-

- Deh (rispose Guidon) lascia ogni speme

di mai più; uscirne, o perdi meco o vinci. -

Ella suggiunse: - Il mio cor mai non teme

di non dar fine a cosa che cominci;

né; trovar so la più; sicura strada

di quella ove mi sia guida la spada.

 

71

Tal ne la piazza ho il tuo valor provato,

che, s'io son teco, ardisco ad ogn'impresa.

Quando la turba intorno allo steccato

sarà; domani in sul teatro ascesa,

io vo' che l'uccidian per ogni lato,

o vada in fuga o cerchi far difesa,

e ch'agli lupi e agli avoltoi del loco

lasciamo i corpi, e la cittade al fuoco. -

 

72

Suggiunse a lei Guidon: - Tu m'avrai pronto

a seguitarti ed a morirti a canto,

ma vivi rimaner non faccià;n conto;

bastar ne può; di vendicarci alquanto:

che spesso diecimila in piazza conto

del popul feminile, ed altretanto

resta a guardare e porto e rocca e mura,

né; alcuna via d'uscir trovo sicura. -

 

73

Disse Marfisa: - E molto più; sieno elle

degli uomini che Serse ebbe già; intorno,

e sieno più; de l'anime ribelle

ch'uscir del ciel con lor perpetuo scorno;

se tu sei meco, o almen non sie con quelle,

tutte le voglio uccidere in un giorno. -

Guidon suggiunse: - Io non ci so via alcuna

ch'a valer n'abbia, se non val quest'una.

 

74

Ne può; sola salvar, se ne succede,

quest'una ch'io dirò;, ch'or mi soviene.

Fuor ch'alle donne, uscir non si concede,

né; metter piede in su le salse arene:

e per questo commettermi alla fede

d'una de le mie donne mi conviene,

del cui perfetto amor fatta ho sovente

più; pruova ancor, ch'io non farò; al presente.

 

75

Non men di me tormi costei disia

di servitù;, pur che ne venga meco,

che così; spera, senza compagnia

de le rivali sue, ch'io viva seco.

Ella nel porto o fuste o saettia

farà; ordinar, mentre è; ancor l'aer cieco,

che i marinai vostri troveranno

acconcia a navigar, come vi vanno.

 

76

Dietro a me tutti in un drappel ristretti,

cavallieri, mercanti e galeotti,

ch'ad albergarvi sotto a questi tetti

meco, vostra merce, sè;te ridotti,

avrete a farvi amplo sentier coi petti,

se del nostro camin siamo interrotti:

così; spero, aiutandoci le spade,

ch'io vi trarrò; de la crudel cittade. -

 

77

- Tu fa come ti par (disse Marfisa),

ch'io son per me d'uscir di qui sicura.

Più; facil fia che di mia mano uccisa

la gente sia, che è; dentro a queste mura,

che mi veggi fuggire, o in altra guisa

alcun possa notar ch'abbi paura.

Vo' uscir di giorno, e sol per forza d'arme;

che per ogn'altro modo obbrobrio parme.

 

78

S'io ci fossi per donna conosciuta,

so ch'avrei da le donne onore e pregio;

e volentieri io ci sarei tenuta

e tra le prime forse del collegio:

ma con costoro essendoci venuta,

non ci vo' d'essi aver più; privilegio.

Troppo error fôra ch'io mi stessi o andassi

libera, e gli altri in servitù; lasciassi. -

 

79

Queste parole ed altre seguitando,

mostrò; Marfisa che 'l rispetto solo

ch'avea al periglio de' compagni (quando

potria loro il suo ardir tornare in duolo),

la tenea che con alto e memorando

segno d'ardir non assalia lo stuolo:

e per questo a Guidon lascia la cura

d'usar la via che più; gli par sicura.

 

80

Guidon la notte con Aleria parla

(così; avea nome la più; fida moglie),

né; bisogno gli fu molto pregarla,

che la trovò; disposta alle sue voglie.

Ella tolse una nave e fece armarla,

e v'arrecò; le sue più; ricche spoglie,

fingendo di volere al nuovo albore

con le compagne uscire in corso fuore.

 

81

Ella avea fatto nel palazzo inanti

spade e lance arrecar, corazze e scudi,

onde armar si potessero i mercanti

e i galeotti ch'eran mezzo nudi.

Altri dormiro, ed altri ster vegghianti,

compartendo tra lor gli ozi e gli studi;

spesso guardando, e pur con l' arme indosso,

se l'oriente ancor si facea rosso.

 

82

Dal duro volto de la terra il sole

non tollea ancora il velo oscuro ed atro;

a pena avea la licaonia prole

per li solchi del ciel volto l'aratro:

quando il femineo stuol, che veder vuole

il fin de la battaglia, empì; il teatro,

come ape del suo claustro empie la soglia,

che mutar regno al nuovo tempo voglia.

 

83

Di trombe, di tambur, di suon de corni

il popul risonar fa cielo e terra,

così; citando il suo signor, che torni

a terminar la cominciata guerra.

Aquilante e Grifon stavano adorni

de le lor arme, e il duca d'Inghilterra,

Guidon, Marfisa, Sansonetto e tutti

gli altri, chi a piedi e chi a cavallo istrutti.

 

84

Per scender dal palazzo al mare e al porto,

la piazza traversar si convenia,

né; v'era altro camin lungo né; corto:

così; Guidon disse alla compagnia.

E poi che di ben far molto conforto

lor diede, entrò; senza rumore in via;

e ne la piazza, dove il popul era,

s'appresentò; con più; di cento in schiera.

 

85

Molto affrettando i suoi compagni, andava

Guidone all'altra porta per uscire:

ma la gran moltitudine che stava

intorno armata, e sempre atta a ferire,

pensò;, come lo vide che menava

seco quegli altri, che volea fuggire;

e tutta a un tratto agli archi suoi ricorse,

e parte, onde s'uscia, venne ad opporse.

 

86

Guidone e gli altri cavallier gagliardi,

e sopra tutti lor Marfisa forte,

al menar de le man non furon tardi,

e molto fer per isforzar le porte:

ma tanta e tanta copia era dei dardi

che, con ferite dei compagni e morte,

pioveano lor di sopra e d'ogn'intorno,

ch'al fin temean d'averne danno e scorno.

 

87

D'ogni guerrier l'usbergo era perfetto;

che se non era, avean più; da temere.

Fu morto il destrier sotto a Sansonetto;

quel di Marfisa v'ebbe a rimanere.

Astolfo tra sé; disse: - Ora, ch'aspetto

che mai mi possa il corno più; valere?

Io vo' veder, poi che non giova spada,

s'io so col corno assicurar la strada. -

 

88

Come aiutar ne le fortune estreme

sempre si suol, si pone il corno a bocca.

Par che la terra e tutto 'l mondo trieme,

quando l'orribil suon ne l'aria scocca.

Sì; nel cor de la gente il timor preme,

che per disio di fuga si trabocca

giù; del teatro sbigottita e smorta,

non che lasci la guardia de la porta.

 

89

Come talor si getta e si periglia

e da finestra e da sublime loco

l'esterrefatta subito famiglia,

che vede appresso e d'ogn'intorno il fuoco,

che mentre le tenea gravi le ciglia

il pigro sonno, crebbe a poco a poco:

così; messa la vita in abandono,

ognun fuggia lo spaventoso suono.

 

90

Di qua di là;, di su di giù; smarrita

surge la turba, e di fuggir procaccia.

Son più; di mille a un tempo ad ogni uscita:

cascano a monti, e l'una l'altra impaccia.

In tanta calca perde altra la vita;

da palchi e da finestre altra si schiaccia:

più; d'un braccio si rompe e d'una testa,

di ch'altra morta, altra storpiata resta.

 

91

Il pianto e 'l grido insino al ciel saliva,

d'alta ruina misto e di fraccasso.

Affretta, ovunque il suon del corno arriva,

la turba spaventata in fuga il passo.

Se udite dir che d'ardimento priva

la vil plebe si mostri e di cor basso,

non vi maravigliate, che natura

è; de la lepre aver sempre paura.

 

92

Ma che direte del già; tanto fiero

cor di Marfisa e di Guidon Selvaggio?

dei dua giovini figli d'Oliviero,

che già; tanto onoraro il lor lignaggio?

Già; centomila avean stimato un zero;

e in fuga or se ne van senza coraggio,

come conigli, o timidi colombi

a cui vicino alto rumor rimbombi.

 

93

Così; noceva ai suoi come agli strani

la forza che nel corno era incantata.

Sansonetto, Guidone e i duo germani

fuggon dietro a Marfisa spaventata;

né; fuggendo ponno ir tanto lontani,

che lor non sia l'orecchia anco intronata.

