-

 

33

Così; dicendo, mostragli il marchese

Alfonso di Pescara, e dice: - Dopo

che costui comparito in mille imprese

sarà; più; risplendente che piropo,

ecco qui ne l'insidie che gli ha tese

con un trattato doppio il rio Etiopo,

come scannato di saetta cade

il miglior cavallier di quella etade.

 

34

Poi mostra ove il duodecimo Luigi

passa con scorta italiana i monti,

e svelto il Moro, pon la Fiordaligi

nel fecondo terren già; de' Visconti.

Indi manda sua gente pei vestigi

di Carlo, a far sul Garigliano i ponti;

la quale appresso andar rotta e dispersa

si vede, e morta e nel fiume summersa.

 

35

Vedete in Puglia non minor macello

de l'esercito franco in fuga volto;

e Consalvo Ferrante ispano è; quello

che due volte alla trappola l'ha colto.

E come qui turbato, così; bello

mostra Fortuna al re Luigi il volto

nel ricco pian che, fin dove Adria stride,

tra l'Apenino e l'Alpe il Po divide. -

 

36

Così; dicendo, se stesso riprende

che quel ch'avea a dir prima abbia lasciato;

e torna a dietro, e mostra uno che vende

il castel che 'l signor suo gli avea dato;

mostra il perfido Svizzero che prende

colui ch'a sua difesa l'ha assoldato:

le quai due cose, senza abbassar lancia,

han dato la vittoria al re di Francia.

 

37

Poi mostra Cesar Borgia col favore

di questo re farsi in Italia grande;

ch'ogni baron di Roma, ogni signore

suggietto a lei, par ch'in esilio mande.

Poi mostra il re che di Bologna fuore

leva la Sega, e vi fa entrar le Giande;

poi come volge i Genovesi in fuga

fatti ribelli, e la città; suggiuga.

 

38

- Vedete (dice poi) di gente morta

coperta in Giaradada la campagna.

Par ch'apra ogni cittade al re la porta,

e che Venezia a pena vi rimagna.

Vedete come al papa non comporta

che, passati i confini di Romagna,

Modana al duca di Ferrara toglia,

né; qui si fermi, e 'l resto tor gli voglia:

 

39

e fa, all'incontro, a lui Bologna torre;

che v'entra la Bentivola famiglia.

Vedete il campo de' Francesi porre

a sacco Brescia, poi che la ripiglia;

e quasi a un tempo Felsina soccorre,

e 'l campo ecclesiastico sgombiglia:

e l'uno e l'altro poi nei luoghi bassi

par si riduca del lito de Chiassi.

 

40

Di qua la Francia, e di là; il campo ingrossa

la gente ispana; e la battaglia è; grande.

Cader si vede e far la terra rossa

la gente d'arme in amendua le bande.

Piena di sangue uman pare ogni fossa:

Marte sta in dubbio u' la vittoria mande.

Per virtù; d'un Alfonso al fin si vede

che resta il Franco, e che l'Ispano cede,

 

41

e che Ravenna saccheggiata resta.

Si morde il papa per dolor le labbia,

e fa da' monti, a guisa di tempesta,

scendere in fretta una tedesca rabbia,

ch'ogni Francese, senza mai far testa,

di qua da l'Alpe par che cacciat'abbia,

e che posto un rampollo abbia del Moro

nel giardino onde svelse i Gigli d'oro.

 

42

Ecco torna il Francese: eccolo rotto

da l'infedele Elvezio ch'in suo aiuto

con troppo rischio ha il giovine condotto,

del quale il padre avea preso e venduto.

Vedete poi l'esercito, che sotto

la ruota di Fortuna era caduto,

creato il novo re, che si prepara

de l'onta vendicar ch'ebbe a Novara:

 

43

e con migliore auspizio ecco ritorna.

Vedete il re Francesco inanzi a tutti,

che così; rompe a' Svizzeri le corna,

che poco resta a non gli aver distrutti:

sì; che 'l titolo mai più; non gli adorna,

ch'usurpato s'avran quei villan brutti,

che domator de' principi, e difesa

si nomeran de la cristiana Chiesa.

 

44

Ecco, mal grado de la lega, prende

Milano, e accorda il giovene Sforzesco.

Ecco Borbon che la città; difende

pel re di Francia dal furor tedesco.

Eccovi poi, che mentre altrove attende

ad altre magne imprese il re Francesco,

né; sa quanta superbia e crudeltade

usino i suoi, gli è; tolta la cittade.

 

45

Ecco un altro Francesco ch'assimiglia

di virtù; all'avo, e non di nome solo;

che, fatto uscirne i Galli, si ripiglia

col favor de la Chiesa il patrio suolo.

Francia anco torna, ma ritien la briglia,

né; scorre Italia, come suole, a volo;

che 'l bon duca di Mantua sul Ticino

le chiude il passo, e le taglia il camino.

 

46

Federico, ch'ancor non ha la guancia

de' primi fiori sparsa, si fa degno

di gloria eterna, ch'abbia con la lancia,

ma più; con diligenza e con ingegno,

Pavia difesa dal furor di Francia,

e del Leon del mar rotto il disegno.

Vedete duo marchesi, ambi terrore

di nostre genti, ambi d'Italia onore;

 

47

ambi d'un sangue, ambi in un nido nati.

Di quel marchese Alfonso il primo è; figlio,

il qual tratto dal Negro negli aguati,

vedeste il terren far di sé; vermiglio.

Vedete quante volte son cacciati

d'Italia i Franchi pel costui consiglio.

L'altro di sì; benigno e lieto aspetto

il Vasto signoreggia, e Alfonso è; detto.

 

48

- Questo è; il buon cavallier, di cui dicea,

quando l'isola d'Ischia vi mostrai,

che già; profetizzando detto avea

Merlino a Fieramonte cose assai:

che diferire a nascere dovea

nel tempo che d'aiuto più; che mai

l'afflitta Italia, la Chiesa e l'Impero

contra ai barbari insulti avria mistiero.

 

49

Costui dietro al cugin suo di Pescara

con l'auspicio di Prosper Colonnese,

vedete come la Bicocca cara

fa parere all'Elvezio e più; al Francese.

Ecco di nuovo Francia si prepara

di ristaurar le mal successe imprese:

scende il re con un campo in Lombardia,

un altro per pigliar Napoli invia.

 

50

Ma quella che di noi fa come il vento

d'arida polve, che l'aggira in volta,

la leva fin al cielo, e in un momento

a terra la ricaccia, onde l'ha tolta;

fa ch'intorno a Pavia crede di cento

mila persone aver fatto raccolta

il re, che mira a quel che di man gli esce,

non se la gente sua si scema o cresce.

 

51

Così; per colpa de' ministri avari,

e per bontà; del re che se ne fida,

sotto l'insegne si raccoglion rari,

quando la notte il campo all'arme grida,

che si vede assalir dentro ai ripari

dal sagace Spagnuol, che con la guida

di duo del sangue d'Avalo ardiria

farsi nel cielo e ne lo 'nferno via.

 

52

Vedete il meglio de la nobiltade

di tutta Francia alla campagna estinto.

Vedete quante lance e quante spade

han d'ogn'intorno il re animoso cinto;

vedete che 'l destrier sotto gli cade:

né; per questo si rende o chiama vinto,

ben ch'a lui solo attenda, a lui sol corra

lo stuol nimico, e non è; chi 'l soccorra.

 

53

Il re gagliardo si difende a piede,

e tutto de l'ostil sangue si bagna:

ma virtù; al fine a troppa forza cede.

Ecco il re preso, ed eccolo in Ispagna:

ed a quel di Pescara dar si vede,

ed a chi mai da lui non si scompagna,

a quel del Vasto, le prime corone

del campo rotto e del gran re prigione.

 

54

Rotto a Pavia l'un campo, l'altro ch'era,

per dar travaglio a Napoli, in camino,

restar si vede, come, se la cera

gli manca o l'oglio, resta il lumicino.

Ecco che 'l re ne la prigione ibera

lascia i figliuoli, e torna al suo domì;no:

ecco fa a un tempo egli in Italia guerra;

ecco altri la fa a lui ne la sua terra.

 

55

Vedete gli omicidi e le rapine

in ogni parte far Roma dolente;

e con incendi e stupri le divine

e le profane cose ire ugualmente.

Il campo de la lega le ruine

mira d'appresso, e 'l pianto e 'l grido sente;

e dove ir dovria inanzi, torna indietro,

e prender lascia il successor di Pietro.

 

56

Manda Lotrecco il re con nuove squadre,

non più; per fare in Lombardia l'impresa,

ma per levar de le mani empie e ladre

il capo e l'altre membra de la Chiesa;

che tarda sì;, che trova al Santo Padre

non esser più; la libertà; contesa.

Assedia la cittade ove sepolta

è; la sirena, e tutto il regno volta.

 

57

Ecco l'armata imperial si scioglie

per dar soccorso alla città; assediata;

ed ecco il Doria che la via le toglie,

e l'ha nel mar sommersa, arsa e spezzata.

Ecco Fortuna come cangia voglie,

sin qui a' Francesi sì; propizia stata;

che di febbre gli uccide, e non di lancia,

sì; che di mille un non ne torna in Francia. -

 

58

La sala queste ed altre istorie molte,

che tutte saria lungo riferire,

in vari e bei colori avea raccolte;

ch'era ben tal che le potea capire.

Tornano a rivederle due e tre volte,

né; par che se ne sappiano partire;

e rilegon più; volte quel ch'in oro

si vedea scritto sotto il bel lavoro.

 

59

Le belle donne e gli altri quivi stati

mirando e ragionando insieme un pezzo,

fur dal signore a riposar menati,

ch'onorar gli osti suoi molt'era avezzo.

Già; sendo tutti gli altri addormentati,

Bradamante a corcar si va da sezzo,

e si volta or su questo or su quel fianco,

né; può; dormir sul destro né; sul manco.

 

60

Pur chiude alquanto appresso all'alba i lumi,

e di veder le pare il suo Ruggiero,

il qual le dica: - Perché; ti consumi,

dando credenza a quel che non è; vero?

Tu vedrai prima all'erta andare i fiumi,

ch'ad altri mai, ch'a te, volga il pensiero.

S'io non amassi te, né; il cor potrei

né; le pupille amar degli occhi miei. -

 

61

E par che le suggiunga: - Io son venuto

per battezzarmi e far quanto ho promesso;

e s'io son stato tardi, m'ha tenuto

altra ferita, che d'amore, oppresso. -

Fuggesi in questo il sonno, né; veduto

è; più; Ruggier che se ne va con esso.

Rinuova allora i pianti la donzella,

e ne la mente sua così; favella:

 

62

- Fu quel che piacque, un falso sogno; e questo

che mi tormenta, ahi lassa! è; un veggiar vero.

Il ben fu sogno a dileguarsi presto,

ma non è; sogno il martire aspro e fiero.

Perch'or non ode e vede il senso desto

quel ch'udire e veder parve al pensiero?

A che condizione, occhi miei, sete,

che chiusi il ben, e aperti il mal vedete?

 

63

Il dolce sonno mi promise pace,

ma l'amaro veggiar mi torna in guerra:

il dolce sonno è; ben stato fallace,

ma l'amaro veggiare, ohimè;! non erra.

Se 'l vero annoia, e il falso sì; mi piace,

non oda o vegga mai più; vero in terra:

se 'l dormir mi dà; gaudio, e il veggiar guai,

possa io dormir senza destarmi mai.

