-

Con tal pensiero uscì; nel verde prato,

dal qual tutto il palazzo era aggirato.

 

14

Mentre circonda la casa silvestra,

tenendo pur a terra il viso chino,

per veder s'orma appare, o da man destra

o da sinistra, di nuovo camino;

si sente richiamar da una finestra:

e leva gli occhi; e quel parlar divino

gli pare udire, e par che miri il viso,

che l'ha da quel che fu, tanto diviso.

 

15

Pargli Angelica udir, che supplicando

e piangendo gli dica: - Aita, aita!

la mia virginità; ti raccomando

più; che l'anima mia, più; che la vita.

Dunque in presenza del mio caro Orlando

da questo ladro mi sarà; rapita?

più; tosto di tua man dammi la morte,

che venir lasci a sì; infelice sorte. -

 

16

Queste parole una ed un'altra volta

fanno Orlando tornar per ogni stanza,

con passione e con fatica molta,

ma temperata pur d'alta speranza.

Talor si ferma, ed una voce ascolta,

che di quella d'Angelica ha sembianza

(e s'egli è; da una parte, suona altronde),

che chieggia aiuto; e non sa trovar donde.

 

17

Ma tornando a Ruggier, ch'io lasciai quando

dissi che per sentiero ombroso e fosco

il gigante e la donna seguitando,

in un gran prato uscito era del bosco;

io dico ch'arrivò; qui dove Orlando

dianzi arrivò;, se 'l loco riconosco.

Dentro la porta il gran gigante passa:

Ruggier gli è; appresso, e di seguir non lassa.

 

18

Tosto che pon dentro alla soglia il piede,

per la gran corte e per le logge mira;

né; più; il gigante né; la donna vede,

e gli occhi indarno or quinci or quindi aggira.

Di su di giù; va molte volte e riede;

né; gli succede mai quel che desira:

né; si sa imaginar dove sì; tosto

con la donna il fellon si sia nascosto.

 

19

Poi che revisto ha quattro volte e cinque

di su di giù; camere e logge e sale,

pur di nuovo ritorna, e non relinque

che non ne cerchi fin sotto le scale.

Con speme al fin che sian ne le propinque

selve, si parte: ma una voce, quale

richiamò; Orlando, lui chiamò; non manco;

e nel palazzo il fe' ritornar anco.

 

20

Una voce medesma, una persona

che paruta era Angelica ad Orlando,

parve a Ruggier la donna di Dordona,

che lo tenea di sé; medesmo in bando.

Se con Gradasso o con alcun ragiona

di quei ch'andavan nel palazzo errando,

a tutti par che quella cosa sia,

che più; ciascun per sé; brama e desia.

 

21

Questo era un nuovo e disusato incanto

ch'avea composto Atlante di Carena,

perché; Ruggier fosse occupato tanto

in quel travaglio, in quella dolce pena,

che 'l mal'influsso n'andasse da canto,

l'influsso ch'a morir giovene il mena.

Dopo il castel d'acciar, che nulla giova,

e dopo Alcina, Atlante ancor fa pruova.

 

22

Non pur costui, ma tutti gli altri ancora,

che di valore in Francia han maggior fama,

acciò; che di lor man Ruggier non mora,

condurre Atlante in questo incanto trama.

E mentre fa lor far quivi dimora,

perché; di cibo non patischin brama,

sì; ben fornito avea tutto il palagio,

che donne e cavallier vi stanno ad agio.

 

23

Ma torniamo ad Angelica, che seco

avendo quell'annel mirabil tanto,

ch'in bocca a veder lei fa l'occhio cieco,

nel dito, l'assicura da l'incanto;

e ritrovato nel montano speco

cibo avendo e cavalla e veste e quanto

le fu bisogno, avea fatto disegno

di ritornare in India al suo bel regno.

 

24

Orlando volentieri o Sacripante

voluto avrebbe in compania: non ch'ella

più; caro avesse l'un che l'altro amante;

anzi di par fu a' lor disii ribella:

ma dovendo, per girsene in Levante,

passar tante città;, tante castella,

di compagnia bisogno avea e di guida,

né; potea aver con altri la più; fida.

 

25

Or l'uno or l'altro andò; molto cercando,

prima ch'indizio ne trovasse o spia,

quando in cittade, e quando in ville, e quando

in alti boschi, e quando in altra via.

Fortuna al fin là; dove il conte Orlando,

Ferraù; e Sacripante era, la invia,

con Ruggier, con Gradasso ed altri molti

che v'avea Atlante in strano intrico avolti.

 

26

Quivi entra, che veder non la può; il mago,

e cerca il tutto, ascosa dal suo annello;

e trova Orlando e Sacripante vago

di lei cercare invan per quello ostello.

Vede come, fingendo la sua immago,

Atlante usa gran fraude a questo e a quello.

Chi tor debba di lor, molto rivolve

nel suo pensier, né; ben se ne risolve.

 

27

Non sa stimar chi sia per lei migliore,

il conte Orlando o il re dei fier Circassi.

Orlando la potrà; con più; valore

meglio salvar nei perigliosi passi:

ma se sua guida il fa, sel fa signore;

ch'ella non vede come poi l'abbassi,

qualunque volta, di lui sazia, farlo

voglia minore, o in Francia rimandarlo.

 

28

Ma il Circasso depor, quando le piaccia,

potrà;, se ben l'avesse posto in cielo.

Questa sola cagion vuol ch'ella il faccia

sua scorta, e mostri avergli fede e zelo.

L'annel trasse di bocca, e di sua faccia

levò; dagli occhi a Sacripante il velo.

Credette a lui sol dimostrarsi, e avenne

ch'Orlando e Ferraù; le sopravenne.

 

29

Le sopravenne Ferraù; ed Orlando;

che l'uno e l'altro parimente giva

di su di giù;, dentro e di fuor cercando

del gran palazzo lei, ch'era lor diva.

Corser di par tutti alla donna, quando

nessuno incantamento gli impediva:

perché; l'annel ch'ella si pose in mano,

fece d'Atlante ogni disegno vano.

 

30

L'usbergo indosso aveano e l'elmo in testa

dui di questi guerrier, dei quali io canto;

né; notte o dì;, dopo ch'entraro in questa

stanza, l'aveano mai messi da canto;

che facile a portar, come la vesta,

era lor, perché; in uso l'avean tanto.

Ferraù; il terzo era anco armato, eccetto

che non avea né; volea avere elmetto,

 

31

fin che quel non avea, che 'l paladino

tolse Orlando al fratel del re Troiano;

ch'allora lo giurò;, che l'elmo fino

cercò; de l'Argalia nel fiume invano:

e se ben quivi Orlando ebbe vicino,

né; però; Ferraù; pose in lui mano;

avenne, che conoscersi tra loro

non si poter, mentre là; dentro foro.

 

32

Era così; incantato quello albergo,

ch'insieme riconoscer non poteansi.

Né; notte mai né; dì;, spada né; usbergo

né; scudo pur dal braccio rimoveansi.

I lor cavalli con la sella al tergo,

pendendo i morsi da l'arcion, pasceansi

in una stanza, che presso all'uscita,

d'orzo e di paglia sempre era fornita.

 

33

Atlante riparar non sa né; puote,

ch'in sella non rimontino i guerrieri

per correr dietro alle vermiglie gote,

all'auree chiome ed a' begli occhi neri

de la donzella, ch'in fuga percuote

la sua iumenta, perché; volentieri

non vede li tre amanti in compagnia,

che forse tolti un dopo l'altro avria.

 

34

E poi che dilungati dal palagio

gli ebbe sì;, che temer più; non dovea

che contra lor l'incantator malvagio

potesse oprar la sua fallacia rea;

l'annel che le schivò; più; d'un disagio,

tra le rosate labra si chiudea:

donde lor sparve subito dagli occhi,

e gli lasciò; come insensati e sciocchi.

 

35

Come che fosse il suo primier disegno

di voler seco Orlando o Sacripante,

ch'a ritornar l'avessero nel regno

di Galafron ne l'ultimo Levante;

le vennero amendua subito a sdegno,

e si mutò; di voglia in uno istante:

e senza più; obligarsi o a questo o a quello,

pensò; bastar per amendua il suo annello.

 

36

Volgon pel bosco or quinci or quindi in fretta

quelli scherniti la stupida faccia;

come il cane talor, se gli è; intercetta

o lepre o volpe, a cui dava la caccia,

che d'improviso in qualche tana stretta

o in folta macchia o in un fosso si caccia.

Di lor si ride Angelica proterva,

che non è; vista, e i lor progressi osserva.

 

37

Per mezzo il bosco appar sol una strada:

credono i cavallier che la donzella

inanzi a lor per quella se ne vada;

che non se ne può; andar, se non per quella.

Orlando corre, e Ferraù; non bada,

né; Sacripante men sprona e puntella.

Angelica la briglia più; ritiene,

e dietro lor con minor fretta viene.

 

38

Giunti che fur, correndo, ove i sentieri

a perder si venian ne la foresta,

e cominciar per l'erba i cavallieri

a riguardar se vi trovavan pesta;

Ferraù;, che potea fra quanti altieri

mai fosser, gir con la corona in testa,

si volse con mal viso agli altri dui,

e gridò; lor: - Dove venite vui?

 

39

Tornate a dietro, o pigliate altra via,

se non volete rimaner qui morti:

né; in amar né; in seguir la donna mia

si creda alcun, che compagnia comporti. -

Disse Orlando al Circasso: - Che potria

più; dir costui, s'ambi ci avesse scorti

per le più; vili e timide puttane

che da conocchie mai traesser lane?

 

40

Poi volto a Ferraù;, disse: - Uom bestiale,

s'io non guardassi che senza elmo sei,

di quel c'hai detto, s'hai ben detto o male,

senz'altra indugia accorger ti farei. -

Disse il Spagnuol: - Di quel ch'a me non cale,

perché; pigliarne tu cura ti dei?

Io sol contra ambidui per far son buono

quel che detto ho, senza elmo come sono. -

 

41

- Deh (disse Orlando al re di Circassia),

in mio servigio a costui l'elmo presta,

tanto ch'io gli abbia tratta la pazzia;

ch'altra non vidi mai simile a questa. -

Rispose il re: - Chi più; pazzo saria?

Ma se ti par pur la domanda onesta,

prestagli il tuo; ch'io non sarò; men atto,

che tu sia forse, a castigare un matto. -

 

42

Soggiunse Ferraù;: - Sciocchi voi, quasi

che, se mi fosse il portar elmo a grado,

voi senza non ne fosse già; rimasi;

che tolti i vostri avrei, vostro mal grado.

Ma per narrarvi in parte li miei casi,

per voto così; senza me ne vado,

ed anderò;, fin ch'io non ho quel fino

che porta in capo Orlando paladino. -

 

43

- Dunque (rispose sorridente il conte)

ti pensi a capo nudo esser bastante

far ad Orlando quel che in Aspramonte

egli già; fece al figlio d'Agolante?

