-
148
Dovunque il viso drizza il paladino,
levasi ognuno, e gli dà; larga strada;
né; men sgombra il fedel, che 'l Saracino,
si reverita è; la famosa spada.
Rinaldo, fuor che Dardinel meschino,
non vede alcuno, e lui seguir non bada.
Grida: - Fanciullo, gran briga ti diede
chi ti lasciò; di questo scudo erede.
149
Vengo a te per provar, se tu m'attendi,
come ben guardi il quartier rosso e bianco;
che s'ora contra me non lo difendi,
difender contra Orlando il potrai manco. -
Rispose Dardinello: - Or chiaro apprendi
che s'io lo porto, il so difender anco;
e guadagnar più; onor, che briga, posso
del paterno quartier candido e rosso.
150
Perché; fanciullo io sia, non creder farme
però; fuggire, o che 'l quartier ti dia:
la vita mi torrai, se mi toi l'arme;
ma spero in Dio ch'anzi il contrario fia.
Sia quel che vuol, non potrà; alcun biasmarme
che mai traligni alla progenie mia. -
Così; dicendo, con la spada in mano
assalse il cavallier da Montalbano.
151
Un timor freddo tutto 'l sangue oppresse,
che gli Africani aveano intorno al core,
come vider Rinaldo che si messe
con tanta rabbia incontra a quel signore,
con quanta andria un leon ch'al prato avesse
visto un torel ch'ancor non senta amore.
Il primo che ferì;, fu 'l Saracino;
ma picchiò; invan su l'elmo di Mambrino.
152
Rise Rinaldo, e disse: - Io vo' tu senta,
s'io so meglio di te trovar la vena. -
Sprona, e a un tempo al destrier la briglia allenta,
e d'una punta con tal forza mena,
d'una punta ch'al petto gli appresenta,
che gli la fa apparir dietro alla schena.
Quella trasse, al tornar, l'alma col sangue:
di sella il corpo uscì; freddo ed esangue.
153
Come purpureo fior languendo muore,
che 'l vomere al passar tagliato lassa;
o come carco di superchio umore
il papaver ne l'orto il capo abbassa:
così;, giù; de la faccia ogni colore
cadendo, Dardinel di vita passa;
passa di vita, e fa passar con lui
l'ardire e la virtù; de tutti i sui.
154
Qual soglion l'acque per umano ingegno
stare ingorgate alcuna volta e chiuse,
che quando lor vien poi rotto il sostegno,
cascano, e van con gran rumor difuse;
tal gli African, ch'avean qualche ritegno
mentre virtù; lor Dardinello infuse,
ne vanno or sparti in questa parte e in quella,
che l'han veduto uscir morto di sella.
155
Chi vuol fuggir, Rinaldo fuggir lassa,
ed attende a cacciar chi vuol star saldo.
Si cade ovunque Ariodante passa,
che molto va quel dì; presso a Rinaldo.
Altri Lionetto, altri Zerbin fracassa,
a gara ognuno a far gran prove caldo.
Carlo fa il suo dover, lo fa Oliviero,
Turpino e Guido e Salamone e Ugiero.
156
I Mori fur quel giorno in gran periglio
che 'n Pagania non ne tornasse testa;
ma 'l saggio re di Spagna dà; di piglio,
e se ne va con quel che in man gli resta.
Restar in danno tien miglior consiglio,
che tutti i denar perdere e la vesta:
meglio è; ritrarsi e salvar qualche schiera,
che, stando, esser cagion che 'l tutto pè;ra.
157
Verso gli alloggiamenti i segni invia,
ch'eron serrati d'argine e di fossa,
con Stordilan, col re d'Andologia,
col Portughese in una squadra grossa.
Manda a pregar il re di Barbaria,
che si cerchi ritrar meglio che possa;
e se quel giorno la persona e 'l loco
potrà; salvar, non avrà; fatto poco.
158
Quel re che si tenea spacciato al tutto,
né; mai credea più; riveder Biserta,
che con viso sì; orribile e sì; brutto
unquanco non avea Fortuna esperta,
s'allegrò; che Marsilio avea ridutto
parte del campo in sicurezza certa:
ed a ritrarsi cominciò;, e a dar volta
alle bandiere, e fe' sonar raccolta.
159
Ma la più; parte de la gente rotta
né; tromba né; tambur né; segno ascolta:
tanta fu la viltà;, tanta la dotta,
ch'in Senna se ne vide affogar molta.
Il re Agramante vuol ridur la frotta:
seco ha Sobrino, e van scorrendo in volta;
e con lor s'affatica ogni buon duca,
che nei ripari il campo si riduca.
160
Ma né; il re, né; Sobrin, né; duca alcuno
con prieghi, con minacce, con affanno
ritrar può; il terzo, non ch'io dica ognuno,
dove l'insegne mal seguite vanno.
Morti o fuggiti ne son dua, per uno
che ne rimane, e quel non senza danno:
ferito è; chi di dietro e chi davanti;
ma travagliati e lassi tutti quanti.
161
E con gran tema fin dentro alle porte
dei forti alloggiamenti ebbon la caccia:
ed era lor quel luogo anco mal forte,
con ogni proveder che vi si faccia
(che ben pigliar nel crin la buona sorte
Carlo sapea, quando volgea la faccia),
se non venia la notte tenebrosa,
che staccò; il fatto, ed acquetò; ogni cosa;
162
dal Creator accelerata forse,
che de la sua fattura ebbe pietade.
Ondeggiò; il sangue per campagna, e corse
come un gran fiume, e dilagò; le strade.
Ottantamila corpi numerorse,
che fur quel dì; messi per fil di spade.
Villani e lupi uscir poi de le grotte
a dispogliargli e a devorar la notte.
163
Carlo non torna più; dentro alla terra,
ma contra gli nimici fuor s'accampa,
ed in assedio le lor tende serra,
ed alti e spessi fuochi intorno avampa.
Il pagan si provede, e cava terra,
fossi e ripari e bastioni stampa;
va rivedendo, e tien le guardie deste,
né; tutta notte mai l'arme si sveste.
164
Tutta la notte per gli alloggiamenti
dei malsicuri Saracini oppressi
si versan pianti, gemiti e lamenti,
ma quanto più; si può;, cheti e soppressi.
Altri, perché; gli amici hanno e i parenti
lasciati morti, ed altri per se stessi,
che son feriti, e con disagio stanno:
ma più; è; la tema del futuro danno.
165
Duo Mori ivi fra gli altri si trovaro,
d'oscura stirpe nati in Tolomitta;
de' quai l'istoria, per esempio raro
di vero amore, è; degna esser descritta.
Cloridano e Medor si nominaro,
ch'alla fortuna prospera e alla afflitta
aveano sempre amato Dardinello,
ed or passato in Francia il mar con quello.
166
Cloridan, cacciator tutta sua vita,
di robusta persona era ed isnella:
Medoro avea la guancia colorita
e bianca e grata ne la età; novella;
e fra la gente a quella impresa uscita
non era faccia più; gioconda e bella:
occhi avea neri, e chioma crespa d'oro:
angel parea di quei del sommo coro.
167
Erano questi duo sopra i ripari
con molti altri a guardar gli alloggiamenti,
quando la Notte fra distanze pari
mirava il ciel con gli occhi sonnolenti.
Medoro quivi in tutti i suoi parlari
non può; far che 'l signor suo non rammenti,
Dardinello d'Almonte, e che non piagna
che resti senza onor ne la campagna.
168
Volto al cornpagno, disse: - O Cloridano,
io non ti posso dir quanto m'incresca
del mio signor, che sia rimaso al piano,
per lupi e corbi, ohimé;! troppo degna esca.
Pensando come sempre mi fu umano,
mi par che quando ancor questa anima esca
in onor di sua fama, io non compensi
né; sciolga verso lui gli oblighi immensi.
169
Io voglio andar, perché; non stia insepulto
in mezzo alla campagna, a ritrovarlo:
e forse Dio vorrà; ch'io vada occulto
là; dove tace il campo del re Carlo.
Tu rimarrai; che quando in ciel sia sculto
ch'io vi debba morir, potrai narrarlo:
che se Fortuna vieta sì; bell'opra,
per fama almeno il mio buon cor si scuopra. -
170
Stupisce Cloridan, che tanto core,
tanto amor, tanta fede abbia un fanciullo:
e cerca assai, perché; gli porta amore,
di fargli quel pensiero irrito e nullo;
ma non gli val, perch'un sì; gran dolore
non riceve conforto né; trastullo.
Medoro era disposto o di morire,
o ne la tomba il suo signor coprire.
171
Veduto che nol piega e che nol muove,
Cloridan gli risponde: - E verrò; anch'io,
anch'io vuo' pormi a sì; lodevol pruove,
anch'io famosa morte amo e disio.
Qual cosa sarà; mai che più; mi giove,
s'io resto senza te, Medoro mio?
Morir teco con l'arme è; meglio molto,
che poi di duol, s'avvien che mi sii tolto. -
172
Così; disposti, messero in quel loco
le successive guardie, e se ne vanno.
Lascian fosse e steccati, e dopo poco
tra' nostri son, che senza cura stanno.
Il campo dorme, e tutto è; spento il fuoco,
perché; dei Saracin poca tema hanno.
Tra l'arme e' carriaggi stan roversi,
nel vin, nel sonno insino agli occhi immersi.
173
Fermossi alquanto Cloridano, e disse:
- Non son mai da lasciar l'occasioni.
Di questo stuol che 'l mio signor trafisse,
non debbo far, Medoro, occisioni?
Tu, perché; sopra alcun non ci venisse,
gli occhi e l'orecchi in ogni parte poni;
ch'io m'offerisco farti con la spada
tra gli nimici spaziosa strada. -
174
Così; disse egli, e tosto il parlar tenne,
ed entrò; dove il dotto Alfeo dormia,
che l'anno inanzi in corte a Carlo venne,
medico e mago e pien d'astrologia:
ma poco a questa volta gli sovenne;
anzi gli disse in tutto la bugia.
Predetto egli s'avea, che d'anni pieno
dovea morire alla sua moglie in seno:
175
ed or gli ha messo il cauto Saracino
la punta de la spada ne la gola.