 

64

O felice animai ch'un sonno forte

sei mesi tien senza mai gli occhi aprire!

Che s'assimigli tal sonno alla morte,

tal veggiare alla vita, io non vo' dire;

ch'a tutt'altre contraria la mia sorte

sente morte a veggiar, vita a dormire:

ma s'a tal sonno morte s'assimiglia,

deh, Morte, or ora chiudimi le ciglia! -

 

65

De l'orizzonte il sol fatte avea rosse

l'estreme parti, e dileguato intorno

s'eran le nubi, e non parea che fosse

simile all'altro il cominciato giorno;

quando svegliata Bradamante armosse

per fare a tempo al suo camin ritorno,

rendute avendo grazie a quel signore

del buono albergo e de l'avuto onore.

 

66

E trovò; che la donna messaggera,

con damigelle sue, con suoi scudieri

uscita de la rocca, venut'era

là; dove l'attendean quei tre guerrieri;

quei che con l'asta d'oro essa la sera

fatto avea riversar giù; dei destrieri,

e che patito avean con gran disagio

la notte l'acqua e il vento e il ciel malvagio.

 

67

Arroge a tanto mal, ch'a corpo voto

ed essi e i lor cavalli eran rimasi,

battendo i denti e calpestando il loto:

ma quasi lor più; incresce, e senza quasi

incresce e preme più;, che farà; noto

la messaggera, appresso agli altri casi,

alla sua donna, che la prima lancia

gli abbia abbattuti, c'han trovata in Francia.

 

68

E presti o di morire, o di vendetta

subito far del ricevuto oltraggio,

acciò; la messaggera, che fu detta

Ullania, che nomata più; non aggio,

la mala opinion ch'avea concetta

forse di lor, si tolga del coraggio,

la figliuola d'Amon sfidano a giostra,

tosto che fuor del ponte ella si mostra;

 

69

non pensando però; che sia donzella,

che nessun gesto di donzella avea.

Bradamante ricusa, come quella

ch'in fretta gì;a, né; soggiornar volea.

Pur tanto e tanto fur molesti, ch'ella,

che negar senza biasmo non potea,

abbassò; l'asta, ed a tre colpi in terra

li mandò; tutti; e qui finì; la guerra:

 

70

che senza più; voltarsi mostrò; loro

lontan le spalle, e dileguossi tosto.

Quei che, per guadagnar lo scudo d'oro,

di paese venian tanto discosto,

poi che senza parlar ritti si foro,

che ben l'avean con ogni ardir deposto,

stupefatti parean di maraviglia,

né; verso Ullania ardian d'alzar le ciglia;

 

71

che con lei molte volte per camino

dato s'avean troppo orgogliosi vanti:

che non è; cavallier né; paladino

ch'al minor di lor tre durasse avanti.

La donna, perché; ancor più; a capo chino

vadano, e più; non sian così; arroganti,

fa lor saper che fu femina quella,

non paladin, che li levò; di sella.

 

72

- Or che dovete (diceva ella), quando

così; v'abbia una femina abbattuti,

pensar che sia Rinaldo o che sia Orlando,

non senza causa in tant'onore avuti?

S'un d'essi avrà; lo scudo, io vi domando

se migliori di quel che siate suti

contra una donna, contra lor sarete?

Non credo io già;, né; voi forse il credete.

 

73

Questo vi può; bastar; né; vi bisogna

del valor vostro aver più; chiara prova:

e quel di voi che temerario aggogna

far di sé; in Francia esperienza nuova,

cerca giungere il danno alla vergogna

in che ieri ed oggi s'è; trovato e trova;

se forse egli non stima utile e onore,

qualor per man di tai guerrier si muore. -

 

74

Poi che ben certi i cavallieri fece

Ullania, che quell'era una donzella,

la qual fatto avea nera più; che pece

la fama lor, ch'esser solea sì; bella;

e dove una bastava, più; di diece

persone il detto confermar di quella;

essi fur per voltar l'arme in se stessi,

da tal dolor, da tanta rabbia oppressi.

 

75

E da lo sdegno e da la furia spinti,

l'arme si spoglian, quante n'hanno indosso;

né; si lascian la spada onde eran cinti,

e del castel la gittano nel fosso:

e giuran, poi che gli ha una donna vinti,

e fatto sul terren battere il dosso,

che, per purgar sì; grave error, staranno

senza mai vestir l'arme intero un anno;

 

76

e che n'andranno a piè; pur tuttavia,

o sia la strada piana, o scenda e saglia;

né;, poi che l'anno anco finito sia,

saran per cavalcare o vestir maglia,

s'altr'arme, altro destrier da lor non fia

guadagnato per forza di battaglia.

Così; senz'arme, per punir lor fallo,

essi a piè; se n'andar, gli altri a cavallo.

 

77

Bradamante la sera ad un castello

ch'alla via di Parigi si ritrova,

di Carlo e di Rinaldo suo fratello,

ch'avean rotto Agramante, udì; la nuova.

Quivi ebbe buona mensa e buono ostello:

ma questo ed ogn'altro agio poco giova;

che poco mangia e poco dorme, e poco,

non che posar, ma ritrovar può; loco.

 

78

Non però; di costei voglio dir tanto,

ch'io non ritorni a quei duo cavallieri

che d'accordo legato aveano a canto

la solitaria fonte i duo destrieri.

La pugna lor, di che vo' dirvi alquanto,

non è; per acquistar terre né; imperi,

ma perché; Durindana il più; gagliardo

abbia ad avere, e a cavalcar Baiardo.

 

79

Senza che tromba o segno altro accennasse

quando a muover s'avean, senza maestro

che lo schermo e 'l ferir lor ricordasse,

e lor pungesse il cor d'animoso estro,

l'uno e l'altro d'accordo il ferro trasse,

e si venne a trovare agile e destro.

I spessi e gravi colpi a farsi udire

incominciaro, ed a scaldarsi l'ire.

 

80

Due spade altre non so per prova elette

ad esser ferme e solide e ben dure,

ch'a tre colpi di quei si fosser rette,

ch'erano fuor di tutte le misure:

ma quelle fur di tempre sì; perfette,

per tante esperienze sì; sicure,

che ben poteano insieme riscontrarsi

con mille colpi e più;, senza spezzarsi.

 

81

Or qua Rinaldo, or là; mutando il passo,

con gran destrezza e molta industria ed arte

fuggia di Durindana il gran fracasso,

che sa ben come spezza il ferro e parte.

Ferì;a maggior percosse il re Gradasso;

ma quasi tutte al vento erano sparte:

se coglieva talor, coglieva in loco

ove potea gravare e nuocer poco.

 

82

L'altro con più; ragion sua spada inchina,

e fa spesso al pagan stordir le braccia;

e quando ai fianchi e quando ove confina

la corazza con l'elmo, gli la caccia:

ma trova l'armatura adamantina,

sì; ch'una maglia non ne rompe o straccia.

Se dura e forte la ritrova tanto,

avvien perch'ella è; fatta per incanto.

 

83

Senza prender riposo erano stati

gran pezzo tanto alla battaglia fisi,

che volti gli occhi in nessun mai de' lati

aveano, fuor che nei turbati visi;

quando da un'altra zuffa distornati,

e da tanto furor furon divisi.

Ambi voltaro a un gran strepito il ciglio,

e videro Baiardo in gran periglio.

 

84

Vider Baiardo a zuffa con un mostro

ch'era più; di lui grande, ed era augello:

avea più; lungo di tre braccia il rostro;

l'altre fattezze avea di vipistrello;

avea la piuma negra come inchiostro;

avea l'artiglio grande, acuto e fello;

occhi di fuoco, e sguardo avea crudele;

l'ale avea grandi, che parean due vele.

 

85

Forse era vero augel, ma non so dove

o quando un altro ne sia stato tale.

Non ho veduto mai, né; letto altrove,

fuor ch'in Turpin, d'un sì; fatto animale:

questo rispetto a credere mi muove,

che l'augel fosse un diavolo infernale

che Malagigi in quella forma trasse,

acciò; che la battaglia disturbasse.

 

86

Rinaldo il credette anco, e gran parole

e sconce poi con Malagigi n'ebbe.

Egli già; confessar non glielo vuole;

e perché; tor di colpa si vorrebbe,

giura pel lume che dà; lume al sole,

che di questo imputato esser non debbe.

Fosse augello o demonio, il mostro scese

sopra Baiardo, e con l'artiglio il prese.

 

87

Le redine il destrier, ch'era possente,

subito rompe, e con sdegno e con ira

contra l'augello i calci adopra e 'l dente;

ma quel veloce in aria si ritira:

indi ritorna, e con l'ugna pungente

lo va battendo, e d'ogn'intorno aggira.

Baiardo offeso, e che non ha ragione

di schermo alcun, ratto a fuggir si pone.

 

88

Fugge Baiardo alla vicina selva,

e va cercando le più; spesse fronde.

Segue di sopra la pennuta belva

con gli occhi fisi ove la via seconde;

ma pure il buon destrier tanto s'inselva,

ch'al fin sotto una grotta si nasconde.

Poi che l'alato ne perde la traccia,

ritorna in cielo, e cerca nuova caccia.

 

89

Rinaldo e 'l re Gradasso, che partire

veggono la cagion de la lor pugna,

restan d'accordo quella differire

fin che Baiardo salvino da l'ugna

che per la scura selva il fa fuggire;

con patto, che qual d'essi lo raggiugna,

a quella fonte lo restituisca,

ove la lite lor poi si finisca.

 

90

Seguendo, si partir da la fontana,

l'erbe novellamente in terra peste.

Molto da lor Baiardo s'allontana,

ch'ebbon le piante in seguir lui mal preste.

Gradasso, che non lungi avea l'alfana,

sopra vi salse, e per quelle foreste

molto lontano il paladin lasciosse,

tristo e peggio contento che mai fosse.

 

91

Rinaldo perdé; l'orme in pochi passi

del suo destrier, che fe' strano viaggio;

ch'andò; rivi cercando, arbori e sassi,

il più; spinoso luogo, il più; selvaggio,

acciò; che da quella ugna si celassi,

che cadendo dal ciel gli facea oltraggio.

Rinaldo, dopo la fatica vana,

ritornò; ad aspettarlo alla fontana,

 

92

se da Gradasso vi fosse condutto,

sì; come tra lor dianzi si convenne.

Ma poi che far si vide poco frutto,

dolente e a piedi in campo se ne venne.

Or torniamo a quell'altro, al quale in tutto

diverso da Rinaldo il caso avvenne.

Non per ragion, ma per suo gran destino

sentì; anitrire il buon destrier vicino;

 

93

e lo trovò; ne la spelonca cava,

da l'avuta paura anco sì; oppresso,

ch'uscire allo scoperto non osava:

perciò; l'ha in suo potere il pagan messo.

Ben de la convenzion si raccordava,

ch'alla fonte tornar dovea con esso;

ma non è; più; disposto d'osservarla,

e così; in mente sua tacito parla:

 

94

- Abbial chi aver lo vuol con lite e guerra:

io d'averlo con pace più; disio.

Da l'uno all'altro capo de la terra

già; venni, e sol per far Baiardo mio.

Or ch'io l'ho in mano, ben vaneggia ed erra

chi crede che depor lo volesse io.

Se Rinaldo lo vuol, non disconviene,

come io già; in Francia, or s'egli in India viene.