Anzi credo io, se tel vedessi a fronte,

ne tremeresti dal capo alle piante;

non che volessi l'elmo, ma daresti

l'altre arme a lui di patto, che tu vesti. -

 

44

Il vantator Spagnuol disse: - Già; molte

fiate e molte ho così; Orlando astretto,

che facilmente l'arme gli avrei tolte,

quante indosso n'avea, non che l'elmetto;

e s'io nol feci, occorrono alle volte

pensier che prima non s'aveano in petto:

non n'ebbi, già; fu, voglia; or l'aggio, e spero

che mi potrà; succeder di leggiero. -

 

45

Non potè; aver più; pazienza Orlando

e gridò;: - Mentitor, brutto marrano,

in che paese ti trovasti, e quando,

a poter più; di me con l'arme in mano?

Quel paladin, di che ti vai vantando,

son io, che ti pensavi esser lontano.

Or vedi se tu puoi l'elmo levarme,

o s'io son buon per torre a te l'altre arme.

 

46

Né; da te voglio un minimo vantaggio. -

Così; dicendo, l'elmo si disciolse,

e lo suspese a un ramuscel di faggio;

e quasi a un tempo Durindana tolse.

Ferraù; non perdè; di ciò; il coraggio:

trasse la spada, e in atto si raccolse,

onde con essa e col levato scudo

potesse ricoprirsi il capo nudo.

 

47

Così; li duo guerrieri incominciaro,

lor cavalli aggirando, a volteggiarsi;

e dove l'arme si giungeano, e raro

era più; il ferro, col ferro a tentarsi.

Non era in tutto 'l mondo un altro paro

che più; di questo avessi ad accoppiarsi:

pari eran di vigor, pari d'ardire;

né; l'un né; l'altro si potea ferire.

 

48

Ch'abbiate, Signor mio, già; inteso estimo,

che Ferraù; per tutto era fatato,

fuor che là; dove l'alimento primo

piglia il bambin nel ventre ancor serrato:

e fin che del sepolcro il tetro limo

la faccia gli coperse, il luogo armato

usò; portar, dove era il dubbio, sempre

di sette piastre fatte a buone tempre.

 

49

Era ugualmente il principe d'Anglante

tutto fatato, fuor che in una parte:

ferito esser potea sotto le piante;

ma le guardò; con ogni studio ed arte.

Duro era il resto lor più; che diamante

(se la fama dal ver non si diparte);

e l'uno e l'altro andò;, più; per ornato

che per bisogno, alle sue imprese armato.

 

50

S'incrudelisce e inaspra la battaglia,

d'orrore in vista e di spavento piena.

Ferraù;, quando punge e quando taglia,

né; mena botta che non vada piena:

ogni colpo d'Orlando o piastra o maglia

e schioda e rompe ed apre e a straccio mena.

Angelica invisibile lor pon mente,

sola a tanto spettacolo presente.

 

51

Intanto il re di Circassia, stimando

che poco inanzi Angelica corresse,

poi ch'attaccati Ferraù; ed Orlando

vide restar, per quella via si messe,

che si credea che la donzella, quando

da lor disparve, seguitata avesse:

sì; che a quella battaglia la figliuola

di Galafron fu testimonia sola.

 

52

Poi che, orribil come era e spaventosa,

l'ebbe da parte ella mirata alquanto,

e che le parve assai pericolosa

così; da l'un come da l'altro canto;

di veder novità; voluntarosa,

disegnò; l'elmo tor, per mirar quanto

fariano i duo guerrier, vistosel tolto;

ben con pensier di non tenerlo molto.

 

53

Ha ben di darlo al conte intenzione;

na se ne vuole in prima pigliar gioco.

L'elmo dispicca, e in grembio se lo pone,

e sta a mirare i cavallieri un poco.

Di poi si parte, e non fa lor sermone;

e lontana era un pezzo da quel loco,

prima ch'alcun di lor v'avesse mente:

sì; l'uno e l'altro era ne l'ira ardente.

 

54

Ma Ferraù;, che prima v'ebbe gli occhi,

si dispiccò; da Orlando, e disse a lui:

- Deh come n'ha da male accorti e sciocchi

trattati il cavallier ch'era con nui!

Che premio fia ch'al vincitor più; tocchi,

se 'l bel elmo involato n'ha costui? -

Ritrassi Orlando, e gli occhi al ramo gira:

non vede l'elmo, e tutto avampa d'ira.

 

55

E nel parer di Ferraù; concorse,

che 'l cavallier che dianzi era con loro

se lo portasse; onde la briglia torse,

e fe' sentir gli sproni a Brigliadoro.

Ferraù; che del campo il vide torse,

gli venne dietro; e poi che giunti foro

dove ne l'erba appar l'orma novella

ch'avea fatto il Circasso e la donzella,

 

56

prese la strada alla sinistra il conte

verso una valle, ove il Circasso era ito:

si tenne Ferraù; più; presso al monte,

dove il sentiero Angelica avea trito.

Angelica in quel mezzo ad una fonte

giunta era, ombrosa e di giocondo sito,

ch'ognun che passa, alle fresche ombre invita,

né;, senza ber, mai lascia far partita.

 

57

Angelica si ferma alle chiare onde,

non pensando ch'alcun le sopravegna;

e per lo sacro annel che la nasconde,

non può; temer che caso rio le avegna.

A prima giunta in su l'erbose sponde

del rivo l'elmo a un ramuscel consegna;

poi cerca, ove nel bosco è; miglior frasca,

la iumenta legar, perché; si pasca.

 

58

Il cavallier di Spagna, che venuto

era per l'orme, alla fontana giunge.

Non l'ha sì; tosto Angelica veduto,

che gli dispare, e la cavalla punge.

L'elmo, che sopra l'erba era caduto,

ritor non può;, che troppo resta lunge.

Come il pagan d'Angelica s'accorse,

tosto vêr lei pien di letizia corse.

 

59

Gli sparve, come io dico, ella davante,

come fantasma al dipartir del sonno.

Cercando egli la va per quelle piante

né; i miseri occhi più; veder la ponno.

Bestemiando Macone e Trivigante,

e di sua legge ogni maestro e donno,

ritornò; Ferraù; verso la fonte,

u' ne l'erba giacea l'elmo del conte.

 

60

Lo riconobbe, tosto che mirollo,

per lettere ch'avea scritte ne l'orlo;

che dicean dove Orlando guadagnollo,

e come e quando, ed a chi fe' deporlo.

Armossene il pagano il capo e il collo,

che non lasciò;, pel duol ch'avea, di torlo;

pel duol ch'avea di quella che gli sparve,

come sparir soglion notturne larve.

 

61

Poi ch'allacciato s'ha il buon elmo in testa,

aviso gli è;, che a contentarsi a pieno,

sol ritrovare Angelica gli resta,

che gli appar e dispar come baleno.

Per lei tutta cercò; l'alta foresta:

e poi ch'ogni speranza venne meno

di più; poterne ritrovar vestigi,

tornò; al campo spagnuol verso Parigi;

 

62

temperando il dolor che gli ardea il petto,

di non aver sì; gran disir sfogato,

col refrigerio di portar l'elmetto

che fu d'Orlando, come avea giurato.

Dal conte, poi che 'l certo gli fu detto,

fu lungamente Ferraù; cercato;

né; fin quel dì; dal capo gli lo sciolse,

che fra duo ponti la vita gli tolse.

 

63

Angelica invisibile e soletta

via se ne va, ma con turbata fronte;

che de l'elmo le duol, che troppa fretta

le avea fatto lasciar presso alla fonte.

- Per voler far quel ch'a me far non spetta

(tra sé; dicea), levato ho l'elmo al conte:

questo, pel primo merito, è; assai buono

di quanto a lui pur ubligata sono.

 

64

Con buona intenzione (e sallo Idio),

ben che diverso e tristo effetto segua,

io levai l'elmo: e solo il pensier mio

fu di ridur quella battaglia a triegua;

e non che per mio mezzo il suo disio

questo brutto Spagnuol oggi consegua. -

Così; di sé; s'andava lamentando

d'aver de l'elmo suo privato Orlando.

 

65

Sdegnata e malcontenta la via prese,

che le parea miglior, verso Oriente.

Più; volte ascosa andò;, talor palese,

secondo era oportuno, infra la gente.

Dopo molto veder molto paese,

giunse in un bosco, dove iniquamente

fra duo compagni morti un giovinetto

trovò;, ch'era ferito in mezzo il petto.

 

66

Ma non dirò; d'Angelica or più; inante;

che molte cose ho da narrarvi prima:

né; sono a Ferraù; né; a Sacripante,

sin a gran pezzo per donar più; rima.

Da lor mi leva il principe d'Anglante,

che di sé; vuol che inanzi agli altri esprima

le fatiche e gli affanni che sostenne

nel gran disio, di che a fin mai non venne.

 

67

Alla prima città; ch'egli ritruova

(perché; d'andare occulto avea gran cura)

si pone in capo una barbuta nuova,

senza mirar s'ha debil tempra o dura:

sia qual si vuol, poco gli nuoce o giova;

sì; ne la fatagion si rassicura.

Così; coperto seguita l'inchiesta;

né; notte, o giorno, o pioggia, o sol l'arresta.

 

68

Era ne l'ora, che trae i cavalli

Febo del mar con rugiadoso pelo,

e l'Aurora di fior vermigli e gialli

venì;a spargendo d'ogn'intorno il cielo;

e lasciato le stelle aveano i balli,

e per partirsi postosi già; il velo:

quando appresso a Parigi un dì; passando,

mostrò; di sua virtù; gran segno Orlando.

 

69

In dua squadre incontrossi: e Manilardo

ne reggea l'una, il Saracin canuto,

re di Norizia, già; fiero e gagliardo,

or miglior di consiglio che d'aiuto;

guidava l'altra sotto il suo stendardo

il re di Tremisen, ch'era tenuto

tra gli Africani cavallier perfetto:

Alzirdo fu, da chi 'l conobbe, detto.

 

70

Questi con l'altro esercito pagano

quella invernata avean fatto soggiorno,

chi presso alla città;, chi più; lontano,

tutti alle ville o alle castella intorno:

ch'avendo speso il re Agramante invano,

per espugnar Parigi, più; d'un giorno,

volse tentar l'assedio finalmente,

poi che pigliar non lo potea altrimente.

 

71

E per far questo avea gente infinita;

che oltre a quella che con lui giunt'era,

e quella che di Spagna avea seguita

del re Marsilio la real bandiera

molta di Francia n'avea al soldo unita;

che da Parigi insino alla riviera

d'Arli, con parte di Guascogna (eccetto

alcune rocche) avea tutto suggetto.

 

72

Or cominciando i trepidi ruscelli

a sciorre il freddo giaccio in tiepide onde,

e i prati di nuove erbe, e gli arbuscelli

a rivestirsi di tenera fronde;

ragunò; il re Agramante tutti quelli

che seguian le fortune sue seconde,

per farsi rassegnar l'armata torma;

indi alle cose sue dar miglior forma.

