-

Con tali opinion dal ver remote

usando fraude a sé; medesmo, stette

ne la speranza il malcontento Orlando,

che si seppe a se stesso ir procacciando.

 

105

Ma sempre più; raccende e più; rinuova,

quanto spenger più; cerca, il rio sospetto:

come l'incauto augel che si ritrova

in ragna o in visco aver dato di petto,

quanto più; batte l'ale e più; si prova

di disbrigar, più; vi si lega stretto.

Orlando viene ove s'incurva il monte

a guisa d'arco in su la chiara fonte.

 

106

Aveano in su l'entrata il luogo adorno

coi piedi storti edere e viti erranti.

Quivi soleano al più; cocente giorno

stare abbracciati i duo felici amanti.

V'aveano i nomi lor dentro e d'intorno,

più; che in altro dei luoghi circostanti,

scritti, qual con carbone e qual con gesso,

e qual con punte di coltelli impresso.

 

107

Il mesto conte a piè; quivi discese;

e vide in su l'entrata de la grotta

parole assai, che di sua man distese

Medoro avea, che parean scritte allotta.

Del gran piacer che ne la grotta prese,

questa sentenza in versi avea ridotta.

Che fosse culta in suo linguaggio io penso;

ed era ne la nostra tale il senso:

 

108

- Liete piante, verdi erbe, limpide acque,

spelunca opaca e di fredde ombre grata,

dove la bella Angelica che nacque

di Galafron, da molti invano amata,

spesso ne le mie braccia nuda giacque;

de la commodità; che qui m'è; data,

io povero Medor ricompensarvi

d'altro non posso, che d'ognor lodarvi:

 

109

e di pregare ogni signore amante,

e cavallieri e damigelle, e ognuna

persona, o paesana o viandante,

che qui sua volontà; meni o Fortuna;

ch'all'erbe, all'ombre, all'antro, al rio, alle piante

dica: benigno abbiate e sole e luna,

e de le ninfe il coro, che proveggia

che non conduca a voi pastor mai greggia. -

 

110

Era scritto in arabico, che 'l conte

intendea così; ben come latino:

fra molte lingue e molte ch'avea pronte,

prontissima avea quella il paladino;

e gli schivò; più; volte e danni ed onte,

che si trovò; tra il popul saracino:

ma non si vanti, se già; n'ebbe frutto;

ch'un danno or n'ha, che può; scontargli il tutto.

 

111

Tre volte e quattro e sei lesse lo scritto

quello infelice, e pur cercando invano

che non vi fosse quel che v'era scritto;

e sempre lo vedea più; chiaro e piano:

ed ogni volta in mezzo il petto afflitto

stringersi il cor sentia con fredda mano.

Rimase al fin con gli occhi e con la mente

fissi nel sasso, al sasso indifferente.

 

112

Fu allora per uscir del sentimento

sì; tutto in preda del dolor si lassa.

Credete a chi n'ha fatto esperimento,

che questo è; 'l duol che tutti gli altri passa.

Caduto gli era sopra il petto il mento,

la fronte priva di baldanza e bassa;

né; poté; aver (che 'l duol l'occupò; tanto)

alle querele voce, o umore al pianto.

 

113

L'impetuosa doglia entro rimase,

che volea tutta uscir con troppa fretta.

Così; veggià;n restar l'acqua nel vase,

che largo il ventre e la bocca abbia stretta;

che nel voltar che si fa in su la base,

l'umor che vorria uscir, tanto s'affretta,

e ne l'angusta via tanto s'intrica,

ch'a goccia a goccia fuore esce a fatica.

 

114

Poi ritorna in sé; alquanto, e pensa come

possa esser che non sia la cosa vera:

che voglia alcun così; infamare il nome

de la sua donna e crede e brama e spera,

o gravar lui d'insopportabil some

tanto di gelosia, che se ne pera;

ed abbia quel, sia chi si voglia stato,

molto la man di lei bene imitato.

 

115

In così; poca, in così; debol speme

sveglia gli spiriti e gli rifranca un poco;

indi al suo Brigliadoro il dosso preme,

dando già; il sole alla sorella loco.

Non molto va, che da le vie supreme

dei tetti uscir vede il vapor del fuoco,

sente cani abbaiar, muggiare armento:

viene alla villa, e piglia alloggiamento.

 

116

Languido smonta, e lascia Brigliadoro

a un discreto garzon che n'abbia cura;

altri il disarma, altri gli sproni d'oro

gli leva, altri a forbir va l'armatura.

Era questa la casa ove Medoro

giacque ferito, e v'ebbe alta avventura.

Corcarsi Orlando e non cenar domanda,

di dolor sazio e non d'altra vivanda.

 

117

Quanto più; cerca ritrovar quiete,

tanto ritrova più; travaglio e pena;

che de l'odiato scritto ogni parete,

ogni uscio, ogni finestra vede piena.

Chieder ne vuol: poi tien le labra chete;

che teme non si far troppo serena,

troppo chiara la cosa che di nebbia

cerca offuscar, perché; men nuocer debbia.

 

118

Poco gli giova usar fraude a se stesso;

che senza domandarne, è; chi ne parla.

Il pastor che lo vede così; oppresso

da sua tristizia, e che voria levarla,

l'istoria nota a sé;, che dicea spesso

di quei duo amanti a chi volea ascoltarla,

ch'a molti dilettevole fu a udire,

gl'incominciò; senza rispetto a dire:

 

119

come esso a prieghi d'Angelica bella

portato avea Medoro alla sua villa,

ch'era ferito gravemente; e ch'ella

curò; la piaga, e in pochi dì; guarilla:

ma che nel cor d'una maggior di quella

lei ferì; Amor; e di poca scintilla

l'accese tanto e sì; cocente fuoco,

che n'ardea tutta, e non trovava loco:

 

120

e sanza aver rispetto ch'ella fusse

figlia del maggior re ch'abbia il Levante,

da troppo amor costretta si condusse

a farsi moglie d'un povero fante.

All'ultimo l'istoria si ridusse,

che 'l pastor fe' portar la gemma inante,

ch'alla sua dipartenza, per mercede

del buono albergo, Angelica gli diede.

 

121

Questa conclusion fu la secure

che 'l capo a un colpo gli levò; dal collo,

poi che d'innumerabil battiture

si vide il manigoldo Amor satollo.

Celar si studia Orlando il duolo; e pure

quel gli fa forza, e male asconder pò;llo:

per lacrime e suspir da bocca e d'occhi

convien, voglia o non voglia, al fin che scocchi.

 

122

Poi ch'allargare il freno al dolor puote

(che resta solo e senza altrui rispetto),

giù; dagli occhi rigando per le gote

sparge un fiume di lacrime sul petto:

sospira e geme, e va con spesse ruote

di qua di là; tutto cercando il letto;

e più; duro ch'un sasso, e più; pungente

che se fosse d'urtica, se lo sente.

 

123

In tanto aspro travaglio gli soccorre

che nel medesmo letto in che giaceva,

l'ingrata donna venutasi a porre

col suo drudo più; volte esser doveva.

Non altrimenti or quella piuma abborre,

né; con minor prestezza se ne leva,

che de l'erba il villan che s'era messo

per chiuder gli occhi, e vegga il serpe appresso.

 

124

Quel letto, quella casa, quel pastore

immantinente in tant'odio gli casca,

che senza aspettar luna, o che l'albore

che va dinanzi al nuovo giorno nasca,

piglia l'arme e il destriero, ed esce fuore

per mezzo il bosco alla più; oscura frasca;

e quando poi gli è; aviso d'esser solo,

con gridi ed urli apre le porte al duolo.

 

125

Di pianger mai, mai di gridar non resta;

né; la notte né; 'l dì; si dà; mai pace.

Fugge cittadi e borghi, e alla foresta

sul terren duro al discoperto giace.

Di sé; si meraviglia ch'abbia in testa

una fontana d'acqua sì; vivace,

e come sospirar possa mai tanto;

e spesso dice a sé; così; nel pianto:

 

126

- Queste non son più; lacrime, che fuore

stillo dagli occhi con sì; larga vena.

Non suppliron le lacrime al dolore:

finir, ch'a mezzo era il dolore a pena.

Dal fuoco spinto ora il vitale umore

fugge per quella via ch'agli occhi mena;

ed è; quel che si versa, e trarrà; insieme

e 'l dolore e la vita all'ore estreme.

 

127

Questi ch'indizio fan del mio tormento,

sospir non sono, né; i sospir sono tali.

Quelli han triegua talora; io mai non sento

che 'l petto mio men la sua pena esali.

Amor che m'arde il cor, fa questo vento,

mentre dibatte intorno al fuoco l'ali.

Amor, con che miracolo lo fai,

che 'n fuoco il tenghi, e nol consumi mai?

 

128

Non son, non sono io quel che paio in viso:

quel ch'era Orlando è; morto ed è; sotterra;

la sua donna ingratissima l'ha ucciso:

sì;, mancando di fé;, gli ha fatto guerra.

Io son lo spirto suo da lui diviso,

ch'in questo inferno tormentandosi erra,

acciò; con l'ombra sia, che sola avanza,

esempio a chi in Amor pone speranza. -

 

129

Pel bosco errò; tutta la notte il conte;

e allo spuntar de la diurna fiamma

lo tornò; il suo destin sopra la fonte

dove Medoro isculse l'epigramma.

Veder l'ingiuria sua scritta nel monte

l'accese sì;, ch'in lui non restò; dramma

che non fosse odio, rabbia, ira e furore;

né; più; indugiò;, che trasse il brando fuore.

 

130

Tagliò; lo scritto e 'l sasso, e sin al cielo

a volo alzar fe' le minute schegge.

Infelice quell'antro, ed ogni stelo

in cui Medoro e Angelica si legge!

