-

Non replica a tal detto altra parola

il benedetto augel, ma dal ciel vola.

 

78

Dovunque drizza Michel angel l'ale,

fuggon le nubi, e torna il ciel sereno.

Gli gira intorno un aureo cerchio, quale

veggià;n di notte lampeggiar baleno.

Seco pensa tra via, dove si cale

il celeste corrier per fallir meno

a trovar quel nimico di parole,

a cui la prima commission far vuole.

 

79

Vien scorrendo ov'egli abiti, ov'egli usi;

e se accordaro infin tutti i pensieri,

che de frati e de monachi rinchiusi

lo può; trovare in chiese e in monasteri,

dove sono i parlari in modo esclusi,

che 'l Silenzio, ove cantano i salteri,

ove dormeno, ove hanno la piatanza,

e finalmente è; scritto in ogni stanza.

 

80

Credendo quivi ritrovarlo, mosse

con maggior fretta le dorate penne;

e di veder ch'ancor Pace vi fosse,

Quiete e Carità;, sicuro tenne.

Ma da la opinion sua ritrovosse

tosto ingannato, che nel chiostro venne:

non è; Silenzio quivi; e gli fu ditto

che non v'abita più;, fuor che in iscritto.

 

81

Né; Pietà;, né; Quiete, né; Umiltade,

né; quivi Amor, né; quivi Pace mira.

Ben vi fur già;, ma ne l'antiqua etade;

che le cacciar Gola, Avarizia ed Ira,

Superbia, Invidia, Inerzia e Crudeltade.

Di tanta novità; l'angel si ammira:

andò; guardando quella brutta schiera,

e vide ch'anco la Discordia v'era.

 

82

Quella che gli avea detto il Padre eterno,

dopo il Silenzio, che trovar dovesse.

Pensato avea di far la via d'Averno,

che si credea che tra' dannati stesse;

e ritrovolla in questo nuovo inferno

(ch'il crederia?) tra santi uffici e messe.

Par di strano a Michel ch'ella vi sia,

che per trovar credea di far gran via.

 

83

La conobbe al vestir di color cento,

fatto a liste inequali ed infinite,

ch'or la cuoprono or no; che i passi e 'l vento

le giano aprendo, ch'erano sdrucite.

I crini avea qual d'oro e qual d'argento,

e neri e bigi, e aver pareano lite;

altri in treccia, altri in nastro eran raccolti,

molti alle spalle, alcuni al petto sciolti.

 

84

Di citatorie piene e di libelli,

d'esamine e di carte di procure

avea le mani e il seno, e gran fastelli

di chiose, di consigli e di letture;

per cui le facultà; de' poverelli

non sono mai ne le città; sicure.

Aveva dietro e dinanzi e d'ambi i lati,

notai, procuratori ed avocati.

 

85

La chiama a sé; Michele, e le commanda

che tra i più; forti Saracini scenda,

e cagion truovi, che con memoranda

ruina insieme a guerreggiar gli accenda.

Poi del Silenzio nuova le domanda:

facilmente esser può; ch'essa n'intenda,

sì; come quella ch'accendendo fochi

di qua e di là;, va per diversi lochi.

 

86

Rispose la Discordia: - Io non ho a mente

in alcun loco averlo mai veduto:

udito l'ho ben nominar sovente,

e molto commendarlo per astuto.

Ma la Fraude, una qui di nostra gente,

che compagnia talvolta gli ha tenuto,

penso che dir te ne saprà; novella; -

e verso una alzò; il dito, e disse: - è; quella. -

 

87

Avea piacevol viso, abito onesto,

un umil volger d'occhi, un andar grave,

un parlar sì; benigno e sì; modesto,

che parea Gabriel che dicesse: Ave.

Era brutta e deforme in tutto il resto:

ma nascondea queste fattezze prave

con lungo abito e largo; e sotto quello,

attosicato avea sempre il coltello.

 

88

Domanda a costei l'angelo, che via

debba tener, sì; che 'l Silenzio truove.

Disse la Fraude: - Già; costui solia

fra virtudi abitare, e non altrove,

con Benedetto e con quelli d'Elia

ne le badie, quando erano ancor nuove:

fe' ne le scuole assai de la sua vita

al tempo di Pitagora e d'Archita.

 

89

Mancati quei filosofi e quei santi

che lo solean tener pel camin ritto,

dagli onesti costumi ch'avea inanti,

fece alle sceleraggini tragitto.

Cominciò; andar la notte con gli amanti,

indi coi ladri, e fare ogni delitto.

Molto col Tradimento egli dimora:

veduto l'ho con l'Omicidio ancora.

 

90

Con quei che falsan le monete ha usanza

di ripararsi in qualche buca scura.

Così; spesso compagni muta e stanza,

che 'l ritrovarlo ti saria ventura;

ma pur ho d'insegnartelo speranza:

se d'arrivare a mezza notte hai cura

alla casa del Sonno, senza fallo

potrai (che quivi dorme) ritrovallo. -

 

91

Ben che soglia la Fraude esser bugiarda,

pur è; tanto il suo dir simile al vero,

che l'angelo le crede; indi non tarda

a volarsene fuor del monastero.

Tempra il batter de l'ale, e studia e guarda

giungere in tempo al fin del suo sentiero,

ch'alla casa del Sonno, che ben dove

era sapea, questo Silenzio truove.

 

92

Giace in Arabia una valletta amena,

lontana da cittadi e da villaggi,

ch'all'ombra di duo monti è; tutta piena

d'antiqui abeti e di robusti faggi.

Il sole indarno il chiaro dì; vi mena;

che non vi può; mai penetrar coi raggi,

sì; gli è; la via da folti rami tronca:

e quivi entra sotterra una spelonca.

 

93

Sotto la negra selva una capace

e spaziosa grotta entra nel sasso,

di cui la fronte l'edera seguace

tutta aggirando va con storto passo.

In questo albergo il grave Sonno giace;

l'Ozio da un canto corpulento e grasso,

da l'altro la Pigrizia in terra siede,

che non può; andare, e mal reggersi in piede.

 

94

Lo smemorato Oblio sta su la porta:

non lascia entrar, né; riconosce alcuno;

non ascolta imbasciata, né; riporta;

e parimente tien cacciato ognuno.

Il Silenzio va intorno, e fa la scorta:

ha le scarpe di feltro, e 'l mantel bruno;

ed a quanti n'incontra, di lontano,

che non debban venir, cenna con mano.

 

95

Se gli accosta all'orecchio e pianamente

l'angel gli dice: - Dio vuol che tu guidi

a Parigi Rinaldo con la gente

che per dar, mena, al suo signor sussidi:

ma che lo facci tanto chetamente,

ch'alcun de' Saracin non oda i gridi;

sì; che più; tosto che ritruovi il calle

la Fama d'avisar, gli abbia alle spalle. -

 

96

Altrimente il Silenzio non rispose,

che col capo accennando che faria;

e dietro ubidiente se gli pose;

e furo al primo volo in Picardia.

Michel mosse le squadre coraggiose,

e fe' lor breve un gran tratto di via;

sì; che in un dì; a Parigi le condusse,

né; alcun s'avide che miracol fusse.

 

97

Discorreva il Silenzio, e tuttavolta,

e dinanzi alle squadre e d'ogn'intorno

facea girare un'alta nebbia in volta,

ed avea chiaro ogn'altra parte il giorno;

e non lasciava questa nebbia folta,

che s'udisse di fuor tromba né; corno:

poi n'andò; tra' pagani, e menò; seco

un non so che, ch'ognun fe' sordo e cieco.

 

98

Mentre Rinaldo in tal fretta venì;a,

che ben parea da l'angelo condotto,

e con silenzio tal, che non s'udia

nel campo saracin farsene motto;

il re Agramante avea la fanteria

messo ne' borghi di Parigi, e sotto

le minacciate mura in su la fossa,

per far quel dì; l'estremo di sua possa.

 

99

Chi può; contar l'esercito che mosso

questo dì; contro Carlo ha 'l re Agramante,

conterà; ancora in su l'ombroso dosso

del silvoso Apennin tutte le piante;

dirà; quante onde, quando è; il mar più; grosso,

bagnano i piedi al mauritano Atlante;

e per quanti occhi il ciel le furtive opre

degli amatori a mezza notte scuopre.

 

100

Le campane si sentono a martello

di spessi colpi e spaventosi tocche;

si vede molto, in questo tempio e in quello,

alzar di mano e dimenar di bocche.

Se 'l tesoro paresse a Dio sì; bello,

come alle nostre openioni sciocche,

questo era il dì; che 'l santo consistoro

fatto avria in terra ogni sua statua d'oro.

 

101

S'odon ramaricare i vecchi giusti,

che s'erano serbati in quelli affanni,

e nominar felici i sacri busti

composti in terra già; molti e molt'anni.

Ma gli animosi gioveni robusti

che miran poco i lor propinqui danni,

sprezzando le ragion de' più; maturi,

di qua di là; vanno correndo a' muri.

 

102

Quivi erano baroni e paladini,

re, duci, cavallier, marchesi e conti,

soldati forestieri e cittadini,

per Cristo e pel suo onore a morir pronti;

che per uscire adosso ai Saracini,

pregan l'imperator ch'abbassi i ponti.

Gode egli di veder l'animo audace,

ma di lasciarli uscir non li compiace.

 

103

E li dispone in oportuni lochi,

per impedire ai barbari la via:

là; si contenta che ne vadan pochi,

qua non basta una grossa compagnia;

alcuni han cura maneggiare i fuochi,

le machine altri, ove bisogno sia.

Carlo di qua di là; non sta mai fermo:

va soccorrendo, e fa per tutto schermo.

 

104

Siede Parigi in una gran pianura,

ne l'ombilico a Francia, anzi nel core;

gli passa la riviera entro le mura,

e corre, ed esce in altra parte fuore.

Ma fa un'isola prima, e v'assicura

de la città; una parte, e la migliore;

l'altre due (ch'in tre parti è; la gran terra)

di fuor la fossa, e dentro il fiume serra.

 

105

Alla città;, che molte miglia gira,

da molte parti si può; dar battaglia:

ma perché; sol da un canto assalir mira,

né; volentier l'esercito sbarraglia,

oltre il fiume Agramante si ritira

verso ponente, acciò; che quindi assaglia;

però; che né; cittade né; campagna

ha dietro, se non sua, fin alla Spagna.

 

106

Dovunque intorno il gran muro circonda,

gran munizioni avea già; Carlo fatte,

fortificando d'argine ogni sponda

con scannafossi dentro e case matte;

onde entra ne la terra, onde esce l'onda,

grossissime catene aveva tratte;

ma fece, più; ch'altrove, provedere

là; dove avea più; causa di temere.

 

107

Con occhi d'Argo il figlio di Pipino

previde ove assalir dovea Agramante;

e non fece disegno il Saracino,

a cui non fosse riparato inante.

Con Ferraù;, Isoliero, Serpentino,

Grandonio, Falsirone e Balugante,

e con ciò; che di Spagna avea menato,

restò; Marsilio alla campagna armato.

 

108

Sobrin gli era a man manca in ripa a Senna,

con Pulian, con Dardinel d'Almonte,

col re d'Oran, ch'esser gigante accenna,

lungo sei braccia dai piedi alla fronte.

Deh perché; a muover men son io la penna,

che quelle genti a muover l'arme pronte?

che 'l re di Sarza, pien d'ira e di sdegno,

grida e bestemmia e non può; star più; a segno.

 

109

Come assalire o vasi pastorali,

o le dolci reliquie de' convivi

soglion con rauco suon di stridule ali

le impronte mosche a' caldi giorni estivi;

come li storni a rosseggianti pali

vanno de mature uve: così; quivi,

empiendo il ciel di grida e di rumori,

veniano a dare il fiero assalto i Mori.

 

110

L'esercito cristian sopra le mura

con lance, spade e scure e pietre e fuoco

difende la città; senza paura,

e il barbarico orgoglio estima poco;

e dove Morte uno ed un altro fura,

non è; chi per viltà; ricusi il loco.

Tornano i Saracin giù; ne le fosse

a furia di ferite e di percosse.

 

111

Non ferro solamente vi s'adopra,

ma grossi massi, e merli integri e saldi,

e muri dispiccati con molt'opra,

tetti di torri, e gran pezzi di spaldi.

L'acque bollenti che vengon di sopra,

portano a' Mori insupportabil caldi;

e male a questa pioggia si resiste,

ch'entra per gli elmi, e fa acciecar le viste.

 

112

E questa più; nocea che 'l ferro quasi:

or che de' far la nebbia di calcine?

or che doveano far li ardenti vasi

con olio e zolfo e peci e trementine?

I cerchi in munizion non son rimasi,

che d'ogn'intorno hanno di fiamma il crine:

questi, scagliati per diverse bande,

mettono a' Saracini aspre ghirlande.

 

113

Intanto il re di Sarza avea cacciato

sotto le mura la schiera seconda,

da Buraldo, da Ormida accompagnato,

quel Garamante, e questo di Marmonda.

Clarindo e Soridan gli sono allato,

né; par che 'l re di Setta si nasconda;

segue il re di Marocco e quel di Cosca,

ciascun perché; il valor suo si conosca.

 

114

Ne la bandiera, ch'è; tutta vermiglia,

Rodomonte di Sarza il leon spiega,

che la feroce bocca ad una briglia

che gli pon la sua donna, aprir non niega.

Al leon sé; medesimo assimiglia;

e per la donna che lo frena e lega,

la bella Doralice ha figurata,

figlia di Stordilan re di Granata:

 

115

quella che tolto avea, come io narrava,

re Mandricardo, e dissi dove e a cui.

Era costei che Rodomonte amava

più; che'l suo regno e più; che gli occhi sui;

e cortesia e valor per lei mostrava,

non già; sapendo ch'era in forza altrui:

se saputo l'avesse, allora allora

fatto avria quel che fe' quel giorno ancora.

 

116

Sono appoggiate a un tempo mille scale,

che non han men di dua per ogni grado.

Spinge il secondo quel ch'inanzi sale;

che 'l terzo lui montar fa suo mal grado.

Chi per virtù;, chi per paura vale:

convien ch'ognun per forza entri nel guado;

che qualunche s'adagia, il re d'Algiere,

Rodomonte crudele, uccide o fere.

 

117

Ognun dunque si sforza di salire

tra il fuoco e le ruine in su le mura.

Ma tutti gli altri guardano, se aprire

veggiano passo ove sia poca cura:

sol Rodomonte sprezza di venire,

se non dove la via meno è; sicura.

Dove nel caso disperato e rio

gli altri fan voti, egli bestemmia Dio.

 

118

Armato era d'un forte duro usbergo,

che fu di drago una scagliosa pelle.

Di questo già; si cinse il petto e 'l tergo

quello avol suo ch'edificò; Babelle,

e si pensò; cacciar de l'aureo albergo,

e torre a Dio il governo de le stelle:

l'elmo e lo scudo fece far perfetto,

e il brando insieme; e solo a questo effetto.

 

119

Rodomonte non già; men di Nembrotte

indomito, superbo e furibondo,

che d'ire al ciel non tarderebbe a notte,

quando la strada si trovasse al mondo,

quivi non sta a mirar s'intere o rotte

sieno le mura, o s'abbia l'acqua fondo:

passa la fossa, anzi la corre e vola,

ne l'acqua e nel pantan fin alla gola.

 

120

Di fango brutto, e molle d'acqua vanne

tra il foco e i sassi e gli archi e le balestre,

come andar suol tra le palustri canne

de la nostra Mallea porco silvestre,

che col petto, col grifo e con le zanne

fa, dovunque si volge, ample finestre.

Con lo scudo alto il Saracin sicuro

ne vien sprezzando il ciel, non che quel muro.

 

121

Non sì; tosto all'asciutto è; Rodomonte,

che giunto si sentì; su le bertresche,

che dentro alla muraglia facean ponte

capace e largo alle squadre francesche.

Or si vede spezzar più; d'una fronte,

far chieriche maggior de le fratesche,

braccia e capi volare; e ne la fossa

cader da' muri una fiumana rossa.

 

122

Getta il pagan lo scudo, e a duo man prende

la crudel spada, e giunge il duca Arnolfo.

Costui venì;a di là; dove discende

l'acqua del Reno nel salato golfo.

Quel miser contra lui non si difende

meglio che faccia contra il fuoco il zolfo;

e cade in terra, e dà; l'ultimo crollo,

dal capo fesso un palmo sotto il collo.

 

123

Uccide di rovescio in una volta

Anselmo, Oldrado, Spineloccio e Prando:

il luogo stretto e la gran turba folta

fece girar sì; pienamente il brando.

Fu la prima metade a Fiandra tolta,

l'altra scemata al populo normando.

Divise appresso da la fronte al petto,

ed indi al ventre, il maganzese Orghetto.

 

124

Getta da' merli Andropono e Moschino

giù; ne la fossa: il primo è; sacerdote;

non adora il secondo altro che 'l vino,

e le bigonce a un sorso n'ha già; vuote.

Come veneno e sangue viperino

l'acque fuggia quanto fuggir si puote:

or quivi muore; e quel che più; l'annoia,

è; 'l sentir che nell'acqua se ne muoia.

 

125

Tagliò; in due parti il provenzal Luigi,

e passò; il petto al tolosano Arnaldo.

Di Torse Oberto, Claudio, Ugo e Dionigi

mandar lo spirto fuor col sangue caldo;

e presso a questi, quattro da Parigi,

Gualtiero, Satallone, Odo ed Ambaldo,

ed altri molti: ed io non saprei come

di tutti nominar la patria e il nome.

 

126

La turba dietro a Rodomonte presta

le scale appoggia, e monta in più; d'un loco.

Quivi non fanno i Parigin più; testa;

che la prima difesa lor val poco.

San ben ch'agli nemici assai più; resta

dentro da fare, e non l'avran da gioco;

perché; tra il muro e l'argine secondo

discende il fosso orribile e profondo.

 

127

Oltra che i nostri facciano difesa

dal basso all'alto, e mostrino valore;

nuova gente succede alla contesa

sopra l'erta pendice interiore,

che fa con lance e con saette offesa

alla gran moltitudine di fuore,

che credo ben, che saria stata meno,

se non v'era il figliuol del re Ulieno.

 

128

Egli questi conforta, e quei riprende,

e lor mal grado inanzi se gli caccia:

ad altri il petto, ad altri il capo fende,

che per fuggir veggia voltar la faccia.

Molti ne spinge ed urta; alcuni prende

pei capelli, pel collo e per le braccia:

e sozzopra là; giù; tanti ne getta,

che quella fossa a capir tutti è; stretta.

 

129

Mentre lo stuol de' barbari si cala,

anzi trabocca al periglioso fondo,

ed indi cerca per diversa scala

di salir sopra l'argine secondo;

il re di Sarza (come avesse un'ala

per ciascun de' suoi membri) levò; il pondo

di sì; gran corpo e con tant'arme indosso,

e netto si lanciò; di là; dal fosso.

 

130

Poco era men di trenta piedi, o tanto,

ed egli il passò; destro come un veltro,

e fece nel cader strepito, quanto

avesse avuto sotto i piedi il feltro:

ed a questo ed a quello affrappa il manto,

come sien l'arme di tenero peltro,

e non di ferro, anzi pur sien di scorza:

tal la sua spada, e tanta è; la sua forza!

 

131

In questo tempo i nostri, da chi tese

l'insidie son ne la cava profonda,

che v'han scope e fascine in copia stese,

intorno a quai di molta pece abonda

(né; però; alcuna si vede palese,

ben che n'è; piena l'una e l'altra sponda

dal fondo cupo insino all'orlo quasi),

e senza fin v'hanno appiattati vasi,

 

132

qual con salnitro, qual con oglio, quale

con zolfo, qual con altra simil esca;

i nostri in questo tempo, perché; male

ai Saracini il folle ardir riesca,

ch'eran nel fosso, e per diverse scale

credean montar su l'ultima bertresca;

udito il segno da oportuni lochi,

di qua e di là; fenno avampare i fochi.

 

133

Tornò; la fiamma sparsa tutta in una,

che tra una ripa e l'altra ha 'l tutto pieno;

e tanto ascende in alto, ch'alla luna

può; d'appresso asciugar l'umido seno.

Sopra si volve oscura nebbia e bruna,

che 'l sole adombra, e spegne ogni sereno.

Sentesi un scoppio in un perpetuo suono,

simile a un grande e spaventoso tuono.

 

134

Aspro concento, orribile armonia

d'alte querele, d'ululi e di strida

de la misera gente che peria

nel fondo per cagion de la sua guida,

istranamente concordar s'udia

col fiero suon de la fiamma omicida.

Non più;, Signor, non più; di questo canto;

ch'io son già; rauco e vo' posarmi alquanto.

 

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CANTO QUINDICESIMO

 

 

1

Fu il vincer sempremai laudabil cosa,

vincasi o per fortuna o per ingegno:

gli è; ver che la vittoria sanguinosa

spesso far suole il capitan men degno;

e quella eternamente è; gloriosa,

e dei divini onori arriva al segno,

quando servando i suoi senza alcun danno,

si fa che gl'inimici in rotta vanno.

 

2

La vostra, Signor mio, fu degna loda,

quando al Leone, in mar tanto feroce,

ch'avea occupata l'una e l'altra proda

del Po, da Francolin sin alla foce,

faceste sì;, ch'ancor che ruggir l'oda,

s'io vedrò; voi, non tremerò; alla voce.

Come vincer si de', ne dimostraste;

ch'uccideste i nemici, e noi salvaste.

 

3

Questo il pagan, troppo in suo danno audace,

non seppe far; che i suoi nel fosso spinse,

dove la fiamma subita e vorace

non perdonò; ad alcun, ma tutti estinse.

A tanti non saria stato capace

tutto il gran fosso, ma il fuoco restrinse,

restrinse i corpi e in polve li ridusse,

acciò; ch'abile a tutti il luogo fusse.

 

4

Undicimila ed otto sopra venti

si ritrovar ne l'affocata buca,

che v'erano discesi malcontenti;

ma così; volle il poco saggio duca.

Quivi fra tanto lume or sono spenti,

e la vorace fiamma li manuca:

e Rodomonte, causa del mal loro,

se ne va esente da tanto martoro:

 

5

che tra' nemici alla ripa più; interna

era passato d'un mirabil salto.

Se con gli altri scendea ne la caverna,

questo era ben il fin d'ogni suo assalto.

Rivolge gli occhi a quella valle inferna;

e quando vede il fuoco andar tant'alto,

e di sua gente il pianto ode e lo strido,

bestemmia il ciel con spaventoso grido.

 

6

Intanto il re Agramante mosso avea

impetuoso assalto ad una porta;

che, mentre la crudel battaglia ardea

quivi ove è; tanta gente afflitta e morta,

quella sprovista forse esser credea

di guardia, che bastasse alla sua scorta.

Seco era il re d'Arzilla Bambirago,

e Baliverzo, d'ogni vizio vago;

 

7

e Corineo di Mulga, e Prusione,

il ricco re dell'Isole beate;

Malabuferso che la regione

tien di Fizan, sotto continua estate;

altri signori, ed altre assai persone

esperte ne la guerra e bene armate;

e molti ancor senza valore e nudi,

che 'l cor non s'armerian con mille scudi.

 

8

Trovò; tutto il contrario al suo pensiero

in questa parte il re de' Saracini:

perché; in persona il capo de l'Impero

v'era, re Carlo, e de' suoi paladini,

re Salamone ed il danese Ugiero,

ed ambo i Guidi ed ambo gli Angelini,

e 'l duca di Bavera e Ganelone,

e Berlengier e Avolio e Avino e Otone;

 

9

gente infinita poi di minor conto,

de' Franchi, de' Tedeschi e de' Lombardi,

presente il suo signor, ciascuno pronto

a farsi riputar fra i più; gagliardi.

Di questo altrove io vo' rendervi conto;

ch'ad un gran duca è; forza ch'io riguardi,

il qual mi grida, e di lontano accenna,

e priega ch'io nol lasci ne la penna.

 

10

Gli è; tempo ch'io ritorni ove lasciai

l'aventuroso Astolfo d'Inghilterra,

che 'l lungo esilio avendo in odio ormai,

di desiderio ardea de la sua terra;

come gli n'avea data pur assai

speme colei ch'Alcina vinse in guerra.