Scorre Astolfo la terra in ogni lato,

dando via sempre al corno maggior fiato.

 

94

Chi scese al mare, e chi poggiò; su al monte,

e chi tra i boschi ad occultar si venne:

alcuna, senza mai volger la fronte,

fuggir per dieci dì; non si ritenne:

uscì; in tal punto alcuna fuor del ponte,

ch'in vita sua mai più; non vi rivenne.

Sgombraro in modo e piazze e templi e case,

che quasi vota la città; rimase.

 

95

Marfisa e 'l bon Guidone e i duo fratelli

e Sansonetto, pallidi e tremanti,

fuggiano inverso il mare, e dietro a quelli

fuggian i marinari e i mercatanti;

ove Aleria trovar, che, fra i castelli,

loro avea un legno apparecchiato inanti.

Quindi, poi ch'in gran fretta li raccolse,

diè; i remi all'acqua ed ogni vela sciolse.

 

96

Dentro e d'intorno il duca la cittade

avea scorsa dai colli insino all'onde;

fatto avea vote rimaner le strade:

ognun lo fugge, ognun se gli nasconde.

Molte trovate fur, che per viltade

s'eran gittate in parti oscure e immonde;

e molte, non sappiendo ove s'andare,

messesi a nuoto ed affogate in mare.

 

97

Per trovare i compagni il duca viene,

che si credea di riveder sul molo.

Si volge intorno, e le deserte arene

guarda per tutto, e non v'appare un solo.

Leva più; gli occhi, e in alto a vele piene

da sé; lontani andar li vede a volo:

sì; che gli convien fare altro disegno

al suo camin, poi che partito è; il legno.

 

98

Lasciamolo andar pur - né; vi rincresca

che tanta strada far debba soletto

per terra d'infedeli e barbaresca,

dove mai non si va senza sospetto:

non è; periglio alcuno, onde non esca

con quel suo corno, e n'ha mostrato effetto; -

e dei compagni suoi pigliamo cura,

ch'al mar fuggian tremando di paura.

 

99

A piena vela si cacciaron lunge

da la crudele e sanguinosa spiaggia:

e poi che di gran lunga non li giunge

l'orribil suon ch'a spaventar più; gli aggia,

insolita vergogna sì; gli punge,

che, com'un fuoco, a tutti il viso raggia.

L'un non ardisce a mirar l'altro, e stassi

tristo, senza parlar, con gli occhi bassi.

 

100

Passa il nocchiero, al suo viaggio intento,

e Cipro e Rodi, e giù; per l'onda egea

da sé; vede fuggire isole cento

col periglioso capo di Malea;

e con propizio ed immutabil vento

asconder vede la greca Morea;

volta Sicilia, e per lo mar Tirreno

costeggia de l'Italia il lito ameno:

 

101

e sopra Luna ultimamente sorse,

dove lasciato avea la sua famiglia.

Dio ringraziando che 'l pelago corse

senza più; danno, il noto lito piglia.

Quindi un nochier trovar per Francia sciorse,

il qual di venir seco li consiglia:

e nel suo legno ancor quel dì; montaro,

ed a Marsilia in breve si trovaro.

 

102

Quivi non era Bradamante allora,

ch'aver solea governo del paese;

che se vi fosse, a far seco dimora

gli avria sforzati con parlar cortese.

Sceser nel lito, e la medesima ora

dai quattro cavallier congedo prese

Marfisa, e da la donna del Selvaggio;

e pigliò; alla ventura il suo viaggio,

 

103

dicendo che lodevole non era

ch'andasser tanti cavallieri insieme:

che gli storni e i colombi vanno in schiera,

i daini e i cervi e ogn'animal che teme;

ma l'audace falcon, l'aquila altiera,

che ne l'aiuto altrui non metton speme

orsi, tigri, leon, soli ne vanno;

che di più; forza alcun timor non hanno.

 

104

Nessun degli altri fu di quel pensiero;

sì; ch'a lei sola toccò; a far partita.

Per mezzo i boschi e per strano sentiero

dunque ella se n'andò; sola e romita.

Grifone il bianco ed Aquilante il nero

pigliar con gli altri duo la via più; trita,

e giunsero a un castello il dì; seguente,

dove albergati fur cortesemente.

 

105

Cortesemente dico in apparenza,

ma tosto vi sentir contrario effetto;

che 'l signor del castel, benivolenza

fingendo e cortesia, lor dè; ricetto:

e poi la notte, che sicuri senza

timor dormian, gli fe' pigliar nel letto;

né; prima li lasciò;, che d'osservare

una costuma ria li fe' giurare.

 

106

Ma vo' seguir la bellicosa donna,

prima, Signor, che di costor più; dica.

Passò; Druenza, il Rodano e la Sonna,

e venne a piè; d'una montagna aprica.

Quivi lungo un torrente, in negra gonna

vide venire una femina antica,

che stanca e lassa era di lunga via,

ma via più; afflitta di malenconia.

 

107

Questa è; la vecchia che solea servire

ai malandrin nel cavernoso monte,

là; dove alta giustizia fe' venire

e dar lor morte il paladino conte.

La vecchia, che timore ha di morire

per le cagion che poi vi saran conte,

già; molti dì; va per via oscura e fosca,

fuggendo ritrovar chi la conosca.

 

108

Quivi d'estrano cavallier sembianza

l'ebbe Marfisa all'abito e all'arnese;

e perciò; non fuggì;, com'avea usanza

fuggir dagli altri ch'eran del paese;

anzi con sicurezza e con baldanza

si fermò; al guado, e di lontan l'attese:

al guado del torrente, ove trovolla,

la vecchia le uscì; incontra e salutolla.

 

109

Poi la pregò; che seco oltr'a quell'acque

ne l'altra ripa in groppa la portasse.

Marfisa che gentil fu da che nacque,

di là; dal fiumicel seco la trasse;

e portarla anch'un pezzo non le spiacque,

fin ch'a miglior camin la ritornasse,

fuor d'un gran fango; e al fin di quel sentiero

si videro all'incontro un cavalliero.

 

110

Il cavallier su ben guernita sella,

di lucide arme e di bei panni ornato,

verso il fiume venì;a da una donzella

e da un solo scudiero accompagnato.

La donna ch'avea seco era assai bella,

ma d'altiero sembiante e poco grato,

tutta d'orgoglio e di fastidio piena,

del cavallier ben degna che la mena.

 

111

Pinabello, un de' conti maganzesi,

era quel cavallier ch'ella avea seco;

quel medesmo che dianzi a pochi mesi

Bradamante gittò; nel cavo speco.

Quei sospir, quei singulti così; accesi,

quel pianto che lo fe' già; quasi cieco,

tutto fu per costei ch'or seco avea,

che 'l negromante allor gli ritenea.

 

112

Ma poi che fu levato di sul colle

l'incantato castel del vecchio Atlante,

e che poté; ciascuno ire ove volle,

per opra e per virtù; di Bradamante;

costei, ch'agli disii facile e molle

di Pinabel sempre era stata inante,

si tornò; a lui, ed in sua compagnia

da un castello ad un altro or se ne gì;a.

 

113

E sì; come vezzosa era e mal usa,

quando vide la vecchia di Marfisa,

non si poté; tenere a bocca chiusa

di non la motteggiar con beffe e risa.

Marfisa altiera, appresso a cui non s'usa

sentirsi oltraggio in qualsivoglia guisa,

rispose d'ira accesa alla donzella,

che di lei quella vecchia era più; bella;

 

114

e ch'al suo cavallier volea provallo,

con patto di poi torre a lei la gonna

e il palafren ch'avea, se da cavallo

gittava il cavallier di ch'era donna.

Pinabel che faria, tacendo, fallo,

di risponder con l'arme non assonna:

piglia lo scudo e l'asta, e il destrier gira,

poi vien Marfisa a ritrovar con ira.

 

115

Marfisa incontra una gran lancia afferra,

e ne la vista a Pinabel l'arresta,

e sì; stordito lo riversa in terra,

che tarda un'ora a rilevar la testa.

Marfisa vincitrice de la guerra,

fe' trarre a quella giovane la vesta,

ed ogn'altro ornamento le fe' porre,

e ne fe' il tutto alla sua vecchia torre:

 

116

e di quel giovenile abito volse

che si vestisse e se n'ornasse tutta;

e fe' che 'l palafreno anco si tolse,

che la giovane avea quivi condutta.

Indi al preso camin con lei si volse,

che quant'era più; ornata, era più; brutta.

Tre giorni se n'andar per lunga strada,

senza far cosa onde a parlar m'accada.

 

117

Il quarto giorno un cavallier trovaro,

che venì;a in fretta galoppando solo.