Quattro altri uccide appresso all'indovino,
che non han tempo a dire una parola:
menzion dei nomi lor non fa Turpino,
e 'l lungo andar le lor notizie invola:
dopo essi Palidon da Moncalieri,
che sicuro dormia fra duo destrieri.
176
Poi se ne vien dove col capo giace
appoggiato al barile il miser Grillo:
avealo voto, e avea creduto in pace
godersi un sonno placido e tranquillo.
Troncò;gli il capo il Saracino audace:
esce col sangue il vin per uno spillo,
di che n'ha in corpo più; d'una bigoncia;
e di ber sogna, e Cloridan lo sconcia.
177
E presso a Grillo, un Greco ed un Tedesco
spenge in dui colpi, Andropono e Conrado.
che de la notte avean goduto al fresco
gran parte, or con la tazza, ora col dado:
felici, se vegghiar sapeano a desco
fin che de l'Indo il sol passassi il guado.
Ma non potria negli uomini il destino,
se del futuro ognun fosse indovino.
178
Come impasto leone in stalla piena,
che lunga fame abbia smacrato e asciutto,
uccide, scanna, mangia, a strazio mena
l'infermo gregge in sua balì;a condutto;
così; il crudel pagan nel sonno svena
la nostra gente, e fa macel per tutto.
La spada di Medoro anco non ebe;
ma si sdegna ferir l'ignobil plebe.
179
Venuto era ove il duca di Labretto
con una dama sua dormia abbracciato;
e l'un con l'altro si tenea sì; stretto,
che non saria tra lor l'aere entrato.
Medoro ad ambi taglia il capo netto.
Oh felice morire! oh dolce fato!
che come erano i corpi, ho così; fede
ch'andar l'alme abbracciate alla lor sede.
180
Malindo uccise e Ardalico il fratello,
che del conte di Fiandra erano figli;
e l'uno e l'altro cavallier novello
fatto avea Carlo, e aggiunto all'arme i gigli,
perché; il giorno amendui d'ostil macello
con gli stocchi tornar vide vermigli:
e terre in Frisa avea promesso loro,
e date avria; ma lo vietò; Medoro.
181
Gl'insidiosi ferri eran vicini
ai padiglioni che tiraro in volta
al padiglion di Carlo i paladini,
facendo ognun la guardia la sua volta;
quando da l'empia strage i Saracini
trasson le spade, e diero a tempo volta;
ch'impossibil lor par, tra sì; gran torma,
che non s'abbia a trovar un che non dorma.
182
E ben che possan gir di preda carchi,
salvin pur sé;, che fanno assai guadagno.
Ove più; creda aver sicuri i varchi
va Cloridano, e dietro ha il suo compagno.
Vengon nel campo, ove fra spade ed archi
e scudi e lance in un vermiglio stagno
giaccion poveri e ricchi, e re e vassalli,
e sozzopra con gli uomini i cavalli.
183
Quivi dei corpi l'orrida mistura,
che piena avea la gran campagna intorno,
potea far vaneggiar la fedel cura
dei duo compagni insino al far del giorno,
se non traea fuor d'una nube oscura,
a' prieghi di Medor, la Luna il corno.
Medoro in ciel divotamente fisse
verso la Luna gli occhi, e così; disse:
184
- O santa dea, che dagli antiqui nostri
debitamente sei detta triforme;
ch'in cielo, in terra e ne l'inferno mostri
l'alta bellezza tua sotto più; forme,
e ne le selve, di fere e di mostri
vai cacciatrice seguitando l'orme;
mostrami ove 'l mio re giaccia fra tanti,
che vivendo imitò; tuoi studi santi. -
185
La luna a quel pregar la nube aperse
(o fosse caso o pur la tanta fede),
bella come fu allor ch'ella s'offerse,
e nuda in braccio a Endimion si diede.
Con Parigi a quel lume si scoperse
l'un campo e l'altro; e 'l monte e 'l pian si vede:
si videro i duo colli di lontano,
Martire a destra, e Lerì; all'altra mano,
186
Rifulse lo splendor molto più; chiaro
ove d'Almonte giacea morto il figlio.
Medoro andò;, piangendo, al signor caro;
che conobbe il quartier bianco e vermiglio:
e tutto 'l viso gli bagnò; d'amaro
pianto, che n'avea un rio sotto ogni ciglio,
in sì; dolci atti, in sì; dolci lamenti,
che potea ad ascoltar fermare i venti.
187
Ma con sommessa voce e a pena udita;
non che riguardi a non si far sentire,
perch'abbia alcun pensier de la sua vita,
più; tosto l'odia, e ne vorrebbe uscire:
ma per timor che non gli sia impedita
l'opera pia che quivi il fe' venire.
Fu il morto re sugli omeri sospeso
di tramendui, tra lor partendo il peso.
188
Vanno affrettando i passi quanto ponno,
sotto l'amata soma che gl'ingombra.
E già; venì;a chi de la luce è; donno
le stelle a tor del ciel, di terra l'ombra;
quando Zerbino, a cui del petto il sonno
l'alta virtude, ove è; bisogno, sgombra,
cacciato avendo tutta notte i Mori,
al campo si traea nei primi albori.
189
E seco alquanti cavallieri avea,
che videro da lunge i dui compagni.
Ciascuno a quella parte si traea,
sperandovi trovar prede e guadagni.
- Frate, bisogna (Cloridan dicea)
gittar la soma, e dare opra ai calcagni;
che sarebbe pensier non troppo accorto,
perder duo vivi per salvar un morto. -
190
E gittò; il carco, perché; si pensava
che 'l suo Medoro il simil far dovesse:
ma quel meschin, che 'l suo signor più; amava,
sopra le spalle sue tutto lo resse.
L'altro con molta fretta se n'andava,
come l'amico a paro o dietro avesse:
se sapea di lasciarlo a quella sorte,
mille aspettate avria, non ch'una morte.
191
Quei cavallier, con animo disposto
che questi a render s'abbino o a morire,
chi qua chi là; si spargono, ed han tosto
preso ogni passo onde si possa uscire.
Da loro il capitan poco discosto,
più; degli altri è; sollicito a seguire;
ch'in tal guisa vedendoli temere,
certo è; che sian de le nimiche schiere.
192
Era a quel tempo ivi una selva antica,
d'ombrose piante spessa e di virgulti,
che, come labirinto, entro s'intrica
di stretti calli e sol da bestie culti.
Speran d'averla i duo pagan sì; amica,
ch'abbi a tenerli entro a' suoi rami occulti.
Ma chi del canto mio piglia diletto,
un'altra volta ad ascoltarlo aspetto.
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CANTO DICIANNOVESIMO
1
Alcun non può; saper da chi sia amato,
quando felice in su la ruota siede:
però; c'ha i veri e i finti amici a lato,
che mostran tutti una medesma fede.
Se poi si cangia in tristo il lieto stato,
volta la turba adulatrice il piede;
e quel che di cor ama riman forte,
ed ama il suo signor dopo la morte.
2
Se, come il viso, si mostrasse il core,
tal ne la corte è; grande e gli altri preme,
e tal è; in poca grazia al suo signore,
che la lor sorte muteriano insieme.
Questo umil diverria tosto il maggiore:
staria quel grande infra le turbe estreme.
Ma torniamo a Medor fedele e grato,
che 'n vita e in morte ha il suo signore amato.
3
Cercando già; nel più; intricato calle
il giovine infelice di salvarsi;
ma il grave peso ch'avea su le spalle,
gli facea uscir tutti i partiti scarsi.
Non conosce il paese, e la via falle,
e torna fra le spine a invilupparsi.
Lungi da lui tratto al sicuro s'era
l'altro, ch'avea la spalla più; leggiera.
4
Cloridan s'è; ridutto ove non sente
di chi segue lo strepito e il rumore:
ma quando da Medor si vede assente,
gli pare aver lasciato a dietro il core.
- Deh, come fui (dicea) sì; negligente,
deh, come fui sì; di me stesso fuore,
che senza te, Medor, qui mi ritrassi,
né; sappia quando o dove io ti lasciassi! -
5
Così; dicendo, ne la torta via
de l'intricata selva si ricaccia;
ed onde era venuto si ravvia,
e torna di sua morte in su la traccia.
Ode i cavalli e i gridi tuttavia,
e la nimica voce che minaccia:
all' ultimo ode il suo Medoro, e vede
che tra molti a cavallo è; solo a piede.
6
Cento a cavallo, e gli son tutti intorno:
Zerbin commanda e grida che sia preso.
L'infelice s'aggira com'un torno,
e quanto può; si tien da lor difeso,
or dietro quercia, or olmo, or faggio, or orno,
né; si discosta mai dal caro peso.
L'ha riposato al fin su l'erba, quando
regger nol puote, e gli va intorno errando:
7
come orsa, che l'alpestre cacciatore
ne la pietrosa tana assalita abbia,
sta sopra i figli con incerto core,
e freme in suono di pietà; e di rabbia:
ira la 'nvita e natural furore
a spiegar l'ugne e a insanguinar le labbia;
amor la 'ntenerisce, e la ritira
a riguardare ai figli in mezzo l'ira.
8
Cloridan, che non sa come l'aiuti,
e ch'esser vuole a morir seco ancora,
ma non ch'in morte prima il viver muti,
che via non truovi ove più; d'un ne mora;
mette su l'arco un de' suoi strali acuti,
e nascoso con quel sì; ben lavora,
che fora ad uno Scotto le cervella,
e senza vita il fa cader di sella.
9
Volgonsi tutti gli altri a quella banda
ond'era uscito il calamo omicida.
Intanto un altro il Saracin ne manda,
perché; 'l secondo a lato al primo uccida;
che mentre in fretta a questo e a quel domanda
chi tirato abbia l'arco, e forte grida,
lo strale arriva e gli passa la gola,
e gli taglia pel mezzo la parola.
10
Or Zerbin, ch'era il capitano loro,
non poté; a questo aver più; pazienza.
Con ira e con furor venne a Medoro,
dicendo: - Ne farai tu penitenza. -
Stese la mano in quella chioma d'oro,
e strascinollo a sé; con violenza:
ma come gli occhi a quel bel volto mise,
gli ne venne pietade, e non l'uccise.
