben conoscea tutta quella corte:

e narrò; di Ruggier, che contrastette

da solo a solo a Mandricardo forte;

e come egli l'uccise, e poi ne stette

ferito più; d'un mese presso a morte:

e s'era la sua istoria qui conclusa,

fatto avria di Ruggier la vera escusa.

 

30

Ma come poi soggiunse, una donzella

esser nel campo, nomata Marfisa,

che men non era che gagliarda, bella,

né; meno esperta d'arme in ogni guisa;

che lei Ruggiero amava e Ruggiero ella,

ch'egli da lei, ch'ella da lui divisa

si vedea raro, e ch'ivi ognuno crede

che s'abbiano tra lor data la fede;

 

31

e che come Ruggier si faccia sano,

il matrimonio publicar si deve;

e ch'ogni re, ogni principe pagano

gran piacere e letizia ne riceve,

che de l'uno e de l'altro sopraumano

conoscendo il valor, sperano in breve

far una razza d'uomini da guerra

la più; gagliarda che mai fosse in terra;

 

32

credea il Guascon quel che dicea, non senza

cagion; che ne l'esercito de' Mori

openione e universal credenza,

e publico parlar n'era di fuori.

I molti segni di benivolenza

stati tra lor facean questi romori;

che tosto o buona o ria che la fama esce

fuor d'una bocca, in infinito cresce.

 

33

L'esser venuta a' Mori ella in aita

con lui, né; senza lui comparir mai,

avea questa credenza stabilita;

ma poi l'avea accresciuta pur assai,

ch'essendosi del campo già; partita

portandone Brunel (come io contai),

senza esservi d'alcuno richiamata,

sol per veder Ruggier v'era tornata.

 

34

Sol per lui visitar, che gravemente

languia ferito, in campo venuta era,

non una sola volta, ma sovente;

vi stava il giorno e si partia la sera:

e molto più; da dir dava alla gente,

ch'essendo conosciuta così; altiera,

che tutto 'l mondo a sé; le parea vile,

solo a Ruggier fosse benigna e umile;

 

35

come il Guascon questo affermò; per vero,

fu Bradamante da cotanta pena,

da cordoglio assalita così; fiero,

che di quivi cader si tenne a pena.

Voltò;, senza far motto, il suo destriero,

di gelosia, d'ira e di rabbia piena;

e da sé; discacciata ogni speranza,

ritornò; furibonda alla sua stanza.

 

36

E senza disarmarsi, sopra il letto,

col viso volta in giù;, tutta si stese,

ove per non gridar, sì; che sospetto

di sé; facesse, i panni in bocca prese;

e ripetendo quel che l'avea detto

il cavalliero, in tal dolor discese,

che più; non lo potendo sofferire,

fu forza a disfogarlo, e così; a dire:

 

37

- Misera! a chi mai più; creder debb'io?

Vo' dir ch'ognuno è; perfido e crudele,

se perfido e crudel sei, Ruggier mio,

che sì; pietoso tenni e sì; fedele.

Qual crudeltà;, qual tradimento rio

unqua s'udì; per tragiche querele,

che non trovi minor, se pensar mai

al mio merto e al tuo debito vorai?

 

38

Perché;, Ruggier, come di te non vive

cavallier di più; ardir, di più; bellezza,

né; che a gran pezzo al tuo valore arrive,

né; a' tuoi costumi, né; a tua gentilezza;

perché; non fai che fra tue illustri e dive

virtù;, si dica ancor ch'abbi fermezza?

si dica ch'abbi inviolabil fede?

a chi ogn'altra virtù; s'inchina e cede.

 

39

Non sai che non compar, se non v'è; quella,

alcun valore, alcun nobil costume?

come né; cosa (e sia quanto vuol bella)

si può; vedere ove non splenda lume.

Facil ti fu ingannare una donzella

di cui tu signore eri, idolo e nume,

a cui potevi far con tue parole

creder che fosse oscuro e freddo il sole.

 

40

Crudel, di che peccato a doler t'hai,

se d'uccider chi t'ama non ti penti?

Se 'l mancar di tua fé; sì; leggier fai,

di ch'altro peso il cor gravar ti senti?

Come tratti il nimico, se tu dai

a me, che t'amo sì;, questi tormenti?

Ben dirò; che giustizia in ciel non sia,

s'a veder tardo la vendetta mia.

 

41

Se d'ogn'altro peccato assai più; quello

de l'empia ingratitudine l'uomo grava,

e per questo dal ciel l'angel più; bello

fu relegato in parte oscura e cava;

e se gran fallo aspetta gran flagello

quando debita emenda il cor non lava;

guarda ch'aspro flagello in te non scenda,

che mi se' ingrato e non vuoi farne emenda.

 

42

Di furto ancora, oltre ogni vizio rio,

di te, crudele, ho da dolermi molto.

Che tu mi tenga il cor, non ti dico io;

di questo io vo' che tu ne vada assolto:

dico di te, che t'eri fatto mio

e poi contra ragion mi ti sei tolto.

Renditi, iniquo, a me; che tu sai bene

che non si può; salvar chi l'altrui tiene.

 

43

Tu m'hai, Ruggier, lasciata: io te non voglio,

né; lasciarti volendo anco potrei;

ma per uscir d'affanno e di cordoglio,

posso e voglio, finire i giorni miei.