 

95

Non men sicura a lui fia Sericana,

che già; due volte Francia a me sia stata. -

Così; dicendo, per la via più; piana

ne venne in Arli, e vi trovò; l'armata;

e quindi con Baiardo e Durindana

si partì; sopra una galea spalmata.

Ma questo a un'altra volta; ch'or Gradasso,

Rinaldo e tutta Francia a dietro lasso.

 

96

Voglio Astolfo seguir, ch'a sella e a morso,

a uso facea andar di palafreno

l'ippogrifo per l'aria a sì; gran corso,

che l'aquila e il falcon vola assai meno.

Poi che de' Galli ebbe il paese scorso

da un mare a l'altro e da Pirene al Reno,

tornò; verso ponente alla montagna

che separa la Francia da la Spagna.

 

97

Passò; in Navarra, ed indi in Aragona,

lasciando a chi 'l vedea gran maraviglia.

Restò; lungi a sinistra Taracona,

Biscaglia a destra, ed arrivò; in Castiglia.

Vide Gallizia e 'l regno d'Ulisbona,

poi volse il corso a Cordova e Siviglia;

né; lasciò; presso al mar né; fra campagna

città;, che non vedesse tutta Spagna.

 

98

Vide le Gade e la meta che pose

ai primi naviganti Ercole invitto.

Per l'Africa vagar poi si dispose

dal mar d'Atlante ai termini d'Egitto.

Vide le Baleariche famose,

e vide Eviza appresso al camin dritto.

Poi volse il freno, e tornò; verso Arzilla

sopra 'l mar che da Spagna dipartilla.

 

99

Vide Marocco, Feza, Orano, Ippona,

Algier, Buzea, tutte città; superbe,

c'hanno d'altre città; tutte corona,

corona d'oro, e non di fronde o d'erbe.

Verso Biserta e Tunigi poi sprona:

vide Capisse e l'isola d'Alzerbe

e Tripoli e Bernicche e Tolomitta,

sin dove il Nilo in Asia si tragitta.

 

100

Tra la marina e la silvosa schena

del fiero Atlante vide ogni contrada.

Poi diè; le spalle ai monti di Carena,

e sopra i Cirenei prese la strada;

e traversando i campi de l'arena,

venne a' confin di Nubia in Albaiada.

Rimase dietro il cimiter di Batto

e l'gran tempio d'Amon, ch'oggi è; disfatto.

 

101

Indi giunse ad un'altra Tremisenne,

che di Maumetto pur segue lo stilo.

Poi volse agli altri Etiopi le penne,

che contra questi son di là; dal Nilo.

Alla città; di Nubia il camin tenne

tra Dobada e Coalle in aria a filo.

Questi cristiani son, quei saracini;

e stan con l'arme in man sempre a' confini.

 

102

Senapo imperator de la Etiopia,

ch'in loco tien di scettro in man la croce,

di gente, di cittadi e d'oro ha copia

quindi fin là; dove il mar Rosso ha foce;

e serva quasi nostra fede propia,

che può; salvarlo da l'esilio atroce.

Gli è;, s'io non piglio errore, in questo loco

ove al battesmo loro usano un fuoco.

 

103

Dismontò; il duca Astolfo alla gran corte

dentro di Nubia, e visitò; il Senapo.

Il castello è; più; ricco assai che forte,

ove dimora d'Etiopia il capo.

Le catene dei ponti e de le porte,

gangheri e chiavistei da piedi a capo,

e finalmente tutto quel lavoro

che noi di ferro usiamo, ivi usan d'oro.

 

104

Ancor che del finissimo metallo

vi sia tale abondanza, è; pur in pregio.

Colonnate di limpido cristallo

son le gran logge del palazzo regio.

Fan rosso, bianco, verde, azzurro e giallo

sotto i bei palchi un relucente fregio,

divisi tra proporzionati spazi,

rubin, smeraldi, zafiri e topazi.

 

105

In mura, in tetti, in pavimenti sparte

eran le perle, eran le ricche gemme.

Quivi il balsamo nasce; e poca parte

n'ebbe appo questi mai Ierusalemme.

Il muschio ch'a noi vien, quindi si parte;

quindi vien l'ambra, e cerca altre maremme:

vengon le cose in somma da quel canto,

che nei paesi nostri vaglion tanto.

 

106

Si dice che 'l soldan, re de l'Egitto,

a quel re dà; tributo e sta suggetto,

perch'è; in poter di lui dal camin dritto

levare il Nilo, e dargli altro ricetto,

e per questo lasciar subito afflitto

di fame il Cairo e tutto quel distretto.

Senapo detto è; dai sudditi suoi;

gli dicià;n Presto o Preteianni noi.

 

107

Di quanti re mai d'Etiopia foro,

il più; ricco fu questi e il più; possente;

ma con tutta sua possa e suo tesoro,

gli occhi perduti avea miseramente.

E questo era il minor d'ogni martoro:

molto era più; noioso e più; spiacente,

che, quantunque ricchissimo si chiame,

cruciato era da perpetua fame.

 

108

Se per mangiare o ber quello infelice

venì;a cacciato dal bisogno grande,

tosto apparia l'infernal schiera ultrice,

le mostruose arpie brutte e nefande,

che col griffo e con l'ugna predatrice

spargeano i vasi, e rapian le vivande;

e quel che non capia lor ventre ingordo,

vi rimanea contaminato e lordo.

 

109

E questo, perch'essendo d'anni acerbo,

e vistosi levato in tanto onore,

che, oltre alle ricchezze, di più; nerbo

era di tutti gli altri e di più; core;

divenne, come Lucifer, superbo,

e pensò; muover guerra al suo Fattore.

Con la sua gente la via prese al dritto

al monte onde esce il gran fiume d'Egitto.

 

110

Inteso avea che su quel monte alpestre,

ch'oltre alle nubi e presso al ciel si leva,

era quel paradiso che terrestre

si dice, ove abitò; già; Adamo ed Eva.

Con camelli, elefanti, e con pedestre

esercito, orgoglioso si moveva

con gran desir, se v'abitava gente,

di farla alle sue leggi ubbidiente.

 

111

Dio gli ripresse il temerario ardire,

e mandò; l'angel suo tra quelle frotte,

che centomila ne fece morire,

e condannò; lui di perpetua notte.

Alla sua mensa poi fece venire

l'orrendo mostro da l'infernal grotte,

che gli rapisce e contamina i cibi,

né; lascia che ne gusti o ne delibi.

 

112

Ed in desperazion continua il messe

uno che già; gli avea profetizzato

che le sue mense non sariano oppresse

da la rapina e da l'odore ingrato,

quando venir per l'aria si vedesse

un cavallier sopra un cavallo alato.

Perché; dunque impossibil parea questo,

privo d'ogni speranza vivea mesto.

 

113

Or che con gran stupor vede la gente

sopra ogni muro e sopra ogn'alta torre

entrare il cavalliero, immantinente

è; chi a narrarlo al re di Nubia corre,

a cui la profezia ritorna a mente;

ed obliando per letizia torre

la fedel verga, con le mani inante

vien brancolando al cavallier volante.

 

114

Astolfo ne la piazza del castello

con spaziose ruote in terra scese.

Poi che fu il re condotto inanzi a quello,

inginochiossi, e le man giunte stese,

e disse: - Angel di Dio, Messi novello,

s'io non merto perdono a tante offese,

mira che proprio è; a noi peccar sovente,

a voi perdonar sempre a chi si pente.

 

115

Del mio error consapevole, non chieggio

né; chiederti ardirei gli antiqui lumi.

Che tu lo possa far, ben creder deggio,

che sei de' cari a Dio beati numi.

Ti basti il gran martì;r ch'io non ci veggio,

senza ch'ognor la fame mi consumi:

almen discaccia le fetide arpie,

che non rapiscan le vivande mie.

 

116

E di marmore un tempio ti prometto

edificar de l'alta regia mia,

che tutte d'oro abbia le porte e 'l tetto,

e dentro e fuor di gemme ornato sia;

e dal tuo santo nome sarà; detto,

e del miracol tuo scolpito fia. -

Così; dicea quel re che nulla vede,

cercando invan baciare al duca il piede.

 

117

Rispose Astolfo: - Né; l'angel di Dio,

né; son Messia novel, né; dal cielo vegno;

ma son mortale e peccatore anch'io,

di tanta grazia a me concessa indegno.

Io farò; ogn'opra acciò; che 'l mostro rio,

per morte o fuga, io ti levi del regno.

S'io il fo, me non, ma Dio ne loda solo,

che per tuo aiuto qui mi drizzò; il volo.

 

118

Fa questi voti a Dio, debiti a lui;

a lui le chiese edifica e gli altari. -

Così; parlando, andavano ambidui

verso il castello fra i baron preclari.

Il re commanda ai servitori sui

che subito il convito si prepari,

sperando che non debba essergli tolta

la vivanda di mano a questa volta.

 

119

Dentro una ricca sala immantinente

apparecchiossi il convito solenne.

Col Senapo s'assise solamente

il duca Astolfo, e la vivanda venne.

Ecco per l'aria lo stridor si sente,

percossa intorno da l'orribil penne;

ecco venir l'arpie brutte e nefande,

tratte dal cielo a odor de le vivande.

 

120

Erano sette in una schiera, e tutte

volto di donne avean, pallide e smorte,

per lunga fame attenuate e asciutte,

orribili a veder più; che la morte.

L'alaccie grandi avean, deformi e brutte;

le man rapaci, e l'ugne incurve e torte;

grande e fetido il ventre, e lunga coda,

come di serpe che s'aggira e snoda.

 

121

Si sentono venir per l'aria, e quasi

si veggon tutte a un tempo in su la mensa

rapire i cibi e riversare i vasi:

e molta feccia il ventre lor dispensa,

tal che gli è; forza d'atturare i nasi;

che non si può; patir la puzza immensa.

Astolfo, come l'ira lo sospinge,

contra gli ingordi augelli il ferro stringe.

 

122

Uno sul collo, un altro su la groppa

percuote, e chi nel petto, e chi ne l'ala;

ma come fera in su 'n sacco di stoppa,

poi langue il colpo, e senza effetto cala:

e quei non vi lasciar piatto né; coppa

che fosse intatta, né; sgombrar la sala,

prima che le rapine e il fiero pasto

contaminato il tutto avesse e guasto.

 

123

Avuto avea quel re ferma speranza

nel duca, che l'arpie gli discacciassi;

ed or che nulla ove sperar gli avanza,

sospira e geme, e disperato stassi.

Viene al duca del corno rimembranza,

che suole aitarlo ai perigliosi passi;

e conchiude tra sé;, che questa via

per discacciare i mostri ottima sia.

 

124

E prima fa che 'l re con suoi baroni

di calda cera l'orecchia si serra,

acciò; che tutti, come il corno suoni,

non abbiano a fuggir fuor de la terra.

Prende la briglia, e salta sugli arcioni

de l'ippogrifo, ed il bel corno afferra;

e con cenni allo scalco poi commanda

che riponga la mensa e la vivanda.

 

125

E così; in una loggia s'apparecchia

con altra mensa altra vivanda nuova.

Ecco l'arpie che fan l'usanza vecchia:

Astolfo il corno subito ritrova.

Cli augelli, che non han chiusa l'orecchia,

udito il suon, non puon stare alla prova;

ma vanno in fuga pieni di paura,

né; di cibo né; d'altro hanno più; cura.