Ella di rimandarvilo avea cura

per la via più; espedita e più; sicura.

 

11

E così; una galea fu apparechiata,

di che miglior mai non solcò; marina;

e perché; ha dubbio per tutta fiata,

che non gli turbi il suo viaggio Alcina,

vuol Logistilla che con forte armata

Andronica ne vada e Sofrosina,

tanto che nel mar d'Arabi, o nel golfo

de' Persi, giunga a salvamento Astolfo.

 

12

Più; tosto vuol che volteggiando rada

gli Sciti e gl'Indi e i regni nabatei,

e torni poi per così; lunga strada

a ritrovar i Persi e gli Eritrei;

che per quel boreal pelago vada,

che turban sempre iniqui venti e rei,

e sì;, qualche stagion, pover di sole,

che starne senza alcuni mesi suole.

 

13

La fata, poi che vide acconcio il tutto,

diede licenza al duca di partire,

avendol prima ammaestrato e istrutto

di cose assai, che fôra lungo a dire;

e per schivar che non sia più; ridutto

per arte maga, onde non possa uscire,

un bello ed util libro gli avea dato,

che per suo amore avesse ognora allato.

 

14

Come l'uom riparar debba agl'incanti

mostra il libretto che costei gli diede:

dove ne tratta o più; dietro o più; inanti,

per rubrica e per indice si vede.

Un altro don gli fece ancor, che quanti

doni fur mai, di gran vantaggio eccede:

e questo fu d'orribil suono un corno,

che fa fugire ognun che l'ode intorno.

 

15

Dico che 'l corno è; di sì; orribil suono,

ch'ovunque s'oda, fa fuggir la gente:

non può; trovarsi al mondo un cor sì; buono,

che possa non fuggir come lo sente:

rumor di vento e di termuoto, e 'l tuono,

a par del suon di questo, era niente.

Con molto riferir di grazie, prese

da la fata licenza il buono Inglese.

 

16

Lasciando il porto e l'onde più; tranquille,

con felice aura ch'alla poppa spira,

sopra le ricche e populose ville

de l'odorifera India il duca gira,

scoprendo a destra ed a sinistra mille

isole sparse; e tanto va, che mira

la terra di Tomaso, onde il nocchiero

più; a tramontana poi volge il sentiero.

 

17

Quasi radendo l'aurea Chersonesso,

la bella armata il gran pelago frange:

e costeggiando i ricchi liti, spesso

vede come nel mar biancheggi il Gange;

e Traprobane vede e Cori appresso;

e vede il mar che fra i duo liti s'ange.

Dopo gran via furo a Cochino, e quindi

usciro fuor dei termini degl'Indi.

 

18

Scorrendo il duca il mar con sì; fedele

e sì; sicura scorta, intender vuole,

e ne domanda Andronica, se de le

parti c'han nome dal cader del sole,

mai legno alcun che vada a remi e a vele,

nel mare orientale apparir suole;

e s'andar può; senza toccar mai terra,

chi d'India scioglia, in Francia o in Inghilterra.

 

19

- Tu dé;i sapere (Andronica risponde)

che d'ogn'intorno il mar la terra abbraccia;

e van l'una ne l'altra tutte l'onde,

sia dove bolle o dove il mar s'aggiaccia;

ma perché; qui davante si difonde,

e sotto il mezzodì; molto si caccia

la terra d'Etiopia, alcuno ha detto

ch'a Nettuno ir più; inanzi ivi è; interdetto.

 

20

Per questo del nostro indico levante

nave non è; che per Europa scioglia;

né; si muove d'Europa navigante

ch'in queste nostre parti arrivar voglia.

Il ritrovarsi questa terra avante,

e questi e quelli al ritornare invoglia;

che credono, veggendola sì; lunga,

che con l'altro emisperio si congiunga.

 

21

Ma volgendosi gli anni, io veggio uscire

da l'estreme contrade di ponente

nuovi Argonauti e nuovi Tifi, e aprire

la strada ignota infin al dì; presente:

altri volteggiar l'Africa, e seguire

tanto la costa de la negra gente,

che passino quel segno onde ritorno

fa il sole a noi, lasciando il Capricorno;

 

22

e ritrovar del lungo tratto il fine,

che questo fa parer dui mar diversi;

e scorrer tutti i liti e le vicine

isole d'Indi, d'Arabi e di Persi:

altri lasciar le destre e le mancine

rive che due per opra Erculea fersi;

e del sole imitando il camin tondo,

ritrovar nuove terre e nuovo mondo.

 

23

Veggio la santa croce, e veggio i segni

imperial nel verde lito eretti:

veggio altri a guardia dei battuti legni,

altri all'acquisto del paese eletti:

veggio da dieci cacciar mille, e i regni

di là; da l'India ad Aragon suggetti;

e veggio i capitan di Carlo quinto,

dovunque vanno, aver per tutto vinto.

 

24

Dio vuol ch'ascosa antiquamente questa

strada sia stata, e ancor gran tempo stia;

né; che prima si sappia, che la sesta

e la settima età; passata sia:

e serba a farla al tempo manifesta,

che vorrà; porre il mondo a monarchia,

sotto il più; saggio imperatore e giusto,

che sia stato o sarà; mai dopo Augusto.

 

25

Del sangue d'Austria e d'Aragon io veggio

nascer sul Reno alla sinistra riva

un principe, al valor del qual pareggio

nessun valor, di cui si parli o scriva.

Astrea veggio per lui riposta in seggio,

anzi di morta ritornata viva;

e le virtù; che cacciò; il mondo, quando

lei cacciò; ancora, uscir per lui di bando.

 

26

Per questi merti la Bontà; suprema

non solamente di quel grande impero

ha disegnato ch'abbia diadema

ch'ebbe Augusto, Traian, Marco e Severo;

ma d'ogni terra e quinci e quindi estrema,

che mai né; al sol né; all'anno apre il sentiero:

e vuol che sotto a questo imperatore

solo un ovile sia, solo un pastore.

 

27

E perch'abbian più; facile successo

gli ordini in cielo eternamente scritti,

gli pon la somma Providenza appresso

in mare e in terra capitani invitti.

Veggio Hernando Cortese, il qualo ha messo

nuove città; sotto i cesarei editti,

e regni in Oriente sì; remoti,

ch'a noi, che siamo in India, non son noti.

 

28

Veggio Prosper Colonna, e di Pescara

veggio un marchese, e veggio dopo loro

un giovene del Vasto, che fan cara

parer la bella Italia ai Gigli d'oro:

veggio ch'entrare inanzi si prepara

quel terzo agli altri a guadagnar l'alloro:

come buon corridor ch'ultimo lassa

le mosse, e giunge, e inanzi a tutti passa.

 

29

Veggio tanto il valor, veggio la fede

tanta d'Alfonso (che 'l suo nome è; questo),

ch'in così; acerba età;, che non eccede

dopo il vigesimo anno ancora il sesto,

l'imperator l'esercito gli crede,

il qual salvando, salvar non che 'l resto,

ma farsi tutto il mondo ubidiente

con questo capitan sarà; possente.

 

30

Come con questi, ovunque andar per terra

si possa, accrescerà; l'imperio antico;

così; per tutto il mar, ch'in mezzo serra

di là; l'Europa e di qua l'Afro aprico,

sarà; vittorioso in ogni guerra,

poi ch'Andrea Doria s'avrà; fatto amico.

Questo è; quel Doria che fa dai pirati

sicuro il vostro mar per tutti i lati.

 

31

Non fu Pompeio a par di costui degno,

se ben vinse e cacciò; tutti i corsari;

Però; che quelli al più; possente regno

che fosse mai, non poteano esser pari:

ma questo Doria, sol col proprio ingegno

e proprie forze purgherà; quei mari;

sì; che da Calpe al Nilo, ovunque s'oda

il nome suo, tremar veggio ogni proda.

 

32

Sotto la fede entrar, sotto la scorta

di questo capitan di ch'io ti parlo,

veggio in Italia, ove da lui la porta

gli sarà; aperta, alla corona Carlo.

Veggio che 'l premio che di ciò; riporta,

non tien per sé;, ma fa alla patria darlo:

con prieghi ottien ch'in libertà; la metta,

dove altri a sé; l'avria forse suggetta.

 

33

Questa pietà;, ch'egli alla patria mostra,

è; degna di più; onor d'ogni battaglia

ch'in Francia o in Spagna o ne la terra vostra

vincesse Iulio, o in Africa o in Tessaglia.

Né; il grande Ottavio, né; chi seco giostra

di par, Antonio, in più; onoranza saglia

pei gesti suoi; ch'ogni lor laude amorza

l'avere usato alla lor patria forza.

 

34

Questi ed ogn'altro che la patria tenta

di libera far serva, si arrosisca;

né; dove il nome d'Andrea Doria senta,

di levar gli occhi in viso d'uomo ardisca.

Veggio Carlo che 'l premio gli augumenta;

ch'oltre quel ch'in commun vuol che fruisca,

gli dà; la ricca terra ch'ai Normandi

sarà; principio a farli in Puglia grandi.

 

35

A questo capitan non pur cortese

il magnanimo Carlo ha da mostrarsi,

ma a quanti avrà; ne le cesaree imprese

del sangue lor non ritrovati scarsi.

D'aver città;, d'aver tutto un paese

donato a un suo fedel, più; ralegrarsi

lo veggio, e a tutti quei che ne son degni,

che d'acquistar nuov'altri imperi e regni. -

 

36

Così; de le vittorie, le qual, poi

ch'un gran numero d'anni sarà; corso,

daranno a Carlo i capitani suoi,

facea col duca Andronica discorso:

e la compagna intanto ai venti eoi

viene allentando e raccogliendo il morso;

e fa ch'or questo or quel propizio l'esce,

e come vuol li minuisce e cresce.

 

37

Veduto aveano intanto il mar de' Persi

come in sì; largo spazio si dilaghi;

onde vicini in pochi giorni fersi

al golfo che nomar gli antiqui Maghi.

Quivi pigliaro il porto, e fur conversi

con la poppa alla ripa i legni vaghi;

quindi sicur d'Alcina e di sua guerra,

Astolfo il suo camin prese per terra.

 

38

Passò; per più; d'un campo e più; d'un bosco,

per più; d'un monte e per più; d'una valle;

ove ebbe spesso, all'aer chiaro e al fosco,

i ladroni or inanzi or alle spalle.

Vide leoni, e draghi pien di tosco,

ed altre fere attraversarsi il calle;

ma non sì; tosto avea la bocca al corno,

che spaventati gli fuggian d'intorno.

 

39

Vien per l'Arabia ch'è; detta Felice,

ricca di mirra e d'odorato incenso,

che per suo albergo l'unica fenice

eletto s'ha di tutto il mondo immenso;

fin che l'onda trovò; vendicatrice

già; d'Israel, che per divin consenso

Faraone sommerse e tutti i suoi:

e poi venne alla terra degli Eroi.

 

40

Lungo il fiume Traiano egli cavalca

su quel destrier ch'al mondo è; senza pare,

che tanto leggiermente e corre e valca,

che ne l'arena l'orma non n'appare:

l'erba non pur, non pur la nieve calca;

coi piedi asciutti andar potria sul mare;

e sì; si stende al corso, e sì; s'affretta,

che passa e vento e folgore e saetta.

 

41

Questo è; il destrier che fu de l'Argalia,

che di fiamma e di vento era concetto;

e senza fieno e biada, si nutria

de l'aria pura, e Rabican fu detto.

Venne, suguendo il Duca la sua via,

dove dà; il Nilo a quel fiume ricetto;

e prima che giugnesse in su la foce,

vide un legno venire a sé; veloce.

 

42

Naviga in su la poppa uno eremita

con bianca barba, a mezzo il petto lunga,

che sopra il legno il paladino invita,

e: - Figliuol mio (gli grida da la lunga),

se non t'è; in odio la tua propria vita,

se non brami che morte oggi ti giunga,

venir ti piaccia su quest'altra arena;

ch'a morir quella via dritto ti mena.

 

43

Tu non andrai più; che sei miglia inante,

che troverai la saguinosa stanza

dove s'alberga un orribil gigante

che d'otto piedi ogni statura avanza.

Non abbia cavallier né; viandante

di partirsi da lui, vivo, speranza:

ch'altri il crudel ne scanna, altri ne scuoia,

molti ne squarta, e vivo alcun ne 'ngoia.

 

44

Piacer, fra tanta crudeltà;, si prende

d'una rete ch'egli ha, molto ben fatta:

poco lontana al tetto suo la tende,

e ne la trita polve in modo appiatta,

che chi prima nol sa, non la comprende,

tanto è; sottil, tanto egli ben l'adatta:

e con tai gridi i peregrin minaccia,

che spaventati dentro ve li caccia.

 

45

E con gran risa, aviluppati in quella

se li strascina sotto il suo coperto;

né; cavallier riguarda né; donzella,

o sia di grande o sia di picciol merto:

e mangiata la carne, e la cervella

succhiate e 'l sangue, dà; l'ossa al deserto;

e de l'umane pelli intorno intorno

fa il suo palazzo orribilmente adorno.

 

46

Prendi quest'altra via, prendila, figlio,

che fin al mar ti fia tutta sicura. -

- Io ti ringrazio, padre, del consiglio

(rispose il cavallier senza paura),

ma non istimo per l'onor periglio,

di ch'assai più; che de la vita ho cura.

Per far ch'io passi, invan tu parli meco;

anzi vo al dritto a ritrovar lo speco.

 

47

Fuggendo, posso con disnor salvarmi;

ma tal salute ho più; che morte a schivo.

S'io vi vo, al peggio che potrà; incontrarmi,

fra molti resterò; di vita privo;

ma quando Dio così; mi drizzi l'armi,

che colui morto, ed io rimanga vivo,

sicura a mille renderò; la via:

sì; che l'util maggior che 'l danno fia.

 

48

Metto all'incontro la morte d'un solo

alla salute di gente infinita. -

- Vattene in pace (rispose), figliuolo;

Dio mandi in difension de la tua vita

l'arcangelo Michel dal sommo polo: -

e benedillo il semplice eremita.

Astolfo lungo il Nil tenne la strada,

sperando più; nel suon che ne la spada.

 

49

Giace tra l'alto fiume e la palude

picciol sentier nell'arenosa riva:

la solitaria casa lo richiude,

d'umanitade e di commercio priva.

Son fisse intorno teste e membra nude

de l'infelice gente che v'arriva.

Non v'è; finestra, non v'è; merlo alcuno,

onde penderne almen non si veggia uno.

 

50

Qual ne le alpine ville o ne' castelli

suol cacciator che gran perigli ha scorsi,

su le porte attaccar l'irsute pelli,

l'orride zampe e i grossi capi d'orsi;

tal dimostrava il fier gigante quelli

che di maggior virtù; gli erano occorsi.

D'altri infiniti sparse appaion l'ossa;

ed è; di sangue uman piena ogni fossa.

 

51

Stassi Caligorante in su la porta;

che così; ha nome il dispietato mostro

ch'orna la sua magion di gente morta,

come alcun suol di panni d'oro o d'ostro.

Costui per gaudio a pena si comporta,

come il duca lontan se gli è; dimostro;

ch'eran duo mesi, e il terzo ne venì;a,

che non fu cavallier per quella via.

 

52

Vêr la palude, ch'era scura e folta

di verdi canne, in gran fretta ne viene;

che disegnato avea correre in volta,

e uscir al paladin dietro alle schene;

che ne la rete, che tenea sepolta

sotto la polve, di cacciarlo ha spene,

come avea fatto gli altri peregrini

che quivi tratto avean lor rei destini.

 

53

Come venire il paladin lo vede,

ferma il destrier, non senza gran sospetto

che vada in quelli lacci a dar del piede,

di che il buon vecchiarel gli avea predetto.

Quivi il soccorso del suo corno chiede,

e quel sonando fa l'usato effetto:

nel cor fere il gigante che l'ascolta,

di tal timor, ch'a dietro i passi volta.

 

54

Astolfo suona, e tuttavolta bada;

che gli par sempre che la rete scocchi.

Fugge il fellon, né; vede ove si vada;

che, come il core, avea perduti gli occhi.

Tanta è; la tema, che non sa far strada,

che ne li propri aguati non trabocchi:

va ne la rete; e quella si disserra,

tutto l'annoda, e lo distende in terra.

 

55

Astolfo, ch'andar giù; vede il gran peso,

già; sicuro per sé;, v'accorre in fretta;

e con la spada in man, d'arcion disceso,

va per far di mill'anime vendetta.

Poi gli par che s'uccide un che sia preso,

viltà;, più; che virtù;, ne sarà; detta;

che legate le braccia, i piedi e il collo

gli vede sì;, che non può; dare un crollo.

 

56

Avea la rete già; fatta Vulcano

di sottil fil d'acciar, ma con tal arte,

che saria stata ogni fatica invano

per ismagliarne la più; debol parte;

ed era quella che già; piedi e mano

avea legate a Venere ed a Marte.

La fe' il geloso, e non ad altro effetto,

che per pigliarli insieme ambi nel letto.

 

57

Mercurio al fabbro poi la rete invola;

che Cloride pigliar con essa vuole,

Cloride bella che per l'aria vola

dietro all'Aurora, all'apparir del sole,

e dal raccolto lembo de la stola

gigli spargendo va, rose e viole.

Mercurio tanto questa ninfa attese,

che con la rete in aria un dì; la prese.

 

58

Dove entra in mare il gran fiume etiopo,

par che la dea presa volando fosse.

Poi nei tempio d'Anubide a Canopo

la rete molti seculi serbosse.

Caligorante tremila anni dopo,

di là;, dove era sacra, la rimosse:

se ne portò; la rete il ladrone empio,

ed arse la cittade, e rubò; il tempio.

 

59

Quivi adattolla in modo in su l'arena,

che tutti quei ch'avean da lui la caccia

vi davan dentro; ed era tocca a pena,

che lor legava e collo e piedi e braccia.

Di questa levò; Astolfo una catena,

e le man dietro a quel fellon n'allaccia;

le braccia e 'l petto in guisa gli ne fascia,

che non può; sciorsi: indi levar lo lascia,

 

60

dagli altri nodi avendol sciolto prima,

ch'era tornato uman più; che donzella.

Di trarlo seco e di mostrarlo stima

per ville, per cittadi e per castella.

Vuol la rete anco aver, di che né; lima

né; martel fece mai cosa più; bella:

ne fa somier colui ch'alla catena

con pompa trionfal dietro si mena.

 

61

L'elmo e lo scudo anche a portar gli diede,

come a valletto, e seguitò; il camino,

di gaudio empiendo, ovunque metta il piede,

ch'ir possa ormai sicuro il peregrino.

Astolfo se ne va tanto, che vede

ch'ai sepolcri di Memfi è; già; vicino,

Memfi per le piramidi famoso:

vede all'incontro il Cairo populoso.

 

62

Tutto il popul correndo si traea

per vedere il gigante smisurato.

- Come è; possibil (l'un l'altro dicea)

che quel piccolo il grande abbia legato? -

Astolfo a pena inanzi andar potea,

tanto la calca il preme da ogni lato:

e come cavallier d'alto valore

ognun l'ammira, e gli fa grande onore.

 

63

Non era grande il Cairo così; allora,

come se ne ragiona a nostra etade:

che 'l populo capir, che vi dimora,

non puon diciottomila gran contrade;

e che le case hanno tre palchi, e ancora

ne dormono infiniti in su le strade;

e che 'l soldano v'abita un castello

mirabil di grandezza, e ricco e bello;

 

64

e che quindicimila suoi vasalli,

che son cristiani rinegati tutti,

con mogli, con famiglie e con cavalli

ha sotto un tetto sol quivi ridutti.

Astolfo veder vuole ove s'avalli,

e quanto il Nilo entri nei salsi flutti

a Damiata; ch'avea quivi inteso,

qualunque passa restar morto o preso.

 

65

Però; ch'in ripa al Nilo in su la foce

si ripara un ladron dentro una torre,

ch'a paesani e a peregrini nuoce,

e fin al Cairo, ognun rubando scorre.

Non gli può; alcun resistere; ed ha voce

che l'uom gli cerca invan la vita torre:

centomila ferite egli ha già; avuto,

né; ucciderlo però; mai s'è; potuto.

 

66

Per veder se può; far rompere il filo

alla Parca di lui, sì; che non viva,

Astolfo viene a ritrovare Orrilo

(così; avea nome), e a Damiata arriva;

ed indi passa ove entra in mare il Nilo,

e vede la gran torre in su la riva,

dove s'alberga l'anima incantata

che d'un folletto nacque e d'una fata.

 

67

Quivi ritruova che crudel battaglia

era tra Orrilo e dui guerrieri accesa.

Orrilo è; solo; e sì; que' dui travaglia,

ch'a gran fatica gli puon far difesa:

e quando in arme l'uno e l'altro vaglia,

a tutto il mondo la fama palesa.

Questi erano i dui figli d'Oliviero,

Grifone il bianco ed Aquilante il nero.

 

68

Gli è; ver che 'l negromante venuto era

alla battaglia con vantaggio grande;

che seco tratto in campo avea una fera,

la qual si truova solo in quelle bande:

vive sul lito e dentro alla rivera;

e i corpi umani son le sue vivande,

de le persone misere ed incaute

de viandanti e d'infelici naute.

 

69

La bestia ne l'arena appresso al porto

per man dei duo fratei morta giacea;

e per questo ad Orril non si fa torto,

s'a un tempo l'uno e l'altro gli nocea.

Più; volte l'han smembrato e non mai morto,

né;, per smembrarlo, uccider si potea;

che se tagliato o mano o gamba gli era,

la rapiccava, che parea di cera.

 

70

Or fin a' denti il capo gli divide

Grifone, or Aquilante fin al petto.

Egli dei colpi lor sempre si ride:

s'adiran essi, che non hanno effetto.

Chi mai d'alto cader l'argento vide,

che gli alchimisti hanno mercurio detto,

e sparger e raccor tutti i suo' membri,

sentendo di costui, se ne rimembri.

 

71

Se gli spiccano il capo, Orrilo scende,

né; cessa brancolar fin che lo truovi;

ed or pel crine ed or pel naso il prende,

lo salda al collo, e non so con che chiovi.

Piglial talor Grifone, e 'l braccio stende,

nel fiume il getta, e non par ch'anco giovi;

che nuota Orrilo al fondo come un pesce,

e col suo capo salvo alla ripa esce.

 

72

Due belle donne onestamente ornate,

l'una vestita a bianco e l'altra a nero,

che de la pugna causa erano state,

stavano a riguardar l'assalto fiero.

Queste eran quelle due benigne fate

ch'avean notriti i figli d'Oliviero,

poi che li trasson teneri citelli

dai curvi artigli di duo grandi augelli,

 

73

che rapiti gli avevano a Gismonda,

e portati lontan dal suo paese.

Ma non bisogna in ciò; ch'io mi diffonda,

ch'a tutto il mondo è; l'istoria palese;

ben che l'autor nel padre si confonda,

ch'un per un altro (io non so come) prese.

Or la battaglia i duo gioveni fanno,

che le due donne ambi pregati n'hanno.

 

74

Era in quel clima già; sparito il giorno,

all'isole ancor alto di Fortuna;

l'ombre avean tolto ogni vedere a torno

sotto l'incerta e mal compresa luna;

quando alla rocca Orril fece ritorno,

poi ch'alla bianca e alla sorella bruna

piacque di differir l'aspra battaglia

fin che 'l sol nuovo all'orizzonte saglia.

 

75

Astolfo, che Grifone ed Aquilante,

ed all'insegne e più; al ferir gagliardo,

riconosciuto avea gran pezzo inante,

lor non fu altiero a salutar né; tardo.

Essi vedendo che quel che 'l gigante

traea legato, era il baron dal pardo

(che così; in corte era quel duca detto),

raccolser lui con non minore affetto.

 

76

Le donne a riposare i cavallieri

menaro a un lor palagio indi vicino.

Donzelle incontra vennero e scudieri

con torchi accesi, a mezzo del camino.

Diero a chi n'ebbe cura i lor destrieri,

trassonsi l'arme; e dentro un bel giardino

trovar ch'apparechiata era la cena

ad una fonte limpida ed amena.