Di non morirti in grazia sol mi doglio;

che se concesso m'avessero i dei

ch'io fossi morta quando t'era grata,

morte non fu giamai tanto beata. -

 

44

Così; dicendo, di morir disposta,

salta dal letto, e di rabbia infiammata

si pon la spada alla sinistra costa;

ma si ravvede poi che tutta è; armata.

Il miglior spirto in questo le s'accosta,

e nel cor le ragiona: - O donna nata

di tant'alto lignaggio, adunque vuoi

finir con sì; gran biasmo i giorni tuoi?

 

45

Non è; meglio ch'al campo tu ne vada,

ove morir si può; con laude ognora?

Quivi, s'avvien ch'inanzi a Ruggier cada,

del morir tuo si dorrà; forse ancora:

ma s'a morir t'avvien per la sua spada,

chi sarà; mai che più; contenta muora?

Ragione è; ben che di vita ti privi,

poi ch'è; cagion ch'in tanta pena vivi.

 

46

Verrà; forse anco che prima che muori

farai vendetta di quella Marfisa

che t'ha con fraudi e disonesti amori,

da te Ruggiero alienando, uccisa. -

Questi pensieri parveno migliori

alla donzella; e tosto una divisa

si fe' su l'arme, che volea inferire

disperazione e voglia di morire.

 

47

Era la sopraveste del colore

in che riman la foglia che s'imbianca

quando del ramo è; tolta, o che l'umore

che facea vivo l'arbore le manca.

Ricamata a tronconi era, di fuore,

di cipresso che mai non si rinfranca,

poi ch'ha sentita la dura bipenne;

l'abito al suo dolor molto convenne.

 

48

Tolse il destrier ch'Astolfo aver solea,

e quella lancia d'or, che, sol toccando,

cader di sella i cavallier facea.

Perché; la le diè; Astolfo, e dove e quando,

e da chi prima avuta egli l'avea,

non credo che bisogni ir replicando.

Ella la tolse, non però; sapendo

che fosse del valor ch'era, stupendo.

 

49

Senza scudiero e senza compagnia

scese dal monte, e si pose in camino

verso Parigi alla più; dritta via,

ove era dianzi il campo saracino;

che la novella ancora non s'udia,

che l'avesse Rinaldo paladino,

aiutandolo Carlo e Malagigi,

fatto tor da l'assedio di Parigi.

 

50

Lasciati avea i Cadurci e la cittade

di Caorse alle spalle, e tutto 'l monte

ove nasce Dordona, e le contrade

scopria di Monferrante e di Clarmonte,

quando venir per le medesme strade

vide una donna di benigna fronte,

ch'uno scudo all'arcione avea attaccato;

e le venian tre cavallieri a lato.

 

51

Altre donne e scudier venivano anco,

qual dietro e qual dinanzi, in lunga schiera.

Domandò; ad un che le passò; da fianco,

la figlia d'Amon, chi la donna era;

e quel le disse: - Al re del popul franco

questa donna, mandata messaggera

fin di là; dal polo artico, è; venuta

per lungo mar da l'Isola Perduta.

 

52

Altri Perduta, altri ha nomata Islanda

l'isola, donde la regina d'essa,

di beltà; sopra ogni beltà; miranda,

dal ciel non mai, se non a lei, concessa,

lo scudo che vedete, a Carlo manda;

ma ben con patto e condizione espressa,

ch'al miglior cavallier lo dia, secondo

il suo parer, ch'oggi si trovi al mondo.

 

53

Ella, come si stima, e come in vero

è; la più; bella donna che mai fosse,

così; vorria trovare un cavalliero

che sopra ogn'altro avesse ardire e posse:

perché; fondato e fisso è; il suo pensiero,

da non cader per centomila scosse,

che sol chi terrà; in arme il primo onore,

abbia d'esser suo amante e suo signore.

 

54

Spera ch'in Francia, alla famosa corte

di Carlo Magno, il cavallier si trove,

che d'esser più; d'ogn'altro ardito e forte

abbia fatto veder con mille prove.

I tre che son con lei come sue scorte,

re sono tutti, e dirovvi anco dove:

uno in Svezia, uno in Gotia, in Norvegia uno,

che pochi pari in arme hanno o nessuno.

 

55

Questi tre, la cui terra non vicina,

ma men lontana è; all'Isola Perduta

(detta così;, perché; quella marina

da pochi naviganti è; conosciuta),

erano amanti, e son, de la regina,

e a gara per moglier l'hanno voluta;

e per aggradir lei, cose fatt'hanno,

che, fin che giri il ciel, dette saranno.

 

56

Ma né; questi ella, né; alcun altro vuole,

ch'al mondo in arme esser non creda il primo.

- Ch'abbiate fatto prove (lor dir suole)

in questi luoghi appresso, poco istimo;

e s'un di voi, qual fra le stelle il sole,

fra gli altri duo sarà;, ben lo sublimo:

ma non però; che tenga il vanto parme

del miglior cavallier ch'oggi port'arme.

 

57

A Carlo Magno, il quale io stimo e onoro

pel più; savio signor ch'al mondo sia,

son per mandare un ricco scudo d'oro,

con patto e condizion ch'esso lo dia

al cavalliero il quale abbia fra loro

il vanto e il primo onor di gagliardia.

Sia il cavalliero o suo vasallo o d'altri,

il parer di quel re vo' che mi scaltri.