 

73

A questo effetto il re di Tremisenne

con quel de la Norizia ne venì;a,

per là; giungere a tempo, ove si tenne

poi conto d'ogni squadra o buona o ria.

Orlando a caso ad incontrar si venne

(come io v'ho detto) in questa compagnia,

cercando pur colei, come egli era uso,

che nel carcer d'Amor lo tenea chiuso.

 

74

Come Alzirdo appressar vide quel conte

che di valor non avea pari al mondo,

in tal sembiante, in sì; superba fronte,

che 'l dio de l'arme a lui parea secondo;

restò; stupito alle fattezze conte,

al fiero sguardo, al viso furibondo:

e lo stimò; guerrier d'alta prodezza;

ma ebbe del provar troppa vaghezza.

 

75

Era giovane Alzirdo, ed arrogante

per molta forza, e per gran cor pregiato.

Per giostrar spinse il suo cavallo inante:

meglio per lui, se fosse in schiera stato;

che ne lo scontro il principe d'Anglante

lo fe' cader per mezzo il cor passato.

Giva in fuga il destrier di timor pieno,

che su non v'era chi reggesse il freno.

 

76

Levasi un grido subito ed orrendo,

che d'ogn'intorno n'ha l'aria ripiena,

come si vede il giovene, cadendo,

spicciar il sangue di sì; larga vena.

La turba verso il conte vien fremendo

disordinata, e tagli e punte mena;

ma quella è; più;, che con pennuti dardi

tempesta il fior dei cavallier gagliardi.

 

77

Con qual rumor la setolosa frotta

correr da monti suole o da campagne,

se 'l lupo uscito di nascosa grotta,

o l'orso sceso alle minor montagne,

un tener porco preso abbia talotta,

che con grugnito e gran stridor si lagne;

con tal lo stuol barbarico era mosso

verso il conte, gridando: - Addosso, addosso! -

 

78

Lance, saette e spade ebbe l'usbergo

a un tempo mille, e lo scudo altretante:

chi gli percuote con la mazza il tergo,

chi minaccia da lato, e chi davante.

Ma quel, ch'al timor mai non diede albergo,

estima la vil turba e l'arme tante,

quel che dentro alla mandra, all'aer cupo,

il numer de l'agnelle estimi il lupo.

 

79

Nuda avea in man quella fulminea spada

che posti ha tanti Saracini a morte:

dunque chi vuol di quanta turba cada

tenere il conto, ha impresa dura e forte.

Rossa di sangue già; correa la strada,

capace a pena a tante genti morte;

perché; né; targa né; capel difende

la fatal Durindana, ove discende,

 

80

né; vesta piena di cotone, o tele

che circondino il capo in mille vò;lti.

Non pur per l'aria gemiti e querele,

ma volan braccia e spalle e capi sciolti.

Pel campo errando va Morte crudele

in molti, vari, e tutti orribil volti;

e tra sé; dice: - In man d'Orlando valci

Durindana per cento de mie falci. -

 

81

Una percossa a pena l'altra aspetta.

Ben tosto cominciar tutti a fuggire;

e quando prima ne veniano in fretta

(perch'era sol, credeanselo inghiottire),

non è; chi per levarsi de la stretta

l'amico aspetti, e cerchi insieme gire:

chi fugge a piedi in qua, chi colà; sprona;

nessun domanda se la strada è; buona.

 

82

Virtude andava intorno con lo speglio

che fa veder ne l'anima ogni ruga:

nessun vi si mirò;, se non un veglio

a cui il sangue l'età;, non l'ardir, sciuga.

Vide costui quanto il morir sia meglio,

che con suo disonor mettersi in fuga:

dico il re di Norizia; onde la lancia

arrestò; contra il paladin di Francia.

 

83

E la roppe alla penna de lo scudo

del fiero conte, che nulla si mosse.

Egli ch'avea alla posta il brando nudo,

re Manilardo al trapassar percosse.

Fortuna l'aiutò;; che 'l ferro crudo

in man d'Orlando al venir giù; voltosse:

tirare i colpi a filo ognor non lece;

ma pur di sella stramazzar lo fece.

 

84

Stordito de l'arcion quel re stramazza:

non si rivolge Orlando a rivederlo;

che gli altri taglia, tronca, fende, amazza;

a tutti pare in su le spalle averlo.

Come per l'aria, ove han sì; larga piazza,

fuggon li storni da l'audace smerlo,

così; di quella squadra ormai disfatta

altri cade, altri fugge, altri s'appiatta.

 

85

Non cessò; pria la sanguinosa spada,

che fu di viva gente il campo voto.

Orlando è; in dubbio a ripigliar la strada,

ben che gli sia tutto il paese noto.

O da man destra o da sinistra vada,

il pensier da l'andar sempre è; remoto:

d'Angelica cercar, fuor ch'ove sia,

teme, e di far sempre contraria via.

 

86

Il suo camin (di lei chiedendo spesso)

or per li campi or per le selve tenne:

e sì; come era uscito di se stesso,

uscì; di strada; e a piè; d'un monte venne,

dove la notte fuor d'un sasso fesso

lontan vide un splendor batter le penne.

Orlando al sasso per veder s'accosta,

se quivi fosse Angelica reposta.

 

87

Come nel bosco de l'umil ginepre,

o ne la stoppia alla campagna aperta,

quando si cerca la paurosa lepre

per traversati solchi e per via incerta,

si va ad ogni cespuglio, ad ogni vepre,

se per ventura vi fosse coperta;

così; cercava Orlando con gran pena

la donna sua, dove speranza il mena.

 

88

Verso quel raggio andando in fretta il conte,

giunse ove ne la selva si diffonde

da l'angusto spiraglio di quel monte,

ch'una capace grotta in sé; nasconde;

e trova inanzi ne la prima fronte

spine e virgulti, come mura e sponde,

per celar quei che ne la grotta stanno,

da chi far lor cercasse oltraggio e danno.

 

89

Di giorno ritrovata non sarebbe,

ma la facea di notte il lume aperta.

Orlando pensa ben quel ch'esser debbe;

pur vuol saper la cosa anco più; certa.

Poi che legato fuor Brigliadoro ebbe,

tacito viene alla grotta coperta:

e fra li spessi rami ne la buca

entra, senza chiamar chi l'introduca.

 

90

Scende la tomba molti gradi al basso,

dove la viva gente sta sepolta.

Era non poco spazioso il sasso

tagliato a punte di scarpelli in volta;

né; di luce diurna in tutto casso,

ben che l'entrata non ne dava molta;

ma ve ne venì;a assai da una finestra

che sporgea in un pertugio da man destra.

 

91

In mezzo la spelonca, appresso a un fuoco,

era una donna di giocondo viso;

quindici anni passar dovea di poco,

quanto fu al conte, al primo sguardo, aviso:

ed era bella sì;, che facea il loco

salvatico parere un paradiso;

ben ch'avea gli occhi di lacrime pregni,

del cor dolente manifesti segni.

 

92

V'era una vecchia; e facean gran contese

(come uso feminil spesso esser suole),

ma come il conte ne la grotta scese,

finiron le dispù;te e le parole.

Orlando a salutarle fu cortese

(come con donne sempre esser si vuole),

ed elle si levaro immantinente,

e lui risalutar benignamente.

 

93

Gli è; ver che si smarriro in faccia alquanto,

come improviso udiron quella voce,

e insieme entrare armato tutto quanto

vider là; dentro un uom tanto feroce.

Orlando domandò; qual fosse tanto

scortese, ingiusto, barbaro ed atroce,

che ne la grotta tenesse sepolto

un sì; gentile ed amoroso volto.

 

94

La vergine a fatica gli rispose,

interrotta da fervidi signiozzi,

che dai coralli e da le preziose

perle uscir fanno i dolci accenti mozzi.

Le lacrime scendean tra gigli e rose,

là; dove avien ch'alcuna se n'inghiozzi.

Piacciavi udir ne l'altro canto il resto,

Signor, che tempo è; ormai di finir questo.

 

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CANTO TREDICESIMO

 

 

1

Ben furo aventurosi i cavallieri

ch'erano a quella età;, che nei valloni,

ne le scure spelonche e boschi fieri,

tane di serpi, d'orsi e di leoni,

trovavan quel che nei palazzi altieri

a pena or trovar puon giudici buoni:

donne, che ne la lor più; fresca etade

sien degne d'aver titol di beltade.

 

2

Di sopra vi narrai che ne la grotta

avea trovato Orlando una donzella,

e che la dimandò; ch'ivi condotta

l'avesse: or seguitando, dico ch'ella,

poi che più; d'un signiozzo l'ha interrotta,

con dolce e suavissima favella

al conte fa le sue sciagure note,

con quella brevità; che meglio puote.

 

3

- Ben che io sia certa (dice), o cavalliero,

ch'io porterò; del mio parlar supplizio,

perché; a colui che qui m'ha chiusa, spero

che costei ne darà; subito indizio;

pur son disposta non celarti il vero,

e vada la mia vita in precipizio.

E ch'aspettar poss'io da lui più; gioia,

che 'l si disponga un dì; voler ch'io muoia?

 

4

Isabella sono io, che figlia fui

del re mal fortunato di Gallizia.

Ben dissi fui; ch'or non son più; di lui,

ma di dolor, d'affanno e di mestizia.

Colpa d'Amor; ch'io non saprei di cui

dolermi più; che de la sua nequizia,

che dolcemente nei principi applaude,

e tesse di nascosto inganno e fraude.

 

5

Già; mi vivea di mia sorte felice,

gentil, giovane, ricca, onesta e bella:

vile e povera or sono, or infelice;

e s'altra è; peggior sorte, io sono in quella.

Ma voglio sappi la prima radice

che produsse quel mal che mi flagella;

e ben ch'aiuto poi da te non esca,

poco non mi parrà;, che te n'incresca.

 

6

Mio patre fe' in Baiona alcune giostre,

esser denno oggimai dodici mesi.

Trasse la fama ne le terre nostre

cavallieri a giostrar di più; paesi.

Fra gli altri (o sia ch'Amor così; mi mostre,

o che virtù; pur se stessa palesi)

mi parve da lodar Zerbino solo,

che del gran re di Scozia era figliuolo.

 

7

Il qual poi che far pruove in campo vidi

miracolose di cavalleria,

fui presa del suo amore; e non m'avidi,

ch'io mi conobbi più; non esser mia.

E pur, ben che 'l suo amor così; mi guidi,

mi giova sempre avere in fantasia

ch'io non misi il mio core in luogo immondo,

ma nel più; degno e bel ch'oggi sia al mondo.

 

8

Zerbino di bellezza e di valore

sopra tutti i signori era eminente.

Mostrammi, e credo mi portasse amore,

e che di me non fosse meno ardente.

Non ci mancò; chi del commune ardore

interprete fra noi fosse sovente,

poi che di vista ancor fummo disgiunti;

che gli animi restar sempre congiunti.

 

9

Però; che dato fine alla gran festa,

Il mio Zerbino in Scozia fe' ritorno.

Se sai che cosa è; amor, ben sai che mesta

restai, di lui pensando notte e giorno;

ed era certa che non men molesta

fiamma intorno al suo cor facea soggiorno.