 

126

Subito il paladin dietro lor sprona:

volando esce il destrier fuor de la loggia,

e col castel la gran città; abandona,

e per l'aria, cacciando i mostri, poggia.

Astolfo il corno tuttavolta suona:

fuggon l'arpie verso la zona roggia,

tanto che sono all'altissimo monte

ove il Nilo ha, se in alcun luogo ha, fonte.

 

127

Quasi de la montagna alla radice

entra sotterra una profonda grotta,

che certissima porta esser si dice

di ch'allo 'nferno vuol scender talotta.

Quivi s'è; quella turba predatrice,

come in sicuro albergo, ricondotta,

e giù; sin di Cocito in su la proda

scesa, e più; là;, dove quel suon non oda.

 

128

All'infernal caliginosa buca

ch'apre la strada a chi abandona il lume,

finì; l'orribil suon l'inclito duca,

e fe' raccorre al suo destrier le piume.

Ma prima che più; inanzi io lo conduca,

per non mi dipartir dal mio costume,

poi che da tutti i lati ho pieno il foglio,

finire il canto, e riposar mi voglio.

 

Torna all'indice

CANTO TRENTAQUATTRESIMO

 

 

1

Oh famelice, inique e fiere arpie

ch'all'accecata Italia e d'error piena,

per punir forse antique colpe rie,

in ogni mensa alto giudicio mena!

Innocenti fanciulli e madri pie

cascan di fame, e veggon ch'una cena

di questi mostri rei tutto divora

ciò; che del viver lor sostegno fôra.

 

2

Troppo fallò; chi le spelonche aperse,

che già; molt'anni erano state chiuse;

onde il fetore e l'ingordigia emerse,

ch'ad ammorbare Italia si diffuse.

Il bel vivere allora si summerse;

e la quiete in tal modo s'escluse,

ch'in guerre, in povertà; sempre e in affanni

è; dopo stata, ed è; per star molt'anni:

 

3

fin ch'ella un giorno ai neghitosi figli

scuota la chioma, e cacci fuor di Lete,

gridando lor: - Non fia chi rassimigli

alla virtù; di Calai e di Zete?

che le mense dal puzzo e dagli artigli

liberi, e torni a lor mondizia liete,

come essi già; quelle di Fineo, e dopo

fe' il paladin quelle del re etiopo. -

 

4

Il paladin col suono orribil venne

le brutte arpie cacciando in fuga e in rotta,

tanto ch'a piè; d'un monte si ritenne,

ove esse erano entrate in una grotta.

L'orecchie attente allo spiraglio tenne,

e l'aria ne sentì; percossa e rotta

da pianti e d'urli e da lamento eterno:

segno evidente quivi esser lo 'nferno.

 

5

Astolfo si pensò; d'entrarvi dentro,

e veder quei c'hanno perduto il giorno,

e penetrar la terra fin al centro,

e le bolge infernal cercare intorno.

- Di che debbo temer (dicea) s'io v'entro,

che mi posso aiutar sempre col corno?

Farò; fuggir Plutone e Satanasso,

e 'l can trifauce leverò; dal passo. -

 

6

De l'alato destrier presto discese,

e lo lasciò; legato a un arbuscello:

poi si calò; ne l'antro, e prima prese

il corno, avendo ogni sua speme in quello.

Non andò; molto inanzi, che gli offese

il naso e gli occhi un fumo oscuro e fello,

più; che di pece grave e che di zolfo:

non sta d'andar per questo inanzi Astolfo.

 

7

Ma quando va più; inanzi, più; s'ingrossa

il fumo e la caligine, e gli pare

ch'andare inanzi più; troppo non possa;

che sarà; forza a dietro ritornare.

Ecco, non sa che sia, vede far mossa

da la volta di sopra, come fare

il cadavero appeso al vento suole,

che molti dì; sia stato all'acqua e al sole.

 

8

Sì; poco, e quasi nulla era di luce

in quella affumicata e nera strada,

che non comprende e non discerne il duce

chi questo sia che sì; per l'aria vada;

e per notizia averne si conduce

a dargli uno o due colpi de la spada.

Stima poi ch'un spirto esser quel debbia;

che gli par di ferir sopra la nebbia.

 

9

Allor sentì; parlar con voce mesta:

- Deh, senza fare altrui danno, giù; cala!

Pur troppo il negro fumo mi molesta,

che dal fuoco infernal qui tutto esala. -

Il duca stupefatto allor s'arresta,

e dice all'ombra: - Se Dio tronchi ogni ala

al fumo, sì; ch'a te più; non ascenda,

non ti dispiaccia che 'l tuo stato intenda.

 

10

E se vuoi che di te porti novella

nel mondo su, per satisfarti sono. -

L'ombra rispose: - Alla luce alma e bella

tornar per fama ancor sì; mi par buono,

che le parole è; forza che mi svella

il gran desir c'ho d'aver poi tal dono,

e che 'l mio nome e l'esser mio ti dica,

ben che 'l parlar mi sia noia e fatica. -

 

11

E cominciò;: - Signor, Lidia sono io,

del re di Lidia in grande altezza nata,

qui dal giudicio altissimo di Dio

al fumo eternamente condannata,

per esser stata al fido amante mio,

mentre io vissi, spiacevole ed ingrata.

D'altre infinite è; questa grotta piena,

poste per simil fallo in simil pena.

 

12

Sta la cruda Anassarete più; al basso,

ove è; maggiore il fumo e più; martire.

Restò; converso al mondo il corpo in sasso

e l'anima qua giù; venne a patire,

poi che veder per lei l'afflitto e lasso

suo amante appeso poté; sofferire.

Qui presso è; Dafne, ch'or s'avvede quanto

errasse a fare Apollo correr tanto.

 

13

Lungo saria se gl'infelici spirti

de le femine ingrate, che qui stanno,

volesse ad uno ad uno riferirti;

che tanti son, ch'in infinito vanno.

Più; lungo ancor saria gli uomini dirti,

a' quai l'essere ingrato ha fatto danno,

e che puniti sono in peggior loco,

ove il fumo gli accieca, e cuoce il fuoco.

 

14

Perché; le donne più; facili e prone

a creder son, di più; supplicio è; degno

chi lor fa inganno. Il sa Teseo e Iasone

e chi turbò; a Latin l'antiquo regno;

sallo ch'incontra sé; il frate Absalone

per Tamar trasse a sanguinoso sdegno;

ed altri ed altre: che sono infiniti,

che lasciato han chi moglie e chi mariti.

 

15

Ma per narrar di me più; che d'altrui,

e palesar l'error che qui mi trasse,

bella, ma altiera più;, sì; in vita fui,

che non so s'altra mai mi s'aguagliasse:

né; ti saprei ben dir, di questi dui,

s'in me l'orgoglio o la beltà; avanzasse;

quantunque il fasto o l'alterezza nacque

da la beltà; ch'a tutti gli occhi piacque.

 

16

Era in quel tempo in Tracia un cavalliero

estimato il miglior del mondo in arme,

il qual da più; d'un testimonio vero

di singular beltà; sentì; lodarme;

tal che spontaneamente fe' pensiero

di volere il suo amor tutto donarme,

stimando meritar per suo valore,

che caro aver di lui dovessi il core.

 

17

In Lidia venne; e d'un laccio più; forte

vinto restò;, poi che veduta m'ebbe.

Con gli altri cavallier si messe in corte

del padre mio, dove in gran fama crebbe.

L'alto valore e le più; d'una sorte

prodezze che mostrò;, lungo sarebbe

a raccontarti, e il suo merto infinito,

quando egli avesse a più; grato uom servito.

 

18

Panfilia e Caria e il regno de' Cilici

per opra di costui mio padre vinse;

che l'esercito mai contra i nimici,

se non quanto volea costui, non spinse.

Costui, poi che gli parve i benefici

suoi meritarlo, un dì; col re si strinse

a domandargli in premio de le spoglie

tante arrecate, ch'io fossi sua moglie.

 

19

Fu repulso dal re, ch'in grande stato

maritar disegnava la figliuola,

non a costui che cavallier privato

altro non tien che la virtude sola:

e 'l padre mio troppo al guadagno dato,

e all'avarizia, d'ogni vizio scuola,

tanto apprezza costumi, o virtù; ammira,

quanto l'asino fa il suon de la lira.

 

20

Alceste, il cavallier di ch'io ti parlo

(che così; nome avea), poi che si vede

repulso da chi più; gratificarlo

era più; debitor, commiato chiede;

e lo minaccia, nel partir, di farlo

pentir che la figliuola non gli diede.

Se n'andò; al re d'Armenia, emulo antico

del re di Lidia e capital nimico;

 

21

e tanto stimulò;, che lo dispose

a pigliar l'arme e far guerra a mio padre.

Esso per l'opre sue chiare e famose

fu fatto capitan di quelle squadre.

Pel re d'Armenia tutte l'altre cose

disse ch'acquisteria: sol le leggiadre

e belle membra mie volea per frutto

de l'opra sua, vinto ch'avesse il tutto.

 

22

Io non ti potre' esprimere il gran danno

ch'Alceste al padre mio fa in quella guerra.

Quattro eserciti rompe, e in men d'un anno

lo mena a tal, che non gli lascia terra,

fuor ch'un castel ch'alte pendici fanno

fortissimo; e là; dentro il re si serra

con la famiglia che più; gli era accetta,

e col tesor che trar vi puote in fretta.

 

23

Quivi assedionne Alceste; ed in non molto

termine a tal disperazion ne trasse,

che per buon patto avria mio padre tolto

che moglie e serva ancor me gli lasciasse

con la metà; del regno, s'indi assolto

restar d'ogni altro danno si sperasse.

Vedersi in breve de l'avanzo privo

era ben certo, e poi morir captivo.

 

24

Tentar, prima ch'accada, si dispone

ogni rimedio che possibil sia;

e me, che d'ogni male era cagione,

fuor de la rocca, ov'era Alceste invia.

Io vo ad Alceste con intenzione

di dargli in preda la persona mia,

e pregar che la parte che vuol tolga

del regno nostro, e l'ira in pace volga.

 

25

Come ode Alceste ch'io vo a ritrovarlo,

mi viene incontra pallido e tremante:

di vinto e di prigione, a riguardarlo,

più; che di vincitore, have sembiante.

Io che conosco ch'arde, non gli parlo

sì; come avea già; disegnato inante:

vista l'occasion, fo pensier nuovo

conveniente al grado in ch'io lo trovo.

 

26

A maledir comincio l'amor d'esso,

e di sua crudeltà; troppo a dolermi,

ch'iniquamente abbia mio padre oppresso,

e che per forza abbia cercato avermi;

che con più; grazia gli saria successo

indi a non molti dì;, se tener fermi

saputo avesse i modi cominciati,

ch'al re ed a tutti noi sì; furon grati.

 

27

E se ben da principio il padre mio

gli avea negata la domanda onesta

(però; che di natura è; un poco rio,

né; mai si piega alla prima richiesta),

farsi per ciò; di ben servir restio

non doveva egli, e aver l'ira sì; presta;

anzi, ognor meglio oprando, tener certo

venire in breve al desiato merto.

 

28

E quando anco mio padre a lui ritroso

stato fosse, io l'avrei tanto pregato,

ch'avria l'amante mio fatto mio sposo.

Pur, se veduto io l'avessi ostinato,

avrei fatto tal opra di nascoso,

che di me Alceste si saria lodato.

Ma poi ch'a lui tentar parve altro modo,

io di mai non l'amar fisso avea il chiodo.