Se di saper chi sia forse v'è; caro,

dicovi ch'è; Zerbin, di re figliuolo,

di virtù; esempio e di bellezza raro,

che se stesso rodea d'ira e di duolo

di non aver potuto far vendetta

d'un che gli avea gran cortesia interdetta.

 

118

Zerbino indarno per la selva corse

dietro a quel suo che gli avea fatto oltraggio;

ma sì; a tempo colui seppe via torse,

sì; seppe nel fuggir prender vantaggio,

sì; il bosco e sì; una nebbia lo soccorse,

ch'avea offuscato il matutino raggio,

che di man di Zerbin si levò; netto,

fin che l'ira e il furor gli uscì; del petto.

 

119

Non poté;, ancor che Zerbin fosse irato,

tener, vedendo quella vecchia, il riso;

che gli parea dal giovenile ornato

troppo diverso il brutto antiquo viso;

ed a Marfisa, che le venì;a a lato,

disse: - Guerrier, tu sei pien d'ogni aviso,

che damigella di tal sorte guidi,

che non temi trovar chi te la invidi.

 

120

Avea la donna (se la crespa buccia

può; darne indicio) più; de la Sibilla,

e parea, così; ornata, una bertuccia,

quando per muover riso alcun vestilla;

ed or più; brutta par, che si coruccia,

e che dagli occhi l'ira le sfavilla:

ch'a donna non si fa maggior dispetto,

che quando o vecchia o brutta le vien detto.

 

121

Mostrò; turbarse l'inclita donzella,

per prenderne piacer, come si prese;

e rispose a Zerbin: - Mia donna è; bella,

per Dio, via più; che tu non sei cortese;

come ch'io creda che la tua favella

da quel che sente l'animo non scese:

tu fingi non conoscer sua beltade,

per escusar la tua somma viltade.

 

122

E chi saria quel cavallier, che questa

sì; giovane e sì; bella ritrovasse

senza più; compagnia ne la foresta,

e che di farla sua non si provasse? -

- Sì; ben (disse Zerbin) teco s'assesta,

che saria mal ch'alcun te la levasse;

ed io per me non son così; indiscreto,

che te ne privi mai; stanne pur lieto.

 

123

S'in altro conto aver vuoi a far meco,

di quel ch'io vaglio son per farti mostra;

ma per costei non mi tener sì; cieco,

che solamente far voglia una giostra.

O brutta o bella sia, restisi teco:

non vo' partir tanta amicizia vostra.

Ben vi sè;te accoppiati: io giurerei,

com'ella è; bella, tu gagliardo sei. -

 

124

Suggiunse a lui Marfisa: - Al tuo dispetto

di levarmi costei provar convienti.

Non vo' patir ch'un sì; leggiadro aspetto

abbi veduto, e guadagnar nol tenti. -

Rispose a lei Zerbin - Non so a ch'effetto

l'uom si metta a periglio e si tormenti,

per riportarne una vittoria, poi,

che giovi al vinto, e al vincitore annoi. -

 

125

- Se non ti par questo partito buono,

te ne do un altro, e ricusar nol dei

(disse a Zerbin Marfisa): che s'io sono

vinto da te, m'abbia a restar costei;

ma s'io te vinco, a forza te la dono.

Dunque provian chi de' star senza lei:

se perdi, converrà; che tu le faccia

compagnia sempre, ovunque andar le piaccia. -

 

126

- E così; sia, - Zerbin rispose; e volse

a pigliar campo subito il cavallo.

Si levò; su le staffe e si raccolse

fermo in arcione, e per non dare in fallo,

lo scudo in mezzo alla donzella colse;

ma parve urtasse un monte di metallo:

ed ella in guisa a lui toccò; l'elmetto,

che stordito il mandò; di sella netto.

 

127

Troppo spiacque a Zerbin l'esser caduto,

ch'in altro scontro mai più; non gli avvenne,

e n'avea mille e mille egli abbattuto;

ed a perpetuo scorno se lo tenne.

Stette per lungo spazio in terra muto;

e più; gli dolse poi che gli sovenne

ch'avea promesso e che gli convenia

aver la brutta vecchia in compagnia.

 

128

Tornando a lui la vincitrice in sella,

disse ridendo: - Questa t'appresento;

e quanto più; la veggio e grata e bella,

tanto, ch'ella sia tua, più; mi contento.

Or tu in mio loco sei campion di quella;

ma la tua fé; non se ne porti il vento,

che per sua guida e scorta tu non vada

(come hai promesso) ovunque andar l'aggrada. -

 

129

Senza aspettar risposta urta il destriero

per la foresta, e subito s'imbosca.

Zerbin, che la stimava un cavalliero,

dice alla vecchia: - Fa ch'io lo conosca. -

Ed ella non gli tiene ascoso il vero,

onde sa che lo 'ncende e che l'attosca:

- Il colpo fu di man d'una donzella,

che t'ha fatto votar (disse) la sella.

 

130

Per suo valor costei debitamente

usurpa a' cavallieri e scudo e lancia;

e venuta è; pur dianzi d'Oriente

per assaggiare i paladin di Francia. -

Zerbin di questo tal vergogna sente,

che non pur tinge di rossor la guancia,

ma restò; poco di non farsi rosso

seco ogni pezzo d'arme ch'avea indosso.

 

131

Monta a cavallo, e se stesso rampogna

che non seppe tener strette le cosce.

Tra sé; la vecchia ne sorride, e agogna

di stimularlo e di più; dargli angosce.

Gli ricorda ch'andar seco bisogna:

e Zerbin, ch'ubligato si conosce,

l'orecchie abbassa, come vinto e stanco

destrier c'ha in bocca il fren, gli sproni al fianco.

 

132

E sospirando: - Ohimè;, Fortuna fella

(dicea), che cambio è; questo che tu fai?

Colei che fu sopra le belle bella,

ch'esser meco dovea, levata m'hai.

Ti par ch'in luogo ed in ristor di quella

si debba por costei ch'ora mi dai?

Stare in danno del tutto era men male,

che fare un cambio tanto diseguale.

 

133

Colei che di bellezze e di virtuti

unqua non ebbe e non avrà; mai pare,

sommersa e rotta tra gli scogli acuti

hai data ai pesci ed agli augei del mare;

e costei che dovria già; aver pasciuti

sotterra i vermi, hai tolta a perservare

dieci o venti anni più; che non devevi,

per dar più; peso agli mie' affanni grevi. -

 

134

Zerbin così; parlava; né; men tristo

in parole e in sembianti esser parea

di questo nuovo suo sì; odioso acquisto,

che de la donna che perduta avea.

La vecchia, ancor che non avesse visto

mai più; Zerbin, per quel ch'ora dicea,

s'avvide esser colui di che notizia

le diede già; Issabella di Galizia.

 

135

Se 'l vi ricorda quel ch'avete udito,

costei da la spelonca ne veniva,

dove Issabella, che d'amor ferito

Zerbino avea, fu molti dì; captiva.

Più; volte ella le avea già; riferito

come lasciasse la paterna riva,

e come rotta in mar da la procella,

si salvasse alla spiaggia di Rocella.

 

136

E sì; spesso dipinto di Zerbino

le avea il bel viso e le fattezze conte,

ch'ora udendol parlare, e più; vicino

gli occhi alzandogli meglio ne la fronte,

vide esser quel per cui sempre meschino

fu d'Issabella il cor nel cavo monte;

che di non veder lui più; si lagnava,

che d'esser fatta ai malandrini schiava.

 

137

La vecchia, dando alle parole udienza,

che con sdegno e con duol Zerbino versa,

s'avede ben ch'egli ha falsa credenza

che sia Issabella in mar rotta e sommersa:

e ben ch'ella del certo abbia scienza,

per non lo rallegrar, pur la perversa

quel che far lieto lo potria, gli tace,

e sol gli dice quel che gli dispiace.

 

138

- Odi tu (gli disse ella), tu che sei

cotanto altier, che sì; mi scherni e sprezzi,

se sapessi che nuova ho di costei

che morta piangi, mi faresti vezzi:

ma più; tosto che dirtelo, torrei

che mi strozzassi o fêssi in mille pezzi;

dove, s'eri vêr me più; mansueto,

forse aperto t'avrei questo secreto. -

 

139

Come il mastin che con furor s'aventa

adosso al ladro, ad achetarsi è; presto,

che quello o pane o cacio gli appresenta,

o che fa incanto appropriato a questo;

così; tosto Zerbino umil diventa,

e vien bramoso di sapere il resto,

che la vecchia gli accenna che di quella,

che morta piange, gli sa dir novella.