 

77

Fan legare il gigante alla verdura

Con un'altra catena molto grossa

ad una quercia di molt'anni dura,

che non si romperà; per una scossa;

e da dieci sergenti averne cura,

che la notte discior non se ne possa,

ed assalirli, e forse far lor danno,

mentre sicuri e senza guardia stanno.

 

78

All'abondante e sontuosa mensa,

dove il manco piacer fur le vivande,

del ragionar gran parte si dispensa

sopra d'Orrilo e del miracol grande,

che quasi par un sogno a chi vi pensa,

ch'or capo or braccio a terra se gli mande,

ed egli lo raccolga e lo raggiugna,

e più; feroce ognor torni alla pugna.

 

79

Astolfo nel suo libro avea già; letto

(quel ch'agl'incanti riparare insegna)

ch'ad Orril non trarrà; l'alma del petto

fin ch'un crine fatal nel capo tegna;

ma, se lo svelle o tronca, fia costretto

che suo mal grado fuor l'alma ne vegna.

Questo ne dice il libro; ma non come

conosca il crine in così; folte chiome.

 

80

Non men de la vittoria si godea,

che se n'avesse Astolfo già; la palma;

come chi speme in pochi colpi avea

svellere il crine al negromante e l'alma.

Però; di quella impresa promettea

tor su gli omeri suoi tutta la salma:

Orril farà; morir, quando non spiaccia

ai duo fratei, ch'egli la pugna faccia.

 

81

Ma quei gli danno volentier l'impresa,

certi che debbia affaticarsi invano.

Era già; l'altra aurora in cielo ascesa,

quando calò; dai muri Orrilo al piano.

Tra il duca e lui fu la battaglia accesa:

la mazza l'un, l'altro ha la spada in mano.

Di mille attende Astolfo un colpo trarne,

che lo spirto gli sciolga da la carne.

 

82

Or cader gli fa il pugno con la mazza,

or l'uno or l'altro braccio con la mano;

quando taglia a traverso la corazza,

e quando il va troncando a brano a brano:

ma ricogliendo sempre de la piazza

va le sue membra Orrilo, e si fa sano.

S'in cento pezzi ben l'avesse fatto,

redintegrarsi il vedea Astolfo a un tratto.

 

83

Al fin di mille colpi un gli ne colse

sopra le spalle ai termini del mento:

la testa e l'elmo dal capo gli tolse,

né; fu d'Orrilo a dismontar più; lento.

La sanguinosa chioma in man s'avolse,

e risalse a cavallo in un momento;

e la portò; correndo incontra 'l Nilo,

che riaver non la potesse Orrilo.

 

84

Quel sciocco, che del fatto non s'accorse,

per la polve cercando iva la testa:

ma come intese il corridor via torse,

portare il capo suo per la foresta;

immantinente al suo destrier ricorse,

sopra vi sale, e di seguir non resta.

Volea gridare: - Aspetta, volta, volta! -

ma gli avea il duca già; la bocca tolta.

 

85

Pur, che non gli ha tolto anco le calcagna

si riconforta, e segue a tutta briglia.

Dietro il lascia gran spazio di campagna

quel Rabican che corre a maraviglia.

Astolfo intanto per la cuticagna

va da la nuca fin sopra le ciglia

cercando in fretta, se 'l crine fatale

conoscer può;, ch'Orril tiene immortale.

 

86

Fra tanti e innumerabili capelli,

un più; de l'altro non si stende o torce:

qual dunque Astolfo sceglierà; di quelli,

che per dar morte al rio ladron raccorce?

- Meglio è; (disse) che tutti io tagli o svelli: -

né; si trovando aver rasoi né; force,

ricorse immantinente alla sua spada,

che taglia sì;, che si può; dir che rada.

 

87

E tenendo quel capo per lo naso,

dietro e dinanzi lo dischioma tutto.

Trovò; fra gli altri quel fatale a caso:

si fece il viso allor pallido e brutto,

travolse gli occhi, e dimostrò; all'occaso,

per manifesti segni, esser condutto;

e 'l busto che seguia troncato al collo,

di sella cadde, e diè; l'ultimo crollo.

 

88

Astolfo, ove le donne e i cavallieri

lasciato avea, tornò; col capo in mano,

che tutti avea di morte i segni veri,

e mostrò; il tronco ove giacea lontano.

Non so ben se lo vider volentieri,

ancor che gli mostrasser viso umano;

che la intercetta lor vittoria forse

d'invidia ai duo germani il petto morse.

 

89

Né; che tal fin quella battuglia avesse,

credo più; fosse alle due donne grato.

Queste, perché; più; in lungo si traesse

de' duo fratelli il doloroso fato

ch'in Francia par ch'in breve esser dovesse,

con loro Orrilo avean quivi azzuffato,

con speme di tenerli tanto a bada,

che la trista influenza se ne vada.

 

90

Tosto che 'l castellan di Damiata

certificossi ch'era morto Orrilo,

la columba lasciò;, ch'avea legata

sotto l'ala la lettera col filo.

Quella andò; al Cairo; ed indi fu lasciata

un'altra altrove, come quivi è; stilo:

sì; che in pochissime ore andò; l'aviso

per tutto Egitto, ch'era Orrilo ucciso.

 

91

Il duca, come al fin trasse l'impresa,

confortò; molto i nobili garzoni,

ben che da sé; v'avean la voglia intesa,

né; bisognavan stimuli né; sproni,

che per difender de la santa Chiesa

e del romano Imperio le ragioni,

lasciasser le battaglie d'Oriente,

e cercassino onor ne la lor gente.

 

92

Così; Grifone ed Aquilante tolse

ciascuno da la sua donna licenza;

le quali, ancor che lor ne 'ncrebbe e dolse,

non vi seppon però; far resistenza.

Con essi Astolfo a man destra si volse;

che si deliberar far riverenza

ai santi luoghi ove Dio in carne visse,

prima che verso Francia si venisse.

 

93

Potuto avrian pigliar la via mancina,

ch'era più; dilettevole e più; piana,

e mai non si scostar da la marina;

ma per la destra andaro orrida e strana,

perché; l'alta città; di Palestina

per questa sei giornate è; men lontana.

Acqua si truova ed erba in questa via:

di tutti gli altri ben v'è; carestia.

 

94

Sì; che prima ch'entrassero in viaggio,

ciò; che lor bisognò;, fecion raccorre,

e carcar sul gigante il carriaggio,

ch'avria portato in collo anco una torre.

Al finir del camino aspro e selvaggio,

da l'alto monte alla lor vista occorre

la santa terra, ove il superno Amore

lavò; col proprio sangue il nostro errore.

 

95

Trovano in su l'entrar de la cittade

un giovene gentil, lor conoscente,

Sansonetto da Meca, oltre l'etade,

ch'era nel primo fior, molto prudente;

d'alta cavalleria, d'alta bontade

famoso, e riverito fra la gente.

Orlando lo converse a nostra fede,

e di sua man battesmo anco gli diede.

 

96

Quivi lo trovan che disegna a fronte

del calife d'Egitto una fortezza;

e circondar vuole il Calvario monte

di muro di duo miglia di lunghezza.

Da lui raccolti fur con quella fronte

che può; d'interno amor dar più; chiarezza,

e dentro accompagnati, e con grande agio

fatti alloggiar nel suo real palagio.

 

97

Avea in governo egli la terra, e in vece

di Carlo vi reggea l'imperio giusto.

Il duca Astolfo a costui dono fece

di quel sì; grande e smisurato busto,

ch'a portar pesi gli varrà; per diece

bestie da soma, tanto era robusto.

Diegli Astolfo il gigante, e diegli appresso

la rete ch'in sua forza l'avea messo.

 

98

Sansonetto all'incontro al duca diede

per la spada una cinta ricca e bella;

e diede spron per l'uno e l'altro piede,

che d'oro avean la fibbia e la girella;

ch'esser del cavallier stati si crede,

che liberò; dal drago la donzella:

al Zaffo avuti con molt'altro arnese

Sansonetto gli avea, quando lo prese.

 

99

Purgati de lor colpe a un monasterio

che dava di sé; odor di buoni esempi,

de la passion di Cristo ogni misterio

contemplando n'andar per tutti i tempi

ch'or con eterno obbrobrio e vituperio

agli cristiani usurpano i Mori empi.

L'Europa è; in arme, e di far guerra agogna

in ogni parte, fuor ch'ove bisogna.

 

100

Mentre avean quivi l'animo divoto,

a perdonanze e a cerimonie intenti,

un peregrin di Grecia, a Grifon noto,

novelle gli arrecò; gravi e pungenti,

dal suo primo disegno e lungo voto

troppo diverse e troppo differenti;

e quelle il petto gl'infiammaron tanto,

che gli scacciar l'orazion da canto.

 

101

Amava il cavallier, per sua sciagura,

una donna ch'avea nome Orrigille:

di più; bel volto e di miglior statura

non se ne sceglierebbe una fra mille;

ma disleale e di sì; rea natura,

che potresti cercar cittadi e ville,

la terra ferma e l'isole del mare,

né; credo ch'una le trovassi pare.

 

102

Ne la città; di Costantin lasciata

grave l'avea di febbre acuta e fiera.

Or quando rivederla alla tornata

più; che mai bella, e di goderla spera,

ode il meschin, ch'in Antiochia andata

dietro un suo nuovo amante ella se n'era,

non le parendo ormai di più; patire

ch'abbia in sì; fresca età; sola a dormire.

 

103

Da indi in qua ch'ebbe la trista nuova,

sospirava Grifon notte e dì; sempre.

Ogni piacer ch'agli altri aggrada e giova,

par ch'a costui più; l'animo distempre:

pensilo ognun, ne li cui danni pruova

Amor, se li suoi strali han buone tempre.

Ed era grave sopra ogni martire,

che 'l mal ch'avea si vergognava a dire.

 

104

Questo, perché; mille fiate inante

già; ripreso l'avea di quello amore,

di lui più; saggio, il fratello Aquilante,

e cercato colei trargli del core,

colei ch'al suo giudicio era di quante

femine rie si trovin la peggiore.

Grifon l'escusa, se 'l fratel la danna;

e le più; volte il parer proprio inganna.

 

105

Però; fece pensier, senza parlarne

con Aquilante, girsene soletto

sin dentro d'Antiochia, e quindi trarne

colei che tratto il cor gli avea del petto;

trovar colui che gli l'ha tolta, e farne

vendetta tal, che ne sia sempre detto.

Dirò;, come ad effetto il pensier messe,

nell'altro canto, e ciò; che ne successe.

 

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CANTO SEDICESIMO

 

 

1

Gravi pene in amor si provan molte,

di che patito io n'ho la maggior parte,

e quelle in danno mio sì; ben raccolte,

ch'io ne posso parlar come per arte.

Però; s'io dico e s'ho detto altre volte,

e quando in voce e quando in vive carte,

ch'un mal sia lieve, un altro acerbo e fiero,

date credenza al mio giudicio vero.

 

2

Io dico e dissi, e dirò; fin ch'io viva,

che chi si truova in degno laccio preso,

se ben di sé; vede sua donna schiva,

se in tutto aversa al suo desire acceso;

se bene Amor d'ogni mercede il priva,

poscia che 'l tempo e la fatica ha speso;

pur ch'altamente abbia locato il core,

pianger non de', se ben languisce e muore.

 

3

Pianger de' quel che già; sia fatto servo

di duo vaghi occhi e d'una bella treccia,

sotto cui si nasconda un cor protervo,

che poco puro abbia con molta feccia.

Vorria il miser fuggire; e come cervo

ferito, ovunque va, porta la freccia:

ha di se stesso e del suo amor vergogna,

né; l'osa dire, e invan sanarsi agogna.

 

4

In questo caso è; il giovene Grifone,

che non si può; emendare, e il suo error vede,

vede quanto vilmente il suo cor pone

in Orrigille iniqua e senza fede;

pur dal mal uso è; vinta la ragione,

e pur l'arbitrio all'appetito cede:

perfida sia quantunque, ingrata e ria,

sforzato è; di cercar dove ella sia.

 

5

Dico, la bella istoria ripigliando,

ch'uscì; de la città; secretamente,

né; parlarne s'ardì; col fratel, quando

ripreso invan da lui ne fu sovente.

Verso Rama, a sinistra declinando,

prese la via più; piana e più; corrente.

Fu in sei giorni a Damasco di Soria;

indi verso Antiochia se ne gì;a.

 

6

Scontrò; presso a Damasco il cavalliero

a cui donato aveva Orrigille il core:

e convenian di rei costumi in vero,

come ben si convien l'erba col fiore;

che l'uno e l'altro era di cor leggiero,

perfido l'uno e l'altro e traditore;

e copria l'uno e l'altro il suo difetto,

con danno altrui, sotto cortese aspetto.

 

7

Come io vi dico, il cavallier venì;a

s'un gran destrier con molta pompa armato:

la perfida Orrigille in compagnia,

in un vestire azzur d'oro fregiato,

e duo valletti, donde si servia

a portar elmo e scudo, aveva allato;

come quel che volea con bella mostra

comparire in Damasco ad una giostra.

 

8

Una splendida festa che bandire

fece il re di Damasco in quelli giorni,

era cagion di far quivi venire

i cavallier quanto potean più; adorni.

Tosto che la puttana comparire

vede Grifon, ne teme oltraggi e scorni:

sa che l'amante suo non è; sì; forte,

che contra lui l'abbia a campar da morte.

 

9

Ma sì; come audacissima e scaltrita,

ancor che tutta di paura trema,

s'acconcia il viso, e sì; la voce aita,

che non appar in lei segno di tema.

Col drudo avendo già; l'astuzia ordita,

corre, e fingendo una letizia estrema,

verso Grifon l'aperte braccia tende,

lo stringe al collo, e gran pezzo ne pende.

 

10

Dopo, accordando affettuosi gesti

alla suavità; de le parole,

dicea piangendo: - Signor mio, son questi

debiti premi a chi t'adora e cole?

che sola senza te già; un anno resti,

e va per l'altro, e ancor non te ne duole?

E s'io stava aspettare il suo ritorno,

non so se mai veduto avrei quel giorno!

 

11

Quando aspettava che di Nicosia,

dove tu te n'andasti alla gran corte,

tornassi a me che con la febbre ria

lasciata avevi in dubbio de la morte,

intesi che passato eri in Soria:

il che a patir mi fu sì; duro e forte,

che non sapendo come io ti seguissi,

quasi il cor di man propria mi traffissi.

 

12

Ma Fortuna di me con doppio dono

mostra d'aver, quel che non hai tu, cura:

mandommi il fratel mio, col quale io sono

sin qui venuta del mio onor sicura;

ed or mi manda questo incontro buono

di te, ch'io stimo sopra ogni aventura:

e bene a tempo il fa; che più; tardando,

morta sarei, te, signor mio, bramando. -

 

13

E seguitò; la donna fraudolente,

di cui l'opere fur più; che di volpe,

la sua querela così; astutamente,

che riversò; in Grifon tutte le colpe.

Gli fa stimar colui, non che parente,

ma che d'un padre seco abbia ossa e polpe:

e con tal modo sa tesser gl'inganni,

che men verace par Luca e Giovanni.

 

14

Non pur di sua perfidia non riprende

Grifon la donna iniqua più; che bella;

non pur vendetta di colui non prende,

che fatto s'era adultero di quella:

ma gli par far assai, se si difende

che tutto il biasmo in lui non riversi ella;

e come fosse suo cognato vero,

d'accarezzar non cessa il cavalliero.

 

15

E con lui se ne vien verso le porte

di Damasco, e da lui sente tra via,

che là; dentro dovea splendida corte

tenere il ricco re de la Soria;

e ch'ognun quivi, di qualunque sorte,

o sia cristiano, o d'altra legge sia,

dentro e di fuori ha la città; sicura

per tutto il tempo che la festa dura.

 

16

Non però; son di seguitar sì; intento

l'istoria de la perfida Orrigille,

ch'a' giorni suoi non pur un tradimento

fatto agli amanti avea, ma mille e mille;

ch'io non ritorni a riveder dugento

mila persone, o più; de le scintille

del fuoco stuzzicato, ove alle mura

di Parigi facean danno e paura.

 

17

Io vi lasciai, come assaltato avea

Agramante una porta de la terra,

che trovar senza guardia si credea:

né; più; riparo altrove il passo serra;

perché; in persona Carlo la tenea,

ed avea seco i mastri de la guerra,

duo Guidi, duo Angelini; uno Angeliero,

Avino, Avolio, Otone e Berlingiero.

 

18

Inanzi a Carlo, inanzi al re Agramante

l'un stuolo e l'altro si vuol far vedere,

ove gran loda, ove mercé; abondante

si può; acquistar, facendo il suo dovere.

I Mori non però; fer pruove tante,

che par ristoro al danno abbiano avere;

perché; ve ne restar morti parecchi,

ch'agli altri fur di folle audacia specchi.

 

19

Grandine sembran le spesse saette

dal muro sopra gli nimici sparte.

Il grido insin al ciel paura mette,

che fa la nostra e la contraria parte.

Ma Carlo un poco ed Agramante aspette;

ch'io vo' cantar de l'africano Marte,

Rodomonte terribile ed orrendo,

che va per mezzo la città; correndo.

 

20

Non so, Signor, se più; vi ricordiate,

di questo Saracin tanto sicuro,

che morte le sue genti avea lasciate

tra il secondo riparo e 'l primo muro,

da la rapace fiamma devorate,

che non fu mai spettacolo più; oscuro.

Dissi ch'entrò; d'un salto ne la terra

sopra la fossa che la cinge e serra.

 

21

Quando fu noto il Saracino atroce

all'arme istrane, alla scagliosa pelle,

là; dove i vecchi e 'l popul men feroce

tendean l'orecchie a tutte le novelle,

levossi un pianto, un grido, un'alta voce,

con un batter di man ch'andò; alle stelle;

e chi poté; fuggir non vi rimase,

per serrarsi ne' templi e ne le case.

 

22

Ma questo a pochi il brando rio conciede,

ch'intorno ruota il Saracin robusto.

Qui fa restar con mezza gamba un piede,

là; fa un capo sbalzar lungi dal busto;

l'un tagliare a traverso se gli vede,

dal capo all'anche un altro fender giusto:

e di tanti ch'uccide, fere e caccia,

non se gli vede alcun segnare in faccia.

 

23

Quel che la tigre de l'armento imbelle

ne' campi ircani o là; vicino al Gange,

o 'l lupo de le capre e de l'agnelle

nel monte che Tifeo sotto si frange;

quivi il crudel pagan facea di quelle

non dirò; squadre, non dirò; falange,

ma vulgo e populazzo voglio dire,

degno, prima che nasca, di morire.

 

24

Non ne trova un che veder possa in fronte,

fra tanti che ne taglia, fora e svena.

Per quella strada che vien dritto al ponte

di san Michel, sì; popolata e piena,

corre il fiero e terribil Rodomonte,

e la sanguigna spada a cerco mena:

non riguarda né; al servo né; al signore,

né; al giusto ha più; pietà; ch'al peccatore.

 

25

Religion non giova al sacerdote,

né; la innocenza al pargoletto giova:

per sereni occhi o per vermiglie gote

mercé; né; donna né; donzella truova:

la vecchiezza si caccia e si percuote;

né; quivi il Saracin fa maggior pruova

di gran valor, che di gran crudeltade;

che non discerne sesso, ordine, etade.

 

26

Non pur nel sangue uman l'ira si stende

de l'empio re, capo e signor degli empi,

ma contra i tetti ancor, sì; che n'incende

le belle case e i profanati tempi.

Le case eran, per quel che se n'intende,

quasi tutte di legno in quelli tempi:

e ben creder si può;; ch'in Parigi ora

de le diece le sei son così; ancora.

 

27

Non par, quantunque il fuoco ogni cosa arda,

che sì; grande odio ancor saziar si possa.

Dove s'aggrappi con le mani, guarda,

sì; che ruini un tetto ad ogni scossa.

Signor, avete a creder che bombarda

mai non vedeste a Padova sì; grossa,

che tanto muro possa far cadere,

quanto fa in una scossa il re d'Algiere.

 

28

Mentre quivi col ferro il maledetto

e con le fiamme facea tanta guerra,

se di fuor Agramante avesse astretto,

perduta era quel dì; tutta la terra.

ma non v'ebbe agio; che gli fu interdetto

dal paladin che venì;a d'Inghilterra

col populo alle spalle inglese e scotto,

dal Silenzio e da l'angelo condotto.

 

29

Dio volse che all'entrar che Rodomonte

fe' ne la terra, e tanto fuoco accese,

che presso ai muri il fior di Chiaramonte,

Rinaldo, giunse, e seco il campo inglese.

Tre leghe sopra avea gittato il ponte,

e torte vie da man sinistra prese;

che disegnando i barbari assalire,

il fiume non l'avesse ad impedire.

 

30

Mandato avea seimila fanti arcieri

sotto l'altiera insegna d'Odoardo,

e duomila cavalli, e più;, leggieri

dietro alla guida d'Ariman gagliardo;

e mandati gli avea per li sentieri

che vanno e vengon dritto al mar picardo,

ch'a porta San Martino e San Dionigi

entrassero a soccorso di Parigi.

 

31

I cariaggi e gli altri impedimenti

con lor fece drizzar per questa strada.

Egli con tutto il resto de le genti

più; sopra andò; girando la contrada.

Seco avean navi e ponti ed argumenti

da passar Senna che non ben si guada.

Passato ognuno, e dietro i ponti rotti,

ne le lor schiere ordinò; Inglesi e Scotti.

 

32

Ma prima quei baroni e capitani

Rinaldo intorno avendosi ridutti,

sopra la riva ch'alta era dai piani

sì;, che poteano udirlo e veder tutti,

disse: - Signor, ben a levar le mani

avete a Dio, che qui v'abbia condutti,

acciò;, dopo un brevissimo sudore,

sopra ogni nazion vi doni onore.

 

33

Per voi saran dui principi salvati,

se levate l'assedio a quelle porte:

il vostro re, che voi sete ubligati

da servitù; difendere e da morte;

ed uno imperator de' più; lodati

che mai tenuto al mondo abbiano corte;

e con loro altri re, duci e marchesi,

signori e cavallier di più; paesi.

 

34

Sì; che, salvando una città;, non soli

Parigini ubligati vi saranno,

che molto più; che per li propri duoli,

timidi, afflitti e sbigottiti stanno

per le lor mogli e per li lor figliuoli

ch'a un medesmo pericolo seco hanno,

e per le sante vergini richiuse,

ch'oggi non sien dei voti lor deluse:

 

35

dico, salvando voi questa cittade,

v'ubligate non solo i Parigini,

ma d'ogn'intorno tutte le contrade.

Non parlo sol dei populi vicini;

ma non è; terra per Cristianitade,

che non abbia qua dentro cittadini:

sì; che, vincendo, avete da tenere

che più; che Francia v'abbia obligo avere.

 

36

Se donavan gli antiqui una corona

a chi salvasse a un cittadin la vita,

or che degna mercede a voi si dona,

salvando multitudine infinita?

Ma se da invidia o da viltà; sì; buona

e sì; santa opra rimarrà; impedita,

credetemi che prese quelle mura,

né; Italia né; Lamagna anco è; sicura;

 

37

né; qualunque altra parte ove s'adori

quel che volse per noi pender sul legno.

Né; voi crediate aver lontani i Mori,

né; che pel mar sia forte il vostro regno:

che s'altre volte quelli, uscendo fuori

di Zibeltaro e de l'Erculeo segno,

riportar prede da l'isole vostre,

che faranno or, s'avran le terre nostre?

 

38

Ma quando ancor nessuno onor, nessuno

util v'inanimasse a questa impresa,

commun debito è; ben soccorrer l'uno

l'altro, che militià;n sotto una Chiesa.

Ch'io non vi dia rotti i nemici, alcuno

non sia chi tema, e con poca contesa;

che gente male esperta tutta parmi,

senza possanza, senza cor, senz'armi. -

 

39

Poté; con queste e con miglior ragioni,

con parlare espedito e chiara voce

eccitar quei magnanimi baroni

Rinaldo, e quello esercito feroce:

e fu, com'è; in proverbio, aggiunger sproni

al buon corsier che già; ne va veloce.

Finito il ragionar, fece le schiere

muover pian pian sotto le lor bandiere.