11
Il giovinetto si rivolse a' prieghi,
e disse: - Cavallier, per lo tuo Dio,
non esser sì; crudel, che tu mi nieghi
ch'io sepelisca il corpo del re mio.
Non vo' ch'altra pietà; per me ti pieghi,
né; pensi che di vita abbi disio:
ho tanta di mia vita, e non più;, cura,
quanta ch'al mio signor dia sepultura.
12
E se pur pascer vò;i fiere ed augelli,
che 'n te il furor sia del teban Creonte,
fa lor convito di miei membri, e quelli
sepelir lascia del figliuol d'Almonte. -
Così; dicea Medor con modi belli,
e con parole atte a voltare un monte;
e sì; commosso già; Zerbino avea,
che d'amor tutto e di pietade ardea.
13
In questo mezzo un cavallier villano,
avendo al suo signor poco rispetto,
ferì; con una lancia sopra mano
al supplicante il delicato petto.
Spiacque a Zerbin l'atto crudele e strano;
tanto più;, che del colpo il giovinetto
vide cader sì; sbigottito e smorto,
che 'n tutto giudicò; che fosse morto.
14
E se ne sdegnò; in guisa e se ne dolse,
che disse: - Invendicato già; non fia! -
e pien di mal talento si rivolse
al cavallier che fe' l'impresa ria:
ma quel prese vantaggio, e se gli tolse
dinanzi in un momento, e fuggì; via.
Cloridan, che Medor vede per terra,
salta del bosco a discoperta guerra.
15
E getta l'arco, e tutto pien di rabbia
tra gli nimici il ferro intorno gira,
più; per morir, che per pensier ch'egli abbia
di far vendetta che pareggi l'ira.
Del proprio sangue rosseggiar la sabbia
fra tante spade, e al fin venir si mira;
e tolto che si sente ogni potere,
si lascia a canto al suo Medor cadere.
16
Seguon gli Scotti ove la guida loro
per l'alta selva alto disdegno mena,
poi che lasciato ha l'uno e l'altro Moro,
l'un morto in tutto, e l'altro vivo a pena.
Giacque gran pezzo il giovine Medoro,
spicciando il sangue da sì; larga vena,
che di sua vita al fin saria venuto,
se non sopravenia chi gli diè; aiuto.
17
Gli sopravenne a caso una donzella,
avolta in pastorale ed umil veste,
ma di real presenza e in viso bella,
d'alte maniere e accortamente oneste.
Tanto è; ch'io non ne dissi più; novella,
ch'a pena riconoscer la dovreste:
questa, se non sapete, Angelica era,
del gran Can del Catai la figlia altiera.
18
Poi che 'l suo annello Angelica riebbe,
di che Brunel l'avea tenuta priva,
in tanto fasto, in tanto orgoglio crebbe,
ch'esser parea di tutto 'l mondo schiva.
Se ne va sola, e non si degnerebbe
compagno aver qual più; famoso viva:
si sdegna a rimembrar che già; suo amante
abbia Orlando nomato, o Sacripante.
19
E sopra ogn'altro error via più; pentita
era del ben che già; a Rinaldo volse,
troppo parendole essersi avilita,
ch'a riguardar sì; basso gli occhi volse.
Tant'arroganza avendo Amor sentita,
più; lungamente comportar non volse:
dove giacea Medor, si pose al varco,
e l'aspettò;, posto lo strale all'arco.
20
Quando Angelica vide il giovinetto
languir ferito, assai vicino a morte,
che del suo re che giacea senza tetto,
più; che del proprio mal si dolea forte;
insolita pietade in mezzo al petto
si sentì; entrar per disusate porte,
che le fe' il duro cor tenero e molle,
e più;, quando il suo caso egli narrolle.
21
E rivocando alla memoria l'arte
ch'in India imparò; già; di chirugia
(che par che questo studio in quella parte
nobile e degno e di gran laude sia;
e senza molto rivoltar di carte,
che 'l patre ai figli ereditario il dia),
si dispose operar con succo d'erbe,
ch'a più; matura vita lo riserbe.
22
E ricordossi che passando avea
veduta un'erba in una piaggia amena;
fosse dittamo, o fosse panacea,
o non so qual, di tal effetto piena,
che stagna il sangue, e de la piaga rea
leva ogni spasmo e perigliosa pena.
La trovò; non lontana, e quella colta,
dove lasciato avea Medor, diè; volta.
23
Nel ritornar s'incontra in un pastore
ch'a cavallo pel bosco ne veniva,
cercando una iuvenca, che già; fuore
duo dì; di mandra e senza guardia giva.
Seco lo trasse ove perdea il vigore
Medor col sangue che del petto usciva;
e già; n'avea di tanto il terren tinto,
ch'era omai presso a rimanere estinto.
24
Del palafreno Angelica giù; scese,
e scendere il pastor seco fece anche.
Pestò; con sassi l'erba, indi la prese,
e succo ne cavò; fra le man bianche;
ne la piaga n'infuse, e ne distese
e pel petto e pel ventre e fin a l'anche:
e fu di tal virtù; questo liquore,
che stagnò; il sangue, e gli tornò; il vigore;
25
e gli diè; forza, che poté; salire
sopra il cavallo che 'l pastor condusse.
Non però; volse indi Medor partire
prima ch'in terra il suo signor non fusse.
E Cloridan col re fe' sepelire;
e poi dove a lei piacque si ridusse.
Ed ella per pietà; ne l'umil case
del cortese pastor seco rimase.
26
Né; fin che nol tornasse in sanitade,
volea partir: così; di lui fe' stima,
tanto se intenerì; de la pietade
che n'ebbe, come in terra il vide prima.
Poi vistone i costumi e la beltade,
roder si sentì; il cor d'ascosa lima;
roder si sentì; il core, e a poco a poco
tutto infiammato d'amoroso fuoco.
27
Stava il pastore in assai buona e bella
stanza, nel bosco infra duo monti piatta,
con la moglie e coi figli; ed avea quella
tutta di nuovo e poco inanzi fatta.
Quivi a Medoro fu per la donzella
la piaga in breve a sanità; ritratta:
ma in minor tempo si sentì; maggiore
piaga di questa avere ella nel core.
28
Assai più; larga piaga e più; profonda
nel cor sentì; da non veduto strale,
che da' begli occhi e da la testa bionda
di Medoro aventò; l'Arcier c'ha l'ale.
Arder si sente, e sempre il fuoco abonda;
e più; cura l'altrui che 'l proprio male:
di sé; non cura, e non è; ad altro intenta,
ch'a risanar chi lei fere e tormenta.
29
La sua piaga più; s'apre e più; incrudisce,
quanto più; l'altra si ristringe e salda.
Il giovine si sana: ella languisce
di nuova febbre, or agghiacciata, or calda.
Di giorno in giorno in lui beltà; fiorisce:
la misera si strugge, come falda
strugger di nieve intempestiva suole,
ch'in loco aprico abbia scoperta il sole.
30
Se di disio non vuol morir, bisogna
che senza indugio ella se stessa aiti:
e ben le par che di quel ch'essa agogna,
non sia tempo aspettar ch'altri la 'nviti.
Dunque, rotto ogni freno di vergogna,
la lingua ebbe non men che gli occhi arditi:
e di quel colpo domandò; mercede,
che, forse non sapendo, esso le diede.
31
O conte Orlando, o re di Circassia,
vostra inclita virtù;, dite, che giova?
Vostro alto onor dite in che prezzo sia,
o che mercé; vostro servir ritruova.
Mostratemi una sola cortesia
che mai costei v'usasse, o vecchia o nuova,
per ricompensa e guidardone e merto
di quanto avete già; per lei sofferto.
32
Oh se potessi ritornar mai vivo,
quanto ti parria duro, o re Agricane!
che già; mostrò; costei sì; averti a schivo
con repulse crudeli ed inumane.
O Ferraù;, o mille altri ch'io non scrivo,
ch'avete fatto mille pruove vane
per questa ingrata, quanto aspro vi fôra,
s'a costu' in braccio voi la vedesse ora!
33
Angelica a Medor la prima rosa
coglier lasciò;, non ancor tocca inante:
né; persona fu mai sì; aventurosa,
ch'in quel giardin potesse por le piante.
Per adombrar, per onestar la cosa,
si celebrò; con cerimonie sante
il matrimonio, ch'auspice ebbe Amore,
e pronuba la moglie del pastore.
34
Fersi le nozze sotto all'umil tetto
le più; solenni che vi potean farsi;
e più; d'un mese poi stero a diletto
i duo tranquilli amanti a ricrearsi.
Più; lunge non vedea del giovinetto
la donna, né; di lui potea saziarsi;
né;, per mai sempre pendergli dal collo,
il suo disir sentia di lui satollo.
35
Se stava all'ombra o se del tetto usciva,
avea dì; e notte il bel giovine a lato:
matino e sera or questa or quella riva
cercando andava, o qualche verde prato:
nel mezzo giorno un antro li copriva,
forse non men di quel commodo e grato,
ch'ebber, fuggendo l'acque, Enea e Dido,
de' lor secreti testimonio fido.
36
Fra piacer tanti, ovunque un arbor dritto
vedesse ombrare o fonte o rivo puro,
v'avea spillo o coltel subito fitto;
così;, se v'era alcun sasso men duro:
ed era fuori in mille luoghi scritto,
e così; in casa in altritanti il muro,
Angelica e Medoro, in vari modi
legati insieme di diversi nodi.
37
Poi che le parve aver fatto soggiorno
quivi più; ch'a bastanza, fe' disegno
di fare in India del Catai ritorno,
e Medor coronar del suo bel regno.
Portava al braccio un cerchio d'oro, adorno
di ricche gemme, in testimonio e segno
del ben che 'l conte Orlando le volea;
e portato gran tempo ve l'avea.
38
Quel donò; già; Morgana a Ziliante,
nel tempo che nel lago ascoso il tenne;
ed esso, poi ch'al padre Monodante,
per opra e per virtù; d'Orlando venne,
lo diede a Orlando: Orlando ch'era amante,
di porsi al braccio il cerchio d'or sostenne,
avendo disegnato di donarlo
alla regina sua di ch'io vi parlo.