Egli non fece al suo disio più; schermi,

se non che cercò; via di seco avermi.

 

10

E perché; vieta la diversa fede

(essendo egli cristiano, io saracina)

ch'al mio padre per moglie non mi chiede,

per furto indi levarmi si destina.

Fuor de la ricca mia patria, che siede

tra verdi campi allato alla marina,

aveva un bel giardin sopra una riva,

che colli intorno e tutto il mar scopriva.

 

11

Gli parve il luogo a fornir ciò; disposto,

che la diversa religion ci vieta;

e mi fa saper l'ordine che posto

avea di far la nostra vita lieta.

Appresso a Santa Marta avea nascosto

con gente armata una galea secreta,

in guardia d'Odorico di Biscaglia,

in mare e in terra mastro di battaglia.

 

12

Né; potendo in persona far l'effetto,

perch'egli allora era dal padre antico

a dar soccorso al re di Framcia astretto,

manderia in vece sua questo Odorico,

che fra tutti i fedeli amici eletto

s'avea pel più; fedele e pel più; amico:

e bene esser dovea, se i benefici

sempre hanno forza d'acquistar gli amici.

 

13

Verria costui sopra un navilio armato,

al terminato tempo indi a levarmi.

E così; venne il giorno disiato,

che dentro il mio giardin lasciai trovarmi.

Odorico la notte, accompagnato

di gente valorosa all'acqua e all'armi,

smontò; ad un fiume alla città; vicino,

e venne chetamente al mio giardino.

 

14

Quindi fui tratta alla galea spalmata,

prima che la città; n'avesse avisi.

De la famiglia ignuda e disarmata

altri fuggiro, altri restaro uccisi,

parte captiva meco fu menata.

Così; da la mia terra io mi divisi,

con quanto gaudio non ti potrei dire,

sperando in breve il mio Zerbin fruire.

 

15

Voltati sopra Mongia eramo a pena,

quando ci assalse alla sinistra sponda

un vento che turbò; l'aria serena,

e turbò; il mare, e al ciel gli levò; l'onda.

Salta un maestro ch'a traverso mena,

e cresce ad ora ad ora, e soprabonda;

e cresce e soprabonda con tal forza,

che val poco alternar poggia con orza.

 

16

Non giova calar vele, e l'arbor sopra

corsia legar, né; ruinar castella;

che ci veggian mal grado portar sopra

acuti scogli, appresso alla Rocella.

Se non ci aiuta quel che sta di sopra,

ci spinge in terra la crudel procella.

Il vento rio ne caccia in maggior fretta,

che d'arco mai non si aventò; saetta.

 

17

Vide il periglio il Biscaglino, e a quello

usò; un rimedio che fallir suol spesso:

ebbe ricorso subito al battello;

calossi, e me calar fece con esso.

Sceser dui altri, e ne scendea un drappello,

se i primi scesi l'avesser concesso;

ma con le spade li tenner discosto,

tagliar la fune, e ci allargammo tosto.

 

18

Fummo gittati a salvamento al lito

noi che nel palischermo eramo scesi;

periron gli altri col legno sdrucito;

in preda al mare andar tutti gli arnesi.

All'eterna Bontade, all'infinito

Amor, rendendo grazie, le man stesi,

che non m'avessi dal furor marino

lasciato tor di riveder Zerbino.

 

19

Come ch'io avessi sopra il legno e vesti

lasciato e gioie e l'altre cose care,

pur che la speme di Zerbin mi resti,

contenta son che s'abbi il resto il mare.

Non sono, ove scendemo, i liti pesti

d'alcun sentier, né; intorno albergo appare;

ma solo il monte, al qual mai sempre fiede

l'ombroso capo il vento, e 'l mare il piede.

 

20

Quivi il crudo tiranno Amor, che sempre

d'ogni promessa sua fu disleale,

e sempre guarda come involva e stempre

ogni nostro disegno razionale,

mutò; con triste e disoneste tempre

mio conforto in dolor, mio bene in male;

che quell'amico, in chi Zerbin si crede,

di desire arse, ed agghiacciò; di fede.

 

21

O che m'avesse in mar bramata ancora,

né; fosse stato a dimostrarlo ardito,

o cominciassi il desiderio allora

che l'agio v'ebbe dal solingo lito;

disegnò; quivi senza più; dimora

condurre a fin l'ingordo suo appetito;

ma prima da sé; torre un de li dui

che nel battel campati eran con nui.

 

22

Quell'era omo di Scozia, Almonio detto,

che mostrava a Zerbin portar gran fede;

e commendato per guerrier perfetto

da lui fu, quando ad Odorico il diede.

Disse a costui, che biasmo era e difetto,

se mi traeano alla Rocella a piede;

e lo pregò; ch'inanti volesse ire

a farmi incontra alcun ronzin venire.

 

23

Almonio, che di ciò; nulla temea,

immantinente inanzi il camin piglia

alla città; che 'l bosco ci ascondea,

e non era lontana oltra sei miglia.

Odorico scoprir sua voglia rea

all'altro finalmente si consiglia;

sì; perché; tor non se lo sa d'appresso,

sì; perché; avea gran confidenza in esso.

 

24

Era Corebo di Bilbao nomato

quel di ch'io parlo, che con noi rimase;

che da fanciullo picciolo allevato

s'era con lui ne le medesme case.

Poter con lui communicar l'ingrato

pensiero il traditor si persuase,

sperando ch'ad amar saria più; presto

il piacer de l'amico, che l'onesto.

 

25

Corebo, che gentile era e cortese,

non lo potè; ascoltar senza gran sdegno:

lo chiamò; traditore, e gli contese

con parole e con fatti il rio disegno.

Grande ira all'uno e all'altro il core accese,

e con le spade nude ne fer segno.

Al trar de' ferri, io fui da la paura

volta a fuggir per l'alta selva oscura.

 

26

Odorico, che maestro era di guerra,

in pochi colpi a tal vantaggio venne,

che per morto lasciò; Corebo in terra,

e per le mie vestigie il camin tenne.

Prestò;gli Amor (se 'l mio creder non erra),

acciò; potesse giungermi, le penne;

e gl'insegnò; molte lusinghe e prieghi,

con che ad amarlo e compiacer mi pieghi.

 

27

Ma tutto è; indarno; che fermata e certa

più; tosto era a morir, ch'a satisfarli.

Poi ch'ogni priego, ogni lusinga esperta

ebbe e minacce, e non potean giovarli,

si ridusse alla forza a faccia aperta.

Nulla mi val che supplicando parli

de la fé; ch'avea in lui Zerbino avuta,

e ch'io ne le sue man m'era creduta.

 

28

Poi che gittar mi vidi i prieghi invano,

né; mi sperare altronde altro soccorso,

e che più; sempre cupido e villano

a me venì;a, come famelico orso;

io mi difesi con piedi e con mano,

ed adopra'vi sin a l'ugne e il morso:

pela'gli il mento, e gli graffiai la pelle,

con stridi che n'andavano alle stelle.

 

29

Non so se fosse caso, o li miei gridi

che si doveano udir lungi una lega,

o pur ch'usati sian correre ai lidi

quando navilio alcun si rompe o anniega;

sopra il monte una turba apparir vidi,

e questa al mare e verso noi si piega.

Come la vede il Biscaglin venire,

lascia l'impresa, e voltasi a fuggire.

 

30

Contra quel disleal mi fu adiutrice

questa turba, signor; ma a quella image

che sovente in proverbio il vulgo dice:

cader de la padella ne le brage.

Gli è; ver ch'io non son stata sì; infelice,

né; le lor menti ancor tanto malvage,

ch'abbino violata mia persona:

non che sia in lor virtù;, né; cosa buona.

 

31

Ma perché; se mi serban, come io sono,

vergine, speran vendermi più; molto.

Finito è; il mese ottavo e viene il nono,

che fu il mio vivo corpo qui sepolto.

Del mio Zerbino ogni speme abbandono;

che già;, per quanto ho da lor detti accolto,

m'han promessa e venduta a un mercadante,

che portare al soldan mi de' in Levante. -

 

32

Così; parlava la gentil donzella;

e spesso con signiozzi e con sospiri

interrompea l'angelica favella,

da muovere a pietade aspidi e tiri.

Mentre sua doglia così; rinovella,

o forse disacerba i suoi martiri,

da venti uomini entrar ne la spelonca,

armati chi di spiedo e chi di ronca.

 

33

Il primo d'essi, uom di spietato viso,

ha solo un occhio, e sguardo scuro e bieco;

l'altro, d'un colpo che gli avea reciso

il naso e la mascella, è; fatto cieco.

Costui vedendo il cavalliero assiso

con la vergine bella entro allo speco,

volto a' compagni, disse: - Ecco augel nuovo,

a cui non tesi, e ne la rete il truovo. -

 

34

Poi disse al conte: - Uomo non vidi mai

più; commodo di te, né; più; opportuno.

Non so se ti se' apposto, o se lo sai

perché; te l'abbia forse detto alcuno,

che sì; bell'arme io desiava assai,

e questo tuo leggiadro abito bruno.

Venuto a tempo veramente sei,

per riparare agli bisogni miei. -

 

35

Sorrise amaramente, in piè; salito,

Orlando, e fe' risposta al mascalzone:

- Io ti venderò; l'arme ad un partito

che non ha mercadante in sua ragione. -

Del fuoco, ch'avea appresso, indi rapito

pien di fuoco e di fumo uno stizzone,

trasse, e percosse il malandrino a caso,

dove confina con le ciglia il naso.

 

36

Lo stizzone ambe le palpebre colse,

ma maggior danno fe' ne la sinistra;

che quella parte misera gli tolse,

che de la luce sola, era ministra.

Né; d'acciecarlo contentar si volse

il colpo fier, s'ancor non lo registra

tra quelli spirti che con suoi compagni

fa star Chiron dentro ai bollenti stagni.

 

37

Ne la spelonca una gran mensa siede

grossa duo palmi, e spaziosa in quadro,

che sopra un mal pulito e grosso piede,

cape con tutta la famiglia il ladro.

Con quell'agevolezza che si vede

gittar la canna lo Spagnuol leggiadro,

Orlando il grave desco da sé; scaglia

dove ristretta insieme è; la canaglia.

 

38

A chi'l petto, a chi'l ventre, a chi la testa,

a chi rompe le gambe, a chi le braccia;

di ch'altri muore, altri storpiato resta:

chi meno è; offeso, di fuggir procaccia.

Così; talvolta un grave sasso pesta

e fianchi e lombi, e spezza capi e schiaccia,

gittato sopra un gran drapel di biscie,

che dopo il verno al sol si goda e liscie.

 

39

Nascono casi, e non saprei dir quanti:

una muore, una parte senza coda,

un'altra non si può; muover davanti,

e 'l deretano indarno aggira e snoda;

un'altra, ch'ebbe più; propizi i santi,

striscia fra l'erbe, e va serpendo a proda.