 

29

E se ben era a lui venuta, mossa

da la pietà; ch'al mio padre portava,

sia certo che non molto fruir possa

il piacer ch'al dispetto mio gli dava;

ch'era per far di me la terra rossa,

tosto ch'io avessi alla sua voglia prava

con questa mia persona satisfatto

di quel che tutto a forza saria fatto.

 

30

Queste parole e simili altre usai,

poi che potere in lui mi vidi tanto;

e 'l più; pentito lo rendei, che mai

si trovasse ne l'eremo alcun santo.

Mi cadde a' piedi, e supplicommi assai,

che col coltel che si levò; da canto

(e volea in ogni modo ch'io 'l pigliassi)

di tanto fallo suo mi vendicassi.

 

31

Poi ch'io lo trovo tale, io fo disegno

la gran vittoria insin al fin seguire:

gli do speranza di farlo anco degno

che la persona mia potrà; fruire,

s'emendando il suo error, l'antiquo regno

al padre mio farà; restituire;

e nel tempo a venir vorrà; acquistarme

servendo, amando, e non mai più; per arme.

 

32

Così; far mi promesse, e ne la rocca

intatta mi mandò;, come a lui venni,

né; di baciarmi pur s'ardì; la bocca:

vedi s'al collo il giogo ben gli tenni;

vedi se bene Amor per me lo tocca,

se convien che per lui più; strali impenni.

Al re d'Armenia andò;, di cui dovea

esser per patto ciò; che si prendea:

 

33

e con quel miglior modo ch'usar puote,

lo priega ch'al mio padre il regno lassi,

del qual le terre ha depredate e vote,

ed a goder l'antiqua Armenia passi.

Quel re, d'ira infiammando ambe le gote,

disse ad Alceste che non vi pensassi;

che non si volea tor da quella guerra,

fin che mio padre avea palmo di terra.

 

34

E s'Alceste è; mutato alle parole

d'una vil feminella, abbiasi il danno.

Già; a' prieghi esso di lui perder non vuole

quel ch'a fatica ha preso in tutto un anno.

Di nuovo Alceste il priega, e poi si duole

che seco effetto i prieghi suoi non fanno.

All'ultimo s'adira, e lo minaccia

che vuol, per forza o per amor, lo faccia.

 

35

L'ira multiplicò; sì;, che li spinse

da le male parole ai peggior fatti.

Alceste contra il re la spada strinse

fra mille ch'in suo aiuto s'eran tratti,

e mal grado lor tutti, ivi l'estinse;

e quel dì; ancor gli Armeni ebbe disfatti,

con l'aiuto de' Cilici e de' Traci

che pagava egli, e d'altri suoi seguaci.

 

36

Seguitò; la vittoria, ed a sue spese,

senza dispendio alcun del padre mio,

ne rendé; tutto il regno in men d'un mese.

Poi per ricompensarne il danno rio,

oltr'alle spoglie che ne diede, prese

in parte, e gravò; in parte di gran fio

Armenia e Capadocia che confina,

e scorse Ircania fin su la marina.

 

37

In luogo di trionfo, al suo ritorno,

facemmo noi pensier dargli la morte.

Restammo poi, per non ricever scorno;

che lo veggià;n troppo d'amici forte.

Fingo d'amarlo, e più; di giorno in giorno

gli do speranza d'essergli consorte;

ma prima contra altri nimici nostri

dico voler che sua virtù; dimostri.

 

38

E quando sol, quando con poca gente

lo mando a strane imprese e perigliose,

da farne morir mille agevolmente:

ma lui successer ben tutte le cose;

che tornò; con vittoria, e fu sovente

con orribil persone e mostruose,

con Griganti a battaglia e Lestrigoni,

ch'erano infesti a nostre regioni.

 

39

Non fu da Euristeo mai, non fu mai tanto

da la matrigna esercitato Alcide

in Lerna, in Nemea, in Tracia, in Erimanto,

alle valli d'Etolia, alle Numide,

sul Tevre, su l'Ibero e altrove; quanto

con prieghi finti e con voglie omicide

esercitato fu da me il mio amante,

cercando io pur di torlomi davante.

 

40

Né; potendo venire al primo intento,

vengone ad un di non minore effetto:

gli fo quei tutti ingiuriar, ch'io sento

che per lui sono, e a tutti in odio il metto.

Egli che non sentia maggior contento

che d'ubbidirmi, senza alcun rispetto

le mani ai cenni miei sempre avea pronte,

senza guardare un più; d'un altro in fronte.

 

41

Poi che mi fu, per questo mezzo, aviso

spento aver del mio padre ogni nimico,

e per lui stesso Alceste aver conquiso,

che non si avea, per noi, lasciato amico;

quel ch'io gli avea con simulato viso

celato fin allor, chiaro gli esplico:

che grave e capitale odio gli porto,

e pur tuttavia cerco che sia morto.

 

42

Considerando poi, s'io lo facessi,

ch'in publica ignominia ne verrei

(sapeasi troppo quanto io gli dovessi,

e crudel detta sempre ne sarei),

mi parve fare assai ch'io gli togliessi

di mai venir più; inanzi agli occhi miei.

Né; veder né; parlar mai più; gli volsi,

né; messo udi', né; lettera ne tolsi.

 

43

Questa mia ingratitudine gli diede

tanto martì;r, ch'al fin dal dolor vinto,

e dopo un lungo domandar mercede,

infermo cadde, e ne rimase estinto.

Per pena ch'al fallir mio si richiede,

or gli occhi ho lacrimosi, e il viso tinto

del negro fumo: e così; avrò; in eterno;

che nulla redenzione è; ne l'inferno. -

 

44

Poi che non parla più; Lidia infelice,

va il duca per saper s'altri vi stanzi:

ma la caligine alta ch'era ultrice

de l'opre ingrate, si gl'ingrossa inanzi,

ch'andare un palmo sol più; non gli lice;

anzi a forza tornar gli conviene, anzi,

perché; la vita non gli sia intercetta

dal fumo, i passi accelerar con fretta.

 

45

Il mutar spesso de le piante ha vista

di corso, e non di chi passeggia o trotta.

Tanto, salendo inverso l'erta, acquista,

che vede dove aperta era la grotta;

e l'aria, già; caliginosa e trista,

dal lume cominciava ad esser rotta.

Al fin con molto affanno e grave ambascia

esce de l'antro, e dietro il fumo lascia.

 

46

E perché; del tornar la via sia tronca

a quelle bestie c'han sì; ingorde l'epe,

raguna sassi, e molti arbori tronca,

che v'eran qual d'amomo e qual di pepe;

e come può;, dinanzi alla spelonca

fabrica di sua man quasi una siepe:

e gli succede così; ben quell'opra,

che più; l'arpie non torneran di sopra.

 

47

Il negro fumo de la scura pece,

mentre egli fu ne la caverna tetra,

non macchiò; sol quel ch'apparia, ed infece,

ma sotto i panni ancora entra e penè;tra;

sì; che per trovare acqua andar lo fece

cercando un pezzo; e al fin fuor d'una pietra

vide una fonte uscir ne la foresta,

ne la qual si lavò; dal piè; alla testa.

 

48

Poi monta il volatore, e in aria s'alza

per giunger di quel monte in su la cima,

che non lontan con la superna balza

dal cerchio de la luna esser si stima.

Tanto è; il desir che di veder lo 'ncalza,

ch'al cielo aspira, e la terra non stima.

De l'aria più; e più; sempre guadagna,

tanto ch'al giogo va de la montagna.

 

49

Zafir, rubini, oro, topazi e perle,

e diamanti e crisoliti e iacinti

potriano i fiori assimigliar, che per le

liete piaggie v'avea l'aura dipinti:

sì; verdi l'erbe, che possendo averle

qua giù;, ne fôran gli smeraldi vinti;

né; men belle degli arbori le frondi,

e di frutti e di fior sempre fecondi.

 

50

Cantan fra i rami gli augelletti vaghi

azzurri e bianchi e verdi e rossi e gialli.

Murmuranti ruscelli e cheti laghi

di limpidezza vincono i cristalli.

Una dolce aura che ti par che vaghi

a un modo sempre e dal suo stil non falli,

facea sì; l'aria tremolar d'intorno,

che non potea noiar calor del giorno:

 

51

e quella ai fiori, ai pomi e alla verzura

gli odor diversi depredando giva,

e di tutti faceva una mistura

che di soavità; l'alma notriva.

Surgea un palazzo in mezzo alla pianura,

ch'acceso esser parea di fiamma viva:

tanto splendore intorno e tanto lume

raggiava, fuor d'ogni mortal costume.

 

52

Astolfo il suo destrier verso il palagio

che più; di trenta miglia intorno aggira,

a passo lento fa muovere ad agio,

e quinci e quindi il bel paese ammira;

e giudica, appo quel, brutto e malvagio,

e che sia al ciel ed a natura in ira

questo ch'abitian noi fetido mondo:

tanto è; soave quel, chiaro e giocondo.

 

53

Come egli è; presso al luminoso tetto,

attonito riman di maraviglia;

che tutto d'una gemma è; 'l muro schietto,

più; che carbonchio lucida e vermiglia.

O stupenda opra, o dedalo architetto!

Qual fabrica tra noi le rassimiglia?

Taccia qualunque le mirabil sette

moli del mondo in tanta gloria mette.

 

54

Nel lucente vestibulo di quella

felice casa un vecchio al duca occorre,

che 'l manto ha rosso, e bianca la gonnella,

che l'un può; al latte, e l'altro al minio opporre.

I crini ha bianchi, e bianca la mascella

di folta barba ch'al petto discorre;

ed è; sì; venerabile nel viso,

ch'un degli eletti par del paradiso.

 

55

Costui con lieta faccia al paladino,

che riverente era d'arcion disceso,

disse: - O baron, che per voler divino

sei nel terrestre paradiso asceso;

come che né; la causa del camino,

né; il fin del tuo desir da te sia inteso;

pur credi che non senza alto misterio

venuto sei da l'artico emisperio.

 

56

Per imparar come soccorrer dé;i

Carlo, e la santa fé; tor di periglio

venuto meco a consigliar ti sei

per così; lunga via, senza consiglio.

Né; a tuo saper, né; a tua virtù; vorrei

ch'esser qui giunto attribuissi, o figlio;

che né; il tuo corno, né; il cavallo alato

ti valea, se da Dio non t'era dato.

 

57

Ragionerem più; ad agio insieme poi,

e ti dirò; come a procedere hai:

ma prima vienti a ricrear con noi;

che 'l digiun lungo de' noiarti ormai. -

Continuando il vecchio i detti suoi,

fece meravigliare il duca assai,

quando scoprendo il nome suo, gli disse

esser colui che l'evangelio scrisse:

 

58

quel tanto al Redentor caro Giovanni,

per cui il sermone tra i fratelli uscì;o,

che non dovea per morte finir gli anni;

sì; che fu causa che 'l figliuol di Dio

a Pietro disse: - Perché; pur t'affanni,

s'io vo' che così; aspetti il venir mio? -

Ben che non disse: egli non de' morire,

si vede pur che così; volse dire.

 

59

Quivi fu assunto, e trovò; compagnia,

che prima Enoch, il patriarca, v'era;

eravi insieme il gran profeta Elia,

che non han vista ancor l'ultima sera;

e fuor de l'aria pestilente e ria

si goderan l'eterna primavera,

fin che dian segno l'angeliche tube,

che torni Cristo in su la bianca nube.