39
Non per amor del paladino, quanto
perch'era ricco e d'artificio egregio,
caro avuto l'avea la donna tanto,
che più; non si può; aver cosa di pregio.
Se lo serbò; ne l'Isola del pianto,
non so già; dirvi con che privilegio,
là; dove esposta al marin mostro nuda
fu da la gente inospitale e cruda.
40
Quivi non si trovando altra mercede
ch'al buon pastor ed alla moglie dessi,
che serviti gli avea con sì; gran fede
dal dì; che nel suo albergo si fur messi,
levò; dal braccio il cerchio e gli lo diede,
e volse per suo amor che lo tenessi.
Indi saliron verso la montagna
che divide la Francia da la Spagna.
41
Dentro a Valenza o dentro a Barcellona
per qualche giorno avea pensato porsi,
fin che accadesse alcuna nave buona
che per Levante apparecchiasse a sciorsi.
Videro il mar scoprir sotto a Girona
ne lo smontar giù; dei montani dorsi;
e costeggiando a man sinistra il lito,
a Barcellona andar pel camin trito.
42
Ma non vi giunser prima, ch'un uom pazzo
giacer trovato in su l'estreme arene,
che, come porco, di loto e di guazzo
tutto era brutto e volto e petto e schene.
Costui si scagliò; lor come cagnazzo
ch'assalir forestier subito viene;
e diè; lor noia, e fu per far lor scorno.
Ma di Marfisa a ricontarvi torno.
43
Di Marfisa, d'Astolfo, d' Aquilante,
di Grifone e degli altri io vi vuo' dire,
che travagliati, e con la morte inante,
mal si poteano incontra il mar schermire:
che sempre più; superba e più; arrogante
crescea fortuna le minacce e l'ire;
e già; durato era tre dì; lo sdegno,
né; di placarsi ancor mostrava segno.
44
Castello e ballador spezza e fracassa
l'onda nimica e 'l vento ognor più; fiero:
se parte ritta il verno pur ne lassa,
la taglia e dona al mar tutta il nocchiero.
Chi sta col capo chino in una cassa
su la carta appuntando il suo sentiero
a lume di lanterna piccolina,
e chi col torchio giù; ne la sentina.
45
Un sotto poppe, un altro sotto prora
si tiene inanzi l'oriuol da polve:
e torna a rivedere ogni mezz'ora
quanto è; già; corso, ed a che via si volve:
indi ciascun con la sua carta fuora
a mezza nave il suo parer risolve,
là; dove a un tempo i marinari tutti
sono a consiglio dal padron ridutti.
46
Chi dice: - Sopra Linmissò; venuti
siamo, per quel ch'io trovo, alle seccagne; -
chi: - Di Tripoli appresso i sassi acuti,
dove il mar le più; volte i legni fragne; -
chi dice: - Siamo in Satalia perduti,
per cui più; d'un nocchier sospira e piagne. -
Ciascun secondo il parer suo argomenta,
ma tutti ugual timor preme e sgomenta.
47
Il terzo giorno con maggior dispetto
gli assale il vento, e il mar più; irato freme;
e l'un ne spezza e portane il trinchetto,
e 'l timon l'altro, e chi lo volge insieme.
Ben è; di forte e di marmoreo petto
e più; duro ch'acciar, ch'ora non teme.
Marfisa, che già; fu tanto sicura,
non negò; che quel giorno ebbe paura.
48
Al monte Sinaì; fu peregrino,
a Gallizia promesso, a Cipro, a Roma,
al Sepolcro, alla Vergine d'Ettino,
e se celebre luogo altro si noma.
Sul mare intanto, e spesso al ciel vicino
l'afflitto e conquassato legno toma,
di cui per men travaglio avea il padrone
fatto l'arbor tagliar de l'artimone.
49
E colli e casse e ciò; che v'è; di grave
gitta da prora e da poppe e da sponde;
e fa tutte sgombrar camere e giave,
e dar le ricche merci all'avide onde.
Altri attende alle trombe, e a tor di nave
l'acque importune, e il mar nel mar rifonde;
soccorre altri in sentina, ovunque appare
legno da legno aver sdrucito il mare.
50
Stero in questo travaglio, in questa pena
ben quattro giorni, e non avean più; schermo;
e n'avria avuto il mar vittoria piena,
poco più; che 'l furor tenesse fermo:
ma diede speme lor d'aria serena
la disiata luce di santo Ermo,
ch'in prua s'una cocchina a por si venne;
che più; non v'erano arbori né; antenne.
51
Veduto fiammeggiar la bella face,
s'inginocchiaro tutti i naviganti,
e domandaro il mar tranquillo e pace
con umidi occhi e con voci tremanti.
La tempesta crudel, che pertinace
fu sin allora, non andò; più; inanti:
Maestro e Traversia più; non molesta,
e sol del mar tirà;n Libecchio resta.
52
Questo resta sul mar tanto possente,
e da la negra bocca in modo esala,
ed è; con lui sì; il rapido corrente
de l'agitato mar ch'in fretta cala,
che porta il legno più; velocemente,
che pelegrin falcon mai facesse ala,
con timor del nocchier ch'al fin del mondo
non lo trasporti, o rompa, o cacci al fondo.
53
Rimedio a questo il buon nocchier ritruova,
che commanda gittar per poppa spere,
e caluma la gomona, e fa pruova
di duo terzi del corso ritenere.
Questo consiglio, e più; l'augurio giova
di chi avea acceso in proda le lumiere:
questo il legno salvò; che peria forse,
e fe' ch'in alto mar sicuro corse.
54
Nel golfo di Laiazzo invêr Soria
sopra una gran città; si trovò; sorto,
e sì; vicino al lito, che scopria
l'uno e l'altro castel che serra il porto.
Come il padron s'accorse de la via
che fatto avea, ritornò; in viso smorto;
che né; porto pigliar quivi volea,
né; stare in alto, né; fuggir potea.
55
Né; potea stare in alto, né; fuggire,
che gli arbori e l'antenne avea perdute:
eran tavole e travi pel ferire
del mar, sdrucite, macere e sbattute.
E 'l pigliar porto era un voler morire,
o perpetuo legarsi in servitute;
che riman serva ogni persona, o morta,
che quivi errore o ria fortuna porta.
56
E 'l stare in dubbio era con gran periglio
che non salisser genti de la terra
con legni armati, e al suo desson di piglio,
mal atto a star sul mar, non ch'a far guerra.
Mentre il padron non sa pigliar consiglio,
fu domandato da quel d'Inghilterra,
chi gli tenea sì; l'animo suspeso,
e perché; già; non avea il porto preso.
57
Il padron narrò; lui che quella riva
tutta tenean le femine omicide,
di quai l'antiqua legge ognun ch'arriva
in perpetuo tien servo, o che l'uccide;
e questa sorte solamente schiva
chi nel campo dieci uomini conquide,
e poi la notte può; assaggiar nel letto
diece donzelle con carnal diletto.
58
E se la prima pruova gli vien fatta,
e non fornisca la seconda poi,
egli vien morto, e chi è; con lui si tratta
da zappatore o da guardian di buoi.
Se di far l'uno e l'altro è; persona atta,
impetra libertade a tutti i suoi;
a sé; non già;, c'ha da restar marito
di diece donne, elette a suo appetito.
59
Non poté; udire Astolfo senza risa
de la vicina terra il rito strano.
Sopravien Sansonetto, e poi Marfisa,
indi Aquilante, e seco il suo germano.
Il padron parimente lor divisa
la causa che dal porto il tien lontano:
- Voglio (dicea) che inanzi il mar m'affoghi,
ch'io senta mai di servitude i gioghi. -
60
Del parer del padrone i marinari
e tutti gli altri naviganti furo;
ma Marfisa e' compagni eran contrari,
che, più; che l'acque, il lito avean sicuro.
Via più; il vedersi intorno irati i mari,
che centomila spade, era lor duro.
Parea lor questo e ciascun altro loco
dov'arme usar potean, da temer poco.
61
Bramavano i guerrier venire a proda,
ma con maggior baldanza il duca inglese;
che sa, come del corno il rumor s'oda,
sgombrar d'intorno si farà; il paese.
Pigliare il porto l'una parte loda,
e l'altra il biasma, e sono alle contese;
ma la più; forte in guisa il padron stringe,
ch'al porto, suo malgrado, il legno spinge.
62
Già;, quando prima s'erano alla vista
de la città; crudel sul mar scoperti,
veduto aveano una galea provista
di molta ciurma e di nochieri esperti
venire al dritto a ritrovar la trista
nave, confusa di consigli incerti;
che, l'alta prora alle sua poppe basse
legando, fuor de l'empio mar la trasse.
63
Entrar nel porto remorchiando, e a forza
di remi più; che per favor di vele;
però; che l'alternar di poggia e d'orza
avea levato il vento lor crudele.
Intanto ripigliar la dura scorza
i cavallieri e il brando lor fedele;
ed al padrone ed a ciascun che teme
non cessan dar con lor conforti speme.
64
Fatto è; 'l porto a sembianza d'una luna,
e gira più; di quattro miglia intorno:
seicento passi è; in bocca, ed in ciascuna
parte una rocca ha nel finir del corno.
Non teme alcuno assalto di fortuna,
se non quando gli vien dal mezzogiorno.
A guisa di teatro se gli stende
la città; a cerco, e verso il poggio ascende.
65
Non fu quivi sì; tosto il legno sorto
(già; l'aviso era per tutta la terra),
che fur seimila femine sul porto,
con gli archi in mano, in abito di guerra;
e per tor de la fuga ogni conforto,
tra l'una rocca e l'altra il mar si serra:
da navi e da catene fu rinchiuso,
che tenean sempre istrutte a cotal uso.
66
Una che d'anni alla Cumea d'Apollo
poté; uguagliarsi e alla madre d'Ettorre,
fe' chiamare il padrone, e domandollo
se si volean lasciar la vita torre,
o se voleano pur al giogo il collo,
secondo la costuma, sottoporre.