Così; restar quel dì;, ch'ombra né; gielo

a pastor mai non daran più;, né; a gregge:

e quella fonte, già; si chiara e pura,

da cotanta ira fu poco sicura;

 

131

che rami e ceppi e tronchi e sassi e zolle

non cessò; di gittar ne le bell'onde,

fin che da sommo ad imo sì; turbolle

che non furo mai più; chiare né; monde.

E stanco al fin, e al fin di sudor molle,

poi che la lena vinta non risponde

allo sdegno, al grave odio, all'ardente ira,

cade sul prato, e verso il ciel sospira.

 

132

Afflitto e stanco al fin cade ne l'erba,

e ficca gli occhi al cielo, e non fa motto.

Senza cibo e dormir così; si serba,

che 'l sole esce tre volte e torna sotto.

Di crescer non cessò; la pena acerba,

che fuor del senno al fin l'ebbe condotto.

Il quarto dì;, da gran furor commosso,

e maglie e piastre si stracciò; di dosso.

 

133

Qui riman l'elmo, e là; riman lo scudo,

lontan gli arnesi, e più; lontan l'usbergo:

l'arme sue tutte, in somma vi concludo,

avean pel bosco differente albergo.

E poi si squarciò; i panni, e mostrò; ignudo

l'ispido ventre e tutto 'l petto e 'l tergo;

e cominciò; la gran follia, sì; orrenda,

che de la più; non sarà; mai ch'intenda.

 

134

In tanta rabbia, in tanto furor venne,

che rimase offuscato in ogni senso.

Di tor la spada in man non gli sovenne;

che fatte avria mirabil cose, penso.

Ma né; quella, né; scure, né; bipenne

era bisogno al suo vigore immenso.

Quivi fe' ben de le sue prove eccelse,

ch'un alto pino al primo crollo svelse:

 

135

e svelse dopo il primo altri parecchi,

come fosser finocchi, ebuli o aneti;

e fe' il simil di querce e d'olmi vecchi,

di faggi e d'orni e d'illici e d'abeti.

Quel ch'un ucellator che s'apparecchi

il campo mondo, fa, per por le reti,

dei giunchi e de le stoppie e de l'urtiche,

facea de cerri e d'altre piante antiche.

 

136

I pastor che sentito hanno il fracasso,

lasciando il gregge sparso alla foresta,

chi di qua, chi di là;, tutti a gran passo

vi vengono a veder che cosa è; questa.

Ma son giunto a quel segno il qual s'io passo

vi potria la mia istoria esser molesta;

ed io la vo' più; tosto diferire,

che v'abbia per lunghezza a fastidire.

 

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CANTO VENTIQUATTRESIMO

 

 

1

Chi mette il piè; su l'amorosa pania,

cerchi ritrarlo, e non v'inveschi l'ale;

che non è; in somma amor, se non insania,

a giudizio de' savi universale:

e se ben come Orlando ognun non smania,

suo furor mostra a qualch'altro segnale.

E quale è; di pazzia segno più; espresso

che, per altri voler, perder se stesso?

 

2

Vari gli effetti son, ma la pazzia

è; tutt'una però;, che li fa uscire.

Gli è; come una gran selva, ove la via

conviene a forza, a chi vi va, fallire:

chi su, chi giù;, chi qua, chi là; travia.

Per concludere in somma, io vi vo' dire:

a chi in amor s'invecchia, oltr'ogni pena,

si convengono i ceppi e la catena.

 

3

Ben mi si potria dir: - Frate, tu vai

l'altrui mostrando, e non vedi il tuo fallo. -

Io vi rispondo che comprendo assai,

or che di mente ho lucido intervallo;

ed ho gran cura (e spero farlo ormai)

di riposarmi e d'uscir fuor di ballo:

ma tosto far, come vorrei, nol posso;

che 'l male è; penetrato infin all'osso.

 

4

Signor, ne l'altro canto io vi dicea

che 'l forsennato e furioso Orlando

trattesi l'arme e sparse al campo avea,

squarciati i panni, via gittato il brando,

svelte le piante, e risonar facea

i cavi sassi e l'alte selve; quando

alcun' pastori al suon trasse in quel lato

lor stella, o qualche lor grave peccato.

 

5

Viste del pazzo l'incredibil prove

poi più; d'appresso e la possanza estrema,

si voltan per fuggir, ma non sanno ove,

sì; come avviene in subitana tema.

Il pazzo dietro lor ratto si muove:

uno ne piglia, e del capo lo scema

con la facilità; che torria alcuno

da l'arbor pome, o vago fior dal pruno.

 

6

Per una gamba il grave tronco prese,

e quello usò; per mazza adosso al resto:

in terra un paio addormentato stese,

ch'al novissimo dì; forse fia desto.

Gli altri sgombraro subito il paese,

ch'ebbono il piede e il buono aviso presto.

Non saria stato il pazzo al seguir lento,

se non ch'era già; volto al loro armento.

 

7

Gli agricultori, accorti agli altru'esempli,

lascian nei campi aratri e marre e falci:

chi monta su le case e chi sui templi

(poi che non son sicuri olmi né; salci),

onde l'orrenda furia si contempli,

ch'a pugni, ad urti, a morsi, a graffi, a calci,

cavalli e buoi rompe, fraccassa e strugge;

e ben è; corridor chi da lui fugge.

 

8

Già; potreste sentir come ribombe

l'alto rumor ne le propinque ville

d'urli e di corni, rusticane trombe.

e più; spesso che d'altro, il suon di squille;

e con spuntoni ed archi e spiedi e frombe

veder dai monti sdrucciolarne mille,

ed altritanti andar da basso ad alto,

per fare al pazzo un villanesco assalto.

 

9

Qual venir suol nel salso lito l'onda

mossa da l'austro ch'a principio scherza,

che maggior de la prima è; la seconda,

e con più; forza poi segue la terza;

ed ogni volta più; l'umore abonda,

e ne l'arena più; stende la sferza:

tal contra Orlando l'empia turba cresce,

che giù; da balze scende e di valli esce.

 

10

Fece morir diece persone e diece,

che senza ordine alcun gli andaro in mano:

e questo chiaro esperimento fece,

ch'era assai più; sicur starne lontano.

Trar sangue da quel corpo a nessun lece,

che lo fere e percuote il ferro invano.

Al conte il re del ciel tal grazia diede,

per porlo a guardia di sua santa fede.

 

11

Era a periglio di morire Orlando,

se fosse di morir stato capace.

Potea imparar ch'era a gittare il brando,

e poi voler senz'arme essere audace.

La turba già; s'andava ritirando,

vedendo ogni suo colpo uscir fallace.

Orlando, poi che più; nessun l'attende,

verso un borgo di case il camin prende.

 

12

Dentro non vi trovò; piccol né; grande,

che 'l borgo ognun per tema avea lasciato.

v'erano in copia povere vivande,

convenienti a un pastorale stato.

Senza pane di scerner da le giande,

dal digiuno e da l'impeto cacciato,

le mani e il dente lasciò; andar di botto

in quel che trovò; prima, o crudo o cotto.

 

13

E quindi errando per tutto il paese,

dava la caccia e agli uomini e alle fere;

e scorrendo pei boschi, talor prese

i capri isnelli e le damme leggiere.

Spesso con orsi e con cingiai contese,

e con man nude li pose a giacere:

e di lor carne con tutta la spoglia

più; volte il ventre empì; con fiera voglia.

 

14

Di qua, di là;, di su, di giù; discorre

per tutta Francia; e un giorno a un ponte arriva,

sotto cui largo e pieno d'acqua corre

un fiume d'alta e di scoscesa riva.

Edificato accanto avea una torre

che d'ogn'intorno e di lontan scopriva.

Quel che fe' quivi, avete altrove a udire;

che di Zerbin mi convien prima dire.

 

15

Zerbin, da poi ch'Orlando fu partito,

dimorò; alquanto, e poi prese il sentiero

che 'l paladino inanzi gli avea trito,

e mosse a passo lento il suo destriero.

Non credo che duo miglia anco fosse ito,

che trar vide legato un cavalliero

sopra un picciol ronzino, e d'ogni lato

la guardia aver d'un cavalliero armato.

 

16

Zerbin questo prigion conobbe tosto

che gli fu appresso, e così; fe' lssabella:

era Odorico il Biscaglin, che posto

fu come lupo a guardia de l'agnella.

L'avea a tutti gli amici suoi preposto

Zerbino in confidargli la donzella,

sperando che la fede che nel resto

sempre avea avuta, avesse ancora in questo.

 

17

Come era a punto quella cosa stata,

venì;a Issabella raccontando allotta:

come nel palischermo fu salvata,

prima ch'avesse il mar la nave rotta;

la forza che l'avea Odorico usata;

e come tratta poi fosse alla grotta.

Né; giunt'era anco al fin di quel sermone,

che trarre il malfattor vider prigione.

 

18

I duo ch'in mezzo avean preso Odorico,

d'Issabella notizia ebbeno vera;

e s'avisaro esser di lei l'amico,

e 'l signor lor, colui ch'appresso l'era;

ma più;, che ne lo scudo il segno antico

vider dipinto di sua stirpe altiera:

e trovar poi, che guardar meglio al viso,

che s'era al vero apposto il loro aviso.

 

19

Saltaro a piedi, e con aperte braccia

correndo se n'andar verso Zerbino,

e l'abbracciaro ove il maggior s'abbraccia,

col capo nudo e col ginocchio chino.

Zerbin, guardando l'uno e l'altro in faccia,

vide esser l'un Corebo il Biscaglino,

Almonio l'altro, ch'egli avea mandati

con Odorico in sul navilio armati.