Il colpo orribil fu, ma non mirando,

poi che lo fece il valoroso Orlando.

 

40

Quei che la mensa o nulla o poco offese

(e Turpin scrive a punto che fur sette),

ai piedi raccomandan sue difese:

ma ne l'uscita il paladin si mette;

e poi che presi gli ha senza contese,

le man lor lega con la fune istrette,

con una fune al suo bisogno destra,

che ritrovò; ne la casa silvestra.

 

41

Poi li trascina fuor de la spelonca,

dove facea grande ombra un vecchio sorbo.

Orlando con la spada i rami tronca,

e quelli attacca per vivanda al corbo.

Non bisognò; catena in capo adonca;

che per purgare il mondo di quel morbo,

l'arbor medesmo gli uncini prestolli,

con che pel mento Orlando ivi attaccolli.

 

42

La donna vecchia, amica a' malandrini,

poi che restar tutti li vide estinti,

fuggì; piangendo e con le mani ai crini,

per selve e boscherecci labirinti.

Dopo aspri e malagevoli camini,

a gravi passi e dal timor sospinti,

in ripa un fiume in un guerrier scontrosse;

ma diferisco a ricontar chi fosse:

 

43

e torno all'altra, che si raccomanda

al paladin che non la lasci sola;

e dice di seguirlo in ogni banda.

Cortesemente Orlando la consola;

e quindi, poi ch'uscì; con la ghirlanda

di rose adorna e di purpurea stola

la bianca Aurora al solito camino,

partì; con Isabella il paladino.

 

44

Senza trovar cosa che degna sia

d'istoria, molti giorni insieme andaro;

e finalmente un cavallier per via,

che prigione era tratto, riscontraro.

chi fosse, dirò; poi; ch'or me ne svia

tal, di chi udir non vi sarà; men caro:

la figliuola d'Amon, la qual lasciai

languida dianzi in amorosi guai.

 

45

La bella donna, disiando invano

ch'a lei facesse il suo Ruggier ritorno,

stava a Marsilia, ove allo stuol pagano

dava da travagliar quasi ogni giorno;

il qual scorrea, rubando in monte e in piano,

per Linguadoca e per Provenza intorno:

ed ella ben facea l'ufficio vero

di savio duca e d'ottimo guerriero.

 

46

Standosi quivi, e di gran spazio essendo

passato il tempo che tornare a lei

il suo Ruggier dovea, né; lo vedendo,

vivea in timor di mille casi rei.

Un dì; fra gli altri, che di ciò; piangendo

stava solinga, le arrivò; colei

che portò; ne l'annel la medicina

che sanò; il cor ch'avea ferito Alcina.

 

47

Come a sé; ritornar senza il suo amante,

dopo si lungo termine, la vede,

resta pallida e smorta, e sì; tremante,

che non ha forza di tenersi in piede:

ma la maga gentil le va davante

ridendo, poi che del timor s'avede;

e con viso giocondo la conforta,

qual aver suol chi buone nuove apporta.

 

48

- Non temer (disse) di Ruggier, donzella,

ch'è; vivo e sano, e come suol, t'adora;

ma non è; già; in sua libertà;; che quella

pur gli ha levata il tuo nemico ancora:

ed è; bisogno che tu monti in sella,

se brami averlo, e che mi segui or ora;

che se mi segui, io t'aprirò; la via

donde per te Ruggier libero fia. -

 

49

E seguitò;, narrandole di quello

magico error che gli avea ordito Atlante:

che simulando d'essa il viso bello,

che captiva parea del rio gigante,

tratto l'avea ne l'incantato ostello,

dove sparito poi gli era davante;

e come tarda con simile inganno

le donne e i cavallier che di là; vanno.

 

50

A tutti par, l'incantator mirando,

mirar quel che per sé; brama ciascuno,

donna, scudier, compagno, amico; quando

il desiderio uman non è; tutto uno.

Quindi il palagio van tutti cercando

con lungo affanno, senza frutto alcuno;

e tanta è; la speranza e il gran disire

del ritrovar, che non ne san partire.

 

51

Come tu giungi (disse) in quella parte

che giace presso all'incantata stanza,

verrà; l'incantatore a ritrovarte,

che terrà; di Ruggiero ogni sembianza;

e ti farà; parer con sua mal'arte,

ch'ivi lo vinca alcun di più; possanza,

acciò; che tu per aiutarlo vada

dove con gli altri poi ti tenga a bada.

 

52

Acciò; l'inganni, in che son tanti e tanti

caduti, non ti colgan, sie avertita,

che se ben di Ruggier viso e sembianti

ti parrà; di veder, che chieggia aita,

non gli dar fede tu; ma, come avanti

ti vien, fagli lasciar l'indegna vita:

né; dubitar perciò; che Ruggier muoia,

ma ben colui che ti dà; tanta noia.

 

53

Ti parrà; duro assai, ben lo conosco,

uccidere un che sembri il tuo Ruggiero:

pur non dar fede all'occhio tuo, che losco

farà; l'incanto, e celeragli il vero.

Fermati, pria ch'io ti conduca al bosco,

sì; che poi non si cangi il tuo pensiero;

che sempre di Ruggier rimarrai priva,

se lasci per viltà; che 'l mago viva. -

 

54

La valorosa giovane, con questa

intenzion che 'l fraudolente uccida,

a pigliar l'arme ed a seguire è; presta

Melissa; che sa ben quanto l'è; fida.

Quella, or per terren culto, or per foresta,

a gran giornate e in gran fretta la guida,

cercando alleviarle tuttavia

con parlar grato la noiosa via.

 

55

E più; di tutti i bei ragionamenti,

spesso le ripetea ch'uscir di lei

e di Ruggier doveano gli eccellenti

principi e gloriosi semidei.

Come a Melissa fossino presenti

tutti i secreti degli eterni dei,

tutte le cose ella sapea predire,

ch'avean per molti seculi a venire.

 

56

- Deh, come, o prudentissima mia scorta

(dicea a la maga l'inclita donzella),

molti anni prima tu m'hai fatta accorta

di tanta mia viril progenie bella;

così; d'alcuna donna mi conforta,

che di mia stirpe sia, s'alcuna in quella

metter si può; tra belle e virtuose. -

E la cortese maga le rispose:

 

57

- Da te uscir veggio le pudiche donne,

madri d'imperatori e di gran regi,

reparatrici e solide colonne

di case illustri e di domì;ni egregi;

che men degne non son ne le lor gonne,

ch'in arme i cavallier, di sommi pregi,

di pietà;, di gran cor, di gran prudenza,

di somma e incomparabil continenza.

 

58

E s'io avrò; da narrarti di ciascuna

che ne la stirpe tua sia d'onor degna,

troppo sarà;; ch'io non ne veggio alcuna

che passar con silenzio mi convegna.

Ma ti farò;, tra mille, scelta d'una

o di due coppie, acciò; ch'a fin ne vegna.

Ne la spelonca perché; nol dicesti?

che l'imagini ancor vedute avresti.

 

59

De la tua chiara stirpe uscirà; quella

d'opere illustri e di bei studi amica,

ch'io non so ben se più; leggiadra e bella

mi debba dire, o più; saggia e pudica,

liberale e magnanima Isabella,

che del bel lume suo dì; e notte aprica

farà; la terra che sul Menzo siede,

a cui la madre d'Ocno il nome diede:

 

60

dove onorato e splendido certame

avrà; col suo dignissimo consorte,

chi di lor più; le virtù; prezzi ed ame,

e chi meglio apra a cortesia le porte.

S'un narrerà; ch'al Taro e nel Reame

fu a liberar da' Galli Italia forte;

l'altra dirà;: - Sol perché; casta visse

Penelope, non fu minor d'Ulisse. -

 

61

Gran cose e molte in brevi detti accolgo

di questa donna e più; dietro ne lasso,

che in quelli dì; ch'io mi levai dal volgo,

mi fe' chiare Merlin dal cavo sasso.

E s'in questo gran mar la vela sciolgo,

di lunga Tifi in navigar trapasso.

Conchiudo in somma, ch'ella avrà;, per dono,

de la virtù; e del ciel, ciò; ch'è; di buono.

 

62

Seco avrà; la sorella Beatrice,

a cui si converrà; tal nome a punto:

ch'essa non sol del ben che qua giù; lice,

per quel che viverà;, toccherà; il punto;

ma avrà; forza di far seco felice,

fra tutti i ricchi duci, il suo congiunto,

il qual, come ella poi lascerà; il mondo,

così; de l'infelici andrà; nel fondo.

 

63

E Moro e Sforza e Viscontei colubri,

lei viva, formidabili saranno

da l'iperboree nievi ai lidi rubri,

da l'Indo ai monti ch'al tuo mar via danno:

lei morta, andran col regno degl'Insubri,

e con grave di tutta Italia danno,

in servitute; e fia stimata, senza

costei, ventura la somma prudenza.

 

64

Vi saranno altre ancor, ch'avranno il nome

medesmo, e nasceran molt'anni prima:

di ch'una s'ornerà; le sacre chiome

de la corona di Pannonia opima;

un'altra, poi che le terrene some

lasciate avrà;, fia ne l'ausonio clima

collocata nel numer de le dive,

ed avrà; incensi e imagini votive.

 

65

De l'altre tacerò;; che, come ho detto,

lungo sarebbe a ragionar di tante;

ben che per sé; ciascuna abbia suggetto

degno, ch'eroica e chiara tuba cante.

Le Bianche, le Lucrezie io terrò; in petto,

e le Costanze e l'altre, che di quante

splendide case Italia reggeranno,

reparatrici e madri ad esser hanno.

 

66

Più; ch'altre fosser mai, le tue famiglie

saran ne le lor donne aventurose;

non dico in quella più; de le lor figlie,

che ne l'alta onestà; de le lor spose.

E acciò; da te notizia anco si piglie

di questa parte che Merlin mi espose,

forse perch'io 'l dovessi a te ridire,

ho di parlarne non poco desire.

 

67

E dirò; prima di Ricciarda, degno

esempio di fortezza e d'onestade:

vedova rimarrà;, giovane, a sdegno

di Fortuna; il che spesso ai buoni accade.

I figli, privi del paterno regno,

esuli andar vedrà; in strane contrade,

fanciulli in man degli aversari loro;

ma infine avrà; il suo male amplo ristoro.

 

68

De l'alta stirpe d'Aragone antica

non tacerò; la splendida regina,

di cui né; saggia sì;, né; sì; pudica

veggio istoria lodar greca o latina,

né; a cui Fortuna più; si mostri amica:

poi che sarà; da la Bontà; divina

elletta madre a parturir la bella

progenie, Alfonso, Ippolito e Isabella.

 

69

Costei sarà; la saggia Leonora,

che nel tuo felice arbore s'inesta.

Che ti dirò; de la seconda nuora,

succeditrice prossima di questa?

Lucrezia Borgia, di cui d'ora in ora

le beltà;, la virtù;, la fama onesta

e la fortuna crescerà;, non meno

che giovin pianta in morbido terreno.