Degli dua l'uno aveano a torre: o quivi
tutti morire, o rimaner captivi.
67
- Gli è; ver (dicea) che s'uom si ritrovasse
tra voi così; animoso e così; forte,
che contra dieci nostri uomini osasse
prender battaglia, e desse lor la morte,
e far con diece femine bastasse
per una notte ufficio di consorte;
egli si rimarria principe nostro,
e gir voi ne potreste al camin vostro.
68
E sarà; in vostro arbitrio il restar anco,
vogliate o tutti o parte; ma con patto,
che chi vorrà; restare, e restar franco,
marito sia per diece femine atto.
Ma quando il guerrier vostro possa manco
dei dieci che gli fian nimici a un tratto,
o la seconda pruova non fornisca,
voglià;n voi siate schiavi, egli perisca. -
69
Dove la vecchia ritrovar timore
credea nei cavallier, trovò; baldanza;
che ciascun si tenea tal feritore,
che fornir l'uno e l'altro avea speranza:
ed a Marfisa non mancava il core,
ben che mal atta alla seconda danza;
ma dove non l'aitasse la natura,
con la spada supplir stava sicura.
70
Al padron fu commessa la risposta,
prima conchiusa per commun consiglio:
ch'avean chi lor potria di sé; a lor posta
ne la piazza e nel letto far periglio.
Levan l'offese, ed il nocchier s'accosta,
getta la fune e le fa dar di piglio;
e fa acconciare il ponte, onde i guerrieri
escono armati, e tranno i lor destrieri.
71
E quindi van per mezzo la cittade,
e vi ritruovan le donzelle altiere,
succinte cavalcar per le contrade,
ed in piazza armeggiar come guerriere.
Né; calciar quivi spron, né; cinger spade,
né; cosa d'arme puoi gli uomini avere,
se non dieci alla volta, per rispetto
de l'antiqua costuma ch'io v'ho detto.
72
Tutti gli altri alla spola, all'aco, al fuso,
al pettine ed all'aspo sono intenti,
con vesti feminil che vanno giuso
insin al piè;, che gli fa molli e lenti.
Si tengono in catena alcuni ad uso
d'arar la terra o di guardar gli armenti.
Son pochi i maschi, e non son ben, per mille
femine, cento, fra cittadi e ville.
73
Volendo tôrre i cavallieri a sorte
chi di lor debba, per commune scampo
l'una decina in piazza porre a morte,
e poi l'altra ferir ne l'altro campo;
non disegnavan di Marfisa forte,
stimando che trovar dovesse inciampo
ne la seconda giostra de la sera,
ch'ad averne vittoria abil non era.
74
Ma con gli altri esser volse ella sortita:
or sopra lei la sorte in somma cade.
Ella dicea: - Prima v'ho a por la vita,
che v'abbiate a por voi la libertade;
ma questa spada (e lor la spada addita,
che cinta avea) vi do per securtade
ch'io vi sciorrò; tutti gl'intrichi al modo
che fe' Alessandro il gordiano nodo.
75
Non vuo' mai più; che forestier si lagni
di questa terra, fin che 'l mondo dura. -
Così; disse; e non potero i compagni
torle quel che le dava sua aventura.
Dunque, o ch'in tutto perda, o lor guadagni
la libertà;, le lasciano la cura.
Ella di piastre già; guernita e maglia,
s'appresentò; nel campo alla battaglia.
76
Gira una piazza al sommo de la terra,
di gradi a seder atti intorno chiusa;
che solamente a giostre, a simil guerra,
a cacce, a lotte, e non ad altro s'usa:
quattro porte ha di bronzo, onde si serra.
Quivi la moltitudine confusa
de l'armigere femine si trasse;
e poi fu detto a Marfisa ch'entrasse.
77
Entrò; Marfisa s'un destrier leardo,
tutto sparso di macchie e di rotelle,
di piccol capo e d'animoso sguardo,
d'andar superbo e di fattezze belle.
Pel maggiore e più; vago e più; gagliardo,
di mille che n'avea con briglie e selle,
scelse in Damasco, e realmente ornollo,
ed a Marfisa Norandin donollo.
78
Da mezzogiorno e da la porta d'austro
entrò; Marfisa; e non vi stette guari,
ch'appropinquare e risonar pel claustro
udì; di trombe acuti suoni e chiari:
e vide poi di verso il freddo plaustro
entrar nel campo i dieci suoi contrari.
Il primo cavallier ch'apparve inante,
di valer tutto il resto avea sembiante.
79
Quel venne in piazza sopra un gran destriero,
che, fuor ch'in fronte e nel piè; dietro manco,
era, più; che mai corbo, oscuro e nero:
nel piè; e nel capo avea alcun pelo bianco.
Del color del cavallo il cavalliero
vestito, volea dir che, come manco
del chiaro era l'oscuro, era altretanto
il riso in lui verso l'oscuro pianto.
80
Dato che fu de la battaglia il segno,
nove guerrier l'aste chinaro a un tratto:
ma quel dal nero ebbe il vantaggio a sdegno;
si ritirò;, né; di giostrar fece atto.
Vuol ch'alle leggi inanzi di quel regno,
ch'alla sua cortesia, sia contrafatto.
Si tra' da parte e sta a veder le pruove
ch'una sola asta farà; contra a nove.
81
Il destrier, ch'avea andar trito e soave,
portò; all'incontro la donzella in fretta,
che nel corso arrestò; lancia sì; grave,
che quattro uomini avriano a pena retta.
L'avea pur dianzi al dismontar di nave
per la più; salda in molte antenne eletta.
Il fier sembiante con ch'ella si mosse,
mille facce imbiancò;, mille cor scosse.
82
Aperse al primo che trovò; sì; il petto,
che fôra assai che fosse stato nudo:
gli passò; la corazza e il soprapetto,
ma prima un ben ferrato e grosso scudo.
Dietro le spalle un braccio il ferro netto
si vide uscir: tanto fu il colpo crudo.
Quel fitto ne la lancia a dietro lassa,
e sopra gli altri a tutta briglia passa.
83
E diede d'urto a chi venì;a secondo,
ed a chi terzo sì; terribil botta,
che rotto ne la schiena uscir del mondo
fe' l'uno e l'altro, e de la sella a un'otta;
sì; duro fu l'incontro e di tal pondo,
sì; stretta insieme ne venì;a la frotta.
Ho veduto bombarde a quella guisa
le squadre aprir, che fe' lo stuol Marfisa.
84
Sopra di lei più; lance rotte furo;
ma tanto a quelli colpi ella si mosse,
quanto nel giuoco de le cacce un muro
si muova a' colpi de le palle grosse.
L'usbergo suo di tempra era sì; duro,
che non gli potean contra le percosse;
e per incanto al fuoco de l'Inferno
cotto, e temprato all'acque fu d'Averno.
85
Al fin del campo il destrier tenne e volse,
e fermò; alquanto: e in fretta poi lo spinse
incontra gli altri, e sbarragliolli e sciolse,
e di lor sangue insin all'elsa tinse.
All'uno il capo, all'altro il braccio tolse;
e un altro in guisa con la spada cinse,
che 'l petto in terra andò; col capo ed ambe
le braccia, e in sella il ventre era e le gambe.
86
Lo partì;, dico, per dritta misura,
de le coste e de l'anche alle confine,
e lo fe' rimaner mezza figura,
qual dinanzi all'imagini divine,
poste d'argento, e più; di cera pura
son da genti lontane e da vicine,
ch'a ringraziarle e sciorre il voto vanno
de le domande pie ch'ottenute hanno.
87
Ad uno che fuggia, dietro si mise,
né; fu a mezzo la piazza, che lo giunse;
e 'l capo e 'l collo in modo gli divise,
che medico mai più; non lo raggiunse.
In somma tutti un dopo l'altro uccise,
o ferì; sì; ch'ogni vigor n'emunse;
e fu sicura che levar di terra
mai più; non si potrian per farle guerra.
88
Stato era il cavallier sempre in un canto,
che la decina in piazza avea condutta;
però; che contra un solo andar con tanto
vantaggio opra gli parve iniqua e brutta.
Or che per una man torsi da canto
vide sì; tosto la compagna tutta,
per dimostrar che la tardanza fosse
cortesia stata e non timor, si mosse.
89
Con man fe' cenno di volere, inanti
che facesse altro, alcuna cosa dire;
e non pensando in sì; viril sembianti
che s'avesse una vergine a coprire,
le disse; - Cavalliero, omai di tanti
esser dé;i stanco, c'hai fatto morire;
e s'io volessi, più; di quel che sei,
stancarti ancor, discortesia farei.
90
Che ti risposi in sino al giorno nuovo,
e doman torni in campo, ti concedo.
Non mi fia onor se teco oggi mi pruovo,
che travagliato e lasso esser ti credo. -
- Il travagliare in arme non m'è; nuovo,
né; per sì; poco alla fatica cedo
(disse Marfisa); e spero ch'a tuo costo
io ti farò; di questo aveder tosto.
91
De la cortese offerta ti ringrazio,
ma riposare ancor non mi bisogna;
e ci avanza del giorno tanto spazio,
ch'a porlo tutto in ozio è; pur vergogna. -
Rispose il cavallier: - Fuss'io sì; sazio
d'ogn'altra cosa che 'l mio core agogna,
come t'ho in questo da saziar; ma vedi
che non ti manchi il dì; più; che non credi. -
92
Così; disse egli, e fe' portare in fretta
due grosse lance, anzi due gravi antenne;
ed a Marfisa dar ne fe' l'eletta:
tolse l'altra per sé;, ch'indietro venne.
Già; sono in punto, ed altro non s'aspetta
ch'un alto suon che lor la giostra accenne.
Ecco la terra e l'aria e il mar rimbomba
nel mover loro al primo suon di tromba.
93
Trar fiato, bocca aprir, o battere occhi
non si vedea de' riguardanti alcuno:
tanto a mirare a chi la palma tocchi
dei duo campioni, intento era ciascuno.
Marfisa, acciò; che de l'arcion trabocchi,
sì; che mai non si levi, il guerrier bruno,
drizza la lancia; e il guerrier bruno forte
studia non men di por Marfisa a morte.