 

20

Almonio disse: - Poi che piace a Dio

(la sua mercé;) che sia Issabella teco,

io posso ben comprender, signor mio,

che nulla cosa nuova ora t'arreco,

s'io vo' dir la cagion che questo rio

fa che cosi legato vedi meco;

che da costei, che più; sentì; l'offesa,

a punto avrai tutta l'istoria intesa.

 

21

Come dal traditore io fui schernito

quando da sé; levommi, saper dé;i;

e come poi Corebo fu ferito,

ch'a difender s'avea tolto costei.

Ma quanto al mio ritorno sia seguito,

né; veduto né; inteso fu da lei,

che te l'abbia potuto riferire:

di questa parte dunque io ti vo' dire.

 

22

Da la cittade al mar ratto io veniva

con cavalli ch'in fretta avea trovati,

sempre con gli occhi intenti s'io scopriva

costor che molto a dietro eran restati.

Io vengo inanzi, io vengo in su la riva

del mare, al luogo ove io gli avea lasciati;

io guardo, né; di loro altro ritrovo,

che ne l'arena alcun vestigio nuovo.

 

23

La pesta seguitai, che mi condusse

nel bosco fier; né; molto adentro fui,

che, dove il suon l'orecchie mi percusse,

giacere in terra ritrovai costui.

Gli domandai che de la donna fusse,

che d'Odorico, e chi aveva offeso lui.

Io me n'andai, poi che la cosa seppi,

il traditor cercando per quei greppi.

 

24

Molto aggirando vommi, e per quel giorno

altro vestigio ritrovar non posso.

Dove giacea Corebo al fin ritorno,

che fatto appresso avea il terren sì; rosso,

che poco più; che vi facea soggiorno,

gli saria stato di bisogno il fosso

e i preti e i frati più; per sotterrarlo,

ch'i medici e che 'l letto per sanarlo.

 

25

Dal bosco alla città; feci portallo,

e posi in casa d'uno ostier mio amico,

che fatto sano in poco termine hallo

per cura ed arte d'un chirurgo antico.

Poi d'arme proveduti e di cavallo

Corebo ed io cercammo d'Odorico,

ch'in corte del re Alfonso di Biscaglia

trovammo; e quivi fui seco a battaglia.

 

26

La giustizia del re, che il loco franco

de la pugna mi diede, e la ragione,

ed oltre alla ragion la Fortuna anco,

che spesso la vittoria, ove vuol, pone,

mi giovar sì;, che di me poté; manco

il traditore; onde fu mio prigione.

Il re, udito il gran fallo, mi concesse

di poter farne quanto mi piacesse.

 

27

Non l'ho voluto uccider né; lasciarlo,

ma, come vedi, trarloti in catena;

perché; vo' ch'a te stia di giudicarlo,

se morire o tener si deve in pena.

L'avere inteso ch'eri appresso a Carlo,

e 'l desir di trovarti qui mi mena.

Ringrazio Dio che mi fa in questa parte,

dove lo sperai meno, ora trovarte.

 

28

Ringraziolo anco, che la tua Issabella

io veggo (e non so come) che teco hai;

di cui, per opera del fellon, novella

pensai che non avessi ad udir mai. -

Zerbino ascolta Almonio e non favella,

fermando gli occhi in Odorico assai;

non sì; per odio, come che gl'incresce

ch'a sì; mal fin tanta amicizia gli esce.

 

29

Finito ch'ebbe Almonio il suo sermone,

Zerbin riman gran pezzo sbigottito,

che chi d'ogn'altro men n'avea cagione,

sì; espressamente il possa aver tradito.

Ma poi che d'una lunga ammirazione

fu, sospirando, finalmente uscito,

al prigion domandò; se fosse vero

quel ch'avea di lui detto il cavalliero.

 

30

Il disleal con le ginocchia in terra

lasciò; cadersi, e disse: - Signor mio,

ognun che vive al mondo pecca ed erra:

né; differisce in altro il buon dal rio,

se non che l'uno è; vinto ad ogni guerra

che gli vien mossa da un piccol disio;

l'altro ricorre all'arme e si difende,

ma se 'l nimico è; forte, anco ei si rende.

 

31

Se tu m'avessi posto alla difesa

d'una tua rocca, e ch'al primiero assalto

alzate avessi, senza far contesa,

degl'inimici le bandiere in alto;

di viltà;, o tradimento, che più; pesa,

sugli occhi por mi si potria uno smalto:

ma s'io cedessi a forza, son ben certo

che biasmo non avrei, ma gloria e merto.

 

32

Sempre che l'inimico è; più; possente,

più; chi perde accettabile ha la scusa.

Mia fé; guardar dovea non altrimente

ch'una fortezza d'ogn'intorno chiusa:

così;, con quanto senno e quanta mente

da la somma Prudenza m'era infusa,

io mi sforzai guardarla; ma al fin vinto

da intolerando assalto, ne fui spinto. -

 

33

Così; disse Odorico, e poi soggiunse

(che saria lungo a ricontarvi il tutto)

mostrando che gran stimolo lo punse,

e non per lieve sferza s'era indutto.

Se mai per prieghi ira di cor si emunse,

s'umiltà; di parlar fece mai frutto,

quivi far lo dovea; che ciò; che muova

di cor durezza, ora Odorico trova.

 

34

Pigliar di tanta ingiuria alta vendetta,

tra il sì; Zerbino e il no resta confuso:

il vedere il demerito lo alletta

a far che sia il fellon di vita escluso;

il ricordarsi l'amicizia stretta

ch'era stata tra lor per sì; lungo uso,

con l'acqua di pietà; l'accesa rabbia

nel cor gli spegne, e vuol che mercé; n'abbia.

 

35

Mentre stava così; Zerbino in forse

di liberare, o di menar captivo,

o pur il disleal dagli occhi torse

per morte, o pur tenerlo in pena vivo;

quivi rignando il palafreno corse,

che Mandricardo avea di briglia privo;

e vi portò; la vecchia che vicino

a morte dianzi avea tratto Zerbino.

 

36

Il palafren, ch'udito di lontano

avea quest'altri, era tra lor venuto,

e la vecchia portatavi, ch'invano

venì;a piangendo e domandando aiuto.

Come Zerbin lei vide, alzò; la mano

al ciel che sì; benigno gli era suto,

che datogli in arbitrio avea que' dui

che soli odiati esser dovean da lui.

 

37

Zerbin fa ritener la mala vecchia,

tanto che pensi quel che debba farne:

tagliarle il naso e l'una e l'altra orecchia

pensa, ed esempio a' malfattori darne;

poi gli par assai meglio, s'apparecchia

un pasto agli avoltoi di quella carne.

Punizion diversa tra sé; volve;

e così; finalmente si risolve.

 

38

Si rivolta ai compagni, e dice: - Io sono

di lasciar vivo il disleal contento;

che s'in tutto non merita perdono,

non merita anco sì; crudel tormento.

Che viva e che slegato sia gli dono,

però; ch'esser d'Amor la colpa sento;

e facilmente ogni scusa s'ammette,

quando in Amor la colpa si reflette.

 

39

Amore ha volto sottosopra spesso

senno più; saldo che non ha costui,

ed ha condotto a via maggiore eccesso

di questo, ch'oltraggiato ha tutti nui.

Ad Odorico debbe esser rimesso:

punito esser debbo io, che cieco fui,

cieco a dargline impresa, e non por mente

che 'l fuoco arde la paglia facilmente. -

 

40

Poi mirando Odorico: - Io vo' che sia

(gli disse) del tuo error la penitenza,

che la vecchia abbi un anno in compagnia,

né; di lasciarla mai ti sia licenza;

ma notte e giorno, ove tu vada o stia,

un'ora mai non te ne trovi senza;

e fin a morte sia da te difesa

contra ciascun che voglia farle offesa.

 

41

Vo', se da lei ti sarà; commandato,

che pigli contra ognun contesa e guerra:

vo' in questo tempo, che tu sia ubligato

tutta Francia cercar di terra in terra. -

Così; dicea Zerbin; che pel peccato

meritando Odorico andar sotterra,

questo era porgli inanzi un'alta fossa,

che fia gran sorte che schivar la possa.

 

42

Tante donne, tanti uomini traditi

avea la vecchia, e tanti offesi e tanti,

che chi sarà; con lei, non senza liti

potrà; passar de' cavallieri erranti.

Così; di par saranno ambi puniti:

ella de' suoi commessi errori inanti,

egli di torne la difesa a torto;

né; molto potrà; andar che non sia morto.

 

43

Di dover servar questo, Zerbin diede

ad Odorico un giuramento forte,

con patto che se mai rompe la fede,

e ch'inanzi gli capiti per sorte,

senza udir prieghi e averne più; mercede,

lo debba far morir di cruda morte.

Ad Almonio e a Corebo poi rivolto,

fece Zerbin che fu Odorico sciolto.

 

44

Corebo, consentendo Almonio, sciolse

il traditore al fin, ma non in fretta;

ch'all'uno e all'altro esser turbato dolse

da sì; desiderata sua vendetta.

Quindi partissi il disleale, e tolse

in compagnia la vecchia maledetta.

Non si legge in Turpin che n'avvenisse;

ma vidi già; un autor che più; ne scrisse.

 

45

Scrive l'autore, il cui nome mi taccio,

che non furo lontani una giornata,

che per torsi Odorico quello impaccio,

contra ogni patto ed ogni fede data,

al collo di Gabrina gittò; un laccio,

e che ad un olmo la lasciò; impiccata;

e ch'indi a un anno (ma non dice il loco)

Almonio a lui fece il medesmo giuoco.

 

46

Zerbin che dietro era venuto all'orma

del paladin, né; perder la vorrebbe,

manda a dar di sé; nuove alla sua torma,

che star senza gran dubbio non ne debbe:

Almonio manda, e di più; cose informa,

che lungo il tutto a ricontar sarebbe;

Almonio manda, e a lui Corebo appresso;

né; tien, fuor ch'Issabella, altri con esso.