 

58

Se, poi che Carlo avrà; lo scudo avuto,

e l'avrà; dato a quel sì; ardito e forte,

che d'ogn'altro migliore abbia creduto,

che 'n sua si trovi o in alcun'altra corte,

uno di voi sarà;, che con l'aiuto

di sua virtù; lo scudo mi riporte;

porrò; in quello ogni amore, ogni disio,

e quel sarà; il marito e 'l signor mio. -

 

59

Queste parole han qui fatto venire

questi tre re dal mar tanto discosto,

che riportarne lo scudo, o morire

per man di chi l'avrà;, s'hanno proposto. -

Ste' molto attenta Bradamante a udire

quanto le fu da lo scudier risposto;

il qual poi l'entrò; inanzi, e così; punse

il suo cavallo, che i compagni giunse.

 

60

Dietro non gli galoppa né; gli corre

ella; ch'adagio il suo camin dispensa,

e molte cose tuttavia discorre,

che son per accadere: e in somma pensa

che questo scudo di Francia sia per porre

discordia e rissa e nimicizia immensa

fra paladini ed altri, se vuol Carlo

chiarir chi sia il miglior, e a colui darlo.

 

61

Le preme il cor questo pensier; ma molto

più; le lo preme e strugge in peggior guisa

quel ch'ebbe prima, di Ruggier, che tolto

il suo amor le abbia e datolo a Marfisa.

Ogni suo senso in questo è; sì; sepolto,

che non mira la strada, né; divisa

ove arrivar, né; se troverà; inanzi

commodo albergo ove la notte stanzi.

 

62

Come nave, che vento da la riva,

o qualch'altro accidente abbia disciolta,

va di nochiero e di governo priva

ove la porti o meni il fiume in volta;

così; l'amante giovane veniva,

tutta a pensare al suo Ruggier rivolta,

ove vuol Rabican; che molte miglia

lontano è; il cor che de' girar la briglia.

 

63

Leva al fin gli occhi, e vede il sol che 'l tergo

avea mostrato alle città; di Bocco,

e poi s'era attuffato, come il mergo,

in grembo alla nutrice oltr'a Marocco:

e se disegna che la frasca albergo

le dia ne' campi, fa pensier di sciocco;

che soffia un vento freddo, e l'aria grieve

pioggia la notte le minaccia o nieve.

 

64

Con maggior fretta fa movere il piede

al suo cavallo; e non fece via molta,

che lasciar le campagne a un pastor vede,

che s'avea la sua gregge inanzi tolta.

La donna lui con molta istanza chiede

che le 'nsegni ove possa esser raccolta

o ben o mal; che mal sì; non s'alloggia,

che non sia peggio star fuori alla pioggia.

 

65

Disse il pastore: - Io non so loco alcuno

ch'io vi sappia insegnar, se non lontano

più; di quattro o di sei leghe, for ch'uno

che si chiama la rocca di Tristano.

Ma d'alloggiarvi non succede a ognuno;

perché; bisogna, con la lancia in mano

che se l'acquisti e che se la difenda

il cavallier che d'alloggiarvi intenda.

 

66

Se, quando arriva un cavallier, si trova

vota la stanza, il castellan l'accetta;

ma vuol se sopravien poi gente nuova,

ch'uscir fuori alla giostra gli prometta.

Se non vien, non accade che si mova:

se vien, forza è; che l'arme si rimetta

e con lui giostri, e chi di lor val meno.

ceda l'albergo ed esca al ciel sereno.

 

67

Se duo, tre, quattro o più; guerrieri a un tratto

vi giungon prima, in pace albergo v'hanno;

e chi di poi vien solo, ha peggior patto,

perché; seco giostrar quei più; lo fanno.

Così;, se prima un sol si sarà; fatto

quivi alloggiar, con lui giostrar voranno

in duo, tre, quattro o più; che verran dopo;

sì; che, s'avrà; valor, gli fia a grande uopo.

 

68

Non men, se donna capita o donzella,

accompagnata o sola a questa rocca,

e poi v'arrivi un'altra, alla più; bella

l'albergo, ed alla men star di fuor tocca. -

Domanda Bradamante ove sia quella;

e il buon pastor non pur dice con bocca,

ma le dimostra il loco anco con mano,

da cinque o dai sei miglia indi lontano.

 

69

La donna, ancor che Rabican ben trotte,

solecitar però; non lo sa tanto

per quelle vie tutte fangose e rotte

da la stagion ch'era piovosa alquanto,

che prima arrivi, che la cieca notte

fatt'abbia oscuro il mondo in ogni canto.

Trovò; chiusa la porta; e a chi n'avea

la guardia disse ch'alloggiar volea.

 

70

Rispose quel, ch'era occupato il loco

da donne e da guerrier che venner dianzi,

e stavano aspettando intorno al fuoco

che posta fosse lor la cena inanzi.

- Per lor non credo l'avrà; fatta il cuoco,

s'ella v'è; ancor, né; l'han mangiata inanzi

(disse la donna): or va, che qui gli attendo;

che so l'usanza, e di servarla intendo.-

 

71

Parte la guardia, e porta l'imbasciata

là; dove i cavallier stanno a grand'agio,

la qual non poté; lor troppo esser grata,

ch'all'aer li fa uscir freddo e malvagio;

ed era una gran pioggia incomminciata.

Si levan pure, e piglian l'arme adagio:

restano gli altri; e quei non troppo in fretta

escono insieme ove la donna aspetta.