 

140

E volto a lei con più; piacevol faccia,

la supplica, la prega, la scongiura

per gli uomini, per Dio, che non gli taccia

quanto ne sappia, o buona o ria ventura.

- Cosa non udirai che pro ti faccia

(disse la vecchia pertinace e dura):

non è; Issabella, come credi, morta;

ma viva sì;, ch'a' morti invidia porta.

 

141

è; capitata in questi pochi giorni

che non n'udisti, in man di più; di venti;

sì; che, qualora anco in man tua ritorni,

ve' se sperar di corre il fior convienti. -

Ah vecchia maladetta, come adorni

la tua menzogna! e tu sai pur se menti.

Se ben in man de venti ell'era stata,

non l'avea alcun però; mai violata.

 

142

Dove l'avea veduta domandolle

Zerbino, e quando, ma nulla n'invola;

che la vecchia ostinata più; non volle

a quel c'ha detto aggiungere parola.

Prima Zerbin le fece un parlar molle,

poi minacciolle di tagliar la gola:

ma tutto è; invan ciò; che minaccia e prega;

che non può; far parlar la brutta strega.

 

143

Lasciò; la lingua all'ultimo in riposo

Zerbin, poi che 'l parlar gli giovò; poco;

per quel ch'udito avea, tanto geloso,

che non trovava il cor nel petto loco;

d'Issabella trovar sì; disioso,

che saria per vederla ito nel fuoco:

ma non poteva andar più; che volesse

colei, poi ch'a Marfisa lo promesse.

 

144

E quindi per solingo e strano calle,

dove a lei piacque, fu Zerbin condotto;

né; per o poggiar monte o scender valle,

mai si guardaro in faccia o si fer motto.

Ma poi ch'al mezzodì; volse le spalle

il vago sol, fu il lor silenzio rotto

da un cavallier che nel cammin scontraro.

Quel che seguì;, ne l'altro canto è; chiaro.

 

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CANTO VENTUNESIMO

 

 

1

Né; fune intorto crederò; che stringa

soma così;, né; così; legno chiodo,

come la fé; ch'una bella alma cinga

del suo tenace indissolubil nodo.

Né; dagli antiqui par che si dipinga

la santa Fé; vestita in altro modo,

che d'un vel bianco che la cuopra tutta:

ch'un sol punto, un sol neo la può; far brutta.

 

2

La fede unqua non debbe esser corrotta,

o data a un solo, o data insieme a mille;

e così; in una selva, in una grotta,

lontan da le cittadi e da le ville,

come dinanzi a tribunali, in frotta

di testimon, di scritti e di postille,

senza giurare o segno altro più; espresso,

basti una volta che s'abbia promesso.

 

3

Quella servò;, come servar si debbe

in ogni impresa, il cavallier Zerbino:

e quivi dimostrò; che conto n'ebbe,

quando si tolse dal proprio camino

per andar con costei, la qual gl'increbbe,

come s'avesse il morbo sì; vicino,

o pur la morte istessa; ma potea,

più; che 'l disio, quel che promesso avea.

 

4

Dissi di lui, che di vederla sotto

la sua condotta tanto al cor gli preme,

che n'arrabbia di duol, né; le fa motto,

e vanno muti e taciturni insieme:

dissi che poi fu quel silenzio rotto,

ch'al mondo il sol mostrò; le ruote estreme,

da un cavalliero aventuroso errante,

ch'in mezzo del camin lor si fe' inante.

 

5

La vecchia che conobbe il cavalliero,

ch'era nomato Ermonide d'Olanda,

che per insegna ha ne lo scudo nero

attraversata una vermiglia banda,

posto l'orgoglio e quel sembiante altiero,

umilmente a Zerbin si raccomanda,

e gli ricorda quel ch'esso promise

alla guerriera ch'in sua man la mise.

 

6

Perché; di lei nimico e di sua gente

era il guerrier che contra lor venì;a:

ucciso ad essa avea il padre innocente,

e un fratello che solo al mondo avia;

e tuttavolta far del rimanente,

come degli altri, il traditor disia.

- Fin ch'alla guardia tua, donna, mi senti

(dicea Zerbin), non vo' che tu paventi. -

 

7

Come più; presso il cavallier si specchia

in quella faccia che sì; in odio gli era:

- O di combatter meco t'apparecchia

(gridò; con voce minacciosa e fiera),

o lascia la difesa de la vecchia,

che di mia man secondo il merto pera.

Se combatti per lei, rimarrai morto;

che così; avviene a chi s'appiglia al torto. -

 

8

Zerbin cortesemente a lui risponde

che gli è; desir di bassa e mala sorte,

ed a cavalleria non corrisponde

che cerchi dare ad una donna morte:

se pur combatter vuol, non si nasconde;

ma che prima consideri ch'importe

ch'un cavallier, com'era egli, gentile,

voglia por man nel sangue feminile,

 

9

Queste gli disse e più; parole invano;

e fu bisogno al fin venire a' fatti.

Poi che preso a bastanza ebbon del piano,

tornarsi incontra a tutta briglia ratti.

Non van sì; presti i razzi fuor di mano,

ch'al tempo son de le allegrezze tratti,

come andaron veloci i duo destrieri

ad incontrare insieme i cavallieri.

 

10

Ermonide d'Olanda segnò; basso,

che per passare il destro fianco attese:

ma la sua debol lancia andò; in fracasso,

e poco il cavallier di Scozia offese.

Non fu già; l'altro colpo vano e casso:

roppe lo scudo, e sì; la spalla prese,

che la forò; da l'uno all'altro lato,

e riversar fe' Ermonide sul prato.

 

11

Zerbin che si pensò; d'averlo ucciso,

di pietà; vinto, scese in terra presto,

e levò; l'elmo da lo smorto viso;

e quel guerrier, come dal sonno desto,

senza parlar guardò; Zerbino fiso;

e poi gli disse: - Non m'è; già; molesto

ch'io sia da te abbattuto, ch'ai sembianti

mostri esser fior de' cavallier erranti;

 

12

ma ben mi duol che questo per cagione

d'una femina perfida m'avviene,

a cui non so come tu sia campione,

che troppo al tuo valor si disconviene.

E quando tu sapessi la cagione

ch'a vendicarmi di costei mi mene,

avresti, ognor che rimembrassi, affanno

d'aver, per campar lei, fatto a me danno.

 

13

E se spirto a bastanza avrò; nel petto

ch'io il possa dir (ma del contrario temo),

io ti farò; veder ch'in ogni effetto

scelerata è; costei più; ch'in estremo.

Io ebbi già; un fratel che giovinetto

d'Olanda si partì;, donde noi semo,

e si fece d'Eraclio cavalliero,

ch'allor tenea de' Greci il sommo impero.

 

14

Quivi divenne intrinseco e fratello

d'un cortese baron di quella corte,

che nei confin di Servia avea un castello

di sito ameno e di muraglia forte.

Nomossi Argeo colui di ch'io favello,

di questa iniqua femina consorte,

la quale egli amò; sì;, che passò; il segno

ch'a un uom si convenia, come lui, degno.

 

15

Ma costei, più; volubile che foglia

quando l'autunno è; più; priva d'umore,

che l' freddo vento gli arbori ne spoglia

e le soffia dinanzi al suo furore;

verso il marito cangiò; tosto voglia,

che fisso qualche tempo ebbe nel core;

e volse ogni pensiero, ogni disio

d'acquistar per amante il fratel mio.

 

16

Ma né; sì; saldo all'impeto marino

l'Acrocerauno d'infamato nome,

né; sta sì; duro incontra borea il pino

che rinovato ha più; di cento chiome,

che quanto appar fuor de lo scoglio alpino,

tanto sotterra ha le radici; come

il mio fratello a' prieghi di costei,

nido de tutti i vizi infandi e rei.

 

17

Or, come avviene a un cavallier ardito,

che cerca briga e la ritrova spesso,

fu in una impresa il mio fratel ferito,

molto al castel del suo compagno appresso,

dove venir senza aspettare invito

solea, fosse o non fosse Argeo con esso;

e dentro a quel per riposar fermosse

tanto che del suo mal libero fosse.

 

18

Mentre egli quivi si giacea, convenne

ch'in certa sua bisogna andasse Argeo.

Tosto questa sfacciata a tentar venne

il mio fratello, ed a sua usanza feo;

ma quel fedel non oltre più; sostenne

avere ai fianchi un stimulo sì; reo:

elesse, per servar sua fede a pieno,

di molti mal quel che gli parve meno.

 

19

Tra molti mal gli parve elegger questo:

lasciar d'Argeo l'intrinsichezza antiqua;

lungi andar sì;, che non sia manifesto

mai più; il suo nome alla femina iniqua.