 

47

Tant'era l'amor grande che Zerbino,

e non minor del suo quel che Issabella

portava al virtuoso paladino;

tanto il desir d'intender la novella

ch'egli avesse trovato il Saracino

che del destrier lo trasse con la sella;

che non farà; all'esercito ritorno,

se non finito che sia il terzo giorno;

 

48

il termine ch'Orlando aspettar disse

il cavallier ch'ancor non porta spada.

Non è; alcun luogo dove il conte gisse,

che Zerbin pel medesimo non vada.

Giunse al fin tra quegli arbori che scrisse

l'ingrata donna, un poco fuor di strada;

e con la fonte e col vicino sasso

tutti li ritruovò; messi in fracasso.

 

49

Vede lontan non sa che luminoso,

e trova la corazza esser del conte;

e trova l'elmo poi, non quel famoso

ch'armò; già; il capo all'africano Almonte.

Il destrier ne la selva più; nascoso

sente anitrire, e leva al suon la fronte;

e vede Brigliador pascer per l'erba,

che dall'arcion pendente il freno serba.

 

50

Durindana cercò; per la foresta,

e fuor la vide del fodero starse.

Trovò;, ma in pezzi, ancor la sopravesta

ch'in cento lochi il miser conte sparse.

Issabella e Zerbin con faccia mesta

stanno mirando, e non san che pensarse:

pensar potrian tutte le cose, eccetto

che fosse Orlando fuor dell'intelletto.

 

51

Se di sangue vedessino una goccia,

creder potrian che fosse stato morto.

Intanto lungo la corrente doccia

vider venire un pastorello smorto.

Costui pur dianzi avea di su la roccia

l'alto furor de l'infelice scorto,

come l'arme gittò;, squarciossi i panni,

pastori uccise, e fe' mill'altri danni.

 

52

Costui, richiesto da Zerbin, gli diede

vera informazion di tutto questo.

Zerbin si maraviglia, e a pena il crede;

e tuttavia n'ha indizio manifesto.

Sia come vuole, egli discende a piede,

pien di pietade, lacrimoso e mesto;

e ricogliendo da diversa parte

le reliquie ne va ch'erano sparte.

 

53

Del palafren discende anco Issabella,

e va quell'arme riducendo insieme.

Ecco lor sopraviene una donzella

dolente in vista, e di cor spesso geme.

Se mi domanda alcun chi sia, perch'ella

così; s'affligge, e che dolor la preme,

io gli risponderò; che è; Fiordiligi

che de l'amante suo cerca i vestigi.

 

54

Da Brandimarte senza farle motto

lasciata fu ne la città; di Carlo,

dov'ella l'aspettò; sei mesi od otto;

e quando al fin non vide ritornarlo,

da un mare all'altro si mise, fin sotto

Pirene e l'Alpe, e per tutto a cercarlo:

l'andò; cercando in ogni parte, fuore

ch'al palazzo d'Atlante incantatore.

 

55

Se fosse stata a quell'ostel d'Atlante,

veduto con Gradasso andare errando

l'avrebbe, con Ruggier, con Bradamante,

e con Ferraù; prima e con Orlando;

ma poi che cacciò; Astolfo il negromante

col suono del corno orribile e mirando,

Brandimarte tornò; verso Parigi:

ma non sapea già; questo Fiordiligi.

 

56

Come io vi dico, sopraggiunta a caso

a quei duo amanti Fiordiligi bella,

conobbe l'arme, e Brigliador rimaso

senza il patrone e col freno alla sella.

Vide con gli occhi il miserabil caso,

e n'ebbe per udita anco novella;

che similmente il pastorel narrolle

aver veduto Orlando correr folle.

 

57

Quivi Zerbin tutte raguna l'arme,

e ne fa come un bel trofeo su 'n pino;

e volendo vietar che non se n'arme

cavallier paesan né; peregrino,

scrive nel verde ceppo in breve carme:

- Armatura d'Orlando paladino; -

come volesse dir: nessun la muova,

che star non possa con Orlando a prova.

 

58

Finito ch'ebbe la lodevol opra,

tornava a rimontar sul suo destriero;

ed ecco Mandricardo arrivar sopra,

che visto il pin di quelle spoglie altiero,

lo priega che la cosa gli discuopra:

e quel gli narra, come ha inteso, il vero.

Allora il re pagan lieto non bada,

che viene al pino, e ne leva la spada,

 

59

dicendo: - Alcun non me ne può; riprendere;

non è; pur oggi ch'io l'ho fatta mia,

ed il possesso giustamente prendere

ne posso in ogni parte, ovunque sia.

Orlando che temea quella difendere,

s'ha finto pazzo, e l'ha gittata via;

ma quando sua viltà; pur così; scusi,

non debbe far ch'io mia ragion non usi. -

 

60

Zerbino a lui gridava: - Non la torre,

o pensa non l'aver senza questione.

Se togliesti così; l'arme d'Ettorre,

tu l'hai di furto, più; che di ragione. -

Senz'altro dir l'un sopra l'altro corre,

d'animo e di virtù; gran paragone.

Di cento colpi già; rimbomba il suono,

né; bene ancor ne la battaglia sono.

 

61

Di prestezza Zerbin pare una fiamma

a torsi ovunque Durindana cada:

di qua di là; saltar come una damma

fa 'l suo destrier dove è; miglior la strada.

E ben convien che non ne perda dramma;

ch'andrà;, s'un tratto il coglie quella spada,

a ritrovar gl'innamorati spirti

ch'empion la selva degli ombrosi mirti.

 

62

Come il veloce can che 'l porco assalta

che fuor del gregge errar vegga nei campi,

lo va aggirando, e quinci e quindi salta;

ma quello attende ch'una volta inciampi:

così;, se vien la spada o bassa od alta,

sta mirando Zerbin come ne scampi;

come la vita e l'onor salvi a un tempo,

tien sempre l'occhio, e fiere e fugge a tempo.

 

63

Da l'altra parte, ovunque il Saracino

la fiera spada vibra o piena o vota,

sembra fra due montagne un vento alpino

ch'una frondosa selva il marzo scuota;

ch'ora la caccia a terra a capo chino,

or gli spezzati rami in aria ruota.

Ben che Zerbin più; colpi e fù;ggia e schivi,

non può; schivare al fin, ch'un non gli arrivi.

 

64

Non può; schivare al fine un gran fendente

che tra 'l brando e lo scudo entra sul petto.

Grosso l'usbergo, e grossa parimente

era la piastra, e 'l panziron perfetto:

pur non gli steron contra, ed ugualmente

alla spada crudel dieron ricetto.

Quella calò; tagliando ciò; che prese,

la corazza e l'arcion fin su l'arnese.

 

65

E se non che fu scarso il colpo alquanto,

permezzo lo fendea come una canna;

ma penetra nel vivo a pena tanto,

che poco più; che la pelle gli danna:

la non profunda piaga è; lunga quanto

non si misureria con una spanna.

Le lucid'arme il caldo sangue irriga

per sino al piè; di rubiconda riga.

 

66

Così; talora un bel purpureo nastro

ho veduto partir tela d'argento

da quella bianca man più; ch'alabastro,

da cui partire il cor spesso mi sento.

Quivi poco a Zerbin vale esser mastro

di guerra, ed aver forza e più; ardimento;

che di finezza d'arme e di possanza

il re di Tartaria troppo l'avanza.

 

67

Fu questo colpo del pagan maggiore

in apparenza, che fosse in effetto;

tal ch'Issabella se ne sente il core

fendere in mezzo all'agghiacciato petto.

Zerbin pien d'ardimento e di valore

tutto s'infiamma d'ira e di dispetto;

e quanto più; ferire a due man puote,

in mezzo l'elmo il Tartaro percuote.

 

68

Quasi sul collo del destrier piegosse

per l'aspra botta il Saracin superbo;

e quando l'elmo senza incanto fosse,

partito il capo gli avria il colpo acerbo.

Con poco differir ben vendicosse,

né; disse: A un'altra volta io te la serbo:

e la spada gli alzò; verso l'elmetto,

sperandosi tagliarlo infin al petto.

 

69

Zerbin che tenea l'occhio ove la mente,

presto il cavallo alla man destra volse;

non sì; presto però;, che la tagliente

spada fuggisse, che lo scudo colse.

Da sommo ad imo ella il partì; ugualmente,

e di sotto il braccial roppe e disciolse

e lui ferì; nel braccio, e poi l'arnese

spezzò;gli, e ne la coscia anco gli scese.

 

70

Zerbin di qua di là; cerca ogni via,

né; mai di quel che vuol, cosa gli avviene;

che l'armatura sopra cui feria,

un piccol segno pur non ne ritiene.

Da l'altra parte il re di Tartaria

sopra Zerbino a tal vantaggio viene,

che l'ha ferito in sette parti o in otto,

tolto lo scudo, e mezzo l'elmo rotto.

 

71

Quel tuttavia più; va perdendo il sangue;

manca la forza, e ancor par che nol senta:

il vigoroso cor che nulla langue,

val sì;, che 'l debol corpo ne sostenta.

La donna sua, per timor fatta esangue,

intanto a Doralice s'appresenta,

e la priega e la supplica per Dio,

che partir voglia il fiero assalto e rio.

 

72

Cortese come bella, Doralice,

né; ben sicura come il fatto segua,

fa volentier quel ch'Issabella dice,

e dispone il suo amante a pace e a triegua.

Così; a' prieghi de l'altra l'ira ultrice

di cor fugge a Zerbino e si dilegua:

ed egli, ove a lei par, piglia la strada,

senza finir l'impresa de la spada.

 

73

Fiordiligi, che mal vede difesa

la buona spada del misero conte,

tacita duolsi, e tanto le ne pesa,

che d'ira piange e battesi la fronte.