 

72

Eran tre cavallier che valean tanto,

che pochi al mondo valean più; di loro;

ed eran quei che 'l dì; medesmo a canto

veduti a quella messaggiera foro;

quei ch'in Islanda s'avean dato vanto

di Francia riportar lo scudo d'oro:

e perché; avean meglio i cavalli punti,

prima di Bradamante eran giunti.

 

73

Di loro in arme pochi erano migliori,

ma di quei pochi ella sarà; ben l'una;

ch'a nessun patto rimaner di fuori

quella notte intendea molle e digiuna.

Quei dentro alle finestre e ai corridori

miran la giostra al lume de la luna,

che mal grado de' nugoli lo spande

e fa veder, ben che la pioggia è; grande.

 

74

Come s'allegra un bene acceso amante

ch'ai dolci furti per entrar si trova,

quando al fin senta dopo indugie tante,

che 'l taciturno chiavistel si muova;

così; volontarosa Bradamante

di far di sé; coi cavallieri prova,

s'allegrò; quando udì; le porte aprire,

calare il ponte, e fuor li vide uscire.

 

75

Tosto che fuor del ponte i guerrier vede

uscire insieme o con poco intervallo,

si volge a pigliar campo, e di poi riede

cacciando a tutta briglia il buon cavallo,

e la lancia arrestando, che le diede

il suo cugin, che non si corre in fallo,

che fuor di sella è; forza che trabocchi,

se fosse Marte, ogni guerrier che tocchi.

 

76

Il re di Svezia, che primier si mosse,

fu primier anco a riversciarsi al piano:

con tanta forza l'elmo gli percosse

l'asta che mai non fu abbassata invano.

Poi corse il re di Gotia, e ritrovosse

coi piedi in aria al suo destrier lontano.

Rimase il terzo sottosopra volto,

ne l'acqua e nel pantan mezzo sepolto.

 

77

Tosto ch'ella ai tre colpi tutti gli ebbe

fatto andar coi piedi alti e i capi bassi,

alla rocca ne va, dove aver debbe

la notte albergo; ma prima che passi,

v'è; chi la fa giurar che n'uscirebbe,

sempre ch'a giostrar fuori altri chiamassi.

Il signor de là; dentro, che 'l valore

ben n'ha veduto, le fa grande onore.

 

78

Così; le fa la donna che venuta

era con quegli tre quivi la sera,

come io dicea, da l'Isola Perduta,

mandata al re di Francia messaggiera.

Cortesemente a lei che la saluta,

sì; come graziosa e affabil era,

si leva incontra, e con faccia serena

piglia per mano, e seco al fuoco mena.

 

79

La donna, cominciando a disarmarsi,

s'avea lo scudo e dipoi l'elmo tratto;

quando una cuffia d'oro, in che celarsi

soleano i capei lunghi e star di piatto,

uscì; con l'elmo; onde caderon sparsi

giù; per le spalle, e la scopriro a un tratto

e la feron conoscer per donzella,

non men che fiera in arme, in viso bella.

 

80

Quale al cader de le cortine suole

parer fra mille lampade la scena,

d'archi e di più; d'una superba mole,

d'oro e di statue e di pitture piena;

o come suol fuor de la nube il sole

scoprir la faccia limpida e serena:

così;, l'elmo levandosi dal viso,

mostrò; la donna aprisse il paradiso.

 

81

Già; son cresciute e fatte lunghe in modo

le belle chiome che tagliolle il frate,

che dietro al capo ne può; fare un nodo,

ben che non sian come son prima state.

Che Bradamante sia, tien fermo e sodo

(che ben l'avea veduta altre fiate)

il signor de la rocca; e più; che prima

or l'accarezza e mostra farne stima.

 

82

Siedono al fuoco, e con giocondo e onesto

ragionamento dan cibo all'orecchia,

mentre, per ricreare ancora il resto

del corpo, altra vivanda s'apparecchia.

La donna all'oste domandò; se questo

modo d'albergo è; nuova usanza o vecchia,

e quando ebbe principio, e chi la pose;

e 'l cavalliero a lei così; rispose:

 

83

- Nel tempo che regnava Fieramonte,

Clodione, il figliuolo, ebbe una amica

leggiadra e bella e di maniere conte

quant'altra fosse a quella etade antica;

la quale amava tanto, che la fronte

non rivolgea da lei, più; che si dica

che facesse da Ione il suo pastore,

perch'avea ugual la gelosia all'amore.

 

84

Qui la tenea; che 'l luogo avuto in dono

avea dal padre, e raro egli n'uscia;

e con lui dieci cavallier ci sono,

e dei miglior di Francia tuttavia.

Qui stando, venne a capitarci il buono

Tristano, ed una donna in compagnia,

liberata da lui poch'ore inante,

che traea presa a forza un fier gigante.

 

85

Tristano ci arrivò; che 'l sol già; volto

avea le spalle ai liti di Siviglia;

e domandò; qui dentro esser raccolto,

perché; non c'è; altra stanza a dieci miglia.

Ma Clodion, che molto amava e molto

era geloso, in somma si consiglia

che forestier, sia chi si voglia, mentre

ci stia la bella donna, qui non entre.