94
Le lance ambe di secco e suttil salce,
non di cerro sembrar grosso ed acerbo,
così; n'andaro in tronchi fin al calce;
e l'incontro ai destrier fu sì; superbo,
che parimente parve da una falce
de le gambe esser lor tronco ogni nerbo.
Cadero ambi ugualmente; ma i campioni
fur presti a disbrigarsi dagli arcioni.
95
A mille cavallieri alla sua vita
al primo incontro avea la sella tolta
Marfisa, ed ella mai non n'era uscita;
e n'uscì;, come udite, a questa volta.
Del caso strano non pur sbigottita,
ma quasi fu per rimanerne stolta.
Parve anco strano al cavallier dal nero,
che non solea cader già; di leggiero.
96
Tocca avean nel cader la terra a pena,
che furo in piedi e rinovar l'assalto.
Tagli e punte a furor quivi si mena,
quivi ripara or scudo, or lama, or salto.
Vada la botta vota o vada piena,
l'aria ne stride e ne risuona in alto.
Quelli elmi, quelli usberghi, quelli scudi
mostrar ch'erano saldi più; ch'incudi.
97
Se de l'aspra donzella il braccio è; grave,
né; quel del cavallier nimico è; lieve.
Ben la misura ugual l'un da l'altro have:
quanto a punto l'un dà;, tanto riceve.
Chi vol due fiere audaci anime brave,
cercar più; là; di queste due non deve,
né; cercar più; destrezza né; più; possa;
che n'han tra lor quanto più; aver si possa.
98
Le donne, che gran pezzo mirato hanno
continuar tante percosse orrende,
e che nei cavallier segno d'affanno
e di stanchezza ancor non si comprende;
dei duo miglior guerrier lode lor danno,
che sien tra quanto il mar sua braccia estende.
Par lor che, se non fosser più; che forti,
esser dovrian sol del travaglio morti.
99
Ragionando tra sé;, dicea Marfisa:
- Buon fu per me, che costui non si mosse;
ch'andava a risco di restarne uccisa,
se dianzi stato coi compagni fosse,
quando io mi truovo a pena a questa guisa
di potergli star contra alle percosse. -
Così; dice Marfisa; e tuttavolta
non resta di menar la spada in volta.
100
- Buon fu per me (dicea quell'altro ancora),
che riposar costui non ho lasciato.
Difender me ne posso a fatica ora
che de la prima pugna è; travagliato.
Se fin al nuovo dì; facea dimora
a ripigliar vigor, che saria stato?
Ventura ebbi io, quanto più; possa aversi,
che non volesse tor quel ch'io gli offersi. -
101
La battaglia durò; fin alla sera,
né; chi avesse anco il meglio era palese;
né; l'un né; l'altro più; senza lumiera
saputo avria come schivar l'offese.
Giunta la notte, all'inclita guerriera
fu primo a dir il cavallier cortese:
- Che faren, poi che con ugual fortuna
n'ha sopragiunti la notte importuna?
102
Meglio mi par che 'l viver tuo prolunghi
almeno insino a tanto che s'aggiorni.
Io non posso concederti che aggiunghi
fuor ch'una notte picciola ai tua giorni.
E di ciò; che non gli abbi aver più; lunghi,
la colpa sopra me non vuo' che torni:
torni pur sopra alla spietata legge
del sesso feminil che 'l loco regge.
103
Se di te duolmi e di quest'altri tuoi,
lo sa colui che nulla cosa ha oscura.
Con tuoi compagni star meco tu puoi:
con altri non avrai stanza sicura;
perché; la turba, a cu' i mariti suoi
oggi uccisi hai, già; contra te congiura.
Ciascun di questi a cui dato hai la morte,
era di diece femine consorte.
104
Del danno c'han da te ricevut'oggi,
disian novanta femine vendetta:
sì; che se meco ad albergar non poggi,
questa notte assalito esser t'aspetta. -
Disse Marfisa: - Accetto che m'alloggi,
con sicurtà; che non sia men perfetta
in te la fede e la bontà; del core,
che sia l'ardire e il corporal valore.
105
Ma che t'incresca che m'abbi ad uccidere,
ben ti può; increscere anco del contrario.
Fin qui non credo che l'abbi da ridere,
perch'io sia men di te duro avversario.
O la pugna seguir vogli o dividere,
o farla all'uno o all'altro luminario,
ad ogni cenno pronta tu m'avrai,
e come ed ogni volta che vorrai. -
106
Così; fu differita la tenzone
fin che di Gange uscisse il nuovo albore,
e si restò; senza conclusione
chi d'essi duo guerrier fosse il migliore.
Ad Aquilante venne ed a Grifone
e così; agli altri il liberal signore,
e li pregò; che fin al nuovo giorno
piacesse lor di far seco soggiorno.
107
Tenner lo 'nvito senza alcun sospetto:
indi, a splendor de bianchi torchi ardenti,
tutti saliro ov'era un real tetto,
distinto in molti adorni alloggiamenti.
Stupefatti al levarsi de l'elmetto,
mirandosi, restaro i combattenti;
che 'l cavallier, per quanto apparea fuora,
non eccedeva i diciotto anni ancora.
108
Si maraviglia la donzella, come
in arme tanto un giovinetto vaglia;
si maraviglia l'altro, ch'alle chiome
s'avede con chi avea fatto battaglia:
e si domandan l'un con l'altro il nome,
e tal debito tosto si ragguaglia.
Ma come si nomasse il giovinetto,
ne l'altro canto ad ascoltar v'aspetto.
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CANTO VENTESIMO
1
Le donne antique hanno mirabil cose
fatto ne l'arme e ne le sacre muse;
e di lor opre belle e gloriose
Gran lume in tutto il mondo si diffuse.
Arpalice e Camilla son famose,
perché; in battaglia erano esperte ed use;
Safo e Corinna, perché; furon dotte,
splendono illustri, e mai non veggon notte.
2
Le donne son venute in eccellenza
Di ciascun'arte ove hanno posto cura;
e qualunque all'istorie abbia avvertenza,
ne sente ancor la fama non oscura.
Se 'l mondo n'è; gran tempo stato senza,
non però; sempre il mal influsso dura;
e forse ascosi han lor debiti onori
l'invidia o il non saper degli scrittori.
3
Ben mi par di veder ch'al secol nostro
tanta virtù; fra belle donne emerga,
che può; dare opra a carte ed ad inchiostro,
perché; nei futuri anni si disperga,
e perché;, odiose lingue, il mal dir vostro
con vostra eterna infamia si sommerga:
e le lor lode appariranno in guisa,
che di gran lunga avanzeran Marfisa.
4
Or pur tornando a lei, questa donzella
al cavallier che l'usò; cortesia,
de l'esser suo non niega dar novella,
quando esso a lei voglia contar chi sia.
Sbrigossi tosto del suo debito ella:
tanto il nome di lui saper disia.
- Io son (disse) Marfisa: - e fu assai questo;
che si sapea per tutto 'l mondo il resto.
5
L'altro comincia, poi che tocca a lui,
con più; proemio a darle di sé; conto,
dicendo: - Io credo che ciascun di vui
abbia de la mia stirpe il nome in pronto;
che non pur Francia e Spagna e i vicin sui,
ma l'India, l'Etiopia e il freddo Ponto
han chiara cognizion di Chiaramonte,
onde uscì; il cavallier ch'uccise Almonte,
6
quel ch'a Chiariello e al re Mambrino
diede la morte, e il regno lor disfece.
Di questo sangue, dove ne l'Eusino
l'Istro ne vien con otto corna o diece,
al duca Amone, il qual già; peregrino
vi capitò;, la madre mia mi fece:
e l'anno è; ormai ch'io la lasciai dolente,
per gire in Francia a ritrovar mia gente.
7
Ma non potei finire il mio viaggio,
che qua mi spinse un tempestoso Noto.
Son dieci mesi o più; che stanza v'aggio,
che tutti i giorni e tutte l'ore noto.
Nominato son io Guidon Selvaggio,
di poca pruova ancora e poco noto.
Uccisi qui Argilon da Melibea
con dieci cavallier che seco avea.
8
Feci la pruova ancor de le donzelle:
così; n'ho diece a' miei piaceri allato;
ed alla scelta mia son le più; belle,
e son le più; gentil di questo stato.
E queste reggo e tutte l'altre; ch'elle
di sé; m'hanno governo e scettro dato:
così; daranno a qualunque altro arrida
Fortuna sì;, che la decina ancida. -
9
I cavallier domandano a Guidone,
com'ha sì; pochi maschi il tenitoro;
e s'alle moglie hanno suggezione,
come esse l'han negli altri lochi a loro.
Disse Guidon: - Più; volte la cagione
udita n'ho da poi che qui dimoro;
e vi sarà;, secondo ch'io l'ho udita,
da me, poi che v'aggrada, riferita.
10
Al tempo che tornar dopo anni venti
da Troia i Greci (che durò; l'assedio
dieci, e dieci altri da contrari venti
furo agitati in mar con troppo tedio),
trovar che le lor donne agli tormenti
di tanta assenza avean preso rimedio:
tutte s'avean gioveni amanti eletti,
per non si raffreddar sole nei letti.
11
Le case lor trovaro i Greci piene
de l'altrui figli; e per parer commune
perdonano alle mogli, che san bene
che tanto non potean viver digiune:
ma ai figli degli adulteri conviene
altrove procacciarsi altre fortune;
che tolerar non vogliono i mariti
che più; alle spese lor sieno notriti.
12
Sono altri esposti, altri tenuti occulti
da le lor madri e sostenuti in vita.
In vane squadre quei ch'erano adulti
feron, chi qua chi là;, tutti partita.
Per altri l'arme son, per altri culti
gli studi e l'arti; altri la terra trita;
serve altri in corte; altri è; guardian di gregge,
come piace a colei che qua giù; regge.
13
Partì; fra gli altri un giovinetto, figlio
di Clitemnestra, la crudel regina,
di diciotto anni, fresco come un giglio,
o rosa colta allor di su la spina.