Vorria aver Brandimarte a quella impresa;

e se mai lo ritrova e gli lo conte,

non crede poi che Mandricardo vada

lunga stagione altier di quella spada.

 

74

Fiordiligi cercando pure invano

va Brandimarte suo matina e sera;

e fa camin da lui molto lontano,

da lui che già; tornato a Parigi era.

Tanto ella se n'andò; per monte e piano,

che giunse ove, al passar d'una riviera,

vide e conobbe il miser paladino;

ma dicià;n quel ch'avvenne di Zerbino:

 

75

che 'l lasciar Durindana sì; gran fallo

gli par, che più; d'ogn'altro mal gl'incresce;

quantunque a pena star possa a cavallo

pel molto sangue che gli è; uscito ed esce.

Or poi che dopo non troppo intervallo

cessa con l'ira il caldo, il dolor cresce:

cresce il dolor sì; impetuosamente,

che mancarsi la vita se ne sente.

 

76

Per debolezza più; non potea gire;

sì; che fermossi appresso una fontana.

Non sa che far né; che si debba dire

per aiutarlo la donzella umana.

Sol di disagio lo vede morire;

che quindi è; troppo ogni città; lontana,

dove in quel punto al medico ricorra,

che per pietade o premio gli soccorra.

 

77

Ella non sa se non invan dolersi,

chiamar fortuna e il cielo empio e crudele.

- Perché;, ahi lassa! (dicea) non mi sommersi

quando levai ne l'Oceà;n le vele? -

Zerbin che i languidi occhi ha in lei conversi,

sente più; doglia ch'ella si querele,

che de la passion tenace e forte

che l'ha condutto omai vicino a morte.

 

78

- Così;, cor mio, vogliate (le diceva),

dopo ch'io sarò; morto, amarmi ancora,

come solo il lasciarvi è; che m'aggreva

qui senza guida, e non già; perch'io mora:

che se in sicura parte m'accadeva

finir de la mia vita l'ultima ora,

lieto e contento e fortunato a pieno

morto sarei, poi ch'io vi moro in seno.

 

79

Ma poi che 'l mio destino iniquo e duro

vol ch'io vi lasci, e non so in man di cui;

per questa bocca e per questi occhi giuro,

per queste chiome onde allacciato fui,

che disperato nel profondo oscuro

vo de lo 'nferno, ove il pensar di vui

ch'abbia così; lasciata, assai più; ria

sarà; d'ogn'altra pena che vi sia. -

 

80

A questo la mestissima Issabella,

declinando la faccia lacrimosa

e congiungendo la sua bocca a quella

di Zerbin, languidetta come rosa,

rosa non colta in sua stagion, sì; ch'ella

impallidisca in su la siepe ombrosa,

disse: - Non vi pensate già;, mia vita,

far senza me quest'ultima partita.

 

81

Di ciò;, cor mio, nessun timor vi tocchi;

ch'io vo' seguirvi o in cielo o ne lo 'nferno.

Convien che l'uno e l'altro spirto scocchi,

insieme vada, insieme stia in eterno.

Non sì; tosto vedrò; chiudervi gli occhi,

o che m'ucciderà; il dolore interno,

o se quel non può; tanto, io vi prometto

con questa spada oggi passarmi il petto.

 

82

De' corpi nostri ho ancor non poca speme,

che me' morti che vivi abbian ventura.

Qui forse alcun capiterà;, ch'insieme,

mosso a pietà;, darà; lor sepoltura. -

Così; dicendo, le reliquie estreme

de lo spirto vital che morte fura,

va ricogliendo con le labra meste,

fin ch'una minima aura ve ne reste.

 

83

Zerbin la debol voce riforzando,

disse: - Io vi priego e supplico, mia diva,

per quello amor che mi mostraste, quando

per me lasciaste la paterna riva;

e se commandar posso, io vel commando,

che fin che piaccia a Dio, restiate viva;

né; mai per caso pogniate in oblio

che quanto amar si può;, v'abbia amato io.

 

84

Dio vi provederà; d'aiuto forse,

per liberarvi d'ogni atto villano,

come fe' quando alla spelonca torse,

per indi trarvi, il senator romano.

Così; (la sua mercé;) già; vi soccorse

nel mare e contra il Biscaglin profano:

e se pure avverrà; che poi si deggia

morire, allora il minor mal s'elleggia. -

 

85

Non credo che quest'ultime parole

potesse esprimer sì;, che fosse inteso;

e finì; come il debol lume suole,

cui cera manchi od altro in che sia acceso.

Chi potrà; dire a pien come si duole,

poi che si vede pallido e disteso,

la giovanetta, e freddo come ghiaccio

il suo caro Zerbin restare in braccio?

 

86

Sopra il sanguigno corpo s'abbandona,

e di copiose lacrime lo bagna,

e stride sì;, ch'intorno ne risuona

a molte miglia il bosco e la campagna.

Né; alle guance né; al petto si perdona,

che l'uno e l'altro non percuota e fragna;

e straccia a torto l'auree crespe chiome,

chiamando sempre invan l'amato nome.

 

87

In tanta rabbia, in tal furor sommersa

l'avea la doglia sua, che facilmente

avria la spada in se stessa conversa,

poco al suo amante in questo ubidiente;

s'uno eremita ch'alla fresca e tersa

fonte avea usanza di tornar sovente

da la sua quindi non lontana cella,

non s'opponea, venendo, al voler d'ella.

 

88

Il venerabile uom, ch'alta bontade

avea congiunta a natural prudenza,

ed era tutto pien di caritade,

di buoni esempi ornato e d'eloquenza,

alla giovan dolente persuade

con ragioni efficaci pazienza;

e inanzi le puon, come uno specchio,

donne del Testamento e nuovo e vecchio.

 

89

Poi le fece veder, come non fusse

alcun, se non in Dio, vero contento,

e ch'eran l'altre transitorie e flusse

speranze umane, e di poco momento;

e tanto seppe dir, che la ridusse

da quel crudele ed ostinato intento,

che la vita sequente ebbe disio

tutta al servigio dedicar di Dio.

 

90

Non che lasciar del suo signor voglia unque

né; 'l grand'amor, né; le reliquie morte:

convien che l'abbia ovunque stia ed ovunque

vada, e che seco e notte e dì; le porte.

Quindi aiutando l'eremita dunque,

ch'era de la sua età; valido e forte,

sul mesto suo destrier Zerbin posaro,

e molti dì; per quelle selve andaro.

 

91

Non volse il cauto vecchio ridur seco,

sola con solo, la giovane bella

là; dove ascosa in un selvaggio speco

non lungi avea la solitaria cella;

fra sé; dicendo: - Con periglio arreco

in una man la paglia e la facella. -

Né; si fida in sua età; né; in sua prudenza,

che di sé; faccia tanta esperienza.

 

92

Di condurla in Provenza ebbe pensiero

non lontano a Marsilia in un castello,

dove di sante donne un monastero

ricchissimo era, e di edificio bello:

e per portarne il morto cavalliero,

composto in una cassa aveano quello,

che 'n un castel ch'era tra via, si fece

lunga e capace, e ben chiusa di pece.

 

93

Più; e più; giorni gran spazio di terra

cercaro, e sempre per lochi più; inculti;

che pieno essendo ogni cosa di guerra,

voleano gir più; che poteano occulti.

Al fine un cavallier la via lor serra,

che lor fe' oltraggi e disonesti insulti;

di cui dirò; quando il suo loco fia;

ma ritorno ora al re di Tartaria.

 

94

Avuto ch'ebbe la battaglia il fine

che già; v'ho detto, il giovin si raccolse

alle fresche ombre e all'onde cristalline;

ed al destrier la sella e 'l freno tolse,

e lo lasciò; per l'erbe tenerine

del prato andar pascendo ove egli volse:

ma non ste' molto, che vide lontano

calar dal monte un cavalliero al piano.

 

95

Conobbel, come prima alzò; la fronte,

Doralice, e mostrollo a Mandricardo,

dicendo: - Ecco il superbo Rodomonte,

se non m'inganna di lontan lo sguardo.

Per far teco battaglia cala il monte:

or ti potrà; giovar l'esser gagliardo.

Perduta avermi a grande ingiuria tiene,

ch'era sua sposa, e a vendicar si viene. -

 

96

Qual buono astor che l'anitra o l'acceggia,

starna o colombo o simil altro augello

venirsi incontra di lontano veggia,

leva la testa e si fa lieto e bello;

tal Mandricardo, come certo deggia

di Rodomonte far strage e macello,

con letizia e baldanza il destrier piglia,

le staffe ai piedi, e dà; alla man la briglia.

 

97

Quando vicini fur sì;, ch'udir chiare

tra lor poteansi le parole altiere,

con le mani e col capo a minacciare

incominciò; gridando il re d'Algiere,

ch'a penitenza gli faria tornare

che per un temerario suo piacere

non avesse rispetto a provocarsi

lui ch'altamente era per vendicarsi.

 

98

Rispose Mandricardo: - Indarno tenta

chi mi vuol impaurir per minacciarme:

così; fanciulli o femine spaventa,

o altri che non sappia che sieno arme;

me non, cui la battaglia più; talenta

d'ogni riposo; e son per adoprarme

a piè;, a cavallo, armato e disarmato,

sia alla campagna, o sia ne lo steccato. -

 

99

Ecco sono agli oltraggi, al grido, all'ire,

al trar de' brandi, al crudel suon de' ferri;

come vento che prima a pena spire,

poi cominci a crollar frassini e cerri,

ed indi oscura polve in cielo aggire,

indi gli arbori svella e case atterri,

sommerga in mare, e porti ria tempesta

che 'l gregge sparso uccida alla foresta.