 

86

Poi che con lunghe ed iterate preci

non poté; aver qui albergo il cavalliero:

- Or quel che far con prieghi io non ti feci,

che 'l facci (disse) tuo mal grado, spero, -

E sfidò; Clodion con tutti i dieci

che tenea appresso, e con un grido altiero

se gli offerse con lancia e spada in mano

provar che discortese era e villano;

 

87

con patto, che se fa che con lo stuolo

suo cada in terra, ed ei stia in sella forte,

ne la rocca alloggiar vuole egli solo,

e vuol gli altri serrar fuor de le porte.

Per non patir quest'onta, va il figliuolo

del re di Francia a rischio de la morte;

ch'aspramente percosso cade in terra,

e cadon gli altri, e Tristan fuor li serra.

 

88

Entrato ne la rocca, trova quella

la qual v'ho detta a Clodion sì; cara,

e ch'avea, a par d'ogn'altra, fatto bella

Natura, a dar bellezze così; avara.

Con lei ragiona: intanto arde e martella

di fuor l'amante aspra passione amara;

il qual non differisce a mandar prieghi

al cavallier, che dar non gli la nieghi.

 

89

Tristano, ancor che lei molto non prezze,

né; prezzar, fuor ch'Isotta, altra potrebbe

(ch'altra né; ch'ami vuol né; ch'accarezze

la pozion che già; incantata bebbe),

pur, perché; vendicarsi de l'asprezze

che Clodion gli ha usate si vorebbe:

- Di far gran torto mi parria (gli disse)

che tal bellezza del suo albergo uscisse.

 

90

E quando a Clodion dormire incresca

solo alla frasca, e compagnia domandi,

una giovane ho meco bella e fresca,

non però; di bellezze così; grandi.

Questa sarò; contento che fuor esca,

e ch'ubbidisca a tutti i suoi comandi;

ma la più; bella mi par dritto e giusto

che stia con quel di noi ch'è; più; robusto. -

 

91

Escluso Clodione e malcontento,

andò; sbuffando tutta notte in volta,

come s'a quei che ne l'alloggiamento

dormiano ad agio, fêsse egli l'ascolta;

e molto più; che del freddo e del vento,

si dolea de la donna che gli è; tolta.

La mattina Tristano a cui ne 'ncrebbe,

gli la rendé;, donde il dolor fin ebbe:

 

92

perché; gli disse, e lo fe' chiaro e certo,

che qual trovolla, tal gli la rendea;

e ben che degno era d'ogni onta in merto

de la discortesia ch'usata avea,

pur contentar d'averlo allo scoperto

fatto star tutta notte si volea:

né; l'escusa accettò;, che fosse Amore

stato cagion di così; grave errore;

 

93

ch'Amor de' far gentile un cor villano,

e non far d'un gentil contrario effetto.

Partito che si fu di qui Tristano,

Clodion non ste' molto a mutar tetto;

ma prima consegnò; la rocca in mano

a un cavallier, che molto gli era accetto,

con patto ch'egli e chi da lui venisse,

quest'uso in albergar sempre seguisse:

 

94

che 'l cavallier ch'abbia maggior possanza,

e la donna beltà;, sempre ci alloggi;

e chi vinto riman, voti la stanza,

dorma sul prato, o altrove scenda e poggi.

E finalmente ci fe' por l'usanza

che vedete durar fin al dì; d'oggi. -

Or, mentre il cavallier questo dicea,

lo scalco por la mensa fatto avea.

 

95

Fatto l'avea ne la gran sala porre,

di che non era al mondo la più; bella;

indi con torchi accesi venne a torre

le belle donne, e le condusse in quella.

Bradamante, all'entrar, con gli occhi scorre,

e similmente fa l'altra donzella;

e tutte piene le superbe mura

veggon di nobilissima pittura.

 

96

Di sì; belle figure è; adorno il loco,

che per mirarle oblian la cena quasi,

ancor che ai corpi non bisogni poco,

pel travaglio del dì; lassi rimasi,

e lo scalco si doglia e doglia il coco,

che i cibi lascin raffreddar nei vasi.

Pur fu chi disse: - Meglio fia che voi

pasciate prima il ventre, e gli occhi poi. -

 

97

S'erano assisi, e porre alle vivande

voleano man, quando il signor s'avide

che l'alloggiar due donne è; un error grande:

l'una ha da star, l'altra convien che snide.

Stia la più; bella, e la men fuor si mande,

dove la pioggia bagna e 'l vento stride.

Perché; non vi son giunte amendue a un'ora,

l'una ha a partire, e l'altra a far dimora.

 

98

Chiama duo vecchi, e chiama alcune sue

donne di casa, a tal giudizio buone;

e le donzelle mira, e di lor due

chi la più; bella sia, fa paragone.

Finalmente parer di tutti fue

ch'era più; bella la figlia d'Amone;

e non men di beltà; l'altra vincea,

che di valore i guerrier vinti avea.

 

99

Alla donna d'Islanda, che non sanza

molta sospizion stava di questo,

il signor disse: - Che servià;n l'usanza,

non v'ha, donna, a parer se non onesto.

A voi convien procacciar d'altra stanza,

quando a noi tutti è; chiaro e manifesto

che costei di bellezze e di sembianti,

ancor ch'inculta sia, vi passa inanti. -

 

100

Come si vede in un momento oscura

nube salir d'umida valle al cielo,

che la faccia che prima era sì; pura

cuopre del sol con tenebroso velo;

così; la donna alla sentenza dura

che fuor la caccia ove è; la pioggia e 'l gielo,

cangiar si vide, e non parer più; quella

che fu pur dianzi sì; gioconda e bella.