Questi, armato un suo legno, a dar di piglio
si pose e a depredar per la marina
in compagnia di cento giovinetti
del tempo suo, per tutta Grecia eletti.
14
I Cretesi, in quel tempo che cacciato
il crudo Idomeneo del regno aveano,
e per assicurarsi il nuovo stato,
d'uomini e d'arme adunazion faceano;
fero con bon stipendio lor soldato
Falanto (così; al giovine diceano),
e lui con tutti quei che seco avea,
poser per guardia alla città; Dictea.
15
Fra cento alme città; ch'erano in Creta,
Dictea più; ricca e più; piacevol era,
di belle donne ed amorose lieta,
lieta di giochi da matino a sera:
e com'era ogni tempo consueta
d'accarezzar la gente forestiera,
fe' a costor sì;, che molto non rimase
a fargli anco signor de le lor case.
16
Eran gioveni tutti e belli affatto
(che 'l fior di Grecia avea Falanto eletto):
sì; ch'alle belle donne, al primo tratto
che v'apparir, trassero i cor del petto.
Poi che non men che belli, ancora in fatto
si dimostrar buoni e gagliardi al letto,
si fero ad esse in pochi dì; sì; grati,
che sopra ogn'altro ben n'erano amati.
17
Finita che d'accordo è; poi la guerra
per cui stato Falanto era condutto,
e lo stipendio militar si serra,
sì; che non v'hanno i gioveni più; frutto,
e per questo lasciar voglion la terra;
fan le donne di Creta maggior lutto,
e per ciò; versan più; dirotti pianti,
che se i lor padri avesson morti avanti.
18
Da le lor donne i gioveni assai foro,
ciascun per sé;, di rimaner pregati:
né; volendo restare, esse con loro
n'andar, lasciando e padri e figli e frati,
di ricche gemme e di gran summa d'oro
avendo i lor dimestici spogliati;
che la pratica fu tanto secreta,
che non sentì; la fuga uomo di Creta.
19
Sì; fu propizio il vento, sì; fu l'ora
commoda, che Falanto a fuggir colse,
che molte miglia erano usciti fuora,
quando del danno suo Creta si dolse.
Poi questa spiaggia, inabitata allora,
trascorsi per fortuna li raccolse.
Qui si posaro, e qui sicuri tutti
meglio del furto lor videro i frutti.
20
Questa lor fu per dieci giorni stanza
di piaceri amorosi tutta piena.
Ma come spesso avvien, che l'abondanza
seco in cor giovenil fastidio mena,
tutti d'accordo fur di restar sanza
femine, e liberarsi di tal pena;
che non è; soma da portar sì; grave,
come aver donna, quando a noia s'have.
21
Essi che di guadagno e di rapine
eran bramosi, e di dispendio parchi,
vider ch'a pascer tante concubine,
d'altro che d'aste avean bisogno e d'archi:
sì; che sole lasciar qui le meschine,
e se n'andar di lor ricchezze carchi
là; dove in Puglia in ripa al mar poi sento
ch'edificar la terra di Tarento.
22
Le donne, che si videro tradite
dai loro amanti in che più; fede aveano,
restar per alcun dì; sì; sbigottite,
che statue immote in lito al mar pareano.
Visto poi che da gridi e da infinite
lacrime alcun profitto non traeano,
a pensar cominciaro e ad aver cura
come aiutarsi in tanta lor sciagura.
23
E proponendo in mezzo i lor pareri,
altre diceano: in Creta è; da tornarsi;
e più; tosto all'arbitrio de' severi
padri e d'offesi lor mariti darsi,
che nei deserti liti e boschi fieri,
di disagio e di fame consumarsi.
Altre dicean che lor saria più; onesto
affogarsi nel mar, che mai far questo;
24
e che manco mal era meretrici
andar pel mondo, andar mendiche o schiave,
che se stesse offerire agli supplici
di ch'eran degne l'opere lor prave.
Questi e simil partiti le infelici
si proponean, ciascun più; duro e grave.
Tra loro al fine una Orontea levosse,
ch'origine traea dal re Minosse;
25
la più; gioven de l'artre e la più; bella
e la più; accorta, e ch'avea meno errato:
amato avea Falanto, e a lui pulzella
datasi, e per lui il padre avea lasciato.
Costei mostrando in viso ed in favella
il magnanimo cor d'ira infiammato,
redarguendo di tutte altre il detto,
suo parer disse, e fe' seguirne effetto.
26
Di questa terra a lei non parve torsi,
che conobbe feconda e d'aria sana,
e di limpidi fiumi aver discorsi,
di selve opaca, e la più; parte piana;
con porti e foci, ove dal mar ricorsi
per ria fortuna avea la gente estrana,
ch'or d'Africa portava, ora d'Egitto
cose diverse e necessarie al vitto.
27
Qui parve a lei fermarsi, e far vendetta
del viril sesso che le avea sì; offese:
vuol ch'ogni nave, che da venti astretta
a pigliar venga porto in suo paese,
a sacco, a sangue, a fuoco al fin si metta;
né; de la vita a un sol si sia cortese.
Così; fu detto e così; fu concluso,
e fu fatta la legge e messa in uso.
28
Come turbar l'aria sentiano, armate
le femine correan su la marina,
da l'implacabile Orontea guidate,
che diè; lor legge e si fe' lor regina:
e de le navi ai liti lor cacciate
faceano incendi orribili e rapina,
uom non lasciando vivo, che novella
dar ne potesse o in questa parte o in quella.
29
Così; solinghe vissero qualch'anno
aspre nimiche del sesso virile:
ma conobbero poi, che 'l proprio danno
procaccierian, se non mutavan stile;
che se di lor propagine non fanno,
sarà; lor legge in breve irrita e vile,
e mancherà; con l'infecondo regno,
dove di farla eterna era il disegno.
30
Sì; che, temprando il suo rigore un poco
scelsero, in spazio di quattro anni interi,
di quanti capitaro in questo loco
dieci belli e gagliardi cavallieri,
che per durar ne l'amoroso gioco
contr'esse cento fosser buon guerrieri.
Esse in tutto eran cento; e statuito
ad ogni lor decina fu un marito.
31
Prima ne fur decapitati molti
che riusciro al paragon mal forti.
Or questi dieci a buona pruova tolti,
del letto e del governo ebbon consorti;
facendo lor giurar che, se più; colti
altri uomini verriano in questi porti,
essi sarian che, spenta ogni pietade,
li porriano ugualmente a fil di spade.
32
Ad ingrossare, ed a figliar appresso
le donne, indi a temere incominciaro
che tanti nascerian del viril sesso,
che contra lor non avrian poi riparo;
e al fine in man degli uomini rimesso
saria il governo ch'elle avean sì; caro:
sì; ch'ordinar, mentre eran gli anni imbelli,
far sì;, che mai non fosson lor ribelli.
33
Acciò; il sesso viril non le soggioghi,
uno ogni madre vuol la legge orrenda,
che tenga seco; gli altri, o li suffoghi,
o fuor del regno li permuti o venda.
Ne mandano per questo in vari luoghi:
e a chi gli porta dicono che prenda
femine, se a baratto aver ne puote;
se non, non torni almen con le man vote.
34
Né; uno ancora alleverian, se senza
potesson fare, e mantenere il gregge.
Questa è; quanta pietà;, quanta clemenza
più; ai suoi ch'agli altri usa l'iniqua legge:
gli altri condannan con ugual sentenza;
e solamente in questo si corregge,
che non vuol che, secondo il primiero uso,
le femine gli uccidano in confuso.
35
Se dieci o venti o più; persone a un tratto
vi fosser giunte, in carcere eran messe:
e d'una al giorno, e non di più;, era tratto
il capo a sorte, che perir dovesse
nel tempio orrendo ch'Orontea avea fatto,
dove un altare alla Vendetta eresse;
e dato all'un de' dieci il crudo ufficio
per sorte era di farne sacrificio.
36
Dopo molt'anni alle ripe omicide
a dar venne di capo un giovinetto,
la cui stirpe scendea dal buono Alcide,
di gran valor ne l'arme, Elbanio detto.
Qui preso fu, ch'a pena se n'avide,
come quel che venì;a senza sospetto;
e con gran guardia in stretta parte chiuso,
con gli altri era serbato al crudel uso.
37
Di viso era costui bello e giocondo,
e di maniere e di costumi ornato,
e di parlar sì; dolce e sì; facondo,
ch'un aspe volentier l'avria ascoltato:
sì; che, come di cosa rara al mondo,
de l'esser suo fu tosto rapportato
ad Alessandra figlia d'Orontea,
che di molt'anni grave anco vivea.
38
Orontea vivea ancora; e già; mancate
tutt'eran l'altre ch'abitar qui prima:
e diece tante e più; n'erano nate,
e in forza eran cresciute e in maggior stima;
né; tra diece fucine che serrate
stavan pur spesso, avean più; d'una lima;
e dieci cavallieri anco avean cura
di dare a chi venì;a fiera aventura.
39
Alessandra, bramosa di vedere
il giovinetto ch'avea tante lode,
da la sua matre in singular piacere
impetra sì;, ch'Elbanio vede ed ode;
e quando vuol partirne, rimanere
si sente il core ove è; chi'l punge e rode:
legar si sente e non sa far contesa,
e al fin dal suo prigion si trova presa.
40
Elbanio disse a lei: - Se di pietade
s'avesse, donna, qui notizia ancora,
come se n'ha per tutt'altre contrade,
dovunque il vago sol luce e colora;
io vi osarei, per vostr'alma beltade
ch'ogn'animo gentil di sé; inamora,
chiedervi in don la vita mia, che poi
saria ognor presto a spenderla per voi.
41
Or quando fuor d'ogni ragion qui sono
privi d'umanitade i cori umani,
non vi domanderò; la vita in dono,
che i prieghi miei so ben che sarian vani;
ma che da cavalliero, o tristo o buono
ch'io sia, possi morir con l'arme in mani,
e non come dannato per giudicio,
o come animal bruto in sacrificio. -
42
Alessandra gentil, ch'umidi avea,
per la pietà; del giovinetto, i rai,
rispose: - Ancor che più; crudele e rea
sia questa terra, ch'altra fosse mai;
non concedo però; che qui Medea
ogni femina sia, come tu fai:
e quando ogn'altra così; fosse ancora,
me sola di tant'altre io vo' trar fuora.