 

60

Con accoglienza grata il cavalliero

fu dai santi alloggiato in una stanza;

fu provisto in un'altra al suo destriero

di buona biada, che gli fu a bastanza.

De' frutti a lui del paradiso diero,

di tal sapor, ch'a suo giudicio, sanza

scusa non sono i duo primi parenti,

se per quei fur sì; poco ubbidienti.

 

61

Poi ch'a natura il duca aventuroso

satisfece di quel che se le debbe,

come col cibo, così; col riposo,

che tutti e tutti i commodi quivi ebbe;

lasciando già; l'Aurora il vecchio sposo,

ch'ancor per lunga età; mai non l'increbbe,

si vide incontra ne l'uscir del letto

il discipul da Dio tanto diletto;

 

62

che lo prese per mano, e seco scorse

di molte cose di silenzio degne:

e poi disse: - Figliuol, tu non sai forse

che in Francia accada, ancor che tu ne vegne.

Sappi che 'l vostro Orlando, perché; torse

dal camin dritto le commesse insegne,

è; punito da Dio, che più; s'accende

contra chi egli ama più;, quando s'offende.

 

63

Il vostro Orlando, a cui nascendo diede

somma possanza Dio con sommo ardire,

e fuor de l'uman uso gli concede

che ferro alcun non lo può; mai ferire;

perché; a difesa di sua santa fede

così; voluto l'ha costituire,

come Sansone incontra a' Filistei

costituì; a difesa degli Ebrei:

 

64

renduto ha il vostro Orlando al suo Signore

di tanti benefici iniquo merto;

che quanto aver più; lo dovea in favore,

n'è; stato il fedel popul più; deserto.

Sì; accecato l'avea l'incesto amore

d'una pagana, ch'avea già; sofferto

due volte e più; venire empio e crudele,

per dar la morte al suo cugin fedele.

 

65

E Dio per questo fa ch'egli va folle,

e mostra nudo il ventre, il petto e il fianco;

e l'intelletto sì; gli offusca e tolle,

che non può; altrui conoscere, e sé; manco.

A questa guisa si legge che volle

Nabuccodonosor Dio punir anco,

che sette anni il mandò; il furor pieno,

sì; che, qual bue, pasceva l'erba e il fieno.

 

66

Ma perch'assai minor del paladino,

che di Nabucco, è; stato pur l'eccesso,

sol di tre mesi dal voler divino

a purgar questo error termine è; messo.

Né; ad altro effetto per tanto camino

salir qua su t'ha il Redentor concesso,

se non perché; da noi modo tu apprenda,

come ad Orlando il suo senno si renda.

 

67

Gli è; ver che ti bisogna altro viaggio

far meco, e tutta abbandonar la terra.

Nel cerchio de la luna a menar t'aggio,

che dei pianeti a noi più; prossima erra,

perché; la medicina che può; saggio

rendere Orlando, là; dentro si serra.

Come la luna questa notte sia

sopra noi giunta, ci porremo in via. -

 

68

Di questo e d'altre cose fu diffuso

il parlar de l'apostolo quel giorno.

Ma poi che 'l sol s'ebbe nel mar rinchiuso,

e sopra lor levò; la luna il corno,

un carro apparecchiò;si, ch'era ad uso

d'andar scorrendo per quei cieli intorno:

quel già; ne le montagne di Giudea

da' mortali occhi Elia levato avea.

 

69

Quattro destrier via più; che fiamma rossi

al giogo il santo evangelista aggiunse;

e poi che con Astolfo rassettossi,

e prese il freno, inverso il ciel li punse.

Ruotando il carro, per l'aria levossi,

e tosto in mezzo il fuoco eterno giunse;

che 'l vecchio fe' miracolosamente,

che, mentre lo passar, non era ardente.

 

70

Tutta la sfera varcano del fuoco,

ed indi vanno al regno de la luna.

Veggon per la più; parte esser quel loco

come un acciar che non ha macchia alcuna;

e lo trovano uguale, o minor poco

di ciò; ch'in questo globo si raguna,

in questo ultimo globo de la terra,

mettendo il mar che la circonda e serra.

 

71

Quivi ebbe Astolfo doppia meraviglia:

che quel paese appresso era sì; grande,

il quale a un picciol tondo rassimiglia

a noi che lo miriam da queste bande;

e ch'aguzzar conviengli ambe le ciglia,

s'indi la terra e 'l mar ch'intorno spande,

discerner vuol; che non avendo luce,

l'imagin lor poco alta si conduce.

 

72

Altri fiumi, altri laghi, altre campagne

sono là; su, che non son qui tra noi;

altri piani, altre valli, altre montagne,

c'han le cittadi, hanno i castelli suoi,

con case de le quai mai le più; magne

non vide il paladin prima né; poi:

e vi sono ample e solitarie selve,

ove le ninfe ognor cacciano belve.

 

73

Non stette il duca a ricercar il tutto;

che là; non era asceso a quello effetto.

Da l'apostolo santo fu condutto

in un vallon fra due montagne istretto,

ove mirabilmente era ridutto

ciò; che si perde o per nostro diffetto,

o per colpa di tempo o di Fortuna:

ciò; che si perde qui, là; si raguna.

 

74

Non pur di regni o di ricchezze parlo,

in che la ruota instabile lavora;

ma di quel ch'in poter di tor, di darlo

non ha Fortuna, intender voglio ancora.

Molta fama è; là; su, che, come tarlo,

il tempo al lungo andar qua giù; divora:

là; su infiniti prieghi e voti stanno,

che da noi peccatori a Dio si fanno.

 

75

Le lacrime e i sospiri degli amanti,

l'inutil tempo che si perde a giuoco,

e l'ozio lungo d'uomini ignoranti,

vani disegni che non han mai loco,

i vani desideri sono tanti,

che la più; parte ingombran di quel loco:

ciò; che in somma qua giù; perdesti mai,

là; su salendo ritrovar potrai.

 

76

Passando il paladin per quelle biche,

or di questo or di quel chiede alla guida.

Vide un monte di tumide vesiche,

che dentro parea aver tumulti e grida;

e seppe ch'eran le corone antiche

e degli Assiri e de la terra lida,

e de' Persi e de' Greci, che già; furo

incliti, ed or n'è; quasi il nome oscuro.

 

77

Ami d'oro e d'argento appresso vede

in una massa, ch'erano quei doni

che si fan con speranza di mercede

ai re, agli avari principi, ai patroni.

Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede,

ed ode che son tutte adulazioni.

Di cicale scoppiate imagine hanno

versi ch'in laude dei signor si fanno.

 

78

Di nodi d'oro e di gemmati ceppi

vede c'han forma i mal seguiti amori.

V'eran d'aquile artigli; e che fur, seppi,

l'autorità; ch'ai suoi danno i signori.

I mantici ch'intorno han pieni i greppi,

sono i fumi dei principi e i favori

che danno un tempo ai ganimedi suoi,

che se ne van col fior degli anni poi.

 

79

Ruine di cittadi e di castella

stavan con gran tesor quivi sozzopra.

Domanda, e sa che son trattati, e quella

congiura che sì; mal par che si cuopra.

Vide serpi con faccia di donzella,

di monetieri e di ladroni l'opra:

poi vide bocce rotte di più; sorti,

ch'era il servir de le misere corti.

 

80

Di versate minestre una gran massa

vede, e domanda al suo dottor ch'importe.

- L'elemosina è; (dice) che si lassa

alcun, che fatta sia dopo la morte. -

Di vari fiori ad un gran monte passa,

ch'ebbe già; buono odore, or putia forte.

Questo era il dono (se però; dir lece)

che Costantino al buon Silvestro fece.

 

81

Vide gran copia di panie con visco,

ch'erano, o donne, le bellezze vostre.

Lungo sarà;, se tutte in verso ordisco

le cose che gli fur quivi dimostre;

che dopo mille e mille io non finisco,

e vi son tutte l'occurrenze nostre:

sol la pazzia non v'è; poca né; assai;

che sta qua giù;, né; se ne parte mai.

 

82

Quivi ad alcuni giorni e fatti sui,

ch'egli già; avea perduti, si converse;

che se non era interprete con lui,

non discernea le forme lor diverse.

Poi giunse a quel che par sì; averlo a nui,

che mai per esso a Dio voti non ferse;

io dico il senno: e n'era quivi un monte,

solo assai più; che l'altre cose conte.

 

83

Era come un liquor suttile e molle,

atto a esalar, se non si tien ben chiuso;

e si vedea raccolto in varie ampolle,

qual più;, qual men capace, atte a quell'uso.

Quella è; maggior di tutte, in che del folle

signor d'Anglante era il gran senno infuso;

e fu da l'altre conosciuta, quando

avea scritto di fuor: Senno d'Orlando.

 

84

E così; tutte l'altre avean scritto anco

il nome di color di chi fu il senno.

Del suo gran parte vide il duca franco;

ma molto più; maravigliar lo fenno

molti ch'egli credea che dramma manco

non dovessero averne, e quivi dé;nno

chiara notizia che ne tenean poco;

che molta quantità; n'era in quel loco.

 

85

Altri in amar lo perde, altri in onori,

altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;

altri ne le speranze de' signori,

altri dietro alle magiche sciocchezze;

altri in gemme, altri in opre di pittori,

ed altri in altro che più; d'altro aprezze.

Di sofisti e d'astrologhi raccolto,

e di poeti ancor ve n'era molto.

 

86

Astolfo tolse il suo; che gliel concesse

lo scrittor de l'oscura Apocalisse.

L'ampolla in ch'era al naso sol si messe,

e par che quello al luogo suo ne gisse:

e che Turpin da indi in qua confesse

ch'Astolfo lungo tempo saggio visse;

ma ch'uno error che fece poi, fu quello

ch'un'altra volta gli levò; il cervello.

 

87

La più; capace e piena ampolla, ov'era

il senno che solea far savio il conte,

Astolfo tolle; e non è; sì; leggiera,

come stimò;, con l'altre essendo a monte.

Prima che 'l paladin da quella sfera

piena di luce alle più; basse smonte,

menato fu da l'apostolo santo

in un palagio ov'era un fiume a canto;

 

88

ch'ogni sua stanza avea piena di velli

di lin, di seta, di coton, di lana,

tinti in vari colori e brutti e belli.

Nel primo chiostro una femina cana

fila a un aspo traea da tutti quelli,

come veggià;n l'estate la villana

traer dai bachi le bagnate spoglie,

quando la nuova seta si raccoglie.

 

89

V'è; chi, finito un vello, rimettendo

ne viene un altro, e chi ne porta altronde:

un'altra de le filze va scegliendo

il bel dal brutto che quella confonde.

- Che lavor si fa qui, ch'io non l'intendo? -

dice a Giovanni Astolfo; e quel risponde:

- Le vecchie son le Parche, che con tali

stami filano vite a voi mortali.

 

90

Quanto dura un de' velli, tanto dura

l'umana vita, e non di più; un momento.

Qui tien l'occhio e la Morte e la Natura,

per saper l'ora ch'un debba esser spento.

Sceglier le belle fila ha l'altra cura,

perché; si tesson poi per ornamento

del paradiso; e dei più; brutti stami

si fan per li dannati aspri legami. -

 

91

Di tutti i velli ch'erano già; messi

in aspo, e scelti a farne altro lavoro,

erano in brevi piastre i nomi impressi,

altri di ferro, altri d'argento o d'oro:

e poi fatti n'avean cumuli spessi,

de' quali, senza mai farvi ristoro,

portarne via non si vedea mai stanco

un vecchio, e ritornar sempre per anco.