 

100

De' duo pagani, senza pari in terra,

gli audacissimi cor, le forze estreme

parturiscono colpi, ed una guerra

conveniente a sì; feroce seme.

Del grande e orribil suon triema la terra,

quando le spade son percosse insieme:

gettano l'arme insin al ciel scintille,

anzi lampadi accese a mille a mille.

 

101

Senza mai riposarsi o pigliar fiato

dura fra quei duo re l'aspra battaglia,

tentando ora da questo, or da quel lato

aprir le piastre e penetrar la maglia.

Né; perde l'un, né; l'altro acquista il prato,

ma come intorno sian fosse o muraglia,

o troppo costi ogn'oncia di quel loco,

non si parton d'un cerchio angusto e poco.

 

102

Fra mille colpi il Tartaro una volta

colse a duo mani in fronte il re d'Algiere;

che gli fece veder girare in volta

quante mai furon fiacole e lumiere.

Come ogni forza all'African sia tolta,

le groppe del destrier col capo fere:

perde la staffa, ed è;, presente quella

che cotant'ama, per uscir di sella.

 

103

Ma come ben composto e valido arco

di fino acciaio in buona somma greve,

quanto si china più;, quanto è; più; carco,

e più; lo sforzan martinelli e lieve;

con tanto più; furor, quanto è; poi scarco,

ritorna, e fa più; mal che non riceve:

così; quello African tosto risorge,

e doppio il colpo all'inimico porge.

 

104

Rodomonte a quel segno ove fu colto,

colse a punto il figliol del re Agricane.

Per questo non poté; nuocergli al volto,

ch'in difesa trovò; l'arme troiane;

ma stordì; in modo il Tartaro, che molto

non sapea s'era vespero o dimane.

L'irato Rodomonte non s'arresta,

che mena l'altro, e pur segna alla testa.

 

105

Il cavallo del Tartaro, ch'aborre

la spada che fischiando cala d'alto,

al suo signor con suo gran mal soccorre,

perché; s'arretra, per fuggir, d'un salto:

il brando in mezzo il capo gli trascorre,

ch'al signor, non a lui, movea l'assalto.

Il miser non avea l'elmo di Troia,

come il patrone; onde convien che muoia.

 

106

Quel cade, e Mandricardo in piedi guizza,

non più; stordito, e Durindana aggira.

Veder morto il cavallo entro gli adizza,

e fuor divampa un grave incendio d'ira.

L'African, per urtarlo, il destrier drizza;

ma non più; Mandricardo si ritira,

che scoglio far soglia da l'onde: e avvenne

che 'l destrier cadde, ed egli in piè; si tenne.

 

107

L'African che mancarsi il destrier sente,

lascia le staffe e sugli arcion si ponta,

e resta in piedi e sciolto agevolmente:

così; l'un l'altro poi di pari affronta.

La pugna più; che mai ribolle ardente,

e l'odio e l'ira e la superbia monta:

ed era per seguir; ma quivi giunse

in fretta un messagger che gli disgiunse.

 

108

Vi giunse un messagger del popul Moro,

di molti che per Francia eran mandati

a richiamare agli stendardi loro

i capitani e i cavallier privati;

perché; l'imperator dai gigli d'oro

gli avea gli alloggiamenti già; assediati;

e se non è; il soccorso a venir presto,

l'eccidio suo conosce manifesto.

 

109

Riconobbe il messaggio i cavallieri,

oltre all'insegne, oltre alle sopraveste,

al girar de le spade, e ai colpi fieri

ch'altre man non farebbeno che queste.

Tra lor però; non osa entrar, che speri

che fra tant'ira sicurtà; gli preste

l'esser messo del re; né; si conforta

per dir ch'imbasciator pena non porta.

 

110

Ma viene a Doralice, ed a lei narra

ch'Agramante, Marsilio e Stordilano,

con pochi dentro a mal sicura sbarra

sono assediati dal popul cristiano.

Narrato il caso, con prieghi ne inarra

che faccia il tutto ai duo guerrieri piano,

e che gli accordi insieme, e per lo scampo

del popul saracin li meni in campo.

 

111

Tra i cavallier la donna di gran core

si mette, e dice loro: - Io vi comando,

per quanto so che mi portate amore,

che riserbiate a miglior uso il brando,

e ne vegnate subito in favore

del nostro campo saracino, quando

si trova ora assediato ne le tende,

e presto aiuto, o gran ruina attende. -

 

112

lndi il messo soggiunse il gran periglio

dei Saracini, e narrò; il fatto a pieno;

e diede insieme lettere del figlio

del re Troiano al figlio d'Ulieno.

Si piglia finalmente per consiglio

che i duo guerrier, deposto ogni veneno,

facciano insieme triegua fin al giorno

che sia tolto l'assedio ai Mori intorno;

 

113

e senza più; dimora, come pria

liberato d'assedio abbian lor gente,

non s'intendano aver più; compagnia,

ma crudel guerra e inimicizia ardente,

fin che con l'arme diffinito sia

chi la donna aver de' meritamente.

Quella, ne le cui man giurato fue,

fece la sicurtà; per amendue.

 

114

Quivi era la Discordia impaziente,

inimica di pace e d'ogni triegua;

e la Superbia v'è;, che non consente

né; vuol patir che tale accordo segua.

Ma più; di lor può; Amor quivi presente,

di cui l'alto valor nessuno adegua;

e fe' ch'indietro, a colpi di saette,

e la Discordia e la Superbia stette.

 

115

Fu conclusa la triegua fra costoro

sì; come piacque a chi di lor potea.

Vi mancava uno dei cavalli loro,

che morto quel del Tartaro giacea:

però; vi venne a tempo Brigliadoro,

che le fresche erbe lungo il rio pascea.

Ma al fin del canto io mi trovo esser giunto;

sì; ch'io farò;, con vostra grazia, punto.

 

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CANTO VENTICINQUESIMO

 

1

Oh gran contrasto in giovenil pensiero,

desir di laude ed impeto d'amore!

né; chi più; vaglia, ancor si trova il vero;

che resta or questo or quel superiore.

Ne l'uno ebbe e ne l'altro cavalliero

quivi gran forza il debito e l'onore;

che l'amorosa lite s'intermesse,

fin che soccorso il campo lor s'avesse.

 

2

Ma più; ve l'ebbe Amor: che se non era

che così; commandò; la donna loro,

non si sciogliea quella battaglia fiera,

che l'un n'avrebbe il triunfale alloro;

ed Agramante invan con la sua schiera

l'aiuto avria aspettato di costoro.

Dunque Amor sempre rio non si ritrova:

se spesso nuoce, anco talvolta giova.

 

3

Or l'uno e l'altro cavallier pagano,

che tutti ha differiti i suoi litigi,

va, per salvar l'esercito africano,

con la donna gentil verso Parigi;

e va con essi ancora il piccol nano

che seguitò; del Tartaro i vestigi,

fin che con lui condotto a fronte a fronte

avea quivi il geloso Rodomonte.

 

4

Capitaro in un prato ove a diletto

erano cavallier sopra un ruscello,

duo disarmati e duo ch'avean l'elmetto,

e una donna con lor di viso bello.

Chi fosser quelli, altrove vi fia detto;

or no, che di Ruggier prima favello,

del buon Ruggier di cui vi fu narrato

che lo scudo nel pozzo avea gittato.

 

5

Non è; dal pozzo ancor lontano un miglio,

che venire un corrier vede in gran fretta,

di quei che manda di Troiano il figlio

ai cavallieri onde soccorso aspetta;

dal qual ode che Carlo in tal periglio

la gente saracina tien ristretta,

che, se non è; chi tosto le dia aita,

tosto l'onor vi lascerà; o la vita.

 

6

Fu da molti pensier ridutto in forse

Ruggier, che tutti l'assaliro a un tratto;

ma qual per lo miglior dovesse torse,

né; luogo avea né; tempo a pensar atto.

Lasciò; andare il messaggio, e 'l freno torse

là; dove fu da quella donna tratto,

ch'ad or ad or in modo egli affrettava,

che nessun tempo d'indugiar le dava.

 

7

Quindi seguendo il camin preso, venne

(già; declinando il sole) ad una terra

che 'l re Marsilio in mezzo Francia tenne,

tolta di man di Carlo in quella guerra.

Né; al ponte né; alla porta si ritenne,

che non gli niega alcuno il passo o serra,

ben ch'intorno al rastrello e in su le fosse

gran quantità; d'uomini e d'arme fosse.

 

8

Perch'era conosciuta da la gente

quella donzella ch'avea in compagnia,

fu lasciato passar liberamente,

né; domandato pure onde venì;a.

Giunse alla piazza, e di fuoco lucente,

e piena la trovò; di gente ria;

e vide in mezzo star con viso smorto

il giovine dannato ad esser morto.

 

9

Ruggier come gli alzò; gli occhi nel viso,

che chino a terra e lacrimoso stava,

di veder Bradamante gli fu aviso,

tanto il giovine a lei rassimigliava.

Più; dessa gli parea, quanto più; fiso

al volto e alla persona il riguardava;

e fra sé; disse: - O questa è; Bradamante,

o ch'io non son Ruggier com'era inante.

 

10

Per troppo ardir si sarà; forse messa

del garzon condennato alla difesa;

e poi che mal la cosa l'è; successa,

ne sarà; stata, come io veggo, presa.

Deh perché; tanta fretta, che con essa

io non potei trovarmi a questa impresa?

Ma Dio ringrazio che ci son venuto,

ch'a tempo ancora io potrò; darle aiuto. -

 

11

E sanza più; indugiar la spada stringe

(ch'avea all'altro castel rotta la lancia),

e adosso il vulgo inerme il destrier spinge

per lo petto, pei fianchi e per la pancia.