Ben che duro gli fosse, era più; onesto

che satisfare a quella voglia obliqua,

o ch'accusar la moglie al suo signore,

da cui fu amata a par del proprio core.

 

20

E de le sue ferite ancora infermo

l'arme si veste, e del castel si parte;

e con animo va costante e fermo

di non mai più; tornare in quella parte.

Ma che gli val? ch'ogni difesa e schermo

gli disipa Fortuna con nuova arte;

ecco il marito che ritorna intanto,

e trova la moglier che fa gran pianto,

 

21

e scapigliata e con la faccia rossa;

e le domanda di che sia turbata.

Prima ch'ella a rispondere sia mossa,

pregar si lascia più; d'una fiata,

pensando tuttavia come si possa

vendicar di colui che l'ha lasciata:

e ben convenne al suo mobile ingegno

cangiar l'amore in subitano sdegno.

 

22

- Deh (disse al fine), a che l'error nascondo

c'ho commesso, signor, ne la tua assenza?

che quando ancora io 'l celi a tutto 'l mondo,

celar nol posso alla mia coscienza.

L'alma che sente il suo peccato immondo,

pate dentro da sé; tal penitenza,

ch'avanza ogn'altro corporal martire

che dar mi possa alcun del mio fallire;

 

23

quando fallir sia quel che si fa a forza:

ma sia quel che si vuol, tu sappil'anco;

poi con la spada da la immonda scorza

scioglie lo spirto imaculato e bianco,

e le mie luci eternamente ammorza;

che dopo tanto vituperio, almanco

tenerle basse ognor non mi bisogni,

e di ciascun ch'io vegga, io mi vergogni.

 

24

Il tuo compagno ha l'onor mio distrutto:

questo corpo per forza ha violato;

e perché; teme ch'io ti narri il tutto,

or si parte il villan senza commiato. -

In odio con quel dir gli ebbe ridutto

colui che più; d'ogn'altro gli fu grato.

Argeo lo crede, ed altro non aspetta;

ma piglia l'arme e corre a far vendetta.

 

25

E come quel ch'avea il paese noto,

lo giunse che non fu troppo lontano;

che 'l mio fratello, debole ed egroto,

senza sospetto se ne gì;a pian piano:

e brevemente, in un loco remoto

pose, per vendicarsene, in lui mano.

Non trova il fratel mio scusa che vaglia;

ch'in somma Argeo con lui vuol la battaglia.

 

26

Era l'un sano e pien di nuovo sdegno,

infermo l'altro, ed all'usanza amico:

sì; ch'ebbe il fratel mio poco ritegno

contra il compagno fattogli nimico.

Dunque Filandro di tal sorte indegno

(de l'infelice giovene ti dico:

così; avea nome), non sofrendo il peso

di sì; fiera battaglia, restò; preso.

 

27

- Non piaccia a Dio che mi conduca a tale

il mio giusto furore e il tuo demerto

(gli disse Argeo), che mai sia omicidiale

di te ch'amava; e me tu amavi certo,

ben che nel fin me l'hai mostrato male;

pur voglio a tutto il mondo fare aperto

che, come fui nel tempo de l'amore,

così; ne l'odio son di te migliore.

 

28

Per altro modo punirò; il tuo fallo,

che le mie man più; nel tuo sangue porre. -

Così; dicendo, fece sul cavallo

di verdi rami una bara comporre,

e quasi morto in quella riportallo

dentro al castello in una chiusa torre,

dove in perpetuo per punizione

candannò; l'innocente a star prigione.

 

29

Non però; ch'altra cosa avesse manco,

che la libertà; prima del partire;

perché; nel resto, come sciolto e franco

vi comandava e si facea ubidire.

Ma non essendo ancor l'animo stanco

di questa ria del suo pensier fornire,

quasi ogni giorno alla prigion veniva;

ch'avea le chiavi, e a suo piacer l'apriva:

 

30

e movea sempre al mio fratello assalti,

e con maggiore audacia che di prima.

- Questa tua fedeltà; (dicea) che valti,

poi che perfidia per tutto si stima?

Oh che trionfi gloriosi ed alti!

oh che superbe spoglie e preda opima!

oh che merito al fin te ne risulta,

se, come a traditore, ognun t'insulta!

 

31

Quanto utilmente, quanto con tuo onore

m'avresti dato quel che da te volli!

Di questo sì; ostinato tuo rigore

la gran mercé; che tu guadagni, or tolli:

in prigion sei, né; crederne uscir fuore,

se la durezza tua prima non molli.

Ma quando mi compiacci, io farò; trama

di racquistarti e libertade e fama. -

 

32

- No, no (disse Filandro) aver mai spene

che non sia, come suol, mia vera fede,

se ben contra ogni debito mi avviene

ch'io ne riporti sì; dura mercede,

e di me creda il mondo men che bene:

basta che inanti a quel che 'l tutto vede

e mi può; ristorar di grazia eterna,

chiara la mia innocenza si discerna.

 

33

Se non basta ch'Argeo mi tenga preso,

tolgami ancor questa noiosa vita.

Forse non mi fia il premio in ciel conteso

de la buona opra, qui poco gradita.

Forse egli, che da me si chiama offeso,

quando sarà; quest'anima partita,

s'avedrà; poi d'avermi fatto torto,

e piangerà; il fedel compagno morto. -

 

34

Così; più; volte la sfacciata donna

tenta Filandro, e torna senza frutto.

Ma il cieco suo desir, che non assonna

del scelerato amor traer costrutto,

cercando va più; dentro ch'alla gonna

suoi vizi antiqui, e ne discorre il tutto.

Mille pensier fa d'uno in altro modo,

prima che fermi in alcun d'essi il chiodo.

 

35

Stette sei mesi che non messe piede,

come prima facea, ne la prigione;

di che il miser Filandro e spera e crede

che costei più; non gli abbia affezione.

Ecco Fortuna, al mal propizia, diede

a questa scelerata occasione

di metter fin con memorabil male

al suo cieco appetito irrazionale.

 

36

Antiqua nimicizia avea il marito

con un baron detto Morando il bello,

che, non v'essendo Argeo, spesso era ardito

di correr solo, e sin dentro al castello;

ma s'Argeo v'era, non tenea lo 'nvito,

né; s'accostava a dieci miglia a quello.

Or, per poterlo indur che ci venisse,

d'ire in Ierusalem per voto disse.

 

37

Disse d'andare; e partesi ch'ognuno

lo vede, e fa di ciò; sparger le grida:

né; il suo pensier, fuor che la moglie, alcuno

puote saper; che sol di lei si fida.

Torna poi nel castello all'aer bruno,

né; mai, se non la notte, ivi s'annida;

e con mutate insegne al nuovo albore,

senza vederlo alcun, sempre esce fuore.

 

38

Se ne va in questa e in quella parte errando,

e volteggiando al suo castello intorno,

pur per veder se credulo Morando

volesse far, come solea, ritorno.

Stava il dì; tutto alla foresta; e quando

ne la marina vedea ascoso il giorno,

venì;a al castello, e per nascose porte

lo togliea dentro l'infedel consorte.

 

39

Crede ciascun, fuor che l'iniqua moglie,

che molte miglia Argeo lontan si trove.

Dunque il tempo oportuno ella si toglie:

al fratel mio va con malizie nuove.

Ha di lagrime a tutte le sue voglie

un nembo che dagli occhi al sen le piove.

- Dove potrò; (dicea) trovare aiuto,

che in tutto l'onor mio non sia perduto?

 

40

E col mio quel del mio marito insieme,

il qual se fosse qui, non temerei.

Tu conosci Morando, e sai se teme,

quando Argeo non ci sente, omini e dei.

Questi or pregando, or minacciando, estreme

prove fa tuttavia, né; alcun de' miei

lascia che non contamini, per trarmi

a' suoi desii, né; so s'io potrò; aitarmi.

 

41

Or c'ha inteso il partir del mio consorte,

e ch'al ritorno non sarà; sì; presto,

ha avuto ardir d'entrar ne la mia corte

senza altra scusa e senz'altro pretesto;

che se ci fosse il mio signor per sorte,

non sol non avria audacia di far questo,

ma non si terria ancor, per Dio, sicuro

d'appressarsi a tre miglia a questo muro.

 

42

E quel che già; per messi ha ricercato,

oggi me l'ha richiesto a fronte a fronte,

e con tai modi, che gran dubbio è; stato

de lo avvenirmi disonore ed onte,

e se non che parlar dolce gli ho usato,

e finto le mie voglie alle sue pronte,

saria a forza, di quel suto rapace,

che spera aver per mie parole in pace.

 

43

Promesso gli ho, non già; per osservargli

(che fatto per timor, nullo è; il contratto);

ma la mia intenzion fu per vietargli

quel che per forza avrebbe allora fatto.