 

101

S'impallidisce e tutta cangia in viso,

che tal sentenza udir poco le aggrada.

Ma Bradamante con un saggio aviso,

che per pietà; non vuol che se ne vada,

rispose: - A me non par che ben deciso,

né; che ben giusto alcun giudicio cada,

ove prima non s'oda quanto nieghi

la parte o affermi, e sue ragioni alleghi.

 

102

Io ch'a difender questa causa toglio,

dico: o più; bella o men ch'io sia di lei,

non venni come donna qui, né; voglio

che sian di donna ora i progressi miei.

Ma chi dirà;, se tutta non mi spoglio,

s'io sono o s'io non son quel ch'è; costei?

E quel che non si sa non si de' dire,

e tanto men, quando altri n'ha a patire.

 

103

Ben son degli altri ancor, c'hanno le chiome

lunghe, com'io, né; donne son per questo.

Se come cavallier la stanza, o come

donna acquistata m'abbia, è; manifesto:

perché; dunque volete darmi nome

di donna, se di maschio è; ogni mio gesto?

La legge vostra vuol che ne sian spinte

donne da donne, e non da guerrier vinte.

 

104

Poniamo ancor, che, come a voi pur pare,

io donna sia (che non però; il concedo),

ma che la mia beltà; non fosse pare

a quella di costei; non però; credo

che mi vorreste la mercé; levare

di mia virtù;, se ben di viso io cedo.

Perder per men beltà; giusto non parmi

quel c'ho acquistato per virtù; con l'armi.

 

105

E quando ancor fosse l'usanza tale,

che chi perde in beltà; ne dovesse ire,

io ci vorrei restare, o bene o male

che la mia ostinazion dovesse uscire.

Per questo, che contesa diseguale

è; tra me e questa donna, vo' inferire

che, contendendo di beltà;, può; assai

perdere, e meco guadagnar non mai.

 

106

E se guadagni e perdite non sono

in tutto pari, ingiusto è; ogni partito:

sì; ch'a lei per ragion, sì; ancor per dono

spezial, non sia l'albergo proibito.

E s'alcuno di dir che non sia buono

e dritto il mio giudizio sarà; ardito,

sarò; per sostenergli a suo piacere,

che 'l mio sia vero, e falso il suo parere. -

 

107

La figliuola d'Amon, mossa a pietade

che questa gentil donna debba a torto

esser cacciata ove la pioggia cade,

ove né; tetto, ove né; pure è; un sporto,

al signor de l'albergo persuade

con ragion molte e con parlare accorto,

ma molto più; con quel ch'al fin concluse,

che resti cheto e accetti le sue scuse.

 

108

Qual sotto il più; cocente ardore estivo,

quando di ber più; desiosa è; l'erba,

il fior ch'era vicino a restar privo

di tutto quell'umor ch'in vita il serba,

sente l'amata pioggia e si fa vivo;

così;, poi che difesa sì; superba

si vide apparecchiar la messaggera,

lieta e bella tornò; come prim'era.

 

109

La cena, stata lor buon pezzo avante,

né; ancor pur tocca, al fin godersi in festa,

senza che più; di cavalliero errante

nuova venuta fosse lor molesta.

La goder gli altri, ma non Bradamante,

pure all'usanza addolorata e mesta;

che quel timor, che quel sospetto ingiusto

che sempre avea nel cor, le tollea il gusto.

 

110

Finita ch'ella fu (che saria forse

stata più; lunga, se 'l desir non era

di cibar gli occhi), Bradamante sorse,

e sorse appresso a lei la messaggera.

Accennò; quel signore ad un che corse

e prestamente allumò; molta cera,

che splender fe' la sala in ogni canto.

Quel che seguì; dirò; ne l'altro canto.

 

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CANTO TRENTATREESIMO

 

 

1

Timagora, Parrasio, Polignoto,

Protogene, Timante, Apollodoro,

Apelle, più; di tutti questi noto,

e Zeusi, e gli altri ch'a quei tempi foro;

di quai la fama (mal grado di Cloto,

che spinse i corpi e dipoi l'opre loro)

sempre starà;, fin che si legga e scriva,

mercé; degli scrittori, al mondo viva:

 

2

e quei che furo a' nostri dì;, o sono ora,

Leonardo, Andrea Mantegna, Gian Bellino,

duo Dossi, e quel ch'a par sculpe e colora,

Michel, più; che mortale, angel divino;

Bastiano, Rafael, Tizian, ch'onora

non men Cador, che quei Venezia e Urbino;

e gli altri di cui tal l'opra si vede,

qual de la prisca età; si legge e crede:

 

3

questi che noi veggià;n pittori, e quelli

che già; mille e mill'anni in pregio furo,

le cose che son state, coi pennelli

fatt'hanno, altri su l'asse, altri sul muro.

Non però; udiste antiqui, né; novelli

vedeste mai dipingere il futuro:

e pur si sono istorie anco trovate,

che son dipinte inanzi che sian state.

 

4

Ma di saperlo far non si dia vanto

pittore antico né; pittor moderno;

e ceda pur quest'arte al solo incanto,

del qual trieman gli spirti de lo 'nferno.

La sala ch'io dicea ne l'altro canto,

Merlin col libro, o fosse al lago Averno,

o fosse sacro alle Nursine grotte,

fece far dai demonii in una notte.

 

5

Quest'arte, con che i nostri antiqui fenno

mirande prove, a nostra etade è; estinta.