 

40

Senza strepito alcun, senza rumore

fa il tripartito esercito venire:

lungo il fiume a Zerbin dona l'onore

di dover prima i barbari assalire;

e fa quelli d'Irlanda con maggiore

volger di via più; tra campagna gire;

e i cavallieri e i fanti d'Inghilterra

col duca di Lincastro in mezzo serra.

 

41

Drizzati che gli ha tutti al lor camino,

cavalca il paladin lungo la riva,

e passa inanzi al buon duca Zerbino

e a tutto il campo che con lui veniva;

tanto ch'al re d'Orano e al re Sobrino

e agli altri lor compagni soprarriva,

che mezzo miglio appresso a quei di Spagna

guardavan da quel canto la campagna.

 

42

L'esercito cristian che con sì; fida

e sì; sicura scorta era venuto,

ch'ebbe il Silenzio e l'angelo per guida,

non poté; ormai patir più; di star muto.

Sentiti gli nimici, alzò; le grida,

e de le trombe udir fe' il suono arguto:

e con l'alto rumor ch'arrivò; al cielo,

mandò; ne l'ossa a' Saracini il gelo.

 

43

Rinaldo inanzi agli altri il destrier punge;

e con la lancia per cacciarla in resta

lascia gli Scotti un tratto d'arco lunge,

ch'ogni indugio a ferir sì; lo molesta.

Come groppo di vento talor giunge,

che si tra' dietro un'orrida tempesta,

tal fuor di squadra il cavallier gagliardo

venì;a spronando il corridor Baiardo.

 

44

Al comparir del paladin di Francia,

dan segno i Mori alle future angosce:

tremare a tutti in man vedi la lancia,

i piedi in staffa, e ne l'arcion le cosce.

Re Puliano sol non muta guancia,

che questo esser Rinaldo non conosce;

né; pensando trovar sì; duro intoppo,

gli muove il destrier contra di galoppo:

 

45

e su la lancia nel partir si stringe,

e tutta in sé; raccoglie la persona;

poi con ambo gli sproni il destrier spinge,

e le redine inanzi gli abandona.

Da l'altra parte il suo valor non finge,

e mostra in fatti quel ch'in nome suona,

quanto abbia nel giostrare e grazia ed arte,

il figliuolo d'Amone, anzi di Marte.

 

46

Furo al segnar degli aspri colpi, pari,

che si posero i ferri ambi alla testa:

ma furo in arme ed in virtù; dispari,

che l'un via passa, e l'altro morto resta.

Bisognan di valor segni più; chiari,

che por con leggiadria la lancia in resta:

ma fortuna anco più; bisogna assai;

che senza, val virtù; raro o non mai.

 

47

La buona lancia il paladin racquista,

e verso il re d'Oran ratto si spicca,

che la persona avea povera e trista

di cor, ma d'ossa e di gran polpe ricca.

Questo por tra bei colpi si può; in lista,

ben ch'in fondo allo scudo gli l'appicca:

e chi non vuol lodarlo, abbialo escuso,

perché; non si potea giunger più; in suso.

 

48

Non lo ritien lo scudo, che non entre,

ben che fuor sia d'acciar, dentro di palma;

e che da quel gran corpo uscir pel ventre

non faccia l'inequale e piccola alma.

Il destrier che portar si credea, mentre

durasse il lungo dì;, sì; grave salma,

riferì; in mente sua grazie a Rinaldo,

ch'a quello incontro gli schivò; un gran caldo.

 

49

Rotta l'asta, Rinaldo il destrier volta

tanto legger, che fa sembrar ch'abbia ale;

e dove la più; stretta e maggior folta

stiparsi vede, impetuoso assale.

Mena Fusberta sanguinosa in volta

che fa l'arme parer di vetro frale:

tempra di ferro il suo tagliar non schiva,

che non vada a trovar la carne viva.

 

50

Ritrovar poche tempre e pochi ferri

può; la tagliente spada, ove s'incappi,

ma targhe, altre di cuoio, altre di cerri,

giupe trapunte e attorcigliati drappi.

Giusto è; ben dunque che Rinaldo atterri

qualunque assale, e fori e squarci e affrappi;

che non più; si difende da sua spada,

ch'erba da falce, o da tempesta biada.

 

51

La prima schiera era già; messa in rotta,

quando Zerbin con l'antiguardia arriva.

Il cavallier inanzi alla gran frotta

con la lancia arrestata ne veniva.

La gente sotto il suo pennon condotta,

con non minor fierezza lo seguiva:

tanti lupi parean, tanti leoni

ch'andassero assalir capre o montoni.

 

52

Spinse a un tempo ciascuno il suo cavallo,

poi che fur presso; e sparì; immantinente

quel breve spazio, quel poco intervallo

che si vedea fra l'una e l'altra gente.

Non fu sentito mai più; strano ballo;

che ferian gli Scozzesi solamente:

solamente i pagani eran distrutti,

come sol per morir fosser condutti.

 

53

Parve più; freddo ogni pagan che ghiaccio;

parve ogni Scotto più; che fiamma caldo.

I Mori si credean ch'avere il braccio

dovesse ogni cristian, ch'ebbe Rinaldo.

Mosse Sobrino i suoi schierati avaccio,

senza aspettar che lo 'nvitasse araldo:

de l'altra squadra questa era migliore

di capitano, d'arme e di valore.

 

54

D'Africa v'era la men trista gente;

ben che né; questa ancor gran prezzo vaglia.

Dardinel la sua mosse incontinente,

e male armata, e peggio usa in battaglia;

ben ch'egli in capo avea l'elmo lucente,

e tutto era coperto a piastra e a maglia.

Io credo che la quarta miglior sia,

con la qual Isolier dietro venì;a.

 

55

Trasone intanto, il buon duca di Marra,

che ritrovarsi all'alta impresa gode,

ai cavallieri suoi leva la sbarra,

e seco invita alle famose lode,

poi ch'Isolier con quelli di Navarra

entrar ne la battaglia vede ed ode.

Poi mosse Ariodante la sua schiera,

che nuovo duca d'Albania fatt'era.

 

56

L'alto rumor de le sonore trombe,

de' timpani e de' barbari stromenti,

giunti al continuo suon d'archi, di frombe,

di machine, di ruote e di tormenti;

e quel di che più; par che 'l ciel ribombe,

gridi, tumulti, gemiti e lamenti;

rendeno un alto suon ch'a quel s'accorda,

con che i vicin, cadendo, il Nilo assorda.

 

57

Grande ombra d'ogn'intorno il cielo involve,

nata dal saettar de li duo campi;

l'alito, il fumo del sudor, la polve

par che ne l'aria oscura nebbia stampi.

Or qua l'un campo, or l'altro là; si volve:

vedresti or come un segua, or come scampi;

ed ivi alcuno, o non troppo diviso,

rimaner morto ove ha il nimico ucciso.

 

58

Dove una squadra per stanchezza è; mossa,

un'altra si fa tosto andare inanti.

Di qua di là; la gente d'arme ingrossa:

là; cavallieri, e qua si metton fanti.

La terra che sostien l'assalto, è; rossa:

mutato ha il verde ne' sanguigni manti;

e dov'erano i fiori azzurri e gialli,

giaceno uccisi or gli uomini e i cavalli.

 

59

Zerbin facea le più; mirabil pruove

che mai facesse di sua età; garzone:

l'esercito pagan che 'ntorno piove,

taglia ed uccide e mena a destruzione.

Ariodante alle sue genti nuove

mostra di sua virtù; gran paragone;

e dà; di sé; timore e meraviglia

a quelli di Navarra e di Castiglia.

 

60

Chelindo e Mosco, i duo figli bastardi

del morto Calabrun re d'Aragona,

ed un che reputato fra' gagliardi

era, Calamidor da Barcelona,

s'avean lasciato a dietro gli stendardi;

e credendo acquistar gloria e corona

per uccider Zerbin, gli furo adosso;

e ne' fianchi il destrier gli hanno percosso.

 

61

Passato da tre lance il destrier morto

cade; ma il buon Zerbin subito è; in piede;

ch'a quei ch'al suo cavallo han fatto torto,

per vendicarlo va dove gli vede:

e prima a Mosco, al giovene inaccorto,

che gli sta sopra, e di pigliar sel crede,

mena di punta, e lo passa nel fianco,

e fuor di sella il caccia freddo e bianco.

 

62

Poi che si vide tor, come di furto,

Chelindo il fratel suo, di furor pieno

venne a Zerbino, e pensò; dargli d'urto;

ma gli prese egli il corridor pel freno:

trasselo in terra, onde non è; mai surto,

e non mangiò; mai più; biada né; fieno;

che Zerbin sì; gran forza a un colpo mise,

che lui col suo signor d'un taglio uccise.

 

63

Come Calamidor quel colpo mira,

volta la briglia per levarsi in fretta;

ma Zerbin dietro un gran fendente tira,

dicendo: - Traditore, aspetta, aspetta! -

Non va la botta ove n'andò; la mira,

non che però; lontana vi si metta;

lui non poté; arrivar, ma il destrier prese

sopra la groppa, e in terra lo distese.

 

64

Colui lascia il cavallo, e via carpone

va per campar, ma poco gli successe;

che venne caso che 'l duca Trasone

gli passò; sopra, e col peso l'oppresse.

Ariodante e Lurcanio si pone

dove Zerbino è; fra le genti spesse;

e seco hanno altri e cavallieri e conti,

che fanno ogn'opra che Zerbin rimonti.

 

65

Menava Ariodante il brando in giro,

e ben lo seppe Artalico e Margano;

ma molto più; Etearco e Casimiro

la possanza sentir di quella mano:

i primi duo feriti se ne giro,

rimaser gli altri duo morti sul piano.

Lurcanio fa veder quanto sia forte;

che fere, urta, riversa e mette a morte.

 

66

Non crediate, Signor, che fra campagna

pugna minor che presso al fiume sia,

né; ch'a dietro l'esercito rimagna,

che di Lincastro il buon duca seguia.

Le bandiere assalì; questo di Spagna,

e molto ben di par la cosa gì;a;

che fanti, cavallieri e capitani

di qua e di là; sapean menar le mani.

 

67

Dinanzi vien Oldrado e Fieramonte,

un duca di Glocestra, un d'Eborace;

con lor Ricardo, di Varvecia conte,

e di Chiarenza il duca, Enrigo audace.

Han Matalista e Follicone a fronte,

e Baricondo ed ogni lor seguace.

Tiene il primo Almeria, tiene il secondo

Granata, tien Maiorca Baricondo.

 

68

La fiera pugna un pezzo andò; di pare,

che vi si discernea poco vantaggio.

Vedeasi or l'uno or l'altro ire e tornare,

come le biade al ventolin di maggio,

o come sopra 'l lito un mobil mare

or viene or va, né; mai tiene un viaggio.

Poi che fortuna ebbe scherzato un pezzo,

dannosa ai Mori ritornò; da sezzo.

 

69

Tutto in un tempo il duca di Glocestra

a Matalista fa votar l'arcione;

ferito a un tempo ne la spalla destra

Fieramonte riversa Follicone:

e l'un pagano e l'altro si sequestra,

e tra gl'Inglesi se ne va prigione.

E Baricondo a un tempo riman senza

vita per man del duca di Chiarenza.

 

70

Indi i pagani tanto a spaventarsi,

indi i fedeli a pigliar tanto ardire,

che quei non facean altro che ritrarsi

e partirsi da l'ordine e fuggire,

e questi andar inanzi ed avanzarsi

sempre terreno, e spingere e seguire:

e se non vi giungea chi lor dié; aiuto,

il campo da quel lato era perduto.

 

71

Ma Ferraù;, che sin qui mai non s'era

dal re Marsilio suo troppo disgiunto,

quando vide fuggir quella bandiera,

e l'esercito suo mezzo consunto,

spronò; il cavallo, e dove ardea più; fiera

la battaglia, lo spinse; e arrivò; a punto

che vide dal destrier cadere in terra

col capo fesso Olimpio da la Serra;

 

72

un giovinetto che col dolce canto,

concorde al suon de la cornuta cetra,

d'intenerire un cor si dava vanto,

ancor che fosse più; duro che pietra.

Felice lui, se contentar di tanto

onor sapeasi, e scudo, arco e faretra

aver in odio, e scimitarra e lancia,

che lo fecer morir giovine in Francia!

 

73

Quando lo vide Ferraù; cadere,

che solea amarlo e avere in molta estima,

si sente di lui sol via più; dolere,

che di mill'altri che periron prima:

e sopra chi l'uccise in modo fere,

che gli divide l'elmo da la cima

per la fronte, per gli occhi e per la faccia,

per mezzo il petto, e morto a terra il caccia.

 

74

Ne qui s'indugia; e il brando intorno ruota,

ch'ogni elmo rompe, ogni lorica smaglia;

a chi segna la fronte, a chi la gota,

ad altri il capo, ad altri il braccio taglia;

or questo or quel di sangue e d'alma vota:

e ferma da quel canto la battaglia,

onde la spaventata ignobil frotta

senza ordine fuggia spezzata e rotta.

 

75

Entrò; ne la battaglia il re Agramante,

d'uccider gente e di far pruove vago;

e seco ha Baliverzo, Farurante,

Prusion, Soridano e Bambirago.

Poi son le genti senza nome tante,

che del lor sangue oggi faranno un lago,

che meglio conterei ciascuna foglia,

quando l'autunno gli arbori ne spoglia.

 

76

Agramante dal muro una gran banda

di fanti avendo e di cavalli tolta,

col re di Feza subito li manda,

che dietro ai padiglion piglin la volta,

e vadano ad opporsi a quei d'Irlanda,

le cui squadre vedea con fretta molta,

dopo gran giri e larghi avolgimenti,

venir per occupar gli alloggiamenti.

 

77

Fu 'l re di Feza ad esequir ben presto;

ch'ogni tardar troppo nociuto avria.

Raguna intanto il re Agramante il resto;

parte le squadre, e alla battaglia invia.

Egli va al fiume; che gli par ch'in questo

luogo del suo venir bisogno sia:

e da quel canto un messo era venuto

del re Sobrino a domandare aiuto.

 

78

Menava in una squadra più; di mezzo

il campo dietro; e sol del gran rumore

tremar gli Scotti, e tanto fu il ribrezzo,

ch'abbandonavan l'ordine e l'onore.

Zerbin, Lurcanio e Ariodante in mezzo

vi restar soli incontra a quel furore;

e Zerbin, ch'era a pié;, vi peria forse,

ma'l buon Rinaldo a tempo se n'accorse.

 

79

Altrove intanto il paladin s'avea

fatto inanzi fuggir cento bandiere.

Or che l'orecchie la novella rea

del gran periglio di Zerbin gli fere,

ch'a piedi fra la gente cirenea

lasciato solo aveano le sue schiere,

volta il cavallo, e dove il campo scotto

vede fuggir, prende la via di botto.

 

80

Dove gli Scotti ritornar fuggendo

vede, s'appara, e grida: - Or dove andate?

perché; tanta viltade in voi comprendo,

che a sì; vil gente il campo abbandonate?

Ecco le spoglie, de le quali intendo

ch'esser dovean le vostre chiese ornate.

Oh che laude, oh che gloria, che 'l figliuolo

del vostro re si lasci a piedi e solo! -

 

81

D'un suo scudier una grossa asta afferra,

e vede Prusion poco lontano,

re d'Alvaracchie, e adosso se gli serra,

e de l'arcion lo porta morto al piano.

Morto Agricalte e Bambirago atterra:

dopo fere aspramante Soridano;

e come gli altri l'avria messo a morte,

se nel ferir la lancia era più; forte.

 

82

Stringe Fusberta, poi che l'asta è; rotta,

e tocca Serpentin, quel da la Stella.

Fatate l'arme avea, ma quella botta

pur tramortito il manda fuor di sella.

E così; al duca de la gente scotta

fa piazza intorno spaziosa e bella;

sì; che senza contesa un destrier puote

salir di quei che vanno a selle vote.

 

83

E ben si ritrovò; salito a tempo,

che forse nol facea, se più; tardava:

perché; Agramante e Dardinello a un tempo,

Sobrin col re Balastro v'arrivava.

Ma egli, che montato era per tempo,

di qua e di là; col brando s'aggirava,

mandando or questo or quel giù; ne l'inferno

a dar notizia del viver moderno.

 

84

Il buon Rinaldo, il quale a porre in terra

i più; dannosi avea sempre riguardo,

la spada contra il re Agramante afferra,

che troppo gli parea fiero e gagliardo

(facea egli sol più; che mille altri guerra);

e se gli spinse adosso con Baiardo:

lo fere a un tempo ed urta di traverso,

sì; che lui col destrier manda riverso.

 

85

Mentre di fuor con sì; crudel battaglia,

odio, rabbia, furor l'un l'altro offende,

Rodomonte in Parigi il popul taglia,

le belle case e i sacri templi accende.

Carlo, ch'in altra parte si travaglia,

questo non vede, e nulla ancor ne 'ntende:

Odoardo raccoglie ed Arimanno

ne la città;, col lor popul britanno.

 

86

A lui venne un scudier pallido in volto,

che potea a pena trar del petto il fiato.

- Ahimè;! signor, ahimè; - replica molto,

prima ch'abbia a dir altro incominciato:

- Oggi il romano Imperio, oggi è; sepolto;

oggi ha il suo popul Cristo abandonato:

il demonio dal cielo è; piovuto oggi,

perché; in questa città; più; non s'alloggi.

 

87

Satanasso (perch'altri esser non puote)

strugge e ruina la città; infelice.

Volgiti e mira le fumose ruote

de la rovente fiamma predatrice;

ascolta il pianto che nel ciel percuote;

e faccian fede a quel che 'l servo dice.

Un solo è; quel ch'a ferro e a fuoco strugge

la bella terra, e inanzi ognun gli fugge. -

 

88

Quale è; colui che prima oda il tumulto,

e de le sacre squille il batter spesso,

che vegga il fuoco a nessun altro occulto,

ch'a sé;, che più; gli tocca, e gli è; più; presso;

tal è; il re Carlo, udendo il nuovo insulto,

e conoscendol poi con l'occhio istesso:

onde lo sforzo di sua miglior gente

al grido drizza e al gran rumor che sente.

 

89

Dei paladini e dei guerrier più; degni

Carlo si chiama dietro una gran parte,

e vêr la piazza fa drizzare i segni;

che 'l pagan s'era tratto in quella parte.

Ode il rumor, vede gli orribil segni

di crudeltà;, l'umane membra sparte.

Ora non più;: ritorni un'altra volta

chi voluntier la bella istoria ascolta.

 

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CANTO DICIASSETTESIMO

 

 

1

Il giusto Dio, quando i peccati nostri

hanno di remission passato il segno,

acciò; che la giustizia sua dimostri

uguale alla pietà;, spesso dà; regno

a tiranni atrocissimi ed a mostri,

e dà; lor forza e di mal fare ingegno.

Per questo Mario e Silla pose al mondo,

e duo Neroni e Caio furibondo,

 

2

Domiziano e l'ultimo Antonino;

e tolse da la immonda e bassa plebe,

ed esaltò; all'imperio Massimino;

e nascer prima fe' Creonte a Tebe;

e dié; Mezenzio al populo Agilino,

che fe' di sangue uman grasse le glebe;

e diede Italia a tempi men remoti

in preda agli Unni, ai Longobardi, ai Goti.

 

3

Che d'Atila dirò;? che de l'iniquo

Ezzellin da Roman? che d'aItri cento?

che dopo un lungo andar sempre in obliquo,

ne manda Dio per pena e per tormento.

Di questo abbià;n non pur al tempo antiquo,

ma ancora al nostro, chiaro esperimento,

quando a noi, greggi inutili e malnati,

ha dato per guardian lupi arrabbiati:

 

4

a cui non par ch'abbi a bastar lor fame,

ch'abbi il lor ventre a capir tanta carne;

e chiaman lupi di più; ingorde brame

da boschi oltramontani a divorarne.

Di Trasimeno l'insepulto ossame

e di Canne e di Trebia poco parne

verso quel che le ripe e i campi ingrassa,

dov'Ada e Mella e Ronco e Tarro passa.

 

5

Or Dio consente che noi sià;n puniti

da populi di noi forse peggiori,

per li multiplicati ed infiniti

nostri nefandi, obbrobriosi errori.

Tempo verrà; ch'a depredar lor liti

andremo noi, se mai saren migliori,

e che i peccati lor giungano al segno,

che l'eterna Bontà; muovano a sdegno.

 

6

Doveano allora aver gli eccessi loro

di Dio turbata la serena fronte,

che scórse ogni lor luogo il Turco e 'l Moro

con stupri, uccision, rapine ed onte:

ma più; di tutti gli altri danni, foro

gravati dal furor di Rodomonte.

Dissi ch'ebbe di lui la nuova Carlo,

e che 'n piazza venia per ritrovarlo.

 

7

Vede tra via la gente sua troncata,

arsi i palazzi, e ruinati i templi,

gran parte de la terra desolata;

mai non si vider sì; crudeli esempli.

- Dove fuggite, turba spaventata?

Non è; tra voi chi 'l danno suo contempli?

Che città;, che refugio più; vi resta,

quando si perda sì; vilmente questa?

 

8

Dunque un uom solo in vostra terra preso,

cinto di mura onde non può; fuggire,

si partirà; che non l'avrete offeso,

quando tutti v'avrà; fatto morire? -

Così; Carlo dicea, che d'ira acceso

tanta vergogna non potea patire.

E giunse dove inanti alla gran corte

vide il pagan por la sua gente a morte.

 

9

Quivi gran parte era del populazzo,

sperandovi trovare aiuto, ascesa;

perché; forte di mura era il palazzo,

con munizion da far lunga difesa.

Rodomonte, d'orgoglio e d'ira pazzo,

solo s'avea tutta la piazza presa:

e l'una man, che prezza il mondo poco,

ruota la spada, e l'altra getta il fuoco.

 

10

E de la regal casa, alta e sublime,

percuote e risuonar fa le gran porte.

Gettan le turbe da le eccelse cime

e merli e torri, e si metton per morte.

Guastare i tetti non è; alcun che stime;

e legne e pietre vanno ad una sorte,

lastre e colonne, e le dorate travi

che furo in prezzo agli lor padri e agli avi.

 

11

Sta su la porta il re d'Algier, lucente

di chiaro acciar che 'l capo gli arma e 'l busto,

come uscito di tenebre serpente,

poi c'ha lasciato ogni squalor vetusto,

del nuovo scoglio altiero, e che si sente

ringiovenito e più; che mai robusto:

tre lingue vibra, ed ha negli occhi foco;

dovunque passa, ogn'animal dà; loco.

 

12

Non sasso, merlo, trave, arco o balestra,

né; ciò; che sopra il Saracin percuote,

ponno allentar la sanguinosa destra

che la gran porta taglia, spezza e scuote:

e dentro fatto v'ha tanta finestra,

che ben vedere e veduto esser puote

dai visi impressi di color di morte,

che tutta piena quivi hanno la corte.

 

13

Suonar per gli alti e spaziosi tetti

s'odono gridi e feminil lamenti:

l'afflitte donne, percotendo i petti,

corron per casa pallide e dolenti;

e abbraccian gli usci e i geniali letti

che tosto hanno a lasciare a strane genti.

Tratta la cosa era in periglio tanto,

quando 'l re giunse, e suoi baroni accanto.

 

14

Carlo si volse a quelle man robuste

ch'ebbe altre volte a gran bisogni pronte.

- Non sè;te quelli voi, che meco fuste

contra Agolante (disse) in Aspramonte?

Sono le forze vostre ora sì; fruste,

che, s'uccideste lui, Troiano e Almonte

con centomila, or ne temete un solo

pur di quel sangue e pur di quello stuolo?

 

15

Perché; debbo vedere in voi fortezza

ora minor ch'io la vedessi allora?

Mostrate a questo can vostra prodezza,

a questo can che gli uomini devora.

Un magnanimo cor morte non prezza,

presta o tarda che sia, pur che ben muora.

Ma dubitar non posso ove voi sè;te,

che fatto sempre vincitor m'avete. -

 

16

Al fin de le parole urta il destriero,

con l'asta bassa, al Saracino adosso.

Mossesi a un tratto il paladino Ugiero,

a un tempo Namo ed Ulivier si è; mosso,

Avino, Avolio, Otone e Berlingiero,

ch'un senza l'altro mai veder non posso:

e ferir tutti sopra a Rodomonte

e nel petto e nei fianchi e ne la fronte.