Il caso è; qui: tu sol pò;i rimediargli;

del mio onor altrimenti sarà; tratto,

e di quel del mio Argeo, che già; m'hai detto

aver o tanto, o più; che 'l proprio, a petto.

 

44

E se questo mi nieghi, io dirò; dunque

ch'in te non sia la fé; di che ti vanti;

ma che fu sol per crudeltà;, qualunque

volta hai sprezzati i miei supplici pianti;

non per rispetto alcun d'Argeo, quantunque

m'hai questo scudo ognora opposto inanti.

Saria stato tra noi la cosa occulta;

ma di qui aperta infamia mi risulta. -

 

45

- Non si convien (disse Filandro) tale

prologo a me, per Argeo mio disposto.

Narrami pur quel che tu vuoi, che quale

sempre fui, di sempre essere ho proposto;

e ben ch'a torto io ne riporti male,

a lui non ho questo peccato imposto.

Per lui son pronto andare anco alla morte,

e siami contra il mondo e la mia sorte. -

 

46

Rispose l'empia: - Io voglio che tu spenga

colui che 'l nostro disonor procura.

Non temer ch'alcun mal di ciò; t'avenga;

ch'io te ne mostrerò; la via sicura.

Debbe egli a me tornar come rivenga

su l'ora terza la notte più; scura;

e fatto un segno de ch'io l'ho avvertito,

io l'ho a tor dentro, che non sia sentito.

 

47

A te non graverà; prima aspettarme

ne la camera mia dove non luca,

tanto che dispogliar gli faccia l'arme,

e quasi nudo in man te lo conduca. -

Così; la moglie conducesse parme

il suo marito alla tremenda buca;

se per dritto costei moglie s'appella,

più; che furia infernal crudele e fella.

 

48

Poi che la notte scelerata venne,

fuor trasse il mio fratel con l'arme in mano;

e ne l'oscura camera lo tenne,

fin che tornasse il miser castellano.

Come ordine era dato, il tutto avvenne;

che 'l consiglio del mal va raro invano.

Così; Filandro il buon Argeo percosse,

che si pensò; che quel Morando fosse.

 

49

Con esso un colpo il capo fesse e il collo;

ch'elmo non v'era, e non vi fu riparo.

Pervenne Argeo, senza pur dare un crollo,

de la misera vita al fine amaro:

e tal l'uccise, che mai non pensollo,

né; mai l'avria creduto: oh caso raro!

che cercando giovar, fece all'amico

quel di che peggio non si fa al nimico.

 

50

Poscia ch'Argeo non conosciuto giacque,

rende a Gabrina il mio fratel la spada.

Gabrina è; il nome di costei, che nacque

sol per tradire ognun che in man le cada.

Ella, che 'l ver fin a quell'ora tacque,

vuol che Filandro a riveder ne vada

col lume in mano il morto ond'egli è; reo:

e gli dimostra il suo compagno Argeo.

 

51

E gli minaccia poi, se non consente

all'amoroso suo lungo desire,

di palesare a tutta quella gente

quel ch'egli ha fatto, e nol può; contradire;

e lo farà; vituperosamente

come assassino e traditor morire:

e gli ricorda che sprezzar la fama

non de', se ben la vita sì; poco ama.

 

52

Pien di paura e di dolor rimase

Filandro, poi che del suo error s'accorse.

Quasi il primo furor gli persuase

d'uccider questa, e stette un pezzo in forse:

e se non che ne le nimiche case

si ritrovò; (che la ragion soccorse),

non si trovando avere altr'arme in mano,

coi denti la stracciava a brano a brano.

 

53

Come ne l'alto mar legno talora,

che da duo venti sia percosso e vinto,

ch'ora uno inanzi l'ha mandato, ed ora

un altro al primo termine respinto,

e l'han girato da poppa e da prora,

dal più; possente al fin resta sospinto;

così; Filandro, tra molte contese

de' duo pensieri, al manco rio s'apprese.

 

54

Ragion gli dimostrò; il pericol grande,

oltre al morir, del fine infame e sozzo,

se l'omicidio nel castel si spande;

e del pensare il termine gli è; mozzo.

Voglia o non voglia, al fin convien che mande

l'amarissimo calice nel gozzo.

Pur finalmente ne l'afflitto core

più; de l'ostinazion poté; il timore.

 

55

Il timor del supplicio infame e brutto

prometter fece con mille scongiuri,

che faria di Gabrina il voler tutto,

se di quel luogo se partian sicuri.

Così; per forza colse l'empia il frutto

del suo desire, e poi lasciar quei muri.

Così; Filandro a noi fece ritorno,

di sé; lasciando in Grecia infamia e scorno.

 

56

E portò; nel cor fisso il suo compagno

che così; scioccamente ucciso avea,

per far con sua gran noia empio guadagno

d'una Progne crudel, d'una Medea.

E se la fede e il giuramento, magno

e duro freno, non lo ritenea,

come al sicuro fu, morta l'avrebbe;

ma, quanto più; si puote, in odio l'ebbe.

 

57

Non fu da indi in qua rider mai visto:

tutte le sue parole erano meste,

sempre sospir gli uscian dal petto tristo,

ed era divenuto un nuovo Oreste,

poi che la madre uccise e il sacro Egisto,

e che l'ultrice Furie ebbe moleste.

E senza mai cessar, tanto l'afflisse

questo dolor, ch'infermo al letto il fisse.

 

58

Or questa meretrice, che si pensa

quanto a quest'altro suo poco sia grata,

muta la fiamma già; d'amore intensa

in odio, in ira ardente ed arrabbiata;

né; meno è; contra al mio fratello accensa,

che fosse contra Argeo la scelerata:

e dispone tra sé; levar dal mondo,

come il primo marito, anco il secondo.

 

59

Un medico trovò; d'inganni pieno,

sufficiente ed atto a simil uopo,

che sapea meglio uccider di veneno,

che risanar gl'infermi di silopo;

e gli promesse, inanzi più; che meno

di quel che domandò;, donargli, dopo

ch'avesse con mortifero liquore

levatole dagli occhi il suo signore.

 

60

Già; in mia presenza e d'altre più; persone

venì;a col tosco in mano il vecchio ingiusto,

dicendo ch'era buona pozione

da ritornare il mio fratel robusto.

Ma Gabrina con nuova intenzione,

pria che l'infermo ne turbasse il gusto,

per torsi il consapevole d'appresso,

o per non dargli quel ch'avea promesso,

 

61

la man gli prese, quando a punto dava

la tazza dove il tosco era celato,

dicendo: - Ingiustamente è; se 'l ti grava

ch'io tema per costui c'ho tanto amato.

Voglio esser certa che bevanda prava

tu non gli dia, né; succo avelenato;

e per questo mi par che 'l beveraggio

non gli abbi a dar, se non ne fai tu il saggio. -

 

62

Come pensi, signor, che rimanesse

il miser vecchio conturbato allora?

La brevità; del tempo sì; l'oppresse,

che pensar non poté; che meglio fôra;

pur, per non dar maggior sospetto, elesse

il calice gustar senza dimora:

e l'infermo, seguendo una tal fede,

tutto il resto pigliò;, che si gli diede.

 

63

Come sparvier che nel piede grifagno

tenga la starna e sia per trarne pasto,

dal can che si tenea fido compagno,

ingordamente è; sopragiunto e guasto;

così; il medico intento al rio guadagno,

donde sperava aiuto ebbe contrasto.

Odi di summa audacia esempio raro!

e così; avvenga a ciascun altro avaro.

 

64

Fornito questo, il vecchio s'era messo,

per ritornare alla sua stanza, in via,

ed usar qualche medicina appresso,

che lo salvasse da la peste ria;

ma da Gabrina non gli fu concesso,

dicendo non voler ch'andasse pria

che 'l succo ne lo stomaco digesto

il suo valor facesse manifesto.

 

65

Pregar non val, né; far di premio offerta,

che lo voglia lasciar quindi partire.

Il disperato, poi che vede certa

la morte sua, né; la poter fuggire,

ai circostanti fa la cosa aperta;

né; la seppe costei troppo coprire.

E così; quel che fece agli altri spesso,

quel buon medico al fin fece a se stesso:

 

66

e sequitò; con l'alma quella ch'era

già; de mio frate caminata inanzi.

Noi circostanti, che la cosa vera

del vecchio udimmo, che fe' pochi avanzi,

pigliammo questa abominevol fera,

più; crudel di qualunque in selva stanzi;

e la serrammo in tenebroso loco,

per condannarla al meritato foco. -

 

67

Questo Ermonide disse, e più; voleva

seguir, com'ella di prigion levossi;

ma il dolor de la piaga si l'aggreva,

che pallido ne l'erba riversossi.