 

92

Era quel vecchio sì; espedito e snello,

che per correr parea che fosse nato;

e da quel monte il lembo del mantello

portava pien del nome altrui segnato.

Ove n'andava, e perché; facea quello,

ne l'altro canto vi sarà; narrato,

se d'averne piacer segno farete

con quella grata udienza che solete.

 

Torna all'indice

CANTO TRENTACINQUESIMO

 

 

1

Chi salirà; per me, madonna, in cielo

a riportarne il mio perduto ingegno?

che, poi ch'uscì; da' bei vostri occhi il telo

che 'l cor mi fisse, ognor perdendo vegno.

Né; di tanta iattura mi querelo,

pur che non cresca, ma stia a questo segno;

ch'io dubito, se più; si va scemando,

di venir tal, qual ho descritto Orlando.

 

2

Per riaver l'ingegno mio m'è; aviso

che non bisogna che per l'aria io poggi

nel cerchio de la luna o in paradiso;

che 'l mio non credo che tanto alto alloggi.

Ne' bei vostri occhi e nel sereno viso,

nel sen d'avorio e alabastrini poggi

se ne va errando; ed io con queste labbia

lo corrò;, se vi par ch'io lo riabbia.

 

3

Per gli ampli tetti andava il paladino

tutte mirando le future vite,

poi ch'ebbe visto sul fatal molino

volgersi quelle ch'erano già; ordite:

e scorse un vello che più; che d'or fino

splender parea; né; sarian gemme trite,

s'in filo si tirassero con arte,

da comparargli alla millesma parte.

 

4

Mirabilmente il bel vello gli piacque,

che tra infiniti paragon non ebbe;

e di sapere alto disio gli nacque,

quando sarà; tal vita, e a chi si debbe.

L'evangelista nulla gliene tacque:

che venti anni principio prima avrebbe

che col .M. e col .D. fosse notato

l'anno corrente dal Verbo incarnato,

 

5

E come di splendore e di beltade

quel vello non avea simile o pare,

così; saria la fortunata etade

che dovea uscirne al mondo singulare;

perché; tutte le grazie inclite e rade

ch'alma Natura, o proprio studio dare,

o benigna Fortuna ad uomo puote,

avrà; in perpetua ed infallibil dote.

 

6

- Del re de' fiumi tra l'altiere corna

or siede umil (diceagli) e piccol borgo:

dinanzi il Po, di dietro gli soggiorna

d'alta palude un nebuloso gorgo;

che, volgendosi gli anni, la più; adorna

di tutte le città; d'Italia scorgo,

non pur di mura e d'ampli tetti regi,

ma di bei studi e di costumi egregi.

 

7

Tanta esaltazione e così; presta,

non fortuì;ta o d'aventura casca;

ma l'ha ordinata il ciel, perché; sia questa

degna in che l'uom di ch'io ti parlo, nasca:

che, dove il frutto ha da venir, s'inesta

e con studio si fa crescer la frasca;

e l'artefice l'oro affinar suole,

in che legar gemma di pregio vuole.

 

8

Né; sì; leggiadra né; sì; bella veste

unque ebbe altr'alma in quel terrestre regno;

e raro è; sceso e scenderà; da queste

sfere superne un spirito sì; degno,

come per farne Ippolito da Este

n'have l'eterna mente alto disegno.

Ippolito da Este sarà; detto

l'uom a chi Dio sì; ricco dono ha eletto.

 

9

Quegli ornamenti che divisi in molti,

a molti basterian per tutti ornarli,

in suo ornamento avrà; tutti raccolti

costui, di c'hai voluto ch'io ti parli.

Le virtudi per lui, per lui soffolti

saran gli studi; e s'io vorrò; narrar li

alti suoi merti, al fin son sì; lontano,

ch'Orlando il senno aspetterebbe invano. -

 

10

Così; venì;a l'imitator di Cristo

ragionando col duca: e poi che tutte

le stanze del gran luogo ebbono visto,

onde l'umane vite eran condutte,

sul fiume usciro, che d'arena misto

con l'onde discorrea turbide e brutte;

e vi trovar quel vecchio in su la riva,

che con gl'impressi nomi vi veniva.

 

11

Non so se vi sia a mente, io dico quello

ch'al fin de l'altro canto vi lasciai,

vecchio di faccia, e sì; di membra snello,

che d'ogni cervio è; più; veloce assai.

Degli altrui nomi egli si empì;a il mantello;

scemava il monte, e non finiva mai:

ed in quel fiume che Lete si noma,

scarcava, anzi perdea la ricca soma.

 

12

Dico che, come arriva in su la sponda

del fiume, quel prodigo vecchio scuote

il lembo pieno, e ne la turbida onda

tutte lascia cader l'impresse note.

Un numer senza fin se ne profonda,

ch'un minimo uso aver non se ne puote;

e di cento migliaia che l'arena

sul fondo involve, un se ne serva a pena.

 

13

Lungo e d'intorno quel fiume volando

givano corvi ed avidi avoltori,

mulacchie e vari augelli, che gridando

facean discordi strepiti e romori;

ed alla preda correan tutti, quando

sparger vedean gli amplissimi tesori:

e chi nel becco, e chi ne l'ugna torta

ne prende; ma lontan poco li porta.

 

14

Come vogliono alzar per l'aria i voli,

non han poi forza che 'l peso sostegna;

sì; che convien che Lete pur involi

de' ricchi nomi la memoria degna.

Fra tanti augelli son duo cigni soli,

bianchi, Signor, come è; la vostra insegna,

che vengon lieti riportando in bocca

sicuramente il nome che lor tocca.

 

15

Così; contra i pensieri empi e maligni

del vecchio che donar li vorria al fiume,

alcuno ne salvan gli augelli benigni:

tutto l'avanzo oblivion consume.

Or se ne van notando i sacri cigni,

ed or per l'aria battendo le piume,

fin che presso alla ripa del fiume empio

trovano un colle, e sopra il colle un tempio.

 

16

All'Inmmortalitade il luogo è; sacro,

ove una bella ninfa giù; del colle

viene alla ripa del leteo lavacro,

e di bocca dei cigni i nomi tolle;

e quelli affige intorno al simulacro

ch'in mezzo il tempio una colonna estolle,

quivi li sacra, e ne fa tal governo,

che vi si pôn veder tutti in eterno.

 

17

Chi sia quel vecchio, e perché; tutti al rio

senza alcun frutto i bei nomi dispensi,

e degli augelli, e di quel luogo pio

onde la bella ninfa al fiume viensi,

aveva Astolfo di saper desio

i gran misteri e gl'incogniti sensi;

e domandò; di tutte queste cose

l'uomo di Dio, che così; gli rispose:

 

18

- Tu dé;i saper che non si muove fronda

là; giù; che segno qui non se ne faccia.

Ogni effetto convien che corrisponda

in terra e in ciel, ma con diversa faccia.

Quel vecchio, la cui barba il petto inonda,

veloce sì; che mai nulla l'impaccia,

gli effetti pari e la medesima opra

che 'l Tempo fa là; giù;, fa qui di sopra.

 

19

Volte che son le fila in su la ruota,

là; giù; la vita umana arriva al fine.

La fama là;, qui ne riman la nota;

ch'immortali sariano ambe e divine,

se non che qui quel da la irsuta gota,

e là; giù; il Tempo ognor ne fa rapine.

Questi le getta, come vedi, al rio;

e quel l'immerge ne l'eterno oblio.

 

20

E come qua su i corvi e gli avoltori

e le mulacchie e gli altri varii augelli

s'affaticano tutti per trar fuori

de l'acqua i nomi che veggion più; belli:

così; là; giù; ruffiani, adulatori,

buffon, cinedi, accusatori, e quelli

che viveno alle corti e che vi sono

più; grati assai che 'l virtuoso e 'l buono,

 

21

e son chiamati cortigian gentili,

perché; sanno imitar l'asino e 'l ciacco;

de' lor signor, tratto che n'abbia i fili

la giusta Parca, anzi Venere e Bacco,

questi di ch'io ti dico, inerti e vili,

nati solo ad empir di cibo il sacco,

portano in bocca qualche giorno il nome;

poi ne l'oblio lascian cader le some.

 

22

Ma come i cigni che cantando lieti

rendeno salve le medaglie al tempio,

così; gli uomini degni da' poeti

son tolti da l'oblio, più; che morte empio.

Oh bene accorti principi e discreti,

che seguite di Cesare l'esempio,

e gli scrittor vi fate amici, donde

non avete a temer di Lete l'onde!

 

23

Son, come i cigni, anco i poeti rari,

poeti che non sian del nome indegni;

sì; perché; il ciel degli uomini preclari

non pate mai che troppa copia regni,

sì; per gran colpa dei signori avari

che lascian mendicare i sacri ingegni;

che le virtù; premendo, ed esaltando

i vizi, caccian le buone arti in bando.

 

24

Credi che Dio questi ignoranti ha privi

de lo 'ntelletto, e loro offusca i lumi;

che de la poesia gli ha fatto schivi,

acciò; che morte il tutto ne consumi.

Oltre che del sepolcro uscirian vivi,

ancor ch'avesser tutti i rei costumi,

pur che sapesson farsi amica Cirra,

più; grato odore avrian che nardo o mirra.

 

25

Non sì; pietoso Enea, né; forte Achille

fu, come è; fama, né; sì; fiero Ettorre;

e ne son stati e mille a mille e mille

che lor si puon con verità; anteporre:

ma i donati palazzi e le gran ville

dai descendenti lor, gli ha fatto porre

in questi senza fin sublimi onori

da l'onorate man degli scrittori.

 

26

Non fu sì; santo né; benigno Augusto

come la tuba di Virgilio suona.

L'aver avuto in poesia buon gusto

la proscrizion iniqua gli perdona.

Nessun sapria se Neron fosse ingiusto,

né; sua fama saria forse men buona,

avesse avuto e terra e ciel nimici,

se gli scrittor sapea tenersi amici.

 

27

Omero Agamennò;n vittorioso,

e fe' i Troian parer vili ed inerti;

e che Penelopea fida al suo sposo

dai Prochi mille oltraggi avea sofferti.

E se tu vuoi che 'l ver non ti sia ascoso,

tutta al contrario l'istoria converti:

che i Greci rotti, e che Troia vittrice,

e che Penelopea fu meretrice.

 

28

Da l'altra parte odi che fama lascia

Elissa, ch'ebbe il cor tanto pudico;

che riputata viene una bagascia,

solo perché; Maron non le fu amico.

Non ti maravigliar ch'io n'abbia ambascia,

e se di ciò; diffusamente io dico.

Gli scrittori amo, e fo il debito mio;

ch'al vostro mondo fui scrittore anch'io.

 

29

E sopra tutti gli altri io feci acquisto

che non mi può; levar tempo né; morte:

e ben convenne al mio lodato Cristo

rendermi guidardon di sì; gran sorte.

Duolmi di quei che sono al tempo tristo,

quando la cortesia chiuso ha le porte;

che con pallido viso e macro e asciutto

la notte e 'l dì; vi picchian senza frutto.