43
E se ben per adietro io fossi stata
empia e crudel, come qui sono tante,
dir posso che suggetto ove mostrata
per me fosse pietà;, non ebbi avante.
Ma ben sarei di tigre più; arrabbiata,
e più; duro avre' il cor che di diamante,
se non m'avesse tolto ogni durezza
tua beltà;, tuo valor, tua gentilezza.
44
Così; non fosse la legge più; forte,
che contra i peregrini è; statuita,
come io non schiverei con la mia morte
di ricomprar la tua più; degna vita.
Ma non è; grado qui di sì; gran sorte,
che ti potesse dar libera aita;
e quel che chiedi ancor, ben che sia poco,
difficile ottener fia in questo loco.
45
Pur io vedrò; di far che tu l'ottenga,
ch'abbi inanzi al morir questo contento;
ma mi dubito ben che te n'avenga,
tenendo il morir lungo, più; tormento. -
Suggiunse Elbanio: - Quando incontra io venga
a dieci armato, di tal cor mi sento,
che la vita ho speranza di salvarme,
e uccider lor, se tutti fosser arme. -
46
Alessandra a quel detto non rispose
se non un gran sospiro, e dipartisse,
e portò; nel partir mille amorose
punte nel cor, mai non sanabil, fisse.
Venne alla madre, e voluntà; le pose
di non lasciar che 'l cavallier morisse,
quando si dimostrasse così; forte,
che, solo, avesse posto i dieci a morte.
47
La regina Orontea fece raccorre
il suo consiglio, e disse: - A noi conviene
sempre il miglior che ritroviamo, porre
a guardar nostri porti e nostre arene;
e per saper chi ben lasciar, chi torre,
prova è; sempre da far quando gli avviene;
per non patir con nostro danno a torto,
che regni il vile, e chi ha valor sia morto.
48
A me par, se a voi par, che statuito
sia, ch'ogni cavallier per lo avvenire,
che fortuna abbia tratto al nostro lito,
prima ch'al tempio si faccia morire,
possa egli sol, se gli piace il partito,
incontra i dieci alla battaglia uscire;
e se di tutti vincerli è; possente,
guardi egli il porto, e seco abbia altra gente.
49
Parlo così;, perché; abbian qui un prigione
che par che vincer dieci s'offerisca.
Quando, sol, vaglia tante altre persone,
dignissimo è;, per Dio, che s'esaudisca.
Così; in contrario avrà; punizione,
quando vaneggi e temerario ardisca. -
Orontea fine al suo parlar qui pose,
a cui de le più; antique una rispose:
50
- La principal cagion ch'a far disegno
sul comercio degli uomini ci mosse,
non fu perch'a difender questo regno
del loro aiuto alcun bisogno fosse;
che per far questo abbiamo ardire e ingegno
da noi medesme, e a sufficienza posse:
così; senza sapessimo far anco,
che non venisse il propagarci a manco!
51
Ma poi che senza lor questo non lece,
tolti abbià;n, ma non tanti, in compagnia,
che mai ne sia più; d'uno incontra diece,
sì; ch'aver di noi possa signoria.
Per conciper di lor questo si fece,
non che di lor difesa uopo ci sia.
La lor prodezza sol ne vaglia in questo,
e sieno ignavi e inutili nel resto.
52
Tra noi tenere un uom che sia sì; forte,
contrario è; in tutto al principal disegno.
Se può; un solo a dieci uomini dar morte,
quante donne farà; stare egli al segno?
Se i dieci nostri fosser di tal sorte,
il primo dì; n'avrebbon tolto il regno.
Non è; la via di dominar, se vuoi
por l'arme in mano a chi può; più; di noi.
53
Pon mente ancor, che quando così; aiti
Fortuna questo tuo, che i dieci uccida,
di cento donne che de' lor mariti
rimarran prive, sentirai le grida.
Se vuol campar, proponga altri partiti,
ch'esser di dieci gioveni omicida.
Pur, se per far con cento donne è; buono
quel che dieci fariano, abbi perdono. -
54
Fu d'Artemia crudel questo il parere
(così; avea nome), e non mancò; per lei
di far nel tempio Elbanio rimanere
scannato inanzi agli spietati dè;i.
Ma la madre Orontea che compiacere
volse alla figlia, replicò; a colei
altre ed altre ragioni, e modo tenne
che nel senato il suo parer s'ottenne.
55
L'aver Elbanio di bellezza il vanto
sopra ogni cavallier che fosse al mondo,
fu nei cor de le giovani di tanto,
ch'erano in quel consiglio, e di tal pondo,
che 'l parer de le vecchie andò; da canto,
che con Artemia volean far secondo
l'ordine antiquo; né; lontan fu molto
ad esser per favore Elbanio assolto.
56
Di perdonargli in somma fu concluso,
ma poi che la decina avesse spento,
e che ne l'altro assalto fosse ad uso
di diece donne buono, e non di cento.
Di carcer l'altro giorno fu dischiuso;
e avuto arme e cavallo a suo talento,
contra dieci guerrier, solo, si mise,
e l'uno appresso all'altro in piazza uccise.
57
Fu la notte seguente a prova messo
contra diece donzelle ignudo e solo,
dove ebbe all'ardir suo sì; buon successo,
che fece il saggio di tutto lo stuolo.
E questo gli acquistò; tal grazia appresso
ad Orontea, che l'ebbe per figliuolo;
e gli diede Alessandra e l'altre nove
con ch'avea fatto le notturne prove.
58
E lo lasciò; con Alessandra bella,
che poi diè; nome a questa terra, erede,
con patto, ch'a servare egli abbia quella
legge, ed ogn'altro che da lui succede:
che ciascun che già; mai sua fiera stella
farà; qui por lo sventurato piede,
elegger possa, o in sacrificio darsi,
o con dieci guerrier, solo, provarsi.
59
E se gli avvien che 'l dì; gli uomini uccida,
la notte con le femine si provi;
e quando in questo ancor tanto gli arrida
la sorte sua, che vincitor si trovi,
sia del femineo stuol principe e guida,
e la decina a scelta sua rinovi,
con la qual regni, fin ch'un altro arrivi,
che sia più; forte, e lui di vita privi.
60
Appresso a duamila anni il costume empio
si è; mantenuto, e si mantiene ancora;
e sono pochi giorni che nel tempio
uno infelice peregrin non mora.
Se contra dieci alcun chiede, ad esempio
d'Elbanio, armarsi (che ve n'è; talora),
spesso la vita al primo assalto lassa;
né; di mille uno all'altra prova passa.
61
Pur ci passano alcuni, ma sì; rari,
che su le dita annoverar si ponno.
Uno di questi fu Argilon: ma guari
con la decina sua non fu qui donno;
che cacciandomi qui venti contrari,
gli occhi gli chiusi in sempiterno sonno.
Così; fossi io con lui morto quel giorno,
prima che viver servo in tanto scorno.
62
che piaceri amorosi e riso e gioco,
che suole amar ciascun de la mia etade,
le purpure e le gemme e l'aver loco
inanzi agli altri ne la sua cittade,
potuto hanno, per Dio, mai giovar poco
all'uom che privo sia di libertade:
e 'l non poter mai più; di qui levarmi,
servitù; grave e intolerabil parmi.
63
Il vedermi lograr dei miglior anni
il più; bel fiore in sì; vile opra e molle,
tiemmi il cor sempre in stimulo e in affanni,
ed ogni gusto di piacer mi tolle.
La fama del mio sangue spiega i vanni
per tutto 'l mondo, e fin al ciel s'estolle;
che forse buona parte anch'io n'avrei,
s'esser potessi coi fratelli miei.
64
Parmi ch'ingiuria il mio destin mi faccia,
avendomi a sì; vil servigio eletto;
come chi ne l'armento il destrier caccia,
il qual d'occhi o di piedi abbia difetto,
o per altro accidente che dispiaccia,
sia fatto all'arme e a miglior uso inetto:
né; sperando io, se non per morte, uscire
di sì; vil servitù;, bramo morire. -
65
Guidon qui fine alle parole pose,
e maledì; quel giorno per isdegno,
il qual dei cavallieri e de le spose
gli diè; vittoria in acquistar quel regno.
Astolfo stette a udire, e si nascose
tanto, che si fe' certo a più; d'un segno,
che, come detto avea, questo Guidone
era figliol del suo parente Amone.
66
Poi gli rispose: - Io sono il duca inglese,
il tuo cugino Astolfo; - ed abbracciollo,
e con atto amorevole e cortese,
non senza sparger lagrime, baciollo.
- Caro parente mio, non più; palese
tua madre ti potea por segno al collo;
ch'a farne fede che tu sei de' nostri,
basta il valor che con la spada mostri. -
67
Guidon, ch'altrove avria fatto gran festa
d'aver trovato un sì; stretto parente,
quivi l'accolse con la faccia mesta,
perché; fu di vedervilo dolente.
Se vive, sa ch'Astolfo schiavo resta,
né; il termine è; più; là; che 'l dì; seguente;
se fia libero Astolfo, ne more esso:
sì; che 'l ben d'uno è; il mal de l'altro espresso.
68
Gli duol che gli altri cavallieri ancora
abbia, vincendo, a far sempre captivi;
né; più;, quando esso in quel contrasto mora,
potrà; giovar che servitù; lor schivi:
che se d'un fango ben gli porta fuora,
e poi s'inciampi come all'altro arrivi,
avrà; lui senza pro vinto Marfisa;
ch'essi pur ne fien schiavi, ed ella uccisa.
69
Da l'altro canto avea l'acerba etade,
la cortesia e il valor del giovinetto
d'amore intenerito e di pietade
tanto a Marfisa ed ai compagni il petto,
che, con morte di lui lor libertade
esser dovendo, avean quasi a dispetto:
e se Marfisa non può; far con manco
ch'uccider lui, vuol essa morir anco.
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Ella disse a Guidon: - Vientene insieme
con noi, ch'a viva forza usciren quinci.
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