 

70

Qual lo stagno all'argento, il rame all'oro,

il campestre papavero alla rosa,

pallido salce al sempre verde alloro,

dipinto vetro a gemma preziosa;

tal a costei, ch'ancor non nata onoro,

sarà; ciascuna insino a qui famosa

di singular beltà;, di gran prudenza,

e d'ogni altra lodevole eccellenza.

 

71

E sopra tutti gli altri incliti pregi

che le saranno e a viva e a morta dati,

si loderà; che di costumi regi

Ercole e gli altri figli avrà; dotati,

e dato gran principio ai ricchi fregi

di che poi s'orneranno in toga e armati;

perché; l'odor non se ne va sì; in fretta,

ch'in nuovo vaso, o buono o rio, si metta.

 

72

Non voglio ch'in silenzio anco Renata

di Francia, nuora di costei, rimagna,

di Luigi il duodecimo re nata,

e de l'eterna gloria di Bretagna.

Ogni virtù; ch'in donna mai sia stata,

di poi che 'l fuoco scalda e l'acqua bagna,

e gira intorno il cielo, insieme tutta

per Renata adornar veggio ridutta.

 

73

Lungo sarà; che d'Alda di Sansogna

narri, o de la contessa di Celano,

o di Bianca Maria di Catalogna,

o de la figlia del re sicigliano,

o de la bella Lippa da Bologna,

e d'altre; che s'io vo' di mano in mano

venirtene dicendo le gran lode,

entro in un alto mar che non ha prode. -

 

74

Poi che le raccontò; la maggior parte

de la futura stirpe a suo grand'agio,

più; volte e più; le replicò; de l'arte

ch'avea tratto Ruggier dentro al palagio.

Melissa si fermò;, poi che fu in parte

vicina al luogo del vecchio malvagio;

e non le parve di venir più; inante,

acciò; veduta non fosse da Atlante.

 

75

E la donzella di nuovo consiglia

di quel che mille volte ormai l'ha detto.

La lascia sola; e quella oltre a dua miglia

non cavalcò; per un sentiero istretto,

che vide quel ch'al suo Ruggier simiglia;

e dui giganti di crudele aspetto

intorno avea, che lo stringean sì; forte,

ch'era vicino esser condotto a morte.

 

76

Come la donna in tal periglio vede

colui che di Ruggiero ha tutti i segni,

subito cangia in sospizion la fede,

subito oblia tutti i suoi bei disegni.

Che sia in odio a Melissa Ruggier crede,

per nuova ingiuria e non intesi sdegni,

e cerchi far con disusata trama

che sia morto da lei che così; l'ama.

 

77

Seco dicea: - Non è; Ruggier costui,

che col cor sempre, ed or con gli occhi veggio?

e s'or non veggio e non conosco lui,

che mai veder o mai conoscer deggio?

perché; voglio io de la credenza altrui

che la veduta mia giudichi peggio?

Che senza gli occhi ancor, sol per se stesso

può; il cor sentir se gli è; lontano o appresso. -

 

78

Mentre che così; pensa, ode la voce

che le par di Ruggier, chieder soccorso;

e vede quello a un tempo, che veloce

sprona il cavallo e gli ralenta il morso,

e l'un nemico e l'altro suo feroce,

che lo segue e lo caccia a tutto corso.

Di lor seguir la donna non rimase,

che si condusse all'incantate case.

 

79

De le quai non più; tosto entrò; le porte,

che fu sommersa nel commune errore.

Lo cercò; tutto per vie dritte e torte

invan di su e di giù;, dentro e di fuore;

né; cessa notte o dì;, tanto era forte

l'incanto: e fatto avea l'incantatore,

che Ruggier vede sempre e gli favella,

né; Ruggier lei, né; lui riconosce ella.

 

80

Ma lascià;n Bradamante, e non v'incresca

udir che così; resti in quello incanto;

che quando sarà; il tempo ch'ella n'esca,

la farò; uscire, e Ruggiero altretanto.

Come raccende il gusto il mutar esca,

così; mi par che la mia istoria, quanto

or qua or là; più; variata sia,

meno a chi l'udirà; noiosa fia.

 

81

Di molte fila esser bisogno parme

a condur la gran tela ch'io lavoro.

E però; non vi spiaccia d'ascoltarme,

come fuor de le stanze il popul Moro

davanti al re Agramante ha preso l'arme,

che, molto minacciando ai Gigli d'oro,

lo fa assembrare ad una mostra nuova,

per saper quanta gente si ritruova.

 

82

Perch'oltre i cavallieri, oltre i pedoni

ch'al numero sottratti erano in copia,

mancavan capitani, e pur de' buoni,

e di Spagna e di Libia e d'Etiopia,

e le diverse squadre e le nazioni

givano errando senza guida propia;

per dare e capo ed ordine a ciascuna,

tutto il campo alla mostra si raguna.

 

83

In supplimento de le turbe uccise

ne le battaglie e ne' fieri conflitti,

l'un signore in Ispagna, e l'altro mise

in Africa, ove molti n'eran scritti;

e tutti alli lor ordini divise,

e sotto i duci lor gli ebbe diritti.

Differirò;, Signor, con grazia vostra,

ne l'altro canto l'ordine e la mostra.

 

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CANTO QUATTORDICESIMO

 

 

1

Nei molti assalti e nei crudel conflitti,

ch'avuti avea con Francia, Africa e Spagna,

morti erano infiniti, e derelitti

al lupo, al corvo, all'aquila griffagna;

e ben che i Franchi fossero più; afflitti,

che tutta avean perduta la campagna;

più; si doleano i Saracin, per molti

principi e gran baron ch'eran lor tolti.

 

2

Ebbon vittorie così; sanguinose,

che lor poco avanzò; di che allegrarsi.

E se alle antique le moderne cose,

invitto Alfonso, denno assimigliarsi;

la gran vittoria, onde alle virtuose

opere vostre può; la gloria darsi,

di ch'aver sempre lacrimose ciglia

Ravenna debbe, a queste s'assimiglia:

 

3

quando cedendo Morini e Picardi,

l'esercito normando e l'aquitano,

voi nel mezzo assaliste gli stendardi

del quasi vincitor nimico ispano,

seguendo voi quei gioveni gagliardi,

che meritar con valorosa mano

quel dì; da voi, per onorati doni,

l'else indorate e gl'indorati sproni.

 

4

Con sì; animosi petti che vi foro

vicini o poco lungi al gran periglio,

crollaste sì; le ricche Giande d'oro,

sì; rompeste il baston giallo e vermiglio,

ch'a voi si deve il trionfale alloro,

che non fu guasto né; sfiorato il Giglio.

D'un'altra fronde v'orna anco la chioma

l'aver serbato il suo Fabrizio a Roma.

 

5

La gran Colonna del nome romano,

che voi prendeste, e che servaste intera,

vi dà; più; onor che se di vostra mano

fosse caduta la milizia fiera,

quanta n'ingrassa il campo ravegnano,

e quanta se n'andò; senza bandiera

d'Aragon, di Castiglia e di Navarra,

veduto non giovar spiedi né; carra.

 

6

Quella vittoria fu più; di conforto,

che d'allegrezza; perché; troppo pesa

contra la gioia nostra il veder morto

il capitan di Francia e de l'impresa;

e seco avere una procella absorto

tanti principi illustri, ch'a difesa

dei regni lor, dei lor confederati,

di qua da le fredd'Alpi eran passati.

 

7

Nostra salute, nostra vita in questa

vittoria suscitata si conosce,

che difende che 'l verno e la tempesta

di Giove irato sopra noi non crosce:

ma né; goder potiam, né; farne festa,

sentendo i gran ramarichi e l'angosce,

ch'in veste bruna e lacrimosa guancia

le vedovelle fan per tutta Francia.

 

8

Bisogna che proveggia il re Luigi

di nuovi capitani alle sue squadre,

che per onor de l'aurea Fiordaligi

castighino le man rapaci e ladre,

che suore, e frati e bianchi e neri e bigi

violato hanno, e sposa e figlia e madre;

gittato in terra Cristo in sacramento,

per torgli un tabernaculo d'argento.

 

9

O misera Ravenna, t'era meglio

ch'al vincitor non fêssi resistenza;

far ch'a te fosse inanzi Brescia speglio,

che tu lo fossi a Arimino e a Faenza.

Manda, Luigi, il buon Traulcio veglio,

ch'insegni a questi tuoi più; continenza,

e conti lor quanti per simil torti

stati ne sian per tutta Italia morti.

 

10

Come di capitani bisogna ora

che 'l re di Francia al campo suo proveggia,

così; Marsilio ed Agramante allora,

per dar buon reggimento alla sua greggia,

dai lochi dove il verno fe' dimora,

vuol ch'in campagna all'ordine si veggia;

perché; vedendo ove bisogno sia,

guida e governo ad ogni schiera dia.

 

11

Marsilio prima, e poi fece Agramante

passar la gente sua schiera per schiera.

I Catalani a tutti gli altri inante

di Dorifebo van con la bandiera.

Dopo vien, senza il suo re Folvirante,

che per man di Rinaldo già; morto era,

la gente di Navarra; e lo re ispano

halle dato Isolier per capitano.

 

12

Balugante del popul di Leone,

Grandonio cura degli Algarbi piglia;

il fratel di Marsilio, Falsirone,

ha seco armata la minor Castiglia.

Seguon di Madarasso il gonfalone

quei che lasciato han Malaga e Siviglia,

dal mar di Gade a Cordova feconda

le verdi ripe ovunque il Beti inonda.

 

13

Stordilano e Tesira e Baricondo,

l'un dopo l'altro, mostra la sua gente:

Granata al primo, Ulisbona al secondo,

e Maiorica al terzo è; ubidiente.

Fu d'Ulisbona re (tolto dal mondo

Larbin) Tesira, di Larbin parente.

Poi vien Galizia, che sua guida, in vece

di Maricoldo, Serpentino fece.

 

14

Quei di Tolledo e quei di Calatrava,

di ch'ebbe Sinagon già; la bandiera,

con tutta quella gente che si lava

in Guadiana e bee de la riviera,

l'audace Matalista governava;

Bianzardin quei d'Asturga in una schiera

con quei di Salamanca e di Piagenza,

d'Avila, di Zamora e di Palenza.

 

15

Di quei di Saragosa e de la corte

del re Marsilio ha Ferraù; il governo:

tutta la gente è; ben armata e forte.

In questi è; Malgarino, Balinverno,

Malzarise e Morgante, ch'una sorte

avea fatto abitar paese esterno;

che, poi che i regni lor lor furon tolti,

gli avea Marsilio in corte sua raccolti.

 

16

In questa è; di Marsilio il gran bastardo,

Follicon d'Almeria, con Doriconte,

Bavarte e Largalifa ed Analardo,

ed Archidante il sagontino conte,

e Lamirante e Langhiran gagliardo,

e Malagur ch'avea l'astuzie pronte,

ed altri ed altri, di quai penso, dove

tempo sarà;, di far veder le pruove.