Intanto duo scudier, che seco aveva,

fatto una bara avean di rami grossi:

Ermonide si fece in quella porre;

ch'indi altrimente non si potea torre.

 

68

Zerbin col cavallier fece sua scusa,

che gl'increscea d'averli fatto offesa;

ma, come pur tra cavallieri s'usa,

colei che venì;a seco avea difesa:

ch'altrimente sua fé; saria confusa;

perché;, quando in sua guardia l'avea presa,

promesse a sua possanza di salvarla

contra ognun che venisse a disturbarla.

 

69

E s'in altro potea gratificargli,

prontissimo offeriase alla sua voglia.

Rispose il cavallier, che ricordargli

sol vuol, che da Gabrina si discioglia

prima ch'ella abbia cosa a machinargli,

di ch'esso indarno poi si penta e doglia.

Gabrina tenne sempre gli occhi bassi,

perché; non ben risposta al vero dassi.

 

70

Con la vecchia Zerbin quindi partisse

al già; promesso debito viaggio;

e tra sé; tutto il dì; la maledisse,

che far gli fece a quel barone oltraggio.

Ed or che pel gran mal che gli ne disse

chi lo sapea, di lei fu istrutto e saggio,

se prima l'avea a noia e a dispiacere,

or l'odia sì; che non la può; vedere.

 

71

Ella che di Zerbin sa l'odio a pieno,

né; in mala voluntà; vuole esser vinta,

un'oncia a lui non ne riporta meno:

la tien di quarta, e la rifà; di quinta.

Nel cor era gonfiata di veneno,

e nel viso altrimente era dipinta.

Dunque ne la concordia ch'io vi dico,

tenean lor via per mezzo il bosco antico.

 

72

Ecco, volgendo il sol verso la sera,

udiron gridi e strepiti e percosse,

che facean segno di battaglia fiera

che, quanto era il rumor, vicina fosse.

Zerbino, per veder la cosa ch'era,

verso il rumore in gran fretta si mosse:

non fu Gabrina lenta a seguitarlo.

Di quel ch'avvenne, all'altro canto io parlo.

 

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CANTO VENTIDUESIMO

 

 

1

Cortesi donne e grate al vostro amante,

voi che d'un solo amor sè;te contente,

come che certo sia, fra tante e tante,

che rarissime siate in questa mente;

non vi dispiaccia quel ch'io dissi inante,

quando contra Gabrina fui sì; ardente,

e s'ancor son per spendervi alcun verso,

di lei biasmando l'animo perverso.

 

2

Ella era tale; e come imposto fummi

da chi può; in me, non preterisco il vero.

Per questo io non oscuro gli onor summi

d'una e d'un'altra ch'abbia il cor sincero.

Quel che 'l Maestro suo per trenta nummi

diede a' Iudei, non nocque a Ianni o a Piero;

né; d'Ipermestra è; la fama men bella,

se ben di tante inique era sorella.

 

3

Per una che biasmar cantando ardisco

(che l'ordinata istoria così; vuole),

lodarne cento incontra m'offerisco,

e far lor virtù; chiara più; che 'l sole.

Ma tornando al lavor che vario ordisco,

ch'a molti, lor mercé;, grato esser suole,

del cavallier di Scozia io vi dicea,

ch'un alto grido appresso udito avea.

 

4

Fra due montagne entrò; in un stretto calle

onde uscia il grido, e non fu molto inante,

che giunse dove in una chiusa valle

si vide un cavallier morto davante.

Chi sia dirò;; ma prima dar le spalle

a Francia voglio, e girmene in Levante,

tanto ch'io trovi Astolfo paladino,

che per Ponente avea preso il camino.

 

5

Io lo lasciai ne la città; crudele,

onde col suon del formidabil corno

avea cacciato il populo infedele,

e gran periglio toltosi d'intorno,

ed a' compagni fatto alzar le vele,

e dal lito fuggir con grave scorno.

Or seguendo di lui, dico che prese

la via d'Armenia, e uscì; di quel paese.

 

6

E dopo alquanti giorni in Natalia

trovossi, e inverso Bursia il camin tenne;

onde, continuando la sua via

di qua dal mare, in Tracia se ne venne.

Lungo il Danubio andò; per l'Ungaria;

e come avesse il suo destrier le penne,

i Moravi e i Boemi passò; in meno

di venti giorni e la Franconia e il Reno.

 

7

Per la selva d'Ardenna in Aquisgrana

giunse e in Barbante, e in Fiandra al fin s'imbarca.

L'aura che soffia verso tramontana,

la vela in guisa in su la prora carca,

ch'a mezzo giorno Astolfo non lontana

vede Inghilterra, ove nel lito varca.

Salta a cavallo, e in tal modo lo punge,

ch'a Londra quella sera ancora giunge.

 

8

Quivi sentendo poi che 'l vecchio Otone

già; molti mesi inanzi era in Parigi,

e che di nuovo quasi ogni barone

avea imitato i suoi degni vestigi;

d'andar subito in Francia si dispone:

e così; torna al porto di Tamigi,

onde con le vele alte uscendo fuora,

verso Calessio fe' drizzar la prora.

 

9

Un ventolin che leggiermente all'orza

ferendo, avea adescato il legno all'onda,

a poco a poco cresce e si rinforza;

poi vien sì;, ch'al nocchier ne soprabonda.

Che li volti la poppa al fine è; forza;

se non, gli caccerà; sotto la sponda.

Per la schena del mar tien dritto il legno,

e fa camin diverso al suo disegno.

 

10

Or corre a destra, or a sinistra mano,

di qua di là;, dove fortuna spinge,

e piglia terra al fin presso a Roano;

e come prima il dolce lito attinge,

fa rimetter la sella a Rabicano,

e tutto s'arma e la spada si cinge.

Prende il camino, ed ha seco quel corno

che gli val più; che mille uomini intorno.

 

11

E giunse, traversando una foresta,

a piè; d'un colle ad una chiara fonte,

ne l'ora che 'l monton di pascer resta,

chiuso in capanna, o sotto un cavo monte.

E dal gran caldo e da la sete infesta

vinto, si trasse l'elmo da la fronte;

legò; il destrier tra le più; spesse fronde,

e poi venne per bere alle fresche onde.

 

12

Non avea messo ancor le labra in molle,

ch'un villanel che v'era ascoso appresso,

sbuca fuor d'una macchia, e il destrier tolle,

sopra vi sale, e se ne va con esso.

Astolfo il rumor sente, e'l capo estolle;

e poi che 'l danno suo vede sì; espresso,

lascia la fonte, e sazio senza bere,

gli va dietro correndo a più; potere.

 

13

Quel ladro non si stende a tutto corso,

che dileguato si saria di botto;

ma or lentando or raccogliendo il morso,

se ne va di galoppo e di buon trotto.

Escon del bosco dopo un gran discorso;

e l'uno e l'altro al fin si fu ridotto

là; dove tanti nobili baroni

eran senza prigion più; che prigioni.

 

14

Dentro il palagio il villanel si caccia

con quel destrier che i venti al corso adegua.

Forza è; ch'Astolfo, il qual lo scudo impaccia,

l'elmo e l'altr'arme, di lontan lo segua.

Pur giunge anch'egli, e tutta quella traccia

che fin qui avea seguita, si dilegua;

che più; né; Rabican né; 'l ladro vede,

e gira gli occhi, e indarno affretta il piede;

 

15

affretta il piede e va cercando invano

e le logge e le camere e le sale;

ma per trovare il perfido villano,

di sua fatica nulla si prevale.

Non sa dove abbia ascoso Rabicano,

quel suo veloce sopra ogni animale;

e senza frutto alcun tutto quel giorno

cercò; di su di giù;, dentro e d'intorno.

 

16

Confuso e lasso d'aggirarsi tanto,

s'avvide che quel loco era incantato;

e del libretto ch'avea sempre a canto,

che Logistilla in India gli avea dato,

acciò; che, ricadendo in nuovo incanto,

potessi aitarsi, si fu ricordato:

all'indice ricorse, e vide tosto

a quante carte era il rimedio posto.

 

17

Del palazzo incantato era difuso

scritto nel libro; e v'eran scritti i modi

di fare il mago rimaner confuso,

e a tutti quei prigion di sciorre i nodi.

Sotto la soglia era uno spirto chiuso,

che facea questi inganni e queste frodi:

e levata la pietra ov'è; sepolto,

per lui sarà; il palazzo in fumo sciolto.

 

18

Desideroso di condurre a fine

il paladin sì; gloriosa impresa,

non tarda più; che 'l braccio non inchine

a provar quanto il grave marmo pesa.