 

17

Ma lasciamo, per Dio, Signore, ormai

di parlar d'ira e di cantar di morte;

e sia per questa volta detto assai

del Saracin non men crudel che forte:

che tempo è; ritornar dov'io lasciai

Grifon, giunto a Damasco in su le porte

con Orrigille perfida, e con quello

ch'adulter era, e non di lei fratello.

 

18

De le più; ricche terre di Levante,

de le più; populose e meglio ornate

si dice esser Damasco, che distante

siede a Ierusalem sette giornate,

in un piano fruttifero e abondante,

non men giocondo il verno, che l'estate.

A questa terra il primo raggio tolle

de la nascente aurora un vicin colle.

 

19

Per la città; duo fiumi cristallini

vanno inaffiando per diversi rivi

un numero infinito di giardini,

non mai di fior, non mai di fronde privi.

Dicesi ancor, che macinar molini

potrian far l'acque lanfe che son quivi;

e chi va per le vie vi sente, fuore

di tutte quelle case, uscire odore.

 

20

Tutta coperta è; la strada maestra

di panni di diversi color lieti;

e d'odorifera erba, e di silvestra

fronda la terra e tutte le pareti.

Adorna era ogni porta, ogni finestra

di finissimi drappi e di tapeti,

ma più; di belle e ben ornate donne

di ricche gemme e di superbe gonne.

 

21

Vedeasi celebrar dentr'alle porte,

in molti lochi, solazzevol balli;

il popul, per le vie, di miglior sorte

maneggiar ben guarniti e bei cavalli:

facea più; bel veder la ricca corte

de' signor, de' baroni e de' vasalli,

con ciò; che d'India e d'eritree maremme

di perle aver si può;, d'oro e di gemme.

 

22

Venia Grifone e la sua compagnia

mirando e quinci e quindi il tutto ad agio,

quando fermolli un cavalliero in via,

e gli fece smontare a un suo palagio;

e per l'usanza e per sua cortesia

di nulla lasciò; lor patir disagio.

Li fe' nel bagno entrar, poi con serena

fronte gli accolse a sontuosa cena.

 

23

E narrò; lor come il re Norandino,

re di Damasco e di tutta Soria,

fatto avea il paesano e 'l peregrino

ch'ordine avesse di cavalleria,

alla giostra invitar, ch'al matutino

del dì; sequente in piazza si faria;

e che s'avean valor pari al sembiante,

potrian mostrarlo senza andar più; inante.

 

24

Ancor che quivi non venne Grifone

a questo effetto, pur lo 'nvito tenne;

che qual volta se n'abbia occasione,

mostrar virtude mai non disconvenne.

Interrogollo poi de la cagione

di quella festa, e s'ella era solenne

usata ogn'anno, o pure impresa nuova

del re ch'i suoi veder volesse in pruova.

 

25

Rispose il cavallier: - La bella festa

s'ha da far sempre ad ogni quarta luna:

de l'altre che verran, la prima è; questa:

ancora non se n'è; fatta più; alcuna.

Sarà; in memoria che salvò; la testa

il re in tal giorno da una gran fortuna,

dopo che quattro mesi in doglie e 'n pianti

sempre era stato, e con la morte inanti.

 

26

Ma per dirvi la cosa pienamente,

il nostro re, che Norandin s'appella,

molti e molt'anni ha avuto il core ardente

de la leggiadra e sopra ogn'altra bella

figlia del re di Cipro: e finalmente

avutala per moglie, iva con quella,

con cavallieri e donne in compagnia;

e dritto avea il camin verso Soria.

 

27

Ma poi che fummo tratti a piene vele

lungi dal porto nel Carpazio iniquo,

la tempesta saltò; tanto crudele,

che sbigottì; sin al padrone antiquo.

Tre dì; e tre notti andammo errando ne le

minacciose onde per camino obliquo.

Uscimo al fin nel lito stanchi e molli,

tra freschi rivi, ombrosi e verdi colli.

 

28

Piantare i padiglioni, e le cortine

fra gli arbori tirar facemo lieti.

S'apparechiano i fuochi e le cucine;

le mense d'altra parte in su tapeti.

Intanto il re cercando alle vicine

valli era andato e a' boschi più; secreti,

se ritrovasse capre o daini o cervi;

e l'arco gli portar dietro duo servi.

 

29

Mentre aspettamo, in gran piacer sedendo,

che da cacciar ritorni il signor nostro,

vedemo l'Orco a noi venir correndo

lungo il lito del mar, terribil mostro.

Dio vi guardi, signor, che 'l viso orrendo

de l'Orco agli occhi mai vi sia dimostro:

meglio è; per fama aver notizia d'esso,

ch'andargli, si che lo veggiate, appresso.

 

30

Non gli può; comparir quanto sia lungo,

sì; smisuratamente è; tutto grosso.

In luogo d'occhi, di color di fungo

sotto la fronte ha duo coccole d'osso.

Verso noi vien (come vi dico) lungo

il lito, e par ch'un monticel sia mosso.

Mostra le zanne fuor, come fa il porco;

ha lungo il naso, il sen bavoso e sporco.

 

31

Correndo viene, e 'l muso a guisa porta

che 'l bracco suol, quando entra in su la traccia.

Tutti che lo veggiam, con faccia smorta

in fuga andamo ove il timor ne caccia.

Poco il veder lui cieco ne conforta,

quando, fiutando sol, par che più; faccia,

ch'altri non fa, ch'abbia odorato e lume:

e bisogno al fuggire eran le piume.

 

32

Corron chi qua chi là;; ma poco lece

da lui fuggir, veloce più; che 'l Noto.

Di quaranta persone, a pena diece

sopra il navilio si salvaro a nuoto.

Sotto il braccio un fastel d'alcuni fece,

né; il grembio si lasciò; né; il seno voto;

un suo capace zaino empissene anco,

che gli pendea, come a pastor, dal fianco.

 

33

Portò;ci alla sua tana il mostro cieco,

cavata in lito al mar dentr'uno scoglio.

Di marmo così; bianco è; quello speco,

come esser soglia ancor non scritto foglio.

Quivi abitava una matrona seco,

di dolor piena in vista e di cordoglio;

ed avea in compagnia donne e donzelle

d'ogni età;, d'ogni sorte, e brutte e belle.

 

34

Era presso alla grotta in ch'egli stava,

quasi alla cima del giogo superno,

un'altra non minor di quella cava,

dove del gregge suo facea governo.

Tanto n'avea, che non si numerava;

e n'era egli il pastor l'estate e 'l verno.

Ai tempi suoi gli apriva e tenea chiuso,

per spasso che n'avea, più; che per uso.

 

35

L'umana carne meglio gli sapeva:

e prima il fa veder ch'all'antro arrivi;

che tre de' nostri giovini ch'aveva,

tutti li mangia, anzi trangugia vivi.

Viene alla stalla, e un gran sasso ne leva:

ne caccia il gregge, e noi riserra quivi.

Con quel sen va dove il suol far satollo,

sonando una zampogna ch'avea in collo.

 

36

Il signor nostro intanto ritornato

alla marina, il suo danno comprende;

che truova gran silenzio in ogni lato,

voti frascati, padiglioni e tende.

Né; sa pensar chi sì; l'abbia rubato;

e pien di gran timore al lito scende,

onde i nocchieri suoi vede in disparte

sarpar lor ferri e in opra por le sarte.

 

37

Tosto ch'essi lui veggiono sul lito,

il palischermo mandano a levarlo:

ma non sì; tosto ha Norandino udito

de l' Orco che venuto era a rubarlo,

che, senza più; pensar, piglia partito,

dovunque andato sia, di seguitarlo.

Vedersi tor Lucina sì; gli duole,

ch'o racquistarla, o non più; viver vuole.

 

38

Dove vede apparir lungo la sabbia

la fresca orma, ne va con quella fretta

con che lo spinge l'amorosa rabbia,

fin che giunge alla tana ch'io v'ho detta;

ove con tema la maggior che s'abbia

a patir mai, l'Orco da noi s'aspetta:

ad ogni suono di sentirlo parci,

ch'affamato ritorni a divorarci.

 

39

Quivi Fortuna il re da tempo guida,

che senza l'Orco in casa era la moglie.

Come ella 'l vede: - Fuggine! (gli grida)

misero te, se l'Orco ti ci coglie! -

- Coglia (disse) o non coglia, o salvi o uccida,

che miserrimo i' sia non mi si toglie.

Disir mi mena, e non error di via,

c'ho di morir presso alla moglie mia. -

 

40

Poi seguì;, dimandandole novella

di quei che prese l'Orco in su la riva;

prima degli altri, di Lucina bella,

se l'avea morta, o la tenea captiva.

La donna umanamente gli favella,

e lo conforta, che Lucina è; viva,

e che non è; alcun dubbio ch'ella muora;

che mai femina l'Orco non divora.

 

41

- Esser di ciò; argumento ti poss'io,

e tutte queste donne che son meco:

né; a me né; a lor mai l'Orco è; stato rio,

pur che non ci scostian da questo speco.

A chi cerca fuggir, pon grave fio;

né; pace mai puon ritrovar più; seco:

o le sotterra vive, o l'incatena,

o fa star nude al sol sopra l'arena.

 

42

Quando oggi egli portò; qui la tua gente,

le femine dai maschi non divise;

ma, sì; come gli avea, confusamente

dentro a quella spelonca tutti mise.

Sentirà; a naso il sesso differente.

Le donne non temer che sieno uccise:

gli uomini, siene certo; ed empieranne

di quattro, il giorno, o sei, l'avide canne.

 

43

Di levar lei di qui non ho consiglio

che dar ti possa; e contentar ti puoi

che ne la vita sua non è; periglio:

starà; qui al ben e al mal ch'avremo noi.

Ma vattene, per Dio, vattene, figlio,

che l'Orco non ti senta e non t'ingoi.

Tosto che giunge, d'ogn'intorno annasa,

e sente sin a un topo che sia in casa. -

 

44

Rispose il re, non si voler partire,

se non vedea la sua Lucina prima;

e che più; tosto appresso a lei morire,

che viverne lontan, faceva stima.

Quando vede ella non potergli dire

cosa che 'l muova da la voglia prima,

per aiutarlo fa nuovo disegno,

e ponvi ogni sua industria, ogni suo ingegno.

 

45

Morte avea in casa, e d'ogni tempo appese,

con lor mariti, assai capre ed agnelle,

onde a sé; ed alle sue facea le spese;

e dal tetto pendea più; d'una pelle.

La donna fe' che 'l re del grasso prese,

ch'avea un gran becco intorno alle budelle,

e che se n'unse dal capo alle piante,

fin che l'odor cacciò; ch'egli ebbe inante.

 

46

E poi che 'l tristo puzzo aver le parve,

di che il fetido becco ognora sape,

piglia l'irsuta pelle, e tutto entrarve

lo fe'; ch'ella è; sì; grande che lo cape.

Coperto sotto a così; strane larve,

facendol gir carpon, seco lo rape

là; dove chiuso era d'un sasso grave

de la sua donna il bel viso soave.

 

47

Norandino ubidisce; ed alla buca

de la spelonca ad aspettar si mette,

acciò; col gregge dentro si conduca;

e fin a sera disiando stette.

Ode la sera il suon de la sambuca,

con che 'nvita a lassar l'umide erbette,

e ritornar le pecore all'albergo

il fier pastor che lor venì;a da tergo.

 

48

Pensate voi se gli tremava il core,

quando l'Orco sentì; che ritornava,

e che 'l viso crudel pieno d'orrore

vide appressare all'uscio de la cava;

ma poté; la pietà; più; che 'l timore:

s'ardea, vedete, o se fingendo amava.

Vien l'Orco inanzi, e leva il sasso, ed apre:

Norandino entra fra pecore e capre.

 

49

Entrato il gregge, l'Orco a noi descende;

ma prima sopra sé; l'uscio si chiude.

Tutti ne va fiutando: al fin duo prende;

che vuol cenar de le lor carni crude.

Al rimembrar di quelle zanne orrende,

non posso far ch'ancor non trieme e sude.

Partito l'Orco, il re getta la gonna

ch'avea di becco, e abbraccia la sua donna.

 

50

Dove averne piacer deve e conforto,

vedendol quivi, ella n'ha affanno e noia:

lo vede giunto ov'ha da restar morto;

e non può; far però; ch'essa non muoia.

- Con tutto 'l mal (diceagli) ch'io supporto,

signor, sentia non mediocre gioia,

che ritrovato non t'eri con nui

quando da l'Orco oggi qui tratta fui.

 

51

Che se ben il trovarmi ora in procinto

d'uscir di vita m'era acerbo e forte;

pur mi sarei, come è; commune istinto,

dogliuta sol de la mia trista sorte:

ma ora, o prima o poi che tu sia estinto,

più; mi dorrà; la tua che la mia morte. -

E seguitò;, mostrando assai più; affanno

di quel di Norandin, che del suo danno.

 

52

- La speme (disse il re) mi fa venire,

c'ho di salvarti, e tutti questi teco:

e s'io nol posso far, meglio è; morire,

che senza te, mio sol, viver poi cieco.

Come io ci venni, mi potrò; partire;

e voi tutt'altri ne verrete meco,

se non avrete, come io non ho avuto,

schivo a pigliare odor d'animal bruto. -

 

53

La fraude insegnò; a noi, che contra il naso

de l'Orco insegnò; a lui la moglie d'esso;

di vestirci le pelli, in ogni caso

ch'egli ne palpi ne l'uscir del fesso.

Poi che di questo ognun fu persuaso;

quanti de l'un, quanti de l'altro sesso

ci ritroviamo, uccidian tanti becchi,

quelli che più; fetean, ch'eran più; vecchi.

 

54

Ci ungemo i corpi di quel grasso opimo

che ritroviamo all'intestina intorno,

e de l'orride pelli ci vestimo.

Intanto uscì; da l'aureo albergo il giorno.

Alla spelonca, come apparve il primo

raggio del sol, fece il pastor ritorno;

e dando spirto alle sonore canne,

chiamò; il suo gregge fuor de le capanne.

 

55

Tenea la mano al buco de la tana,

acciò; col gregge non uscissin noi:

ci prendea al varco; e quando pelo o lana

sentia sul dosso, ne lasciava poi.

Uomini e donne uscimmo per sì; strana

strada, coperti dagl'irsuti cuoi:

e l'Orco alcun di noi mai non ritenne,

fin che con gran timor Lucina venne.

 

56

Lucina, o fosse perch'ella non volle

ungersi come noi, che schivo n'ebbe;

o ch'avesse l'andar più; lento e molle,

che l'imitata bestia non avrebbe;

o quando l'Orco la groppa toccolle,

gridasse per la tema che le accrebbe;

o che se le sciogliessero le chiome;

sentita fu, né; ben so dirvi come.

 

57

Tutti eravam sì; intenti al caso nostro,

che non avemmo gli occhi agli altrui fatti.

Io mi rivolsi al grido; e vidi il mostro

che già; gl'irsuti spogli le avea tratti,

e fattola tornar nel cavo chiostro.

Noi altri dentro a nostre gonne piatti

col gregge andamo ove 'l pastor ci mena,

tra verdi colli in una piaggia amena.

 

58

Quivi attendiamo infin che steso all'ombra

d'un bosco opaco il nasuto Orco dorma.

Chi lungo il mar, chi verso 'l monte sgombra:

sol Norandin non vuol seguir nostr'orma.

L'amor de la sua donna sì; lo 'ngombra,

ch'alla grotta tornar vuol fra la torma,

né; partirsene mai sin alla morte,

se non racquista la fedel consorte:

 

59

che quando dianzi avea all'uscir del chiuso

vedutala restar captiva sola,

fu per gittarsi, dal dolor confuso,

spontaneamente al vorace Orco in gola;

e si mosse, e gli corse infino al muso,

né; fu lontano a gir sotto la mola:

ma pur lo tenne in mandra la speranza

ch'avea di trarla ancor di quella stanza.

 

60

La sera, quando alla spelonca mena

il gregge l'Orco, e noi fuggiti sente,

e c'ha da rimaner privo di cena,

chiama Lucina d'ogni mal nocente,

e la condanna a star sempre in catena

allo scoperto in sul sasso eminente.

Vedela il re per sua cagion patire,

e si distrugge, e sol non può; morire.

 

61

Matina e sera l'infelice amante

la può; veder come s'affliga e piagna;

che le va misto fra le capre avante,

torni alla stalla o torni alla campagna.

Ella con viso mesto e supplicante

gli accenna che per Dio non vi rimagna,

perché; vi sta a gran rischio de la vita,

né; però; a lei può; dare alcuna aita.

 

62

Così; la moglie ancor de l'Orco priega

il re che se ne vada, ma non giova;

che d'andar mai senza Lucina niega,

e sempre più; costante si ritruova.

In questa servitude, in che lo lega

Pietate e Amor, stette con lunga pruova

tanto, ch'a capitar venne a quel sasso

il figlio d'Agricane e 'l re Gradasso.

 

63

Dove con loro audacia tanto fenno,

che liberaron la bella Lucina;

ben che vi fu aventura più; che senno:

e la portar correndo alla marina;

e al padre suo, che quivi era, la denno:

e questo fu ne l'ora matutina,

che Norandin con l'altro gregge stava

a ruminar ne la montana cava.

 

64

Ma poi che 'l giorno aperta fu la sbarra,

e seppe il re la donna esser partita

(che la moglie de l'Orco gli lo narra),

e come a punto era la cosa gita;

grazie a Dio rende, e con voto n'inarra,

ch'essendo fuor di tal miseria uscita,

faccia che giunga onde per arme possa,

per prieghi o per tesoro, esser riscossa.

 

65

Pien di letizia va con l'altra schiera

del simo gregge, e viene ai verdi paschi;

e quivi aspetta fin ch'all'ombra nera

il mostro per dormir ne l'erba caschi.

Poi ne vien tutto il giorno e tutta sera;

e al fin sicur che l'Orco non lo 'ntaschi,

sopra un navilio monta in Satalia;

e son tre mesi ch'arrivò; in Soria.

 

66

In Rodi, in Cipro, e per città; e castella

e d'Africa e d'Egitto e di Turchia,

il re cercar fe' di Lucina bella;

né; fin l'altr'ieri aver ne poté; spia.

L'altr'ier n'ebbe dal suocero novella,

che seco l'avea salva in Nicosia,

dopo che molti dì; vento crudele

era stato contrario alle sue vele.

 

67

Per allegrezza de la buona nuova

prepara il nostro re la ricca festa;

e vuol ch'ad ogni quarta luna nuova,

una se n'abbia a far simile a questa:

che la memoria rifrescar gli giova

dei quattro mesi che 'n irsuta vesta

fu tra il gregge de l'Orco; e un giorno, quale

sarà; dimane, uscì; di tanto male.

 

68

Questo ch'io v'ho narrato, in parte vidi,

in parte udi' da chi trovossi al tutto;

dal re, vi dico, che calende ed idi

vi stette, fin che volse in riso il lutto:

e se n'udite mai far altri gridi,

direte a chi gli fa, che mal n'è; istrutto. -

Il gentiluomo in tal modo a Grifone

de la festa narrò; l'alta cagione.

 

69

Un gran pezzo di notte si dispensa

dai cavallieri in tal ragionamento;

e conchiudon ch'amore e pietà; immensa

mostrò; quel re con grande esperimento.

Andaron, poi che si levar da mensa,

ove ebbon grato e buono alloggiamento.

Nel seguente matin sereno e chiaro,

al suon de l'allegrezze si destaro.

 

70

Vanno scorrendo timpani e trombette,

e ragunando in piazza la cittade.

Or, poi che de cavalli e de carrette

e ribombar de gridi odon le strade,

Grifon le lucide arme si rimette,

che son di quelle che si trovan rade;

che l'avea impenetrabili e incantate

la Fata bianca di sua man temprate.

 

71

Quel d'Antiochia, più; d'ogn'altro vile,

armossi seco, e compagnia gli tenne.

Preparate avea lor l'oste gentile

nerbose lance, e salde e grosse antenne,

e del suo parentado non umì;le

compagnia tolta; e seco in piazza venne;

e scudieri a cavallo, e alcuni a piede,

a tal servigi attissimi, lor diede.

 

72

Giunsero in piazza, e trassonsi in disparte,

né; pel campo curar far di sé; mostra,

per veder meglio il bel popul di Marte,

ch'ad uno, o a dua, o a tre, veniano in giostra.

Chi con colori accompagnati ad arte

letizia o doglia alla sua donna mostra;

chi nel cimier, chi nel dipinto scudo

disegna Amor, se l'ha benigno o crudo.

 

73

Soriani in quel tempo aveano usanza

d'armarsi a questa guisa di Ponente.

Forse ve gli inducea la vicinanza

che de' Franceschi avean continuamente,

che quivi allor reggean la sacra stanza

dove in carne abitò; Dio onnipotente;

ch'ora i superbi e miseri cristiani,

con biasmi lor, lasciano in man de' cani.

 

74

Dove abbassar dovrebbono la lancia

in augumento de la santa fede,

tra lor si dan nel petto e ne la pancia

a destruzion del poco che si crede.

Voi, gente ispana, e voi, gente di Francia,

volgete altrove, e voi, Svizzeri, il piede,

e voi, Tedeschi, a far più; degno acquisto;

che quanto qui cercate è; già; di Cristo.

 

75

Se Cristianissimi esser voi volete,

e voi altri Catolici nomati,

perché; di Cristo gli uomini uccidete?

perché; de' beni lor son dispogliati?

Perché; Ierusalem non riavete,

che tolto è; stato a voi da' rinegati?

Perché; Costantinopoli e del mondo

la miglior parte occupa il Turco immondo?

 

76

Non hai tu, Spagna, l'Africa vicina,

che t'ha via più; di questa Italia offesa?

E pur, per dar travaglio alla meschina,

lasci la prima tua sì; bella impresa.

O d'ogni vizio fetida sentina,

dormi, Italia imbriaca, e non ti pesa

ch'ora di questa gente, ora di quella

che già; serva ti fu, sei fatta ancella?

 

77

Se 'l dubbio di morir ne le tue tane,

Svizzer, di fame, in Lombardia ti guida,

e tra noi cerchi o chi ti dia del pane,

o, per uscir d'inopia, chi t'uccida;

le richezze del Turco hai non lontane:

caccial d'Europa, o almen di Grecia snida;

così; potrai o del digiuno trarti,

o cader con più; merto in quelle parti.

 

78

Quel ch'a te dico, io dico al tuo vicino

tedesco ancor; là; le richezze sono,

che vi portò; da Roma Costantino:

portonne il meglio, e fe' del resto dono.

Pattolo ed Ermo onde si tra' l'or fino,

Migdonia e Lidia, e quel paese buono

per tante laudi in tante istorie noto,

non è;, s'andar vi vuoi, troppo remoto.

 

79

Tu, gran Leone, a cui premon le terga

de le chiavi del ciel le gravi some,

non lasciar che nel sonno si sommerga

Italia, se la man l'hai ne le chiome.

Tu sei Pastore; e Dio t'ha quella verga

data a portare, e scelto il fiero nome,

perché; tu ruggi, e che le braccia stenda,

sì; che dai lupi il grege tuo difenda.

 

80

Ma d'un parlar ne l'altro, ove sono ito

si lungi, dal camin ch'io faceva ora?

Non lo credo però; sì; aver smarrito,

ch'io non lo sappia ritrovare ancora.

Io dicea ch'in Soria si tenea il rito

d'armarsi, che i Franceschi aveano allora:

sì; che bella in Damasco era la piazza

di gente armata d'elmo e di corazza.

 

81

Le vaghe donne gettano dai palchi

sopra i giostranti fior vermigli e gialli,

mentre essi fanno a suon degli oricalchi

levare a salti ed aggirar cavalli.

Ciascuno, o bene o mal ch'egli cavalchi,

vuol far quivi vedersi, e sprona e dà;lli:

di ch'altri ne riporta pregio e lode;

mentre altri a riso, e gridar dietro s'ode.

 

82

De la giostra era il prezzo un'armatura

che fu donata al re pochi dì; inante,

che su la strada ritrovò; a ventura,

ritornando d'Armenia, un mercatante.

Il re di nobilissima testura

le sopraveste all'arme aggiunse, e tante

perle vi pose intorno e gemme ed oro,

che la fece valer molto tesoro.