Ma ritornando ove aspettar mi denno

quei che la sala hanno a veder dipinta,

dico ch'a uno scudier fu fatto cenno,

ch'accese i torchi; onde la notte, vinta

dal gran splendor, si dileguò; d'intorno;

né; più; vi si vedria, se fosse giorno.

 

6

Quel signor disse lor: - Vo' che sappiate,

che de le guerre che son qui ritratte,

fin al dì; d'oggi poche ne son state;

e son prima dipinte, che sian fatte.

Chi l'ha dipinte, ancor l'ha indovinate.

Quando vittoria avran, quando disfatte

in Italia saran le genti nostre,

potrete qui veder come si mostre.

 

7

Le guerre ch'i Franceschi da far hanno

di là; da l'Alpe, o bene o mal successe,

dal tempo suo fin al millesim'anno,

Merlin profeta in questa sala messe;

il qual mandato fu dal re britanno

al franco re ch'a Marcomir successe:

e perché; lo mandassi, e perché; fatto

da Merlin fu il lavor, vi dirò; a un tratto.

 

8

Re Fieramonte, che passò; primiero

con l'esercito franco in Gallia il Reno,

poi che quella occupò;, facea pensiero

di porre alla superba Italia il freno.

Faceal perciò;, che più; 'l romano Impero

vedea di giorno in giorno venir meno:

e per tal causa col britanno Arturo

volse far lega; ch'ambi a un tempo furo.

 

9

Artur, ch'impresa ancor senza consiglio

del profeta Merlin non fece mai,

di Merlin, dico, del demonio figlio,

che del futuro antivedeva assai,

per lui seppe, e saper fece il periglio

a Fieramonte, a che di molti guai

porrà; sua gente, s'entra ne la terra

ch'Apenin parte, e il mare e l'Alpe serra.

 

10

Merlin gli fe' veder che quasi tutti

gli altri che poi di Francia scettro avranno,

o di ferro gli eserciti distrutti,

o di fame o di peste si vedranno;

e che brevi allegrezze e lunghi lutti,

poco guadagno ed infinito danno

riporteran d'Italia; che non lice

che 'l Giglio in quel terreno abbia radice.

 

11

Re Fieramonte gli prestò; tal fede,

ch'altrove disegnò; volger l'armata;

e Merlin, che così; la cosa vede,

ch'abbia a venir, come se già; sia stata,

avere a' prieghi di quel re si crede

la sala per incanto istoriata,

ove dei Franchi ogni futuro gesto,

come già; stato sia, fa manifesto.

 

12

Acciò; chi poi succederà;, comprenda

che, come ha d'acquistar vittoria e onore,

qualor d'Italia la difesa prenda

incontra ogn'altro barbaro furore;

così;, s'avvien ch'a danneggiarla scenda,

per porle il giogo e farsene signore,

comprenda, dico, e rendasi ben certo

ch'oltre a quei monti avrà; il sepulcro aperto. -

 

13

Così; disse; e menò; le donne dove

incomincian l'istorie: e Singiberto

fa lor veder, che per tesor si muove,

che gli ha Maurizio imperatore offerto.

- Ecco che scende dal monte di Giove

nel pian da l'Ambra e dal Ticino aperto.

Vedete Eutar, che non pur l'ha respinto,

ma volto in fuga e fracassato e vinto.

 

14

Vedete Clodoveo, ch'a più; di cento

mila persone fa passare il monte:

vedete il duca là; di Benevento,

che con numer dispar vien loro a fronte.

Ecco finge lasciar l'alloggiamento,

e pon gli aguati: ecco, con morti ed onte,

al vin lombardo la gente francesca

corre, e riman come la lasca all'esca.

 

15

Ecco in Italia Childiberto quanta

gente di Francia e capitani invia;

né; più; che Clodoveo, si gloria e vanta

ch'abbia spogliata o vinta Lombardia;

che la spada del ciel scende con tanta

strage de' suoi, che n'è; piena ogni via,

morti di caldo e di profluvio d'alvo;

sì; che di dieci un non ne torna salvo.

 

16

Mostra Pipino, e mostra Carlo appresso,

come in Italia un dopo l'altro scenda,

e v'abbia questo e quel lieto successo,

che venuto non v'è; perché; l'offenda;

ma l'uno, acciò; il pastor Stefano oppresso,

l'altro Adriano, e poi Leon difenda:

l'un doma Aistulfo, e l'altro vince e prende

il successore, e al papa il suo onor rende.

 

17

Lor mostra appresso un giovene Pipino,

che con sua gente par che tutto cuopra

da le Fornaci al lito pelestino;

e faccia con gran spesa e con lung'opra

il ponte a Malamocco, e che vicino

giunga a Rialto, e vi combatta sopra.

Poi fuggir sembra, e che i suoi lasci sotto

l'acque; che 'l ponte il vento e 'l mar gli han rotto.

 

18

- Ecco Luigi Borgognon, che scende

là; dove par che resti vinto e preso,

e che giurar gli faccia chi lo prende,

che più; da l'arme sue non sarà; offeso.

Ecco che 'l giuramento vilipende;

ecco di nuovo cade al laccio teso;

ecco vi lascia gli occhi, e come talpe

lo riportano i suoi di qua da l'Alpe.