Mena la spada a cerco, ed a chi cinge

la fronte, a chi la gola, a chi la guancia.

Fugge il popul gridando; e la gran frotta

resta o sciancata o con la testa rotta.

 

12

Come stormo d'augei ch'in ripa a un stagno

vola sicuro e a sua pastura attende,

s'improviso dal ciel falcon grifagno

gli dà; nel mezzo ed un ne batte o prende,

si sparge in fuga, ognun lascia il compagno,

e de lo scampo suo cura si prende;

così; veduto avreste far costoro,

tosto che 'l buon Ruggier diede fra loro.

 

13

A quattro o sei dai colli i capi netti

levò; Ruggier, ch'indi a fuggir fur lenti;

ne divise altretanti infin ai petti,

fin agli occhi infiniti e fin ai denti.

Concederò; che non trovasse elmetti,

ma ben di ferro assai cuffie lucenti:

e s'elmi fini anco vi fosser stati,

così; gli avrebbe, o poco men, tagliati.

 

14

La forza di Ruggier non era quale

or si ritrovi in cavallier moderno,

né; in orso né; in leon né; in animale

altro più; fiero, o nostrale od esterno.

Forse il tremuoto le sarebbe uguale,

forse il Gran Diavol: non quel de lo 'nferno,

ma quel del mio signor, che va col fuoco

ch'a cielo e a terra e a mar si fa dar loco.

 

15

D'ogni suo colpo mai non cadea manco

d'un uomo in terra, e le più; volte un paio;

e quattro a un colpo e cinque n'uccise anco,

sì; che si venne tosto al centinaio.

Tagliava il brando che trasse dal fianco,

come un tenero latte, il duro acciaio.

Falerina, per dar morte ad Orlando,

fe' nel giardin d'Orgagna il crudel brando.

 

16

Averlo fatto poi ben le rincrebbe,

che 'l suo giardin disfar vide con esso.

Che strazio dunque, che ruina debbe

far or ch'in man di tal guerriero è; messo?

Se mai Ruggier furor, se mai forza ebbe,

se mai fu l'alto suo valore espresso,

qui l'ebbe, il pose qui, qui fu veduto,

sperando dare alla sua donna aiuto.

 

17

Qual fa la lepre contra i cani sciolti,

facea la turba contra lui riparo.

Quei che restaro uccisi, furo molti;

furo infiniti quei ch'in fuga andaro.

Avea la donna intanto i lacci tolti,

ch'ambe le mani al giovine legaro;

e come poté; meglio, presto armollo,

gli diè; una spada in mano e un scudo al collo.

 

18

Egli che molto è; offeso, più; che puote

si cerca vendicar di quella gente:

e quivi son sì; le sue forze note,

che riputar si fa prode e valente.

Già; avea attuffato le dorate ruote

il Sol ne la marina d'occidente,

quando Ruggier vittorioso e quello

giovine seco uscir fuor del castello.

 

19

Quando il garzon sicuro de la vita

con Ruggier si trovò; fuor de le porte,

gli rendé; molta grazia ed infinita

con gentil modi e con parole accorte,

che non lo conoscendo, a dargli aita

si fosse messo a rischio de la morte;

e pregò; che 'l suo nome gli dicesse,

per sapere a chi tanto obligo avesse.

 

20

- Veggo (dicea Ruggier) la faccia bella

e le belle fattezze e 'l bel sembiante,

ma la suavità; de la favella

non odo già; de la mia Bradamante;

né; la relazion di grazie è; quella

ch'ella usar debba al suo fedele amante.

Ma se pur questa è; Bradamante, or come

ha sì; tosto in oblio messo il mio nome? -

 

21

Per ben saperne il certo, accortamente

Ruggier le disse: - Io v'ho veduto altrove;

ed ho pensato e penso, e finalmente

non so né; posso ricordarmi dove.

Ditemel voi, se vi ritorna a mente,

e fate che 'l nome anco udir mi giove,

acciò; che saper possa a cui mia aita

dal fuoco abbia salvata oggi la vita. -

 

22

- Che voi m'abbiate visto esser potria

(rispose quel), che non so dove o quando:

ben vo pel mondo anch'io la parte mia,

strane aventure or qua or là; cercando.

Forse una mia sorella stata fia,

che veste l'arme e porta al lato il brando;

che nacque meco, e tanto mi somiglia,

che non ne può; discerner la famiglia.

 

23

Né; primo né; secondo né; ben quarto

sè;te di quei ch'errore in ciò; preso hanno:

né; 'l padre né; i fratelli né; chi a un parto

ci produsse ambi, scernere ci sanno.

Gli è; ver che questo crin raccorcio e sparto

ch'io porto, come gli altri uomini fanno,

ed il suo lungo e in treccia al capo avvolta,

ci solea far già; differenza molta:

 

24

ma poi ch'un giorno ella ferita fu

nel capo (lungo saria a dirvi come),

e per sanarla un servo di Iesù;

a mezza orecchia le tagliò; le chiome,

alcun segno tra noi non restò; più;

di differenza, fuor che 'l sesso e 'l nome.

Ricciardetto son io, Bradamante ella;

io fratel di Rinaldo, essa sorella.

 

25

E se non v'increscesse l'ascoltarmi,

cosa direi che vi faria stupire,

la qual m'occorse per assimigliarmi

a lei: gioia al principio e al fin martì;re. -

Ruggiero il qual più; graziosi carmi,

più; dolce istoria non potrebbe udire,

che dove alcun ricordo intervenisse

de la sua donna, il pregò; sì;, che disse.

 

26

- Accadde a questi dì;, che pei vicini

boschi passando la sorella mia,

ferita da uno stuol de Saracini

che senza l'elmo la trovar per via,

fu di scorciarsi astretta i lunghi crini,

se sanar volse d'una piaga ria

ch'avea con gran periglio ne la testa;

e così; scorcia errò; per la foresta.

 

27

Errando giunse ad una ombrosa fonte;

e perché; afflitta e stanca ritrovosse,

dal destrier scese e disarmò; la fronte,

e su le tenere erbe addormentosse.

Io non credo che fabula si conte,

che più; di questa istoria bella fosse.

Fiordispina di Spagna soprarriva,

che per cacciar nel bosco ne veniva.

 

28

E quando ritrovò; la mia sirocchia

tutta coperta d'arme, eccetto il viso,

ch'avea la spada in luogo di conocchia,

le fu vedere un cavalliero aviso.

La faccia e le viril fattezze adocchia

tanto, che se ne sente il cor conquiso;

la invita a caccia, e tra l'ombrose fronde

lunge dagli altri al fin seco s'asconde.

 

29

Poi che l'ha seco in solitario loco

dove non teme d'esser sopraggiunta,

con atti e con parole a poco a poco

le scopre il fisso cuor di grave punta.

Con gli occhi ardenti e coi sospir di fuoco

le mostra l'alma di disio consunta.

Or si scolora in viso, or si raccende;

tanto s'arrischia, ch'un bacio ne prende.

 

30

La mia sorella avea ben conosciuto

che questa donna in cambio l'avea tolta:

né; dar poteale a quel bisogno aiuto,

e si trovava in grande impaccio avvolta.

- Gli è; meglio (dicea seco) s'io rifiuto

questa avuta di me credenza stolta

e s'io mi mostro femina gentile,

che lasciar riputarmi un uomo vile. -

 

31

E dicea il ver; ch'era viltade espressa,

conveniente a un uom fatto di stucco,

con cui sì; bella donna fosse messa,

piena di dolce e di nettareo succo,

e tuttavia stesse a parlar con essa,

tenendo basse l'ale come il cucco.

Con modo accorto ella il parlar ridusse,

che venne a dir come donzella fusse;

 

32

che gloria, qual già; Ippolita e Camilla,

cerca ne l'arme; e in Africa era nata

in lito al mar ne la città; d'Arzilla,

a scudo e a lancia da fanciulla usata.

Per questo non si smorza una scintilla

del fuoco de la donna inamorata.

Questo rimedio all'alta piaga è; tardo:

tant'avea Amor cacciato inanzi il dardo.

 

33

Per questo non le par men bello il viso,

men bel lo sguardo e men belli i costumi;

per ciò; non torna il cor, che già; diviso

da lei, godea dentro gli amati lumi.

Vedendola in quell'abito, l'è; aviso

che può; far che 'l desir non la consumi;

e quando, ch'ella è; pur femina, pensa,

sospira e piange e mostra doglia immensa.

 

34

Chi avesse il suo ramarico e 'l suo pianto

quel giorno udito, avria pianto con lei.

- Quai tormenti (dicea) furon mai tanto

crudel, che più; non sian crudeli i miei?

D'ogn'altro amore, o scelerato o santo,

il desiato fin sperar potrei;

saprei partir la rosa da le spine:

solo il mio desiderio è; senza fine!

 

35

Se pur volevi, Amor, darmi tormento

che t'increscesse il mio felice stato,

d'alcun martì;r dovevi star contento,

che fosse ancor negli altri amanti usato.

Né; tra gli uomini mai né; tra l'armento,

che femina ami femina ho trovato:

non par la donna all'altre donne bella,

né; a cervie cervia, né; all'agnelle agnella.

 

36

In terra, in aria, in mar, sola son io

che patisco da te sì; duro scempio;

e questo hai fatto acciò; che l'error mio

sia ne l'imperio tuo l'ultimo esempio.

La moglie del re Nino ebbe disio,

il figlio amando, scelerato ed empio,

e Mirra il padre, e la Cretense il toro:

ma gli è; più; folle il mio, ch'alcun dei loro.

 

37

La femina nel maschio fe' disegno,

speronne il fine, ed ebbelo, come odo:

Pasife ne la vacca entrò; del legno,

altre per altri mezzi e vario modo.