 

83

Se conosciute il re quell'arme avesse,

care avute l'avria sopra ogni arnese;

né; in premio de la giostra l'avria messe,

come che liberal fosse e cortese.

Lungo saria chi raccontar volesse

chi l'avea sì; sprezzate e vilipese,

che 'n mezzo de la strada le lasciasse,

preda chiunque o inanzi o indietro andasse.

 

84

Di questo ho da contarvi più; di sotto:

or dirò; di Grifon, ch'alla sua giuuta

un paio e più; di lance trovò; rotto,

menato più; d'un taglio e d'una punta.

Dei più; cari e più; fidi al re fur otto

che quivi insieme avean lega congiunta;

gioveni; in arme pratichi ed industri,

tutti o signori o di famiglie illustri.

 

85

Quei rispondean ne la sbarrata piazza

per un dì;, ad uno ad uno, a tutto 'l mondo,

prima con lancia, e poi con spada o mazza,

fin ch'al re di guardarli era giocondo;

e si foravan spesso la corazza:

per giuoco in somma qui facean, secondo

fan gli nimici capitali, eccetto

che potea il re partirli a suo diletto.

 

86

Quel d'Antiochia, un uom senza ragione,

che Martano il codardo nominosse,

come se de la forza di Grifone,

poi ch'era seco, participe fosse,

audace entrò; nel marziale agone;

e poi da canto ad aspettar fermosse,

sin che finisce una battaglia fiera

che tra duo cavallier cominciata era.

 

87

Il signor di Seleucia, di quell'uno,

ch'a sostener l'impresa aveano tolto,

combattendo in quel tempo con Ombruno,

lo ferì; d'una punta in mezzo 'l volto,

sì; che l'uccise: e pietà; n'ebbe ognuno,

perché; buon cavallier lo tenean molto;

ed oltra la bontade, il più; cortese

non era stato in tutto quel paese.

 

88

Veduto ciò;, Martano ebbe paura

che parimente a sé; non avvenisse;

e ritornando ne la sua natura,

a pensar cominciò; come fugisse.

Grifon, che gli era appresso e n'avea cura,

lo spinse pur, poi ch'assai fece e disse,

contra un gentil guerrier che s'era mosso,

come si spinge il cane al lupo adosso;

 

89

che dieci passi gli va dietro o venti,

e poi si ferma, ed abbaiando guarda

come digrigni i minacciosi denti,

come negli occhi orribil fuoco gli arda.

Quivi ov'erano e principi presenti

e tanta gente nobile e gagliarda,

fuggì; lo 'ncontro il timido Martano,

e torse 'l freno e 'l capo a destra mano.

 

90

Pur la colpa potea dar al cavallo,

chi di scusarlo avesse tolto il peso;

ma con la spada poi fe' sì; gran fallo,

che non l'avria Demostene difeso.

Di carta armato par, non di metallo;

sì; teme da ogni colpo essere offeso.

Fuggesi al fine, e gli ordini disturba,

ridendo intorno a lui tutta la turba.

 

91

Il batter de le mani, il grido intorno

se gli levò; del populazzo tutto.

Come lupo cacciato, fe' ritorno

Martano in molta fretta al suo ridutto.

Resta Grifone; e gli par de lo scorno

del suo compagno esser macchiato e brutto:

esser vorrebbe stato in mezzo il foco,

più; tosto che trovarsi in questo loco.

 

92

Arde nel core, e fuor nel viso avampa,

come sia tutta sua quella vergogna;

perché; l'opere sue di quella stampa

vedere aspetta il populo ed agogna:

sì; che rifulga chiara più; che lampa

sua virtù;, questa volta gli bisogna;

ch'un'oncia, un dito sol d'error che faccia,

per la mala impression parrà; sei braccia.

 

93

Già; la lancia avea tolta su la coscia

Grifon, ch'errare in arme era poco uso:

spinse il cavallo a tutta briglia, e poscia

ch'alquanto andato fu, la messe suso,

e portò; nel ferire estrema angoscia

al baron di Sidonia, ch'andò; guiso.

Ognun maravigliando in pié; si leva;

che 'l contrario di ciò; tutto attendeva.

 

94

Tornò; Grifon con la medesma antenna,

che 'ntiera e ferma ricovrata avea,

ed in tre pezzi la roppe alla penna

de lo scudo al signor di Lodicea.

Quel per cader tre volte e quattro accenna,

che tutto steso alla groppa giacea:

pur rilevato al fin la spada strinse,

voltò; il cavallo, e vêr Grifon si spinse.

 

95

Grifon, che 'l vede in sella, e che non basta

sì; fiero incontro perché; a terra vada,

dice fra sé;: - Quel che non poté; l'asta,

in cinque colpi o 'n sei farà; la spada. -

E su la tempia subito l'attasta

d'un dritto tal, che par che dal ciel cada;

e un altro gli accompagna e un altro appresso,

tanto che l'ha stordito e in terra messo.

 

96

Quivi erano d'Apamia duo germani,

soliti in giostra rimaner di sopra,

Tirse e Corimbo; ed ambo per le mani

del figlio d'Uliver cader sozzopra.

L'uno gli arcion lascia allo scontro vani;

con l'altro messa fu la spada in opra.

Già; per commun giudicio si tien certo

che di costui fia de la giostra il merto.

 

97

Ne la lizza era entrato Salinterno,

gran diodarro e maliscalco regio,

e che di tutto 'l regno avea il governo,

e di sua mano era guerriero egregio.

Costui, sdegnoso ch'un guerriero esterno

debba portar di quella giostra il pregio,

piglia una lancia, e verso Grifon grida,

e molto minacciandolo lo sfida.

 

98

Ma quel con un lancion gli fa risposta,

ch'avea per lo miglior fra dieci eletto,

e per non far error, lo scudo apposta,

e via lo passa e la corazza e 'l petto:

passa il ferro crudel tra costa e costa,

e fuor pel tergo un palmo esce di netto.

Il colpo, eccetto al re, fu a tutti caro;

ch'ognuno odiava Salinterno avaro.

 

99

Grifone, appresso a questi, in terra getta

duo di Damasco, Ermofilo e Carmondo.

La milizia del re dal primo è; retta;

del mar grande almiraglio è; quel secondo.

Lascia allo scontro l'un la sella in fretta:

adosso all'altro si riversa il pondo

del rio destrier, che sostener non puote

l'alto valor con che Grifon percuote.

 

100

Il signor di Seleucia ancor restava,

miglior guerrier di tutti gli altri sette;

e ben la sua possanza accompagnava

con destrier buono e con arme perfette.

Dove de l'elmo la vista si chiava,

l'asta allo scontro l'uno e l'altro mette;

pur Grifon maggior colpo al pagan diede,

che lo fe' staffeggiar dal manco piede.

 

101

Gittaro i tronchi, e si tornaro adosso

pieni di molto ardir coi brandi nudi.

Fu il pagan prima da Grifon percosso

d'un colpo che spezzato avria gl'incudi.

Con quel fender si vide e ferro ed osso

d'un ch'eletto s'avea tra mille scudi;

e se non era doppio e fin l'arnese,

ferì;a la coscia ove cadendo scese.

 

102

Ferì; quel di Seleucia alla visera

Grifone a un tempo; e fu quel colpo tanto,

che l'avria aperta e rotta, se non era

fatta, come l'altr'arme, per incanto.

Gli è; un perder tempo che 'l pagan più; fera:

così; son l'arme dure in ogni canto:

e 'n più; parti Grifon già; fessa e rotta

ha l'armatura a lui, né; perde botta.

 

103

Ognun potea veder quanto di sotto

il signor di Seleucia era a Grifone;

e se partir non li fa il re di botto,

quel che sta peggio, la vita vi pone.

Fe' Norandino alla sua guardia motto

ch'entrasse a distaccar l'aspra tenzone.

Quindi fu l'uno, e quindi l'altro tratto;

e fu lodato il re di sì; buon atto.

 

104

Gli otto che dianzi avean col mondo impresa,

e non potuto durar poi contra uno,

avendo mal la parte lor difesa,

usciti eran dal campo ad uno ad uno.

Gli altri ch'eran venuti a lor contesa,

quivi restar senza contrasto alcuno,

avendo lor Grifon, solo, interrotto

quel che tutti essi avean da far contra otto.

 

105

E durò; quella festa così; poco,

ch'in men d'un'ora il tutto fatto s'era:

ma Norandin, per far più; lungo il giuoco

e per continuarlo infino a sera,

dal palco scese, e fe' sgombrare il loco;

e poi divise in due la grossa schiera,

indi, secondo il sangue e la lor prova,

gli andò; accoppiando, e fe' una giostra nova.

 

106

Grifone intanto avea fatto ritorno

alla sua stanza pien d'ira e di rabbia

e più; gli preme di Martan lo scorno

che non giova l'onor ch'esso vinto abbia.

Quivi, per tor l'obbrobrio ch'avea intorno,

Martano adopra le mendaci labbia:

e l'astuta e bugiarda meretrice,

come meglio sapea, gli era adiutrice.

 

107

O sì; o no che 'l giovin gli credesse,

pur la scusa accettò;, come discreto:

e pel suo meglio allora allora elesse

quindi levarsi tacito e secreto,

per tema che, se 'l populo vedesse

Martano comparir, non stesse cheto.

Così; per una via nascosa e corta

usciro al camin lor fuor de la porta.

 

108

Grifone, o ch'egli o che 'l cavallo fosse

stanco, o gravasse il sonno pur le ciglia,

al primo albergo che trovar, fermosse,

che non erano andati oltre a dua miglia.

Si trasse l'elmo, e tutto disarmosse,

e trar fece a' cavalli e sella e briglia;

e poi serrossi in camera soletto,

e nudo per dormire entrò; nel letto.

 

109

Non ebbe così; tosto il capo basso,

che chiuse gli occhi, e fu dal sonno oppresso

così; profundamente, che mai tasso

né; ghiro mai s'addormentò; quanto esso.

Martano in tanto ed Orrigille a spasso

entraro in un giardin ch'era lì; appresso;

ed un inganno ordir, che fu il più; strano

che mai cadesse in sentimento umano.

 

110

Martano disegnò; torre il destriero,

i panni e l'arme che Grifon s'ha tratte;

e andare inanzi al re pel cavalliero

che tante pruove avea giostrando fatte.

L'effetto ne seguì;, fatto il pensiero:

tolle il destrier più; candido che latte,

scudo e cimiero ed arme e sopraveste,

e tutte di Grifon l'insegne veste.

 

111

Con gli scudieri e con la donna, dove

era il popolo ancora, in piazza venne;

e giunse a tempo che finian le pruove

di girar spade e d'arrestare antenne.

Commanda il re che 'l cavallier si truove,

che per cimier avea le bianche penne,

bianche le vesti e bianco il corridore;

che 'l nome non sapea del vincitore.

 

112

Colui ch'indosso il non suo cuoio aveva,

come l'asino già; quel del leone,

chiamato, se n'andò;, come attendeva,

a Norandino, in loco di Grifone.

Quel re cortese incontro se gli leva,

l'abbraccia e bacia, e allato se lo pone:

né; gli basta onorarlo e dargli loda,

che vuol che 'l suo valor per tutto s'oda.

 

113

E fa gridarlo al suon degli oricalchi

vincitor de la giostra di quel giorno.

L'alta voce ne va per tutti i palchi,

che 'l nome indegno udir fa d'ogn'intorno.

Seco il re vuol ch'a par a par cavalchi,

quando al palazzo suo poi fa ritorno;

e di sua grazia tanto gli comparte,

che basteria, se fosse Ercole o Marte.

 

114

Bello ed ornato alloggiamento dielli

in corte, ed onorar fece con lui

Orrigille anco; e nobili donzelli

mandò; con essa, e cavallieri sui.

Ma tempo è; ch'anco di Grifon favelli,

il qual né; dal compagno né; d'altrui

temendo inganno, addormentato s'era,

né; mai si risvegliò; fin alla sera.

 

115

Poi che fu desto, e che de l'ora tarda

s'accorse, uscì; di camera con fretta,

dove il falso cognato e la bugiarda

Orrigille lasciò; con l'altra setta;

e quando non gli truova, e che riguarda

non v'esser l'arme né; i panni, sospetta;

ma il veder poi più; sospettoso il fece

l'insegne del compagno in quella vece.

 

116

Sopravien l'oste, e di colui l'informa

che già; gran pezzo, di bianch'arme adorno,

con la donna e col resto de la torma

avea ne la città; fatto ritorno.

Truova Grifone a poco a poco l'orma

ch'ascosa gli avea Amor fin a quel giorno;

e con suo gran dolor vede esser quello

adulter d'Orrigille, e non fratello.

 

117

Di sua sciocchezza indarno ora si duole,

ch'avendo il ver dal peregrino udito,

lasciato mutar s'abbia alle parole

di chi l'avea più; volte già; tradito.

Vendicar si potea, né; seppe; or vuole

l'inimico punir, che gli è; fuggito;

ed è; costretto con troppo gran fallo

a tor di quel vil uom l'arme e 'l cavallo.

 

118

Eragli meglio andar senz'arme e nudo,

che porsi indosso la corazza indegna,

o ch'imbracciar l'abominato scudo,

o por su l'elmo la beffata insegna;

ma per seguir la meretrice e 'l drudo,

ragione in lui pari al disio non regna.

A tempo venne alla città;, ch'ancora

il giorno avea quasi di vivo un'ora.

 

119

Presso alla porta ove Grifon venì;a,

siede a sinistra un splendido castello,

che, più; che forte e ch'a guerre atto sia,

di ricche stanze è; accommodato e bello.

I re, i signori, i primi di Soria

con alte donne in un gentil drappello

celebravano quivi in loggia amena

la real sontuosa e lieta cena.

 

120

La bella loggia sopra 'l muro usciva

con l'alta rocca fuor de la cittade;

e lungo tratto di lontan scopriva

i larghi campi e le diverse strade.

Or che Grifon verso la porta arriva

con quell'arme d'obbrobrio e di viltade,

fu con non troppa aventurosa sorte

dal re veduto e da tutta la corte:

 

121

e riputato quel di ch'avea insegna,

mosse le donne e i cavallieri a riso.

Il vil Martano, come quel che regna

in gran favor, dopo 'l re è; 'l primo assiso,

e presso a lui la donna di sé; degna;

dai quali Norandin con lieto viso

volse saper chi fosse quel codardo

che così; avea al suo onor poco riguardo;

 

122

che dopo una sì; trista e brutta pruova,

con tanta fronte or gli tornava inante.

Dicea: - Questa mi par cosa assai nuova,

ch'essendo voi guerrier degno e prestante,

costui compagno abbiate, che non truova,

di viltà;, pari in terra di Levante.

Il fate forse per mostrar maggiore,

per tal contrario, il vostro alto valore.

 

123

Ma ben vi giuro per gli eterni dei,

che se non fosse ch'io riguardo a vui,

la publica ignominia gli farei,

ch'io soglio fare agli altri pari a lui.

Perpetua ricordanza gli darei,

come ognor di viltà; nimico fui.

Ma sappia, s'impunito se ne parte,

grado a voi che 'l menaste in questa parte. -

 

124

Colui che fu de tutti i vizi il vaso,

rispose: - Alto signor, dir non sapria

chi sia costui; ch'io l'ho trovato a caso,

venendo d'Antiochia, in su la via.

ll suo smnbiante m'avea persuaso

che fosse degno di mia compagnia;

ch'intesa non n'avea pruova né; vista,

se non quella che fece oggi assai trista.

 

125

La qual mi spiacque sì;, che restò; poco,

che per punir l'estrema sua viltade,

non gli facessi allora allora un gioco,

che non toccasse più; lance né; spade:

ma ebbi, più; ch'a lui, rispetto al loco,

e riverenza a vostra maestade.

Né; per me voglio che gli sia guadagno

l'essermi stato un giorno o dua compagno:

 

126

di che contaminato anco esser parme;

e sopra il cor mi sarà; eterno peso,

se, con vergogna del mestier de l'arme,

io lo vedrò; da noi partire illeso:

e meglio che lasciarlo, satisfarme

potrete, se sarà; d'un merlo impeso;

e fia lodevol opra e signorile,

perch'el sia esempio e specchio ad ogni vile. -

 

127

Al detto suo Martano Orrigille have,

senza accennar, confermatrice presta.

- Non son (rispose il re) l'opre sì; prave,

ch'al mio parer v'abbia d'andar la testa.

Voglio per pena del peccato grave,

che sol rinuovi al populo la festa. -

E tosto a un suo baron, che fe' venire,

impose quanto avesse ad esequire.

 

128

Quel baron molti armati seco tolse,

ed alla porta de la terra scese;

e quivi con silenzio li raccolse,

e la venuta di Grifone attese:

e ne l'entrar sì; d'improviso il colse,

che fra i duo ponti a salvamento il prese;

e lo ritenne con beffe e con scorno

in una oscura stanza insin al giorno.

 

129

Il Sole a pena avea il dorato crine

tolto di grembio alla nutrice antica,

e cominciava da le piagge alpine

a cacciar l'ombre e far la cima aprica;

quando temendo il vil Martan ch'al fine

Grifone ardito la sua causa dica,

e ritorni la colpa ond'era uscita,

tolse licenza, e fece indi partita,

 

130

trovando idonia scusa al priego regio,

che non stia allo spettacolo ordinato.

Altri doni gli avea fatto, col pregio

de la non sua vittoria, il signor grato;

e sopra tutto un amplo privilegio,

dov'era d'altri onori al sommo ornato.

Lascià;nlo andar; ch'io vi prometto certo,

che la mercede avrà; secondo il merto.

 

131

Fu Grifon tratto a gran vergogna in piazza,

quando più; si trovò; piena di gente.

Gli avean levato l'elmo e la corazza,

e lasciato in farsetto assai vilmente;

e come il conducessero alla mazza,

posto l'avean sopra un carro eminente,

che lento lento tiravan due vacche

da lunga fame attenuate e fiacche.

 

132

Venian d'intorno alla ignobil quadriga

vecchie sfacciate e disoneste putte,

di che n'era una ed or un'altra auriga,

e con gran biasmo lo mordeano tutte.

Lo poneano i fanciulli in maggior briga,

che, oltre le parole infami e brutte,

l'avrian coi sassi insino a morte offeso,

se dai più; saggi non era difeso.

 

133

L'arme che del suo male erano state

cagion, che di lui fer non vero indicio,

da la coda del carro strascinate

patian nel fango debito supplicio.

Le ruote inanzi a un tribunal fermate

gli fero udir de l'altrui maleficio

la sua ignominia, che 'n sugli occhi detta

gli fu, gridando un publico trombetta.

 

134

Lo levar quindi, e lo mostrar per tutto

dinanzi a templi, ad officine e a case,

dove alcun nome scelerato e brutto,

che non gli fosse detto, non rimase.

Fuor de la terra all'ultimo cundutto

fu da la turba, che si persuase

bandirlo e cacciare indi a suon di busse,

non conoscendo ben ch'egli si fusse.

 

135

Si tosto a pena gli sferraro i piedi

e liberargli l'una e l'altra mano,

che tor lo scudo ed impugnar gli vedi

la spada, che rigò; gran pezzo il piano.

Non ebbe contra sé; lance né; spiedi;

che senz'arme venì;a il populo insano.

Ne l'altro canto diferisco il resto;

che tempo è; omai, Signor, di finir questo.

 

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CANTO DICIOTTESIMO

 

 

1

Magnanimo Signore, ogni vostro atto

ho sempre con ragion laudato e laudo:

ben che col rozzo stil duro e mal atto

gran parte de la gloria vi defraudo.

Ma più; de l'altre una virtù; m'ha tratto,

a cui col core e con la lingua applaudo;

che s'ognun truova in voi ben grata udienza,

non vi truova però; facil credenza.

 

2

Spesso in difesa deI biasmato assente

indur vi sento una ed un'altra scusa,

o riserbargli almen, fin che presente

sua causa dica, l'altra orecchia chiusa;

e sempre, prima che dannar la gente,

vederla in faccia, e udir la ragion ch'usa;

differir anco e giorni e mesi ed anni,

prima che giudicar negli altrui danni.

 

3

Se Norandino il simil fatto avesse,

fatto a Grifon non avria quel che fece.

A voi utile e onor sempre successe:

denigrò; sua fama egli più; che pece.

Per lui sue genti a morte furon messe;

che fe' Grifone in dieci tagli, e in diece

punte che trasse pien d'ira e bizzarro,

che trenta ne cascaro appresso al carro.

 

4

Van gli altri in rotta ove il timor li caccia,

chi qua chi là;, pei campi e per le strade;

e chi d'entrar ne la città; procaccia,

e l'un su l'altro ne la porta cade.

Grifon non fa parole e non minaccia;

ma lasciando lontana ogni pietade,

mena tra il vulgo inerte il ferro intorno,

e gran vendetta fa d'ogni suo scorno.

 

5

Di quei che primi giunsero alla porta,

che le piante a levarsi ebbeno pronte,

parte, al bisogno suo molto più; accorta

che degli amici, alzò; subito il ponte;

piangendo parte, o con la faccia smorta

fuggendo andò; senza mai volger fronte,

e ne la terra per tutte le bande

levò; grido e tumulto e rumor grande.

 

6

Grifon gagliardo duo ne piglia in quella

che 'l ponte si levò; per lor sciagura.

Sparge de l'uno al campo le cervella;

che lo percuote ad una cote dura:

prende l'altro nel petto, e l'arrandella

in mezzo alla città; sopra le mura.

Scorse per l'ossa ai terrazzani il gelo,

quando vider colui venir dal cielo.

 

7

Fur molti che temer che 'l fier Grifone

sopra le mura avesse preso un salto.

Non vi sarebbe più; confusione,

s'a Damasco il soldan desse l'assalto.

Un muover d'arme, un correr di persone,

e di talacimanni un gridar d'alto,

e di tamburi un suon misto e di trombe

il mondo assorda, e 'l ciel par ne rimbombe.

 

8

Ma voglio a un'altra volta differire

a ricontar ciò; che di questo avenne.

Del buon re Carlo mi convien seguire,

che contra Rodomonte in fretta venne,

il qual le genti gli facea morire.

Io vi dissi ch'al re compagnia tenne

il gran Danese e Namo ed Oliviero

e Avino e Avolio e Otone e Berlingiero.

 

9

Otto scontri di lance, che da forza

di tali otto guerrier cacciati foro,

sostenne a un tempo la scagliosa scorza

di ch'avea armato il petto il crudo Moro.

Come legno si drizza, poi che l'orza

lenta il nochier che crescer sente il Coro,

così; presto rizzossi Rodomonte

dai colpi che gittar doveano un monte.

 

10

Guido, Ranier, Ricardo, Salamone,

Ganelon traditor, Turpin fedele,

Angioliero, Angiolino, Ughetto, Ivone,

Marco e Matteo dal pian di san Michele,

e gli otto di che dianzi fei menzione,

son tutti intorno al Saracin crudele,

Arimanno e Odoardo d'Inghilterra,

ch'entrati eran pur dianzi ne la terra.

 

11

Non così; freme in su lo scoglio alpino

di ben fondata rocca alta parete,

quando il furor di borea o di garbino

svelle dai monti il frassino e l'abete;

come freme d'orgoglio il Saracino,

di sdegno acceso e di sanguigna sete:

e com'a un tempo è; il tuono e la saetta,

così; l'ira de l'empio e la vendetta.

 

12

Mena alla testa a quel che gli è; più; presso,

che gli è; il misero Ughetto di Dordona:

lo pone in terra insino ai denti fesso,

come che l'elmo era di tempra buona.

Percosso fu tutto in un tempo anch'esso

da molti colpi in tutta la persona;

ma non gli fan più; ch'all'incude l'ago:

sì; duro intorno ha lo scaglioso drago.

 

13

Furo tutti i ripar, fu la cittade

d'intorno intorno abandonata tutta;

che la gente alla piazza, dove accade

maggior bisogno, Carlo avea ridutta.

Corre alla piazza da tutte le strade

la turba, a chi il fuggir sì; poco frutta.

La persona del re sì; i cori accende,

ch'ognun prend'arme, ognuno animo prende.