 

19

Vedete un Ugo d'Arli far gran fatti,

e che d'Italia caccia i Berengari;

e due o tre volte gli ha rotti e disfatti,

or dagli Unni rimessi, or dai Bavari.

Poi da più; forza è; stretto di far patti

con l'inimico, e non sta in vita guari;

né; guari dopo lui vi sta l'erede,

e 'l regno intero a Berengario cede.

 

20

Vedete un altro Carlo, che a' conforti

del buon Pastor fuoco in Italia ha messo;

e in due fiere battaglie ha duo re morti,

Manfredi prima, e Coradino appresso.

Poi la sua gente, che con mille torti

sembra tenere il nuovo regno oppresso,

di qua e di là; per le città; divisa,

vedete a un suon di vespro tutta uccisa. -

 

21

Lor mostra poi (ma vi parea intervallo

di molti e molti, non ch'anni, ma lustri)

scender dai monti un capitano Gallo,

e romper guerra ai gran Visconti illustri;

e con gente francesca a piè; e a cavallo

par ch'Alessandria intorno cinga e lustri;

e che 'l duca il presidio dentro posto,

e fuor abbia l'aguato un po' discosto;

 

22

e la gente di Francia malaccorta,

tratta con arte ove la rete è; tesa,

col conte Armeniaco, la cui scorta

l'avea condotta all'infelice impresa,

giaccia per tutta la campagna morta,

parte sia tratta in Alessandria presa:

e di sangue non men che d'acqua grosso,

il Tanaro si vede il Po far rosso.

 

23

Un, detto de la Marca, e tre Angioini

mostra l'un dopo l'altro, e dice: - Questi

a Bruci, a Dauni, a Marsi, a Salentini

vedete come son spesso molesti.

Ma né; de' Franchi val né; de' Latini

aiuto sì;, ch'alcun di lor vi resti:

ecco li caccia fuor del regno, quante

volte vi vanno, Alfonso e poi Ferrante.

 

24

Vedete Carlo ottavo, che discende

da l'Alpe, e seco ha il fior di tutta Francia,

che passa il Liri e tutto 'l regno prende

senza mai stringer spada o abbassar lancia,

fuor che lo scoglio ch'a Tifeo si stende

su le braccia, sul petto e su la pancia;

che del buon sangue d'Avalo al contrasto

la virtù; trova d'Inico del Vasto. -

 

25

Il signor de la rocca, che venì;a

quest'istoria additando a Bradamante,

mostrato che l'ebbe Ischia, disse: - Pria

ch'a vedere altro più; vi meni avante,

io vi dirò; quel ch'a me dir solia

il bisavolo mio, quand'io era infante,

e quel che similmente mi dicea

che da suo padre udito anch'esso avea;

 

26

e 'l padre suo da un altro, o padre o fosse

avolo, e l'un da l'altro sin a quello

ch'a udirlo da quel proprio ritrovosse,

che l'imagini fe' senza pennello,

che qui vedete bianche, azzurre e rosse:

udì; che, quando al re mostrò; il castello

ch'or mostro a voi su quest'altiero scoglio,

gli disse quel ch'a voi riferir voglio.

 

27

Udì; che gli dicea ch'in in questo loco

di quel buon cavallier che lo difende

con tanto ardir, che par disprezzi il fuoco

che d'ogn'intorno e sino al Faro incende,

nascer debbe in quei tempi o dopo poco

(e ben gli disse l'anno e le calende)

un cavalliero, a cui sarà; secondo

ogn'altro che sin qui sia stato al mondo.

 

28

Non fu Nireo sì; bel, non sì; eccellente

di forze Achille, e non sì; ardito Ulisse,

non sì; veloce Lada, non prudente

Nestor, che tanto seppe e tanto visse,

non tanto liberal, tanto clemente,

l'antica fama Cesare descrisse;

che verso l'uom ch'in Ischia nascer deve,

non abbia ogni lor vanto a restar lieve.

 

29

E se si gloriò; l'antiqua Creta,

quando il nipote in lei nacque di Celo,

se Tebe fece Ercole e Bacco lieta,

se si vantò; dei duo gemelli Delo;

né; questa isola avrà; da starsi cheta,

che non s'esalti e non si levi in cielo,

quando nascerà; in lei quel gran marchese

ch'avrà; sì; d'ogni grazia il ciel cortese.

 

30

Merlin gli disse, e replicò;gli spesso,

ch'era serbato a nascere all'etade

che più; il romano Imperio saria oppresso,

acciò; per lui tornasse in libertade.

Ma perché; alcuno de' suoi gesti appresso

vi mostrerò;, predirli non accade. -

Così; disse; e tornò; all'istoria dove

di Carlo si vedean l'inclite prove.

 

31

- Ecco (dicea) sì; pente Ludovico

d'aver fatto in ltalia venir Carlo;

che sol per travagliar l'emulo antico

chiamato ve l'avea, non per cacciarlo;

e se gli scuopre al ritornar nimico

con Veneziani in lega, e vuol pigliarlo.

Ecco la lancia il re animoso abbassa,

apre la strada e, lor mal grado, passa.

 

32

Ma la sua gente ch'a difesa resta

del nuovo regno, ha ben contraria sorte;

che Ferrante, con l'opra che gli presta

il signor mantuan, torna sì; forte,

ch'in pochi mesi non ne lascia testa,

o in terra o in mar, che non sia messa a morte:

poi per un uom che gli è; con fraude estinto,

non par che senta il gaudio d'aver vinto.