Come Atlante le man vede vicine

per far che l'arte sua sia vilipesa,

sospettoso di quel che può; avvenire,

lo va con nuovi incanti ad assalire.

 

19

Lo fa con diaboliche sue larve

parer da quel diverso, che solea:

gigante ad altri, ad altri un villan parve,

ad altri un cavallier di faccia rea.

Ognuno in quella forma in che gli apparve

nel bosco il mago, il paladin vedea;

sì; che per riaver quel che gli tolse

il mago, ognuno al paladin si volse.

 

20

Ruggier, Gradasso, Iroldo, Bradamante,

Brandimarte, Prasildo, altri guerrieri

in questo nuovo error si fero inante,

per distruggere il duca accesi e fieri.

Ma ricordossi il corno in quello istante,

che fe' loro abbassar gli animi altieri.

Se non si soccorrea col grave suono,

morto era il paladin senza perdono.

 

21

Ma tosto che si pon quel corno a bocca

e fa sentire intorno il suono orrendo,

a guisa dei colombi, quando scocca

lo scoppio, vanno i cavallier fuggendo.

Non meno al negromante fuggir tocca,

non men fuor de la tana esce temendo

pallido e sbigottito, e se ne slunga

tanto, che 'l suono orribil non lo giunga.

 

22

Fuggì; il guardian coi suo' prigioni; e dopo

de le stalle fuggir molti cavalli,

ch'altro che fune a ritenerli era uopo,

e seguiro i patron per vari calli.

In casa non restò; gatta né; topo

al suon che par che dica: Dà;lli, dà;lli.

Sarebbe ito con gli altri Rabicano,

se non ch'all'uscir venne al duca in mano.

 

23

Astolfo, poi ch'ebbe cacciato il mago,

levò; di su la soglia il grave sasso,

e vi ritrovò; sotto alcuna imago,

ed altre cose che di scriver lasso:

e di distrugger quello incanto vago,

di ciò; che vi trovò;, fece fraccasso,

come gli mostra il libro che far debbia;

e si sciolse il palazzo in fumo e in nebbia.

 

24

Quivi trovò; che di catena d'oro

di Ruggiero il cavallo era legato,

parlo di quel che 'l negromante moro

per mandarlo ad Alcina gli avea dato;

a cui poi Logistilla fe' il lavoro

del freno, ond'era in Francia ritornato,

e girato da l'India all'Inghilterra

tutto avea il lato destro de la terra.

 

25

Non so se vi ricorda che la briglia

lasciò; attaccata all'arbore quel giorno

che nuda da Ruggier sparì; la figlia

di Galafrone, e gli fe' l'alto scorno.

Fe' il volante destrier, con maraviglia

di chi lo vide, al mastro suo ritorno;

e con lui stette infin al giorno sempre,

che de l'incanto fur rotte le tempre.

 

26

Non potrebbe esser stato più; giocondo

d'altra aventura Astolfo, che di questa;

che per cercar la terra e il mar, secondo

ch'avea desir, quel ch'a cercar gli resta,

e girar tutto in pochi giorni il mondo,

troppo venì;a questo ippogrifo a sesta.

Sapea egli ben quanto a portarlo era atto,

che l'avea altrove assai provato in fatto.

 

27

Quel giorno in India lo provò;, che tolto

da la savia Melissa fu di mano

a quella scelerata che travolto

gli avea in mirto silvestre il viso umano:

e ben vide e notò; come raccolto

gli fu sotto la briglia il capo vano

da Logistilla, e vide come istrutto

fosse Ruggier di farlo andar per tutto.

 

28

Fatto disegno l'ippogrifo torsi,

la sella sua, ch'appresso avea, gli messe;

e gli fece, levando da più; morsi

una cosa ed un'altra, un che lo resse;

che dei destrier ch'in fuga erano corsi,

quivi attaccate eran le briglie spesse.

Ora un pensier di Rabicano solo

lo fa tardar che non si leva a volo.

 

29

D'amar quel Rabicano avea ragione;

che non v'era un miglior per correr lancia,

e l'avea da l'estrema regione

de l'India cavalcato insin in Francia.

Pensa egli molto; e in somma si dispone

darne più; tosto ad un suo amico mancia,

che, lasciandolo quivi in su la strada,

se l'abbia il primo ch'a passarvi accada.

 

30

Stava mirando se vedea venire

pel bosco o cacciatore o alcun villano,

da cui far si potesse indi seguire

a qualche terra, e trarvi Rabicano.

Tutto quel giorno e sin all'apparire

de l'altro stette riguardando invano.

L'altro matin, ch'era ancor l'aer fosco,

veder gli parve un cavallier pel bosco.

 

31

Ma mi bisogna, s'io vo' dirvi il resto,

ch'io trovi Ruggier prima e Bradamante.

Poi che si tacque il corno, e che da questo

loco la bella coppia fu distante,

guardò; Ruggiero, e fu a conoscer presto

quel che fin qui gli avea nascoso Atlante:

fatto avea Atlante che fin a quell'ora

tra lor non s'eran conosciuti ancora.

 

32

Ruggier riguarda Bradamante, ed ella

riguarda lui con alta maraviglia,

che tanti dì; l'abbia offuscato quella

illusion sì; l'animo e le ciglia.

Ruggiero abbraccia la sua donna bella,

che più; che rosa ne divien vermiglia;

e poi di su la bocca i primi fiori

cogliendo vien dei suoi beati amori.

 

33

Tornaro ad iterar gli abbracciamenti

mille fiate, ed a tenersi stretti

i duo felici amanti, e sì; contenti,

ch'a pena i gaudi lor capiano i petti.

Molto lor duol che per incantamenti,

mentre che fur negli errabondi tetti,

tra lor non s'eran mai riconosciuti,

e tanti lieti giorni eran perduti.

 

34

Bradamante, disposta di far tutti

i piaceri che far vergine saggia

debbia ad un suo amator, sì; che di lutti,

senza il suo onore offendere, il sottraggia;

dice a Ruggier, se a dar gli ultimi frutti

lei non vuol sempre aver dura e selvaggia,

la faccia domandar per buoni mezzi

al padre Amon: ma prima si battezzi.

 

35

Ruggier, che tolto avria non solamente

viver cristiano per amor di questa,

com'era stato il padre, e antiquamente

l'avolo e tutta la sua stirpe onesta;

ma, per farle piacere, immantinente

data le avria la vita che gli resta:

- Non che ne l'acqua (disse), ma nel fuoco

per tuo amor porre il capo mi fia poco. -

 

36

Per battezzarsi dunque, indi per sposa

la donna aver, Ruggier si messe in via,

guidando Bradamante a Vallombrosa

(così; fu nominata una badia

ricca e bella, né; men religiosa,

e cortese a chiunque vi venì;a);

e trovaro all'uscir de la foresta

donna che molto era nel viso mesta.

 

37

Ruggier, che sempre uman, sempre cortese

era a ciascun, ma più; alle donne molto,

come le belle lacrime comprese

cader rigando il delicato volto,

n'ebbe pietade, e di disir s'accese

di saper il suo affanno; ed a lei volto,

dopo onesto saluto, domandolle

perch'avea sì; di pianto il viso molle.

 

38

Ed ella, alzando i begli umidi rai,

umanissimamente gli rispose,

e la cagion de' suoi penosi guai,

poi che le domandò;, tutta gli espose.

- Gentil signor (disse ella), intenderai

che queste guance son sì; lacrimose

per la pietà; ch'a un giovinetto porto,

ch'in un castel qui presso oggi fia morto.

 

39

Amando una gentil giovane e bella,

che di Marsilio re di Spagna è; figlia,

sotto un vel bianco e in feminil gonella,

finta la voce e il volger de le ciglia,

egli ogni notte si giacea con quella,

senza darne sospetto alla famiglia:

ma sì; secreto alcuno esser non puote,

ch'al lungo andar non sia chi 'l vegga e note.

 

40

Se n'accorse uno, e ne parlò; con dui;

gli dui con altri, insin ch'al re fu detto.

Venne un fedel del re l'altr'ieri a nui,

che questi amanti fe' pigliar nel letto;

e ne la rocca gli ha fatto ambedui

divisamente chiudere in distretto:

né; credo per tutto oggi ch'abbia spazio

il gioven, che non mora in pena e in strazio.

 

41

Fuggita me ne son per non vedere

tal crudeltà;; che vivo l'arderanno:

né; cosa mi potrebbe più; dolere,

che faccia di sì; bel giovine il danno;

né; potrò; aver giamai tanto piacere,

che non si volga subito in affanno,

che de la crudel fiamma mi rimembri,

ch'abbia arsi i belli e delicati membri.