 

14

Come se dentro a ben rinchiusa gabbia

d'antiqua leonessa usata in guerra,

perch'averne piacere il popul abbia,

talvolta il tauro indomito si serra;

i leoncin che veggion per la sabbia

come altiero e mugliando animoso erra,

e veder sì; gran corna non son usi,

stanno da parte timidi e confusi:

 

15

ma se la fiera madre a quel si lancia,

e ne l'orecchio attacca il crudel dente,

vogliono anch'essi insanguinar la guancia,

e vengono in soccorso arditamente;

chi morde al tauro il dosso e chi la pancia:

così; contra il pagan fa quella gente.

Da tetti e da finestre e più; d'appresso

sopra gli piove un nembo d'arme e spesso.

 

16

Dei cavallieri e de la fanteria

tanta è; la calca, ch'a pena vi cape.

La turba che vi vien per ogni via,

v'abbonda ad or ad or spessa come ape;

che quando, disarmata e nuda, sia

più; facile a tagliar che torsi o rape,

non la potria, legata a monte a monte,

in venti giorni spenger Rodomonte.

 

17

Al pagan, che non sa come ne possa

venir a capo, omai quel gioco incresce.

Poco, per far di mille, o di più;, rossa

la terra intorno, il populo discresce.

Il fiato tuttavia più; se gl'ingrossa,

si che comprende al fin che, se non esce

or c'ha vigore e in tutto il corpo è; sano,

vorrà; da tempo uscir, che sarà; invano.

 

18

Rivolge gli occhi orribili, e pon mente

che d'ogn'intorno sta chiusa l'uscita;

ma con ruina d'infinita gente

l'aprirà; tosto, e la farà; espedita.

Ecco, vibrando la spada tagliente,

che vien quel empio, ove il furor lo 'nvita,

ad assalire il nuovo stuol britanno,

che vi trasse Odoardo ed Arimanno.

 

19

Chi ha visto in piazza rompere steccato,

a cui la folta turba ondeggi intorno,

immansueto tauro accaneggiato,

stimulato e percosso tutto 'l giorno;

che 'l popul se ne fugge ispaventato,

ed egli or questo or quel leva sul corno:

pensi che tale o più; terribil fosse

il crudele African quando si mosse.

 

20

Quindici o venti ne tagliò; a traverso,

altritanti lasciò; del capo tronchi,

ciascun d'un colpo sol dritto o riverso;

che viti o salci par che poti e tronchi.

Tutto di sangue il fier pagano asperso,

lasciando capi fessi e bracci monchi,

e spalle e gambe ed altre membra sparte,

ovunque il passo volga, al fin si parte.

 

21

De la piazza si vede in guisa torre,

che non si può; notar ch'abbia paura;

ma tuttavolta col pensier discorre,

dove sia per uscir via più; sicura.

Capita al fin dove la Senna corre

sotto all'isola, e va fuor de le mura.

La gente d'arme e il popul fatto audace

lo stringe e incalza, e gir nol lascia in pace.

 

22

Qual per le selve nomade o massile

cacciata va la generosa belva,

ch'ancor fuggendo mostra il cor gentile,

e minacciosa e lenta si rinselva;

tal Rodomonte, in nessun atto vile,

da strana circondato e fiera selva

d'aste e di spade e di volanti dardi,

si tira al fiume a passi lunghi e tardi.

 

23

E sì; tre volte e più; l'ira il sospinse,

ch'essendone già; fuor, vi tornò; in mezzo,

ove di sangue la spada ritinse,

e più; di cento ne levò; di mezzo.

Ma la ragione al fin la rabbia vinse

di non far sì;, ch'a Dio n'andasse il lezzo;

e da la ripa, per miglior consiglio,

si gittò; all'acqua, e uscì; di gran periglio.

 

24

Con tutte l'arme andò; per mezzo l'acque,

come s'intorno avesse tante galle.

Africa, in te pare a costui non nacque,

ben che d'Anteo ti vanti e d'Anniballe.

Poi che fu giunto a proda, gli dispiacque,

che si vide restar dopo le spalle

quella città; ch'avea trascorsa tutta,

e non l'avea tutta arsa né; distrutta.

 

25

E sì; lo rode la superbia e l'ira,

che, per tornarvi un'altra volta, guarda,

e di profondo cor geme e sospira,

né; vuolne uscir, che non la spiani ed arda.

Ma lungo il fiume, in questa furia, mira

venir chi l'odio estingue e l'ira tarda.

Chi fosse io vi farò; ben tosto udire;

ma prima un'altra cosa v'ho da dire.

 

26

Io v'ho da dir de la Discordia altiera,

a cui l'angel Michele avea commesso

ch'a battaglia accendesse e a lite fiera

quei che più; forti avea Agramante appresso.

Uscì; de' frati la medesma sera,

avendo altrui l'ufficio suo commesso:

lasciò; la Fraude a guerreggiare il loco,

fin che tornasse, e a mantenervi il fuoco.

 

27

E le parve ch'andria con più; possanza,

se la Superbia ancor seco menasse;

e perché; stavan tutte in una stanza,

non fu bisogno ch'a cercar l'andasse.

La Superbia v'andò;, ma non che sanza

la sua vicaria il monaster lasciasse:

per pochi dì; che credea starne assente,

lasciò; l'Ipocrisia locotenente.

 

28

L'implacabil Discordia in compagnia

de la Superbia si messe in camino,

e ritrovò; che la medesma via

facea, per gire al campo saracino,

l'afflitta e sconsolata Gelosia;

e venì;a seco un nano piccolino,

il qual mandava Doralice bella

al re di Sarza a dar di sé; novella.

 

29

Quando ella venne a Mandricardo in mano

(ch'io v'ho già; raccontato e come e dove),

tacitamente avea commesso al nano,

che ne portasse a questo re le nuove.

Ella sperò; che nol saprebbe invano,

ma che far si vedria mirabil pruove,

per riaverla con crudel vendetta

da quel ladron che gli l'avea intercetta.

 

30

La Gelosia quel nano avea trovato;

e la cagion del suo venir compresa,

a caminar se gli era messa allato,

parendo d'aver luogo a questa impresa.

Alla Discordia ritrovar fu grato

la Gelosia; ma più; quando ebbe intesa

la cagion del venir, che le potea

molto valere in quel che far volea.

 

31

D'inimicar con Rodomonte il figlio

del re Agrican le pare aver suggetto:

troverà; a sdegnar gli altri altro consiglio;

a sdegnar questi duo questo è; perfetto.

Col nano se ne vien dove l'artiglio

del fier pagano avea Parigi astretto;

e capitaro a punto in su la riva,

quando il crudel del fiume a nuoto usciva.

 

32

Tosto che riconobbe Rodomonte

costui de la sua donna esser messaggio,

estinse ogn'ira, e serenò; la fronte,

e si sentì; brillar dentro il coraggio.

Ogn'altra cosa aspetta che gli conte,

prima ch'alcuno abbia a lei fatto oltraggio.

Va contra il nano, e lieto gli domanda:

- Ch'è; de la donna nostra? ove ti manda? -

 

33

Rispose il nano: - Né; più; tua né; mia

donna dirò; quella ch'è; serva altrui.

Ieri scontrammo un cavallier per via,

che ne la tolse, e la menò; con lui. -

A quello annunzio entrò; la Gelosia,

fredda come aspe, ed abbracciò; costui.

Seguita il nano, e narragli in che guisa

un sol l'ha presa, e la sua gente uccisa.

 

34

L'acciaio allora la Discordia prese,

e la pietra focaia, e picchiò; un poco,

e l'esca sotto la Superbia stese,

e fu attaccato in un momento il fuoco;

e sì; di questo l'anima s'accese

del Saracin, che non trovava loco:

sospira e freme con sì; orribil faccia,

che gli elementi e tutto il ciel minaccia.

 

35

Come la tigre, poi ch'invan discende

nel voto albergo, e per tutto s'aggira,

e i cari figli all'ultimo comprende

essergli tolti, avampa di tant'ira,

a tanta rabbia, a tal furor s'estende,

che né; a monte né; a rio né; a notte mira;

né; lunga via, né; grandine raffrena

l'odio che dietro al predator la mena:

 

36

così; furendo il Saracin bizzarro

si volge al nano, e dice: - Or là; t'invia; -

e non aspetta né; destrier né; carro,

e non fa motto alla sua compagnia.

Va con più; fretta che non va il ramarro,

quando il ciel arde, a traversar la via.

Destrier non ha, ma il primo tor disegna,

sia di chi vuol, ch'ad incontrar lo vegna.

 

37

La Discordia ch'udì; questo pensiero,

guardò;, ridendo, la Superbia, e disse

che volea gire a trovare un destriero

che gli apportasse altre contese e risse;

e far volea sgombrar tutto il sentiero,

ch'altro che quello in man non gli venisse:

e già; pensato avea dove trovarlo.

Ma costei lascio, e torno a dir di Carlo.

 

38

Poi ch'al partir del Saracin si estinse

Carlo d'intorno il periglioso fuoco,

tutte le genti all'ordine ristrinse.

Lascionne parte in qualche debol loco:

adosso il resto ai Saracini spinse,

per dar lor scacco, e guadagnarsi il giuoco;

e gli mandò; per ogni porta fuore,

da San Germano infin a San Vittore.

 

39

E commandò; ch'a porta San Marcello,

dov'era gran spianata di campagna,

aspettasse l'un l'altro, e in un drappello

si ragunasse tutta la compagna.

Quindi animando ognuno a far macello

tal, che sempre ricordo ne rimagna,

ai lor ordini andar fe' le bandiere,

e di battaglia dar segno alle schiere.

 

40

Il re Agramante in questo mezzo in sella,

mal grado dei cristian, rimesso s'era;

e con l'inamorato d'Isabella

facea battaglia perigliosa e fiera:

col re Sobrin Lurcanio si martella:

Rinaldo incontra avea tutta una schiera;

e con virtude e con fortuna molta

l'urta, l'apre, ruina e mette in volta.

 

41

Essendo la battaglia in questo stato,

l'imperatore assalse il retroguardo

dal canto ove Marsilio avea fermato

il fior di Spagna intorno al suo stendardo.

Con fanti in mezzo e cavallieri allato,

re Carlo spinse il suo popul gagliardo

con tal rumor di timpani e di trombe,

che tutto 'l mondo par che ne rimbombe.

 

42

Cominciavan le schiere a ritirarse

de' Saracini, e si sarebbon volte

tutte a fuggir, spezzate, rotte e sparse,

per mai più; non potere esser raccolte;

ma 'l re Grandonio e Falsiron comparse,

che stati in maggior briga eran più; volte,

e Balugante e Serpentin feroce,

e Ferraù; che lor dicea a gran voce:

 

43

- Ah (dicea) valentuomini, ah compagni,

ah fratelli, tenete il luogo vostro.

I nimici faranno opra di ragni,

se non manchiamo noi del dover nostro.

Guardate l'alto onor, gli ampli guadagni

che Fortuna, vincendo, oggi ci ha mostro:

guardate la vergogna e il danno estremo,

ch'essendo vinti, a patir sempre avremo. -

 

44

Tolto in quel tempo una gran lancia avea,

e contra Berlingier venne di botto,

che sopra Largaliffa combattea,

e l'elmo ne la fronte gli avea rotto:

gittollo in terra, e con la spada rea

appresso a lui ne fe' cader forse otto.

Per ogni botta almanco, che disserra,

cader fa sempre un cavalliero in terra.

 

45

In altra parte ucciso avea Rinaldo

tanti pagan, ch'io non potrei contarli.

Dinanzi a lui non stava ordine saldo:

vedreste piazza in tutto 'l campo darli.

Non men Zerbin, non men Lurcanio è; caldo:

per modo fan, ch'ognun sempre ne parli:

questo di punta avea Balastro ucciso,

e quello a Finadur l'elmo diviso.

 

46

L'esercito d'Alzerbe avea il primiero,

che poco inanzi aver solea Tardocco;

l'altro tenea sopra le squadre impero

di Zamor e di Saffi e di Marocco.

- Non è; tra gli Africani un cavalliero

che di lancia ferir sappia o di stocco? -

mi si potrebbe dir: ma passo passo

nessun di gloria degno a dietro lasso.

 

47

Del re de la Zumara non si scorda

il nobil Dardinel figlio d'Almonte,

che con la lancia Uberto da Mirforda,

Claudio dal Bosco, Elio e Dulfin dal Monte,

e con la spada Anselmo da Stanforda,

e da Londra Raimondo e Pinamonte

getta per terra (ed erano pur forti),

dui storditi, un piagato, e quattro morti.

 

48

Ma con tutto 'l valor che di sé; mostra,

non può; tener sì; ferma la sua gente,

sì; ferma, ch'aspettar voglia la nostra

di numero minor, ma più; valente.

Ha più; ragion di spada e più; di giostra

e d'ogni cosa a guerra appertinente.

Fugge la gente maura, di Zumara,

di Setta, di Marocco e di Canara.

 

49

Ma più; degli altri fuggon quei d'Alzerbe,

a cui s'oppose il nobil giovinetto;

ed or con prieghi, or con parole acerbe

ripor lor cerca l'animo nel petto.

- S'Almonte meritò; ch'in voi si serbe

di lui memoria, or ne vedrò; l'effetto:

io vedrò; (dicea lor) se me, suo figlio,

lasciar vorrete in così; gran periglio.

 

50

State, vi priego per mia verde etade,

in cui solete aver sì; larga speme:

deh non vogliate andar per fil di spade,

ch'in Africa non torni di noi seme.

Per tutto ne saran chiuse le strade,

se non andiam raccolti e stretti insieme:

troppo alto muro e troppo larga fossa

è; il monte e il mar, pria che tornar si possa.

 

51

Molto è; meglio morir qui, ch'ai supplici

darsi e alla discrezion di questi cani.

State saldi, per Dio, fedeli amici;

che tutti son gli altri rimedi vani.

Non han di noi più; vita gli nimici;

più; d'un'alma non han, più; di due mani. -

Così; dicendo, il giovinetto forte

al conte d'Otonlei diede la morte.

 

52

Il rimembrare Almonte così; accese

l'esercito african che fuggia prima,

che le braccia e le mani in sue difese

meglio, che rivoltar le spalle, estima.

Guglielmo da Burnich era uno Inglese

maggior di tutti, e Dardinello il cima,

e lo pareggia agli altri; e apresso taglia

il capo ad Aramon di Cornovaglia.

 

53

Morto cadea questo Aramone a valle;

e v'accorse il fratel per dargli aiuto:

ma Dardinel l'aperse per le spalle

fin giù; dove lo stomaco è; forcuto.

Poi forò; il ventre a Bogio da Vergalle,

e lo mandò; del debito assoluto:

avea promesso alla moglier fra sei

mesi, vivendo, di tornare a lei.

 

54

Vide non lungi Dardinel gagliardo

venir Lurcanio, ch'avea in terra messo

Dorchin, passato ne la gola, e Gardo

per mezzo il capo e insin ai denti fesso;

e ch'Alteo fuggir volse, ma fu tardo,

Alteo ch'amò; quanto il suo core istesso;

che dietro alla collottola gli mise

il fier Lurcanio un colpo che l'uccise.

 

55

Piglia una lancia, e va per far vendetta,

dicendo al suo Macon (s'udir lo puote),

che se morto Lurcanio in terra getta,

ne la moschea ne porrà; l'arme vote.

Poi traversando la campagna in fretta,

con tanta forza il fianco gli percuote,

che tutto il passa sin all'altra banda;

ed ai suoi, che lo spoglino, commanda.

 

56

Non è; da domandarmi, se dolere

se ne dovesse Ariodante il frate;

se desiasse di sua man potere

por Dardinel fra l'anime dannate:

ma nol lascian le genti adito avere,

non men de le 'nfedel le battezzate.

Vorria pur vendicarsi, e con la spada

di qua di là; spianando va la strada.

 

57

Urta, apre, caccia, atterra, taglia e fende

qualunque lo 'mpedisce o gli contrasta.

E Dardinel che quel disire intende,

a volerlo saziar già; non sovrasta:

ma la gran moltitudine contende

con questa ancora, e i suoi disegni guasta.

Se' Mori uccide l'un, l'altro non manco

gli Scotti uccide e il campo inglese e 'l franco.

 

58

Fortuna sempremai la via lor tolse,

che per tutto quel dì; non s'accozzaro.

A più; famosa man serbar l'un volse;

che l'uomo il suo destin fugge di raro.

Ecco Rinaldo a questa strada volse,

perch'alla vita d'un non sia riparo:

ecco Rinaldo vien: Fortuna il guida

per dargli onor che Dardinello uccida.

 

59

Ma sia per questa volta detto assai

dei gloriosi fatti di Ponente.

Tempo è; ch'io torni ove Grifon lasciai,

che tutto d'ira e di disdegno ardente

facea, con più; timor ch'avesse mai,

tumultuar la sbigottita gente.

Re Norandino a quel rumor corso era

con più; di mille armati in una schiera.

 

60

Re Norandin con la sua corte armata,

vedendo tutto 'l populo fuggire,

venne alla porta in battaglia ordinata,

e quella fece alla sua giunta aprire.

Grifone intanto avendo già; cacciata

da sé; la turba sciocca e senza ardire,

la sprezzata armatura in sua difesa

(qual la si fosse) avea di nuovo presa;

 

61

e presso a un tempio ben murato e forte,

che circondato era d'un'alta fossa,

in capo un ponticel si fece forte,

perché; chiuderlo in mezzo alcun non possa.

Ecco, gridando e minacciando forte,

fuor de la porta esce una squadra grossa.

L'animoso Grifon non muta loco,

e fa sembiante che ne tema poco.

 

62

E poi ch'avicinar questo drappello

si vide, andò; a trovarlo in su la strada;

e molta strage fattane e macello

(che menava a due man sempre la spada),

ricorso avea allo stretto ponticello,

e quindi li tenea non troppo a bada:

di nuovo usciva e di nuovo tornava;

e sempre orribil segno vi lasciava.

 

63

Quando di dritto e quando di riverso

getta or pedoni or cavallieri in terra.

Il popul contra lui tutto converso

più; e più; sempre inaspera la guerra.

Teme Grifone al fin restar sommerso:

sì; cresce il mar che d'ogn'intorno il serra;

e ne la spalla e ne la coscia manca

è; già; ferito, e pur la lena manca.

 

64

Ma la virtù;, ch'ai suoi spesso soccorre,

gli fa appo Norandin trovar perdono.

Il re, mentre al tumulto in dubbio corre,

vede che morti già; tanti ne sono:

vede le piaghe che di man d'Ettorre

pareano uscite: un testimonio buono,

che dianzi esso avea fatto indegnamente

vergogna a un cavallier molto eccellente.

 

65

Poi, come gli è; più; presso, e vede in fronte

quel che la gente a morte gli ha condutta,

e fattosene avanti orribil monte,

e di quel sangue il fosso e l'acqua brutta;

gli è; aviso di veder proprio sul ponte

Orazio sol contra Toscana tutta:

e per suo onore, e perché; gli ne 'ncrebbe,

ritrasse i suoi, né; gran fatica v'ebbe.

 

66

Ed alzando la man nuda e senz'arme,

antico segno di tregua o di pace,

disse a Grifon: - Non so, se non chiamarme

d'avere il torto, e dir che mi dispiace:

ma il mio poco giudicio, e lo istigarme

altrui, cadere in tanto error mi face.

Quel che di fare io mi credea al più; vile

guerrier del mondo, ho fatto al più; gentile.

 

67

E se bene alla ingiuria ed a quell'onta

ch'oggi fatta ti fu per ignoranza,

l'onor che ti fai qui s'adegua e sconta,

o (per più; vero dir) supera e avanza;

la satisfazion ci serà; pronta

a tutto mio sapere e mia possanza,

quando io conosca di poter far quella

per oro o per cittadi o per castella.

 

68

Chiedimi la metà; di questo regno,

ch'io son per fartene oggi possessore;

che l'alta tua virtù; non ti fa degno

di questo sol, ma ch'io ti doni il core:

e la tua mano in questo mezzo, pegno

di fé; mi dona e di perpetuo amore. -

Così; dicendo, da cavallo scese,

e vêr Grifon la destra mano stese.

 

69

Grifon, vedendo il re fatto benigno

venirgli per gittar le braccia al collo,

lasciò; la spada e l'animo maligno,

e sotto l'anche ed umile abbracciollo.

Lo vide il re di due piaghe sanguigno,

e tosto fe' venir chi medicollo;

indi portar ne la cittade adagio,

e riposar nel suo real palagio.

 

70

Dove, ferito, alquanti giorni, inante

che si potesse armar, fece soggiorno.

Ma lascio lui, ch'al suo frate Aquilante

ed ad Astolfo in Palestina torno,

che di Grifon, poi che lasciò; le sante

mura, cercare han fatto più; d'un giorno

in tutti i lochi in Solima devoti,

e in molti ancor da la città; remoti.

 

71

Or né; l'uno né; l'altro è; sì; indovino,

che di Grifon possa saper che sia:

ma venne lor quel Greco peregrino,

nel ragionare, a caso a darne spia,

dicendo ch'Orrigille avea il camino

verso Antiochia preso di Soria,

d'un nuovo drudo, ch'era di quel loco,

di subito arsa e d'improviso fuoco.

 

72

Dimandò;gli Aquilante, se di questo

così; notizia avea data a Grifone:

e come l'affermò;, s'avisò; il resto,

perché; fosse partito, e la cagione.

Ch'Orrigille ha seguito è; manifesto

in Antiochia con intenzione

di levarla di man del suo rivale

con gran vendetta e memorabil male.

 

73

Non tolerò; Aquilante che 'l fratello

solo e senz'esso a quell'impresa andasse;

e prese l'arme, e venne dietro a quello:

ma prima pregò; il duca che tardasse

l'andata in Francia ed al paterno ostello,

fin ch'esso d'Antiochia ritornasse.

Scende al Zaffo e s'imbarca, che gli pare

e più; breve e miglior la via del mare.

 

74

Ebbe un ostro-silocco allor possente

tanto nel mare, e sì; per lui disposto,

che la terra del Surro il dì; seguente

vide e Saffetto, un dopo l'altro tosto.

Passa Barutti e il Zibeletto, e sente

che da man manca gli è; Cipro discosto.

A Tortosa da Tripoli, e alla Lizza

e al golfo di Laiazzo il camin drizza.

 

75

Quindi a levante fe' il nocchier la fronte

del navilio voltar snello e veloce;

ed a sorger n'andò; sopra l'Oronte,

e colse il tempo, e ne pigliò; la foce.

Gittar fece Aquilante in terra il ponte,

e n'uscì; armato sul destrier feroce;

e contra il fiume il camin dritto tenne,

tanto ch'in Antiochia se ne venne.

 

76

Di quel Martano ivi ebbe ad informarse;

ed udì; ch'a Damasco se n'era ito

con Orrigille, ove una giostra farse

dovea solenne per reale invito.

Tanto d'andargli dietro il desir l'arse,

certo che 'l suo german l'abbia seguito,

che d'Antiochia anco quel dì; si tolle;

ma già; per mar più; ritornar non volle.

 

77

Verso Lidia e Larissa il camin piega:

resta più; sopra Aleppe ricca e piena.

Dio, per mostrar ch'ancor di qua non niega

mercede al bene, ed al contrario pena,

Martano appresso a Mamuga una lega

ad incontrarsi in Aquilante mena.

Martano si facea con bella mostra

portare inanzi il pregio de la giostra.

 

78

Pensò; Aquilante al primo comparire,

che 'l vil Martano il suo fratello fosse;

che l'ingannaron l'arme, e quel vestire

candido più; che nievi ancor non mosse:

e con quell'oh! che d'allegrezza dire

si suole, incominciò;; ma poi cangiosse

tosto di faccia e di parlar, ch'appresso

s'avide meglio, che non era desso.

 

79

Dubitò; che per fraude di colei

ch'era con lui, Grifon gli avesse ucciso;

e: - Dimmi (gli gridò;) tu ch'esser dé;i

un ladro e un traditor, come n'hai viso,

onde hai quest'arme avute? onde ti sei

sul buon destrier del mio fratello assiso?

Dimmi se 'l mio fratello è; morto o vivo;

come de l'arme e del destrier l'hai privo. -

 

80

Quando Orrigille udì; l'irata voce,

a dietro il palafren per fuggir volse;

ma di lei fu Aquilante più; veloce,

e fecela fermar, volse o non volse.