 

30

Sì; che continuando il primo detto,

sono i poeti e gli studiosi pochi;

che dove non han pasco né; ricetto,

insin le fere abbandonano i lochi. -

Così; dicendo il vecchio benedetto

gli occhi infiammò;, che parveno duo fuochi;

poi volto al duca con un saggio riso

tornò; sereno il conturbato viso.

 

31

Resti con lo scrittor de l'evangelo

Astolfo ormai, ch'io voglio far un salto,

quanto sia in terra a venir fin dal cielo;

ch'io non posso più; star su l'ali in alto.

Torno alla donna a cui con grave telo

mosso avea gelosia crudele assalto.

Io la lasciai ch'avea con breve guerra

tre re gittati, un dopo l'altro, in terra;

 

32

e che giunta la sera ad un castello

ch'alla via di Parigi si ritrova,

d'Agramante, che rotto dal fratello

s'era ridotto in Arli, ebbe la nuova.

Certa che 'l suo Ruggier fosse con quello,

tosto ch'apparve in ciel la luce nuova,

verso Provenza, dove ancora intese

che Carlo lo seguia, la strada prese.

 

33

Verso Provenza per la via più; dritta

andando, s'incontrò; in una donzella,

ancor che fosse lacrimosa e afflitta,

bella di faccia e di maniere bella.

Questa era quella sì; d'amor traffitta

per lo figliuol di Monodante, quella

donna gentil ch'avea lasciato al ponte

l'amante suo prigion di Rodomonte.

 

34

Ella venì;a cercando un cavalliero,

ch'a far battaglia usato, come lontra,

in acqua e in terra fosse, e così; fiero,

che lo potesse al pagan porre incontra.

La sconsolata amica di Ruggiero,

come quest'altra sconsolata incontra,

cortesemente la saluta, e poi

le chiede la cagion dei dolor suoi.

 

35

Fiordiligi lei mira, e veder parle

un cavallier ch'al suo bisogno fia;

e comincia del ponte a ricontarle,

ove impedisce il re d'Algier la via;

e ch'era stato appresso di levarle

l'amante suo: non che più; forte sia;

ma sapea darsi il Saracino astuto

col ponte stretto e con quel fiume aiuto.

 

36

- Se sei (dicea) sì; ardito e sì; cortese,

come ben mostri l'uno e l'altro in vista,

mi vendica, per Dio, di chi mi prese

il mio signore, e mi fa gir sì; trista;

o consigliami almeno in che paese

possa io trovare un ch'a colui resista,

e sappia tanto d'arme e di battaglia,

che 'l fiume e 'l ponte al pagan poco vaglia.

 

37

Oltre che tu farai quel che conviensi

ad uom cortese e a cavalliero errante,

in beneficio il tuo valor dispensi

del più; fedel d'ogni fedele amante.

De l'altre sue virtù; non appertiensi

a me narrar; che sono tante e tante,

che chi non n'ha notizia, si può; dire

che sia del veder privo e de l'udire. -

 

38

La magnanima donna, a cui fu grata

sempre ogni impresa che può; farla degna

d'esser con laude e gloria nominata,

subito al ponte di venir disegna:

ed ora tanto più;, ch'è; disperata,

vien volentier, quando anco a morir vegna;

che credendosi, misera! esser priva

del suo Ruggiero, ha in odio d'esser viva.

 

39

- Per quel ch'io vaglio, giovane amorosa

(rispose Bradamante), io m'offerisco

di far l'impresa dura e perigliosa,

per altre cause ancor, ch'io preterisco;

ma più;, che del tuo amante narri cosa

che narrar di pochi uomini avvertisco,

che sia in amor fedel; ch'a fé; ti giuro

ch'in ciò; pensai ch'ognun fosse pergiuro. -

 

40

Con un sospir quest'ultime parole

finì;, con un sospir ch'uscì; dal core;

poi disse: - Andiamo; - e nel seguente sole

giunsero al fiume, al passo pien d'orrore.

Scoperte da la guardia che vi suole

farne segno col corno al suo signore,

il pagan s'arma; e quale è; 'l suo costume,

sul ponte s'apparecchia in ripa al fiume:

 

41

e come vi compar quella guerriera,

di porla a morte subito minaccia,

quando de l'arme e del destrier su ch'era,

al gran sepolcro oblazion non faccia.

Bradamante che sa l'istoria vera,

come per lui morta Issabella giaccia,

che Fiordiligi detto le l'avea,

al Saracin superbo rispondea:

 

42

- Perché; vuoi tu, bestial, che gli innocenti

facciano penitenza del tuo fallo?

Del sangue tuo placar costei convienti:

tu l'uccidesti, e tutto 'l mondo sallo.

Sì; che di tutte l'arme e guernimenti

di tanti che gittati hai da cavallo,

oblazione e vittima più; accetta

avrà;, ch'io te l'uccida in sua vendetta.

 

43

E di mia man le fia più; grato il dono,

quando, come ella fu, son donna anch'io:

né; qui venuta ad altro effetto sono,

ch'a vendicarla; e questo sol disio.

Ma far tra noi prima alcun patto è; buono,

che 'l tuo valor si compari col mio.

S'abbattuta sarò;, di me farai

quel che degli altri tuoi prigion fatt'hai:

 

44

ma s'io t'abbatto, come io credo e spero,

guadagnar voglio il tuo cavallo e l'armi,

e quelle offerir sole al cimitero,

e tutte l'altre distaccar da' marmi;

e voglio che tu lasci ogni guerriero. -

Rispose Rodomonte: - Giusto parmi

che sia come tu di'; ma i prigion darti

già; non potrei, ch'io non gli ho in queste parti.

 

45

Io gli ho al mio regno in Africa mandati:

ma ti prometto, e ti do ben la fede,

che se m'avvien per casi inopinati

che tu stia in sella e ch'io rimanga a piede,

farò; che saran tutti liberati

in tanto tempo quanto si richiede

di dare a un messo ch'in fretta si mandi

e far quel che, s'io perdo, mi commandi.

 

46

Ma s'a te tocca star di sotto, come

piu si conviene, e certo so che fia,

non vo' che lasci l'arme, né; il tuo nome,

come di vinta, sottoscritto sia:

al tuo bel viso, a' begli occhi, alle chiome,

che spiran tutti amore e leggiadria,

voglio donar la mia vittoria; e basti

che ti disponga amarmi, ove m'odiasti.

 

47

Io son di tal valor, son di tal nerbo,

ch'aver non dé;i d'andar di sotto a sdegno. -

Sorrise alquanto, ma d'un riso acerbo

che fece d'ira, più; che d'altro, segno,

la donna, né; rispose a quel superbo;

ma tornò; in capo al ponticel di legno,

spronò; il cavallo, e con la lancia d'oro

venne a trovar quell'orgoglioso Moro.

 

48

Rodomonte alla giostra s'apparecchia:

viene a gran corso; ed è; sì; grande il suono

che rende il ponte, ch'intronar l'orecchia

può; forse a molti che lontan ne sono.

La lancia d'oro fe' l'usanza vecchia;

che quel pagan, sì; dianzi in giostra buono,

levò; di sella, e in aria lo sospese,

indi sul ponte a capo in giù; lo stese.

 

49

Nel trapassar ritrovò; a pena loco

ove entrar col destrier quella guerriera;

e fu a gran risco, e ben vi mancò; poco,

ch'ella non traboccò; ne la riviera:

ma Rabicano, il quale il vento e 'l fuoco

concetto avean, sì; destro ed agil era,

che nel margine estremo trovò; strada;

e sarebbe ito anco su 'n fil di spada.

 

50

Ella si volta, e contra l'abbattuto

pagan ritorna; e con leggiadro motto:

- Or puoi (disse) veder chi abbia perduto,

e a chi di noi tocchi di star di sotto. -

Di maraviglia il pagan resta muto,

ch'una donna a cader l'abbia condotto;

e far risposta non poté; o non volle,

e fu come uom pien di stupore e folle.

 

51

Di terra si levò; tacito e mesto;

e poi ch'andato fu quattro o sei passi,

lo scudo e l'elmo, e de l'altre arme il resto

tutto si trasse, e gittò; contra i sassi;

e solo e a piè; fu a dileguarsi presto:

non che commission prima non lassi

a un suo scudier, che vada a far l'effetto

dei prigion suoi, secondo che fu detto.

 

52

Partissi; e nulla poi più; se n'intese,

se non che stava in una grotta scura.

Intanto Bradamante avea sospese

di costui l'arme all'alta sepoltura,

e fattone levar tutto l'arnese,

il qual dei cavallieri, alla scrittura,

conobbe de la corte esser di Carlo;

non levò; il resto, e non lasciò; levarlo.

 

53

Oltr'a quel del figliuol di Monodante,

v'è; quel di Sansonetto e d'Oliviero,

che per trovare il principe d'Anglante,

quivi condusse il più; dritto sentiero.

Quivi fur presi, e furo il giorno inante

mandati via dal Saracino altiero.

Di questi l'arme fe' la donna torre

da l'alta mole, e chiuder ne la torre.

 

54

Tutte l'altre lasciò; pender dai sassi,

che fur spogliate ai cavallier pagani.

V'eran l'arme d'un re, del quale i passi

per Frontalatte mal fur spesi e vani:

io dico l'arme del re de' Circassi,

che dopo lungo errar per colli e piani,

venne quivi a lasciar l'altro destriero;

e poi senz'arme andossene leggiero.

 

55

S'era partito disarmato e a piede

quel re pagan dal periglioso ponte,

sì; come gli altri ch'eran di sua fede,

partir da sé; lasciava Rodomonte.

Ma di tornar più; al campo non gli diede

il cor; ch'ivi apparir non avria fronte:

che per quel che vantossi, troppo scorno

gli saria farvi in tal guisa ritorno.

 

56

Di pur cercar nuovo desir lo prese

colei che sol avea fissa nel core.

Fu l'aventura sua, che tosto intese

(io non vi saprei dir chi ne fu autore)

ch'ella tornava verso il suo paese:

onde esso, come il punge e sprona Amore,

dietro alla pesta subito si pone.

Ma tornar voglio alla figlia d'Amone.

 

57

Poi che narrato ebbe con altro scritto

come da lei fu liberato il passo;

a Fiordiligi ch'avea il core afflitto,

e tenea il viso lacrimoso e basso,

domandò; umanamente ov'ella dritto

volea che fosse, indi partendo, il passo.

Rispose Fiordiligi: - Il mio camino

vo' che sia in Arli al campo saracino,

 

58

ove navilio e buona compagnia

spero trovar da gir ne l'altro lito.

Mai non mi fermerò; fin ch'io non sia

venuta al mio signore e mio marito.

Voglio tentar, perché; in prigion non stia,

più; modi e più;; che se mi vien fallito

questo che Rodomonte t'ha promesso,

ne voglio avere uno ed un altro appresso. -

 

59

- Io m'offerisco (disse Bradamante)

d'accompagnarti un pezzo de la strada,

tanto che tu ti vegga Arli davante,

ove per amor mio vo' che tu vada

a trovar quel Ruggier del re Agramante,

che del suo nome ha piena ogni contrada;

e che gli rendi questo buon destriero,

onde abbattuto ho il Saracino altiero.

 

60

Voglio ch'a punto tu gli dica questo:

- Un cavallier che di provar si crede,

e fare a tutto 'l mondo manifesto

che contra lui sei mancator di fede;

acciò; ti trovi apparecchiato e presto,

questo destrier, perch'io tel dia, mi diede.

Dice che trovi tua piastra e tua maglia,

e che l'aspetti a far teco battaglia.