 

17

Poi che passò; l'esercito di Spagna

con bella mostra inanzi al re Agramante,

con la sua squadra apparve alla campagna

il re d'Oran, che quasi era gigante.

L'altra che vien, per Martasin si lagna,

il qual morto le fu da Bradamante;

e si duol ch'una femina si vanti

d'aver ucciso il re de' Garamanti.

 

18

Segue la terza schiera di Marmonda,

ch'Argosto morto abbandonò; in Guascogna:

a questa un capo, come alla seconda

e come anco alla quarta, dar bisogna.

Quantunque il re Agramante non abonda

di capitani, pur ne finge e sogna:

dunque Buraldo, Ormida, Arganio elesse,

e dove uopo ne fu, guida li messe.

 

19

Diede ad Arganio quei di Libicana,

che piangean morto il negro Dudrinasso.

Guida Brunello i suoi di Tingitana,

con viso nubiloso e ciglio basso;

che, poi che ne la selva non lontana

dal castel ch'ebbe Atlante in cima al sasso,

gli fu tolto l'annel da Bradamante,

caduto era in disgrazia al re Agramante:

 

20

e se 'l fratel di Ferraù;, Isoliero,

ch'a l'arbore legato ritrovollo,

non facea fede inanzi al re del vero,

avrebbe dato in su le forche un crollo.

Mutò;, a' prieghi di molti, il re pensiero,

già; avendo fatto porgli il laccio al collo:

gli lo fece levar, ma riserbarlo

pel primo error; che poi giurò; impiccarlo:

 

21

sì; ch'avea causa di venir Brunello

col viso mesto e con la testa china.

Seguia poi Farurante, e dietro a quello

eran cavalli e fanti di Maurina.

Venì;a Libanio appresso, il re novello:

la gente era con lui di Constantina;

però; che la corona e il baston d'oro

gli ha dato il re, che fu di Pinadoro.

 

22

Con la gente d'Esperia Soridano,

e Dorilon ne vien con quei di Setta;

ne vien coi Nasamoni Puliano.

Quelli d'Amonia il re Agricalte affretta;

Malabuferso quelli di Fizano.

Da Finadurro è; l'altra squadra retta,

che di Canaria viene e di Marocco;

Balastro ha quei che fur del re Tardocco.

 

23

Due squadre, una di Mulga, una d'Arzilla,

seguono: e questa ha 'l suo signore antico;

quella n'è; priva; e però; il re sortilla,

e diella a Corineo suo fido amico.

E così; de la gente d'Almansilla,

ch'ebbe Tanfirion, fe' re Caico;

diè; quella di Getulia a Rimedonte.

Poi vien con quei di Cosca Balinfronte.

 

24

Quell'altra schiera è; la gente di Bolga:

suo re è; Clarindo, e già; fu Mirabaldo.

Vien Baliverzo, il qual vuò; che tu tolga

di tutto il gregge pel maggior ribaldo.

Non credo in tutto il campo si disciolga

bandiera ch'abbia esercito più; saldo

de l'altra, con che segue il re Sobrino,

né; più; di lui prudente Saracino.

 

25

Quei di Bellamarina, che Gualciotto

solea guidare, or guida il re d'Algieri

Rodomonte, e di Sarza, che condotto

di nuovo avea pedoni e cavallieri;

che mentre il sol fu nubiloso sotto

il gran centauro e i corni orridi e fieri,

fu in Africa mandato da Agramante,

onde venuto era tre giorni inante.

 

26

Non avea il campo d'Africa più; forte,

né; Saracin più; audace di costui:

e più; temean le parigine porte,

ed avean più; cagion di temer lui,

che Marsilio, Agramante e la gran corte

ch'avea seguito in Francia questi dui:

e più; d'ogni altro che facesse mostra,

era nimico de la fede nostra.

 

27

Vien Prusione, il re de l'Alvaracchie;

poi quel de la Zumara, Dardinello.

Non so s'abbiano o nottole o cornacchie,

o altro manco ed importuno augello,

il qual dai tetti e da le fronde gracchie

futuro mal, predetto a questo e a quello,

che fissa in ciel nel dì; seguente è; l'ora

che l'uno e l'altro in quella pugna muora.

 

28

In campo non aveano altri a venire,

che quei di Tremisenne e di Norizia;

né; si vedea alla mostra comparire

il segno lor, né; dar di sé; notizia.

Non sapendo Agramante che si dire,

né; che pensar di questa lor pigrizia,

uno scudiero al fin gli fu condutto

del re di Tremisen, che narrò; il tutto.

 

29

E gli narrò; ch'Alzirdo e Manilardo

con molti altri de' suoi giaceano al campo.

- Signor (diss'egli), il cavallier gagliardo

ch'ucciso ha i nostri, ucciso avria il tuo campo,

se fosse stato a torsi via più; tardo

di me, ch'a pena ancor così; ne scampo.

Fa quel de' cavallieri e de' pedoni,

che 'l lupo fa di capre e di montoni. -

 

30

Era venuto pochi giorni avante

nel campo del re d'Africa un signore;

né; in Ponente era, né; in tutto Levante,

di più; forza di lui, né; di più; core.

Gli facea grande onore il re Agramante,

per esser costui figlio e successore

in Tartaria del re Agrican gagliardo:

suo nome era il feroce Mandricardo.

 

31

Per molti chiari gesti era famoso,

e di sua fama tutto il mondo empì;a;

ma lo facea più; d'altro glorioso,

ch'al castel de la fata di Soria

l'usbergo avea acquistato luminoso

ch'Ettor troian portò; mille anni pria,

per strana e formidabile aventura,

che 'l ragionarne pur mette paura.

 

32

Trovandosi costui dunque presente

a quel parlar, alzò; l'ardita faccia;

e si dispose andare immantinente,

per trovar quel guerrier, dietro alla traccia.

Ritenne occulto il suo pensiero in mente,

o sia perché; d'alcun stima non faccia,

o perché; tema, se 'l pensier palesa,

ch'un altro inanzi a lui pigli l'impresa.

 

33

Allo scudier fe' dimandar come era

la sopravesta di quel cavalliero.

Colui rispose: - Quella è; tutta nera,

lo scudo nero, e non ha alcun cimiero. -

E fu, Signor, la sua risposta vera,

perché; lasciato Orlando avea il quartiero;

che come dentro l'animo era in doglia,

così; imbrunir di fuor volse la spoglia.

 

34

Marsilio a Mandricardo avea donato

un destrier baio a scorza di castagna,

con gambe e chiome nere; ed era nato

di frisa madre e d'un villan di Spagna.

Sopra vi salta Mandricardo armato,

e galoppando va per la campagna;

e giura non tornare a quelle schiere

se non truova il campion da l'arme nere.

 

35

Molta incontrò; de la paurosa gente

che da le man d'Orlando era fuggita,

chi del figliuol, chi del fratel dolente,

ch'inanzi agli occhi suoi perdè; la vita.

Ancora la codarda e trista mente

ne la pallida faccia era sculpita;

ancor, per la paura che avuta hanno,

pallidi, muti ed insensati vanno.

 

36

Non fe' lungo camin, che venne dove

crudel spettaculo ebbe ed inumano,

ma testimonio alle mirabil pruove

che fur raconte inanzi al re africano.

Or mira questi, or quelli morti, e muove,

e vuol le piaghe misurar con mano,

mosso da strana invidia ch'egli porta

al cavallier ch'avea la gente morta.

 

37

Come lupo o mastin ch'ultimo giugne

al bue lasciato morto da' villani,

che truova sol le corna, l'ossa e l'ugne,

del resto son sfamati augelli e cani;

riguarda invano il teschio che non ugne:

così; fa il crudel barbaro in que' piani.

Per duol bestemmia, e mostra invidia immensa,

che venne tardi e così; ricca mensa.

 

38

Quel giorno e mezzo l'altro segue incerto

il cavallier dal negro, e ne domanda.

Ecco vede un pratel d'ombre coperto,

che sì; d'un alto fiume si ghirlanda,

che lascia a pena un breve spazio aperto,

dove l'acqua si torce ad altra banda.

Un simil luogo con girevol onda

sotto Ocricoli il Tevere circonda.

 

39

Dove entrar si potea, con l'arme indosso

stavano molti cavallieri armati.

Chiede il pagan, chi gli avea in stuol sì; grosso,

ed a che effetto insieme ivi adunati.

Gli fe' risposta il capitano, mosso

dal signoril sembiante e da' fregiati

d'oro e di gemme arnesi di gran pregio,

che lo mostravan cavalliero egregio.

 

40

- Dal nostro re sià;n (disse) di Granata

chiamati in compagnia de la figliuola,

la quale al re di Sarza ha maritata,

ben che di ciò; la fama ancor non vola.

Come appresso la sera racchetata

la cicaletta sia, ch'or s'ode sola,

avanti al padre fra l'ispane torme

la condurremo: intanto ella si dorme. -

 

41

Colui, che tutto il mondo vilipende,

disegna di veder tosto la pruova,

se quella gente o bene o mal difende

la donna, alla cui guardia si ritruova.

Disse: - Costei, per quanto se n'intende,

è; bella; e di saperlo ora mi giova.

A lei mi mena, o falla qui venire;

ch'altrove mi convien subito gire. -

 

42

- Esser per certo dei pazzo solenne, -

rispose il Granatin, né; più; gli disse.

Ma il Tartaro a ferir tosto lo venne

con l'asta bassa, e il petto gli trafisse;

che la corazza il colpo non sostenne,

e forza fu che morto in terra gisse.

L'asta ricovra il figlio d'Agricane,

perché; altro da ferir non gli rimane.

 

43

Non porta spada né; baston; che quando

l'arme acquistò;, che fu d'Ettor troiano,

perché; trovò; che lor mancava il brando,

gli convenne giurar (né; giurò; invano)

che fin che non togliea quella d'Orlando,

mai non porrebbe ad altra spada mano:

Durindana ch'Almonte ebbe in gran stima,

e Orlando or porta, Ettor portava prima.

 

44

Grande è; l'ardir del Tartaro, che vada

con disvantaggio tal contra coloro,

gridando: - Chi mi vuol vietar la strada? -

E con la lancia si cacciò; tra loro.

Chi l'asta abbassa, e chi tra' fuor la spada;

e d'ogn'intorno subito gli foro.

Egli ne fece morir una frotta,

prima che quella lancia fosse rotta.

 

45

Rotta che se la vede, il gran troncone

che resta intero, ad ambe mani afferra;

e fa morir con quel tante persone,

che non fu vista mai più; crudel guerra.

Come tra' Filistei l'ebreo Sansone

con la mascella che levò; di terra,

scudi spezza, elmi schiaccia, e un colpo spesso

spenge i cavalli ai cavallieri appresso.

 

46

Correno a morte que' miseri a gara,

né; perché; cada l'un, l'altro andar cessa;

che la maniera del morire, amara

lor par più; assai che non è; morte istessa.

Patir non ponno che la vita cara

tolta lor sia da un pezzo d'asta fessa,

e sieno sotto alle picchiate strane

a morir giunti, come biscie o rane.