Martano al minacciar tanto feroce

del cavallier, che sì; improviso il colse,

pallido triema, come al vento fronda,

né; sa quel che si faccia o che risponda.

 

81

Grida Aquilante, e fulminar non resta,

e la spada gli pon dritto alla strozza;

e giurando minaccia che la testa

ad Orrigille e a lui rimarrà; mozza,

se tutto il fatto non gli manifesta.

Il mal giunto Martano alquanto ingozza,

e tra sé; volve se può; sminuire

sua grave colpa, e poi comincia a dire:

 

82

- Sappi, signor, che mia sorella è; questa,

nata di buona e virtuosa gente,

ben che tenuta in vita disonesta

l'abbia Grifone obbrobriosamente:

e tale infamia essendomi molesta,

né; per forza sentendomi possente

di torla a sì; grande uom, feci disegno

d'averla per astuzia e per ingegno.

 

83

Tenni modo con lei, ch'avea desire

di ritornare a più; lodata vita,

ch'essendosi Grifon messo a dormire,

chetamente da lui fêsse partita.

Così; fece ella; e perché; egli a seguire

non n'abbia, ed a turbar la tela ordita,

noi lo lasciammo disarmato e a piedi;

e qua venuti sià;n, come tu vedi. -

 

84

Poteasi dar di somma astuzia vanto,

che colui facilmente gli credea;

e, fuor che 'n torgli arme e destrier e quanto

tenesse di Grifon, non gli nocea;

se non volea pulir sua scusa tanto,

che la facesse di menzogna rea:

buona era ogn'altra parte, se non quella

che la femina a lui fosse sorella.

 

85

Avea Aquilante in Antiochia inteso

essergli concubina, da più; genti;

onde gridando, di furore acceso:

- Falsissimo ladron, tu te ne menti! -

un pugno gli tirò; di tanto peso,

che ne la gola gli cacciò; duo denti:

e senza più; contesa, ambe le braccia

gli volge dietro, e d'una fune allaccia;

 

86

e parimente fece ad Orrigille,

ben che in sua scusa ella dicesse assai.

Quindi li trasse per casali e ville,

né; li lasciò; fin a Damasco mai;

e de le miglia mille volte mille

tratti gli avrebbe con pene e con guai,

fin ch'avesse trovato il suo fratello,

per farne poi come piacesse a quello.

 

87

Fece Aquilante lor scudieri e some

seco tornare, ed in Damasco venne,

e trovò; di Grifon celebre il nome

per tutta la città; batter le penne:

piccoli e grandi, ognun sapea già; come

egli era, che sì; ben corse l'antenne,

ed a cui tolto fu con falsa mostra

dal compagno la gloria de la giostra.

 

88

Il popul tutto al vil Martano infesto,

l'uno all'altro additandolo, lo scuopre.

- Non è; (dicean), non è; il ribaldo questo,

che si fa laude con l'altrui buone opre?

e la virtù; di chi non è; ben desto,

con la sua infamia e col suo obbrobrio copre?

Non è; l'ingrata femina costei,

la qual tradisce i buoni e aiuta i rei? -

 

89

Altri dicean: - Come stan bene insieme

segnati ambi d'un marchio e d'una razza! -

Chi li bestemmia, chi lor dietro freme,

chi grida: - Impicca, abrucia, squarta, amazza! -

La turba per veder s'urta, si preme,

e corre inanzi alle strade, alla piazza.

Venne la nuova al re, che mostrò; segno

d'averla cara più; ch'un altro regno.

 

90

Senza molti scudier dietro o davante,

come si ritrovò;, si mosse in fretta,

e venne ad incontrarsi in Aquilante,

ch'avea del suo Grifon fatto vendetta;

e quello onora con gentil sembiante,

seco lo 'nvita, e seco lo ricetta;

di suo consenso avendo fatto porre

i duo prigioni in fondo d'una torre.

 

91

Andaro insieme ove del letto mosso

Grifon non s'era, poi che fu ferito,

che vedendo il fratel, divenne rosso;

che ben stimò; ch'avea il suo caso udito.

E poi che motteggiando un poco adosso

gli andò; Aquilante, messero a partito

di dare a quelli duo iusto martoro,

venuti in man degli avversari loro.

 

92

Vuole Aquilante, vuole il re che mille

strazi ne sieno fatti; ma Grifone

(perché; non osa dir sol d'Orrigille)

all'uno e all'altro vuol che si perdone.

Disse assai cose, e molto ben ordille;

fugli risposto; or per conclusione

Martano è; disegnato in mano al boia,

ch'abbia a scoparlo, e non però; che moia.

 

93

Legar lo fanno, e non tra' fiori e l'erba,

e per tutto scopar l'altra matina.

Orrigille captiva si riserba

fin che ritorni la bella Lucina,

al cui saggio parere, o lieve o acerba,

rimetton quei signor la disciplina.

Quivi stette Aquilante a ricrearsi

fin che 'l fratel fu sano e poté; armarsi.

 

94

Re Norandin, che temperato e saggio

divenuto era dopo un tanto errore,

non potea non aver sempre il coraggio

di penitenza pieno e di dolore,

d'aver fatto a colui danno ed oltraggio,

che degno di mercede era e d'onore:

sì; che dì; e notte avea il pensiero intento

par farlo rimaner di sé; contento.

 

95

E statuì; nel publico cospetto

de la città;, di tanta ingiuria rea,

con quella maggior gloria ch'a perfetto

cavallier per un re dar si potea,

di rendergli quel premio ch'intercetto

con tanto inganno il traditor gli avea:

e perciò; fe' bandir per quel paese,

che faria un'altra giostra indi ad un mese.

 

96

Di ch'apparecchio fa tanto solenne,

quanto a pompa real possibil sia:

onde la Fama con veloci penne

portò; la nuova per tutta Soria;

ed in Fenicia e in Palestina venne,

e tanto, ch'ad Astolfo ne diè; spia,

il qual col viceré; deliberosse

che quella giostra senza lor non fosse.

 

97

Per guerrier valoroso e di gran nome

la vera istoria Sansonetto vanta.

Gli diè; battesmo Orlando, e Carlo (come

v'ho detto) a governar la Terra Santa.

Astolfo con costui levò; le some,

per ritrovarsi ove la Fama canta,

sì; che d'intorno n'ha piena ogni orecchia,

ch'in Damasco la giostra s'apparecchia.

 

98

Or cavalcando per quelle contrade

con non lunghi viaggi, agiati e lenti,

per ritrovarsi freschi alla cittade

poi di Damasco il dì; de' torniamenti,

scontraro in una croce di due strade

persona ch'al vestire e a' movimenti

avea sembianza d'uomo, e femin' era,

ne le battaglie a maraviglia fiera.

 

99

La vergine Marfisa si nomava,

di tal valor, che con la spada in mano

fece più; volte al gran signor di Brava

sudar la fronte e a quel di Montalbano;

e 'l dì; e la notte armata sempre andava

di qua di là; cercando in monte e in piano

con cavallieri erranti riscontrarsi,

ed immortale e gloriosa farsi.

 

100

Com'ella vide Astolfo e Sansonetto,

ch'appresso le venian con l'arme indosso,

prodi guerrier le parvero all'aspetto;

ch'erano ambeduo grandi e di buono osso:

e perché; di provarsi avria diletto,

per isfidarli avea il destrier già; mosso;

quando, affissando l'occhio più; vicino,

conosciuto ebbe il duca paladino.

 

101

De la piacevolezza le sovenne

del cavallier, quando al Catai seco era:

e lo chiamò; per nome, e non si tenne

la man nel guanto, e alzossi la visiera;

e con gran festa ad abbracciarlo venne,

come che sopra ogn'altra fosse altiera.

Non men da l'altra parte riverente

fu il paladino alla donna eccellente.

 

102

Tra lor si domandaron di lor via:

e poi ch'Astolfo, che prima rispose,

narrò; come a Damasco se ne gì;a,

dove le genti in arme valorose

avea invitato il re de la Soria

a dimostrar lor opre virtuose;

Marfisa, sempre a far gran pruove accesa,

- Voglio esser con voi (disse) a questa impresa. -

 

103

Sommamente ebbe Astolfo grata questa

compagna d'arme, e così; Sansonetto.

Furo a Damasco il dì; inanzi la festa,

e di fuora nel borgo ebbon ricetto:

e sin all'ora che dal sonno desta

l' Aurora il vecchiarel già; suo diletto,

quivi si riposar con maggior agio,

che se smontati fossero al palagio.

 

104

E poi che 'l nuovo sol lucido e chiaro

per tutto sparsi ebbe i fulgenti raggi,

la bella donna e i duo guerrier s'armaro,

mandato avendo alla città; messaggi;

che, come tempo fu, lor rapportaro

che per veder spezzar frassini e faggi

re Norandino era venuto al loco

ch'avea costituito al fiero gioco.

 

105

Senza più; indugio alla città; ne vanno,

e per la via maestra alla gran piazza,

dove aspettando il real segno stanno

quinci e quindi i guerrier di buona razza.

I premi che quel giorno si daranno

a chi vince, è; uno stocco ed una mazza

guerniti riccamente, e un destrier, quale

sia convenevol dono a un signor tale.

 

106

Avendo Norandin fermo nel core

che, come il primo pregio, il secondo anco,

e d'ambedue le giostre il sommo onore

si debba guadagnar Grifone il bianco;

per dargli tutto quel ch'uom di valore

dovrebbe aver, né; debbe far con manco,

posto con l'arme in questo ultimo pregio

ha stocco e mazza e destrier molto egregio.

 

107

L'arme che ne la giostra fatta dianzi

si doveano a Grifon che 'l tutto vinse,

e che usurpate avea con tristi avanzi

Martano che Grifone esser si finse,

quivi si fece il re pendere inanzi,

e il ben guernito stocco a quelle cinse,

e la mazza all'arcion del destrier messe,

perché; Grifon l'un pregio e l'altro avesse.

 

108

Ma che sua intenzione avesse effetto

vietò; quella magnanima guerriera,

che con Astolfo e col buon Sansonetto

in piazza nuovamente venuta era.

Costei, vedendo l'arme ch'io v'ho detto,

subito n'ebbe conoscenza vera:

però; che già; sue furo, e l'ebbe care

quanto si suol le cose ottime e rare;

 

109

ben che l'avea lasciate in su la strada

a quella volta che le fur d'impaccio,

quando per riaver sua buona spada

correa dietro a Brunel degno di laccio.

Questa istoria non credo che m'accada

altrimenti narrar; però; la taccio.

Da me vi basti intendere a che guisa

quivi trovasse l'arme sue Marfisa.

 

110

Intenderete ancor, che come l'ebbe

riconosciute a manifeste note,

per altro che sia al mondo, non le avrebbe

lasciate un dì; di sua persona vote.

Se più; tenere un modo o un altro debbe

per racquistarle, ella pensar non puote:

ma se gli accosta a un tratto, e la man stende,

e senz'altro rispetto se le prende;

 

111

e per la fretta ch'ella n'ebbe, avenne

ch'altre ne prese, altre mandonne in terra.

Il re, che troppo offeso se ne tenne,

con uno sguardo sol le mosse guerra;

che 'l popul, che l'ingiuria non sostenne,

per vendicarlo e lance e spade afferra,

non rammentando ciò; ch'i giorni inanti

nocque il dar noia ai cavallieri erranti.

 

112

Né; fra vermigli fiori, azzurri e gialli

vago fanciullo alla stagion novella,

né; mai si ritrovò; fra suoni e balli

più; volentieri ornata donna e bella;

che fra strepito d'arme e di cavalli,

e fra punte di lance e di quadrella,

dove si sparga sangue e si dia morte,

costei si truovi, oltre ogni creder forte.

 

113

Spinge il cavallo, e ne la turba sciocca

con l'asta bassa impetuosa fere;

e chi nel collo e chi nel petto imbrocca,

e fa con l'urto or questo or quel cadere:

poi con la spada uno ed un altro tocca,

e fa qual senza capo rimanere,

e qual rotto, e qual passato al fianco,

e qual del braccio privo o destro o manco.

 

114

L'ardito Astolfo e il forte Sansonetto,

ch'avean con lei vestita e piastra e maglia,

ben che non venner già; per tal effetto,

pur, vedendo attaccata la battaglia,

abbassan la visiera de l'elmetto,

e poi la lancia per quella canaglia;

ed indi van con la tagliente spada

di qua di là; facendosi far strada.

 

115

I cavallieri di nazion diverse,

ch'erano per giostrar quivi ridutti,

vedendo l'arme in tal furor converse,

e gli aspettati giuochi in gravi lutti

(che la cagion ch'avesse di dolerse

la plebe irata non sapeano tutti,

né; ch'al re tanta ingiuria fosse fatta),

stavan con dubbia mente e stupefatta.

 

116

Di ch'altri a favorir la turba venne,

che tardi poi non se ne fu a pentire;

altri, a cui la città; più; non attenne

che gli stranieri, accorse a dipartire;

altri, più; saggio, in man la briglia tenne,

mirando dove questo avesse a uscire.

Di quelli fu Grifone ed Aquilante,

che per vendicar l'arme andaro inante.

 

117

Essi vedendo il re che di veneno

avea le luci inebriate e rosse,

ed essendo da molti istrutti a pieno

de la cagion che la discordia mosse,

e parendo a Grifon che sua, non meno

che del re Norandin, l'ingiuria fosse;

s'avean le lance fatte dar con fretta,

e venian fulminando alla vendetta.

 

118

Astolfo d'altra parte Rabicano

venì;a spronando a tutti gli altri inante,

con l'incantata lancia d'oro in mano,

ch'al fiero scontro abbatte ogni giostrante.

Ferì; con essa e lasciò; steso al piano

prima Grifone, e poi trovò; Aquilante;

e de lo scudo toccò; l'orlo a pena,

che lo gittò; riverso in su l'arena.

 

119

I cavallier di pregio e di gran pruova

votan le selle inanzi a Sansonetto.

L'uscita de la piazza il popul truova:

il re n'arrabbia d'ira e di dispetto.

Con la prima corazza e con la nuova

Marfisa intanto, e l'uno e l'altro elmetto,

poi che si vide a tutti dare il tergo,

vincitrice venì;a verso l'albergo.

 

120

Astolfo e Sansonetto non fur lenti

a seguitarla, e seco a ritornarsi

verso la porta (che tutte le genti

gli davan loco), ed al rastrel fermarsi.

Aquilante e Grifon, troppo dolenti

di vedersi a uno incontro riversarsi,

tenean per gran vergogna il capo chino,

né; ardian venire inanzi a Norandino.

 

121

Presi e montati c'hanno i lor cavalli,

spronano dietro agli nimici in fretta.

Li segue il re con molti suoi vasalli,

tutti pronti o alla morte o alla vendetta.

La sciocca turba grida: - Dà;lli dà;lli -;

e sta lontana, e le novelle aspetta.

Grifone arriva ove volgean la fronte

i tre compagni, ed avean preso il ponte.

 

122

A prima giunta Astolfo raffigura,

ch'avea quelle medesime divise,

avea il cavallo, avea quella armatura

ch'ebbe dal dì; ch'Orril fatale uccise.

Né; miratol, né; posto gli avea cura,

quando in piazza a giostrar seco si mise:

quivi il conobbe e salutollo; e poi

gli domandò; de li compagni suoi;

 

123

e perché; tratto avean quell'arme a terra,

portando al re sì; poca riverenza.

Di suoi compagni il duca d'Inghilterra

diede a Grifon non falsa conoscenza:

de l'arme ch'attaccate avean la guerra,

disse che non n'avea troppa scienza;

ma perché; con Marfisa era venuto,

dar le volea con Sansonetto aiuto.

 

124

Quivi con Grifon stando il paladino,

viene Aquilante, e lo conosce tosto

che parlar col fratel l'ode vicino,

e il voler cangia, ch'era mal disposto.

Giungean molti di quei di Norandino,

ma troppo non ardian venire accosto;

e tanto più;, vedendo i parlamenti,

stavano cheti, e per udire intenti.

 

125

Alcun ch'intende quivi esser Marfisa,

che tiene al mondo il vanto in esser forte,

volta il cavallo, e Norandino avisa

che s'oggi non vuol perder la sua corte,

proveggia, prima che sia tutta uccisa,

di man trarla a Tesifone e alla Morte;

perché; Marfisa veramente è; stata,

che l'armatura in piazza gli ha levata.

 

126

Come re Norandino ode quel nome

così; temuto per tutto Levante,

che facea a molti anco arricciar le chiome,

ben che spesso da lor fosse distante,

è; certo che ne debbia venir come

dice quel suo, se non provede inante;

però; gli suoi, che già; mutata l'ira

hanno in timore, a sé; richiama e tira.

 

127

Da l'altra parte i figli d'Oliviero

con Sansonetto e col figliuol d'Otone,

supplicando a Marfisa, tanto fero,

che si diè; fine alla crudel tenzone.

Marfisa, giunta al re, con viso altiero

disse: - Io non so, signor, con che ragione

vogli quest'arme dar, che tue non sono,

al vincitor de le tue giostre in dono.

 

128

Mie sono l'arme, e 'n mezzo de la via

che vien d'Armenia, un giorno le lasciai,

perché; seguire a piè; mi convenia

un rubator che m'avea offesa assai:

e la mia insegna testimon ne fia,

che qui si vede, se notizia n'hai. -

E la mostrò; ne la corazza impressa,

ch'era in tre parti una corona fessa.

 

129

- Gli è; ver (rispose il re) che mi fur date,

son pochi dì;, da un mercatante armeno;

e se voi me l'avesse domandate,

l'avreste avute, o vostre o no che siè;no;

ch'avenga ch'a Grifon già; l'ho donate,

ho tanta fede in lui, che nondimeno,

acciò; a voi darle avessi anche potuto,

volentieri il mio don m'avria renduto.

 

130

Non bisogna allegar, per farmi fede

che vostre sien, che tengan vostra insegna:

basti il dirmelo voi; che vi si crede

più; ch'a qual altro testimonio vegna.

Che vostre sian vostr'arme si concede

alla virtù; di maggior premio degna.

Or ve l'abbiate, e più; non si contenda;

e Grifon maggior premio da me prenda. -

 

131

Grifon che poco a cor avea quell'arme,

ma gran disio che 'l re si satisfaccia,

gli disse: - Assai potete compensarme,

se mi fate saper ch'io vi compiaccia. -

Tra sé; disse Marfisa: - Esser qui parme

l'onor mio in tutto: - e con benigna faccia

volle a Grifon de l'arme esser cortese;

e finalmente in don da lui le prese.

 

132

Ne la città; con pace e con amore

tornaro, ove le feste raddoppiarsi.

Poi la giostra si fe', di che l'onore

e 'l pregio Sansonetto fece darsi;

ch'Astolfo e i duo fratelli e la migliore

di lor, Marfisa, non volson provarsi,

cercando, com'amici e buon compagni,

che Sansonetto il pregio ne guadagni.

 

133

Stati che sono in gran piacere e in festa

con Norandino otto giornate o diece,

perché; l'amor di Francia gli molesta,

che lasciar senza lor tanto non lece,

tolgon licenza; e Marfisa, che questa

via disiava, compagnia lor fece.

Marfisa avuto avea lungo disire

al paragon dei paladin venire;

 

134

e far esperienza se l'effetto

si pareggiava a tanta nominanza.

Lascia un altro in suo loco Sansonetto,

che di Ierusalem regga la stanza.

Or questi cinque in un drappello eletto,

che pochi pari al mondo han di possanza,

licenziati dal re Norandino,

vanno a Tripoli e al mar che v'è; vicino.

 

135

E quivi una caracca ritrovaro,

che per Ponente mercanzie raguna.

Per loro e pei cavalli s'accordaro

con un vecchio patron ch'era da Luna.

Mostrava d'ogn'intorno il tempo chiaro,

ch'avrian per molti dì; buona fortuna.

Sciolser dal lito, avendo aria serena,

e di buon vento ogni lor vela piena.

 

136

L'isola sacra all'amorosa dea

diede lor sotto un'aria il primo porto,

che non ch'a offender gli uomini sia rea,

ma stempra il ferro, e quivi è; 'l viver corto.

Cagion n'è; un stagno: e certo non dovea

Natura a Famagosta far quel torto

d'appressarvi Costanza acre e maligna,

quando al resto di Cipro è; sì; benigna.

 

137

Il grave odor che la palude esala

non lascia al legno far troppo soggiorno.

Quindi a un greco-levante spiegò; ogni ala,

volando da man destra a Cipro intorno,

e surse a Pafo, e pose in terra scala;

e i naviganti uscir nel lito adorno,

chi per merce levar, chi per vedere

la terra d'amor piena e di piacere.

 

138

Dal mar sei miglia o sette, a poco a poco

si va salendo inverso il colle ameno.

Mirti e cedri e naranci e lauri il loco,

e mille altri soavi arbori han pieno.

Serpillo e persa e rose e gigli e croco

spargon da l'odorifero terreno

tanta suavità;, ch'in mar sentire

la fa ogni vento che da terra spire.

 

139

Da limpida fontana tutta quella

piaggia rigando va un ruscel fecondo.

Ben si può; dir che sia di Vener bella

il luogo dilettevole e giocondo;

che v'è; ogni donna affatto, ogni donzella

piacevol più; ch'altrove sia nel mondo:

e fa la dea che tutte ardon d'amore,

giovani e vecchie, infino all'ultime ore.

 

140

Quivi odono il medesimo ch'udito

di Lucina e de l'Orco hanno in Soria,

e come di tornare ella a marito

facea nuovo apparecchio in Nicosia.

Quindi il padrone (essendosi espedito,

e spirando buon vento alla sua via)

l'ancore sarpa, e fa girar la proda

verso ponente, ed ogni vela snoda.

 

141

Al vento di maestro alzò; la nave

le vele all'orza, ed allargossi in alto.

Un ponente-libecchio, che soave

parve a principio e fin che 'l sol stette alto,

e poi si fe' verso la sera grave,

le leva incontra il mar con fiero assalto,

con tanti tuoni e tanto ardor di lampi,

che par che 'l ciel si spezzi e tutto avampi.

 

142

Stendon le nubi un tenebroso velo

che né; sole apparir lascia né; stella.

Di sotto il mar, di sopra mugge il cielo,

il vento d'ogn'intorno, e la procella

che di pioggia oscurissima e di gelo

i naviganti miseri flagella:

e la notte più; sempre si diffonde

sopra l'irate e formidabil onde.

 

143

I naviganti a dimostrare effetto

vanno de l'arte in che lodati sono:

chi discorre fischiando col fraschetto,

e quanto han gli altri a far, mostra col suono;

chi l'ancore apparechia da rispetto,

e chi al mainare e chi alla scotta è; buono;

chi 'l timone, chi l'arbore assicura,

chi la coperta di sgombrare ha cura.

 

144

Crebbe il tempo crudel tutta la notte,

caliginosa e più; scura ch'inferno.

Tien per l'alto il padrone, ove men rotte

crede l'onde trovar, dritto il governo;

e volta ad or ad or contra le botte

del mar la proda, e de l'orribil verno,

non senza speme mai che, come aggiorni,

cessi fortuna, o più; placabil torni.

 

145

Non cessa e non si placa, e più; furore

mostra nel giorno, se pur giorno è; questo,

che si conosce al numerar de l'ore,

non che per lume già; sia manifesto.

Or con minor speranza e più; timore

si dà; in poter del vento il padron mesto:

volta la poppa all'onde, e il mar crudele

scorrendo se ne va con umil vele.

 

146

Mentre Fortuna in mar questi travaglia,

non lascia anco posar quegli altri in terra,

che sono in Francia, ove s'uccide e taglia

coi Saracini il popul d'Inghilterra.

Quivi Rinaldo assale, apre e sbaraglia

le schiere avverse, e le bandiere atterra.

Dissi di lui, che 'l suo destrier Baiardo

mosso avea contra a Dardinel gagliardo.

 

147

Vide Rinaldo il segno del quartiero,

di che superbo era il figliuol d'Almonte;

e lo stimò; gagliardo e buon guerriero,

che concorrer d'insegna ardia col conte.

Venne più; appresso, e gli parea più; vero;

ch'avea d'intorno uomini uccisi a monte.

- Meglio è; (gridò;) che prima io svella e spenga

questo mal germe, che maggior divenga.