 

47

Ma poi ch'a spese lor si furo accorti

che male in ogni guisa era morire,

sendo già; presso alli duo terzi morti,

tutto l'avanzo cominciò; a fuggire.

Come del proprio aver via se gli porti,

il Saracin crudel non può; patire

ch'alcun di quella turba sbigottita

da lui partir si debba con la vita.

 

48

Come in palude asciutta dura poco

stridula canna, o in campo à;rrida stoppia

contra il soffio di borea e contra il fuoco

che 'l cauto agricultore insieme accoppia,

quando la vaga fiamma occupa il loco,

e scorre per li solchi, e stride e scoppia;

così; costor contra la furia accesa

di Mandricardo fan poca difesa.

 

49

Poscia ch'egli restar vede l'entrata,

che mal guardata fu, senza custode;

per la via che di nuovo era segnata

ne l'erba, e al suono dei ramarchi ch'ode,

viene a veder la donna di Granata,

se di bellezze è; pari alle sue lode:

passa tra i corpi de la gente morta,

dove gli dà;, torcendo, il fiume porta.

 

50

E Doralice in mezzo il prato vede

(che così; nome la donzella avea),

la qual, suffolta da l'antico piede

d'un frassino silvestre, si dolea.

Il pianto, come un rivo che succede

di viva vena, nel bel sen cadea;

e nel bel viso si vedea che insieme

de l'altrui mal si duole, e del suo teme.

 

51

Crebbe il timor, come venir lo vide

di sangue brutto e con faccia empia e oscura,

e'l grido sin al ciel l'aria divide,

di sé; e de la sua gente per paura;

che, oltre i cavallier, v'erano guide,

che de la bella infante aveano cura,

maturi vecchi, e assai donne e donzelle

del regno di Granata, e le più; belle.

 

52

Come il Tartaro vede quel bel viso

che non ha paragone in tutta Spagna,

e c'ha nel pianto (or ch'esser de' nel riso?)

tesa d'Amor l'inestricabil ragna;

non sa se vive in terra o in paradiso:

né; de la sua vittoria altro guadagna,

se non che in man de la sua prigioniera

si dà; prigione, e non sa in qual maniera.

 

53

A lei però; non si concede tanto,

che del travaglio suo le doni il frutto;

ben che piangendo ella dimostri, quanto

possa donna mostrar, dolore e lutto.

Egli, sperando volgerle quel pianto

in sommo gaudio, era disposto al tutto

menarla seco; e sopra un bianco ubino

montar la fece, e tornò; al suo camino.

 

54

Donne e donzelle e vecchi ed altra gente,

ch'eran con lei venuti di Granata,

tutti licenziò; benignamente,

dicendo: - Assai da me fia accompagnata;

io mastro, io balia, io le sarò; sergente

in tutti i suoi bisogni: a Dio brigata. -

Così;, non gli possendo far riparo,

piangendo e sospirando se n'andaro;

 

55

tra lor dicendo: - Quanto doloroso

ne sarà; il padre, come il caso intenda!

quanta ira, quanto duol ne avrà; il suo sposo!

oh come ne farà; vendetta orrenda!

Deh, perché; a tempo tanto bisognoso

non è; qui presso a far che costui renda

il sangue illustre del re Stordilano,

prima che se lo porti più; lontano? -

 

56

De la gran preda il Tartaro contento,

che fortuna e valor gli ha posta inanzi,

di trovar quel dal negro vestimento

non par ch'abbia la fretta ch'avea dianzi.

Correva dianzi: or viene adagio e lento;

e pensa tuttavia dove si stanzi,

dove ritruovi alcun commodo loco,

per esalar tanto amoroso foco.

 

57

Tuttavolta conforta Doralice,

ch'avea di pianto e gli occhi e 'l viso molle:

compone e finge molte cose, e dice

che per fama gran tempo ben le volle;

e che la patria, e il suo regno felice

che 'l nome di grandezza agli altri tolle,

lasciò;, non per vedere o Spagna o Francia,

ma sol per contemplar sua bella guancia.

 

58

- Se per amar, l'uom debbe essere amato,

merito il vostro amor; che v'ho amat'io:

se per stirpe, di me chi è; meglio nato?

che'l possente Agrican fu il padre mio:

se per ricchezza, chi ha di me più; stato?

che di dominio io cedo solo a Dio:

se per valor, credo oggi aver esperto

ch'esser amato per valore io merto. -

 

59

Queste parole ed altre assai, ch'Amore

a Mandricardo di sua bocca ditta,

van dolcemente a consolar il core

de la donzella di paura afflitta.

Il timor cessa, e poi cessa il dolore

che le avea quasi l'anima trafitta.

Ella comincia con più; pazienza

a dar più; grata al nuovo amante udienza;

 

60

poi con risposte più; benigne molto

a mostrarsegli affabile e cortese,

e non negargli di fermar nel volto

talor le luci di pietade accese:

onde il pagan, che da lo stral fu colto

altre volte d'Amor, certezza prese,

non che speranza, che la donna bella

non saria a' suo' desir sempre ribella.

 

61

Con questa compagnia lieto e gioioso,

che sì; gli satisfà;, sì; gli diletta,

essendo presso all'ora ch'a riposo

la fredda notte ogni animale alletta,

vedendo il sol già; basso e mezzo ascoso,

comminciò; a cavalcar con maggior fretta;

tanto ch'udì; sonar zuffoli e canne,

e vide poi fumar ville e capanne.

 

62

Erano pastorali alloggiamenti,

miglior stanza e più; commoda, che bella.

Quivi il guardian cortese degli armenti

onorò; il cavalliero e la donzella,

tanto che si chiamar da lui contenti;

che non pur per cittadi e per castella,

ma per tuguri ancora e per fenili

spesso si trovan gli uomini gentili.

 

63

Quel che fosse dipoi fatto all'oscuro

tra Doralice e il figlio d'Agricane,

a punto racontar non m'assicuro;

sì; ch'al giudicio di ciascun rimane.

Creder si può; che ben d'accordo furo;

che si levar più; allegri la dimane,

e Doralice ringraziò; il pastore,

che nel suo albergo le avea fatto onore.

 

64

Indi d'uno in un altro luogo errando,

si ritrovaro al fin sopra un bel fiume

che con silenzio al mar va declinando,

e se vada o se stia, mal si prosume;

limpido e chiaro sì;, ch'in lui mirando,

senza contesa al fondo porta il lume.

In ripa a quello, a una fresca ombra e bella,

trovar dui cavallieri e una donzella.

 

65

Or l'alta fantasia, ch'un sentier solo

non vuol ch'i'segua ognor, quindi mi guida,

e mi ritorna ove il moresco stuolo

assorda di rumor Francia e di grida,

d'intorno il padiglione ove il figliuolo

del re Troiano il santo Impero sfida,

e Rodomonte audace se gli vanta

arder Parigi e spianar Roma santa.

 

66

Venuto ad Agramante era all'orecchio,

che già; l'Inglesi avean passato il mare:

però; Marsilio e il re del Garbo vecchio

e gli altri capitan fece chiamare.

Consiglian tutti a far grande apparecchio,

sì; che Parigi possino espugnare.

Ponno esser certi che più; non s'espugna,

se nol fan prima che l'aiuto giugna.

 

67

Già; scale innumerabili per questo

da' luoghi intorno avea fatto raccorre,

ed asse e travi, e vimine contesto,

che lo poteano a diversi usi porre;

e navi e ponti: e più; facea che 'l resto,

il primo e il secondo ordine disporre

a dar l'assalto; ed egli vuol venire

tra quei che la città; denno assalire.

 

68

L'imperatore il dì; che 'l dì; precesse

de la battaglia, fe' dentro a Parigi

per tutto celebrare uffici e messe

a preti, a frati bianchi, neri e bigi;

e le gente che dianzi eran confesse,

e di man tolte agl'inimici stigi,

tutti communicar, non altramente

ch'avessino a morir il dì; seguente.

 

69

Ed egli tra baroni e paladini,

principi ed oratori, al maggior tempio

con molta religione a quei divini

atti intervenne, e ne diè; agli altri esempio.

Con le man giunte e gli occhi al ciel supini,

disse: - Signor, ben ch'io sia iniquo ed empio,

non voglia tua bontà;, pel mio fallire,

che 'l tuo popul fedele abbia a patire.

 

70

E se gli è; tuo voler ch'egli patisca,

e ch'abbia il nostro error degni supplici,

almeno la punizion si differisca

sì;, che per man non sia de' tuoi nemici;

che quando lor d'uccider noi sortisca,

che nome avemo pur d'esser tuo' amici,

i pagani diran che nulla puoi,

che perir lasci i partigiani tuoi.

 

71

E per un che ti sia fatto ribelle,

cento ti si faran per tutto il mondo;

tal che la legge falsa di Babelle

caccerà; la tua fede e porrà; al fondo.

Difendi queste genti, che son quelle

che 'l tuo sepulcro hanno purgato e mondo

da' brutti cani, e la tua santa Chiesa

con li vicari suoi spesso difesa.

 

72

So che i meriti nostri atti non sono

a satisfare al debito d'un'oncia;

né; devemo sperar da te perdono,

se riguardiamo a nostra vita sconcia:

ma se vi aggiugni di tua grazia il dono,

nostra ragion fia ragguagliata e concia;

né; del tuo aiuto disperar possiamo,

qualor di tua pietà; ci ricordiamo. -

 

73

Così; dicea l'imperator devoto,

con umiltade e contrizion di core.

Giunse altri prieghi e convenevol voto

al gran bisogno e all'alto suo splendore.

Non fu il caldo pregar d'effetto voto;

però; che 'l genio suo, l'angel migliore,

i prieghi tolse e spiegò; al ciel le penne,

ed a narrare al Salvator li venne.

 

74

E furo altri infiniti in quello instante

da tali messagger portati a Dio;

che come gli ascoltar l'anime sante,

dipinte di pietade il viso pio,

tutte miraro il sempiterno Amante,

e gli mostraro il commun lor disio,

che la giusta orazion fosse esaudita

del populo cristian che chiede aita.

 

75

E la Bontà; ineffabile, ch'invano

non fu pregata mai da cor fedele,

leva gli occhi pietosi, e fa con mano

cenno che venga a sé; l'angel Michele.

- Va (gli disse) all'esercito cristiano

che dianzi in Picardia calò; le vele,

e al muro di Parigi l'appresenta

sì;, che 'l campo nimico non lo senta.

 

76

Truova prima il Silenzio, e da mia parte

gli di' che teco a questa impresa venga;

ch'egli ben proveder con ottima arte

saprà; di quanto proveder convenga.

Fornito questo, subito va in parte

dove il suo seggio la Discordia tenga:

dille che l'esca e il fucil seco prenda,

e nel campo de' Mori il fuoco accenda;

 

77

e tra quei che vi son detti più; forti

sparga tante zizzanie e tante liti,

che combattano insieme; ed altri morti,

altri ne sieno presi, altri feriti,

e fuor del campo altri lo sdegno porti

sì; che il lor re poco di lor s'aiti.