Ma se volasse a me con ogni ingegno

Dedalo, non potria scioglier quel nodo

che fece il mastro troppo diligente,

Natura d'ogni cosa più; possente. -

 

38

Così; si duole e si consuma ed ange

la bella donna, e non s'accheta in fretta.

Talor si batte il viso e il capel frange,

e di sé; contra sé; cerca vendetta.

La mia sorella per pietà; ne piange,

ed è; a sentir di quel dolor costretta.

Del folle e van disio si studia trarla,

ma non fa alcun profitto, e invano parla.

 

39

Ella ch'aiuto cerca e non conforto,

sempre più; si lamenta e più; si duole.

Era del giorno il termine ormai corto,

che rosseggiava in occidente il sole,

ora oportuna da ritrarsi in porto

a chi la notte al bosco star non vuole;

quando la donna invitò; Bradamante

a questa terra sua poco distante.

 

40

Non le seppe negar la mia sorella:

e così; insieme ne vennero al loco,

dove la turba scelerata e fella

posto m'avria, se tu non v'eri, al fuoco.

Fece là; dentro Fiordispina bella

la mia sirocchia accarezzar non poco:

e rivestita di feminil gonna,

conoscer fe' a ciascun ch'ella era donna.

 

41

Però; che conoscendo che nessuno

util traea da quel virile aspetto,

non le parve anco di voler ch'alcuno

biasmo di sé; per questo fosse detto:

fé;llo anco, acciò; che 'l mal ch'avea da l'uno

virile abito, errando, già; concetto,

ora con l'altro, discoprendo il vero,

provassi di cacciar fuor del pensiero.

 

42

Commune il letto ebbon la notte insieme,

ma molto differente ebbon riposo;

che l'una dorme, e l'altra piange e geme

che sempre il suo desir sia più; focoso.

E se 'l sonno talor gli occhi le preme,

quel breve sonno è; tutto imaginoso:

le par veder che 'l ciel l'abbia concesso

Bradamante cangiata in miglior sesso.

 

43

Come l'infermo acceso di gran sete,

s'in quella ingorda voglia s'addormenta,

nell'interrotta e turbida quiete,

d'ogn'acqua che mai vide si ramenta;

così; a costei di far sue voglie liete

l'imagine del sonno rappresenta.

Si desta; e nel destar mette la mano,

e ritrova pur sempre il sogno vano.

 

44

Quanti prieghi la notte, quanti voti,

offerse al suo Macone e a tutti i dei,

che con miracoli apparenti e noti

mutassero in miglior sesso costei!

ma tutti vede andar d'effetto voti,

e forse ancora il ciel ridea di lei.

Passa la notte; e Febo il capo biondo

traea del mare, e dava luce al mondo.

 

45

Poi che 'l dì; venne e che lasciaro il letto,

a Fiordispina s'augumenta doglia;

che Bradamante ha del partir già; detto,

ch'uscir di questo impaccio avea gran voglia.

La gentil donna un ottimo ginetto

in don da lei vuol che partendo toglia,

guernito d'oro, ed una sopravesta

che riccamente ha di sua man contesta.

 

46

Accompagnolla un pezzo Fiordispina,

poi fe' piangendo al suo castel ritorno.

La mia sorella sì; ratto camina,

che venne a Montalbano anco quel giorno.

Noi suoi fratelli e la madre meschina

tutti le siamo festeggiando intorno;

che di lei non sentendo, avuto forte

dubbio e tema avevà;n de la sua morte.

 

47

Mirammo (al trar de l'elmo) al mozzo crine,

ch'intorno al capo prima s'avolgea;

così; le sopraveste peregrine

ne fer meravigliar, ch'indosso avea.

Ed ella il tutto dal principio al fine

narronne, come dianzi io vi dicea:

come ferita fosse al bosco, e come

lasciasse, per guarir, le belle chiome;

 

48

e come poi dormendo in ripa all'acque,

la bella cacciatrice sopragiunse,

a cui la falsa sua sembianza piacque;

e come da la schiera la disgiunse.

Del lamento di lei poi nulla tacque,

che di pietade l'anima ci punse;

e come alloggiò; seco, e tutto quello

che fece fin che ritornò; al castello.

 

49

Di Fiordispina gran notizia ebb'io,

ch'in Siragozza e già; la vidi in Francia,

e piacquer molto all'appetito mio

i suoi begli occhi e la polita guancia:

ma non lasciai fermarvisi il disio,

che l'amar senza speme è; sogno e ciancia.

Or, quando in tal ampiezza mi si porge,

l'antiqua fiamma subito risorge.

 

50

Di queste speme Amor ordisce i nodi,

che d'altre fila ordir non li potea,

onde mi piglia: e mostra insieme i modi

che da la donna avrei quel ch'io chiedea.

A succeder saran facil le frodi;

che come spesso altri ingannato avea

la simiglianza c'ho di mia sorella,

forse anco ingannerà; questa donzella.

 

51

Faccio o nol faccio? Al fin mi par che buono

sempre cercar quel che diletti sia.

Del mio pensier con altri non ragiono,

né; vo' ch'in ciò; consiglio altri mi dia.

Io vo la notte ove quell'arme sono

che s'avea tratte la sorella mia:

tolgole, e col destrier suo via camino,

né; sto aspettar che luca il matutino.

 

52

Io me ne vo la notte (Amore è; duce)

a ritrovar la bella Fiordispina;

e v'arrivai che non era la luce

del sole ascosa ancor ne la marina.

Beato è; chi correndo si conduce

prima degli altri a dirlo alla regina,

da lei sperando per l'annunzio buono

acquistar grazia e riportarne dono.

 

53

Tutti m'aveano tolto così; in fallo,

com'hai tu fatto ancor, per Bradamante;

tanto più; che le vesti ebbi e 'l cavallo

con che partita era ella il giorno inante.

Vien Fiordispina di poco intervallo

con feste incontra e con carezze tante,

e con sì; allegro viso e sì; giocondo,

che più; gioia mostrar non potria al mondo.

 

54

Le belle braccia al collo indi mi getta,

e dolcemente stringe, e bacia in bocca.

Tu puoi pensar s'allora la saetta

dirizzi Amor, s'in mezzo il cor mi tocca.

Per man mi piglia, e in camera con fretta

mi mena; e non ad altri, ch'a lei, tocca

che da l'elmo allo spron l'arme mi slacci

e nessun altro vuol che se n'impacci.

 

55

Poi fattasi arrecare una sua veste

adorna e ricca, di sua man la spiega,

e come io fossi femina, mi veste,

e in reticella d'oro il crin mi lega.

Io muovo gli occhi con maniere oneste,

né; ch'io sia donna alcun mio gesto niega.

La voce ch'accusar mi potea forse,

sì; ben usai, ch'alcun non se n'accorse.

 

56

Uscimmo poi là; dove erano molte

persone in sala, e cavallieri e donne,

dai quali fummo con l'onor raccolte,

ch'alle regine fassi e gran madonne.

Quivi d'alcuni mi risi io più; volte,

che non sappiendo ciò; che sotto gonne

si nascondesse valido e gagliardo,

mi vagheggiavan con lascivo sguardo.

 

57

Poi che si fece la notte più; grande,

e già; un pezzo la mensa era levata,

la mensa, che fu d'ottime vivande,

secondo la stagione, apparecchiata;

non aspetta la donna ch'io domande

quel che m'era cagion del venir stata:

ella m'invita per sua cortesia,

che quella notte a giacer seco io stia.

 

58

Poi che donne e donzelle ormai levate

si furo, e paggi e camerieri intorno,

essendo ambe nel letto dispogliate,

coi torchi accesi che parea di giorno,

io cominciai: - Non vi maravigliate,

madonna, se sì; tosto a voi ritorno;

che forse v'andavate imaginando

di non mi riveder fin Dio sa quando.

 

59

Dirò; prima la causa del partire,

poi del ritorno l'udirete ancora.

Se 'l vostro ardor, madonna, intiepidire

potuto avessi col mio far dimora,

vivere in vostro servizio e morire

voluto avrei, né; starne senza un'ora;

ma visto quanto il mio star vi nocessi,

per non poter far meglio, andare elessi.

 

60

Fortuna mi tirò; fuor del camino

in mezzo un bosco d'intricati rami,

dove odo un grido risonar vicino,

come di donna che soccorso chiami.

V'accorro, e sopra un lago cristallino

ritrovo un fauno ch'avea preso agli ami

in mezzo l'acqua una donzella nuda,

e mangiarsi, il crudel, la volea cruda.

 

61

Colà; mi trassi, e con la spada in mano

(perch'aiutar non la potea altrimente)

tolsi di vita il pescator villano:

ella saltò; ne l'acqua immantinente.

- Non m'avrai (disse) dato aiuto invano:

ben ne sarai premiato e riccamente

quanto chieder saprai, perché; son ninfa

che vivo dentro a questa chiara linfa;

 

62

ed ho possanza far cose stupende,

e sforzar gli elementi e la natura.

Ghiedi tu, quanto il mio valor s'estende,

poi lascia a me di satisfarti cura.

Dal ciel la luna al mio cantar discende,

s'agghiaccia il fuoco, e l'aria si fa dura;

ed ho talor con semplici parole

mossa la terra, ed ho fermato il sole. -

 

63

Non le domando a questa offerta unire

tesor, né; dominar populi e terre,

né; in più; virtù; né; in più; vigor salire,

né; vincer con onor tutte le guerre;

ma sol che qualche via donde il desire

vostro s'adempia, mi schiuda e disserre:

né; più; le domando un ch'un altro effetto,

ma tutta al suo giudicio mi rimetto.

 

64

Ebbile a pena mia domanda esposta,

ch'un'altra volta la vidi attuffata;

né; fece al mio parlare altra risposta,

che di spruzzar vêr me l'acqua incantata:

la qual non prima al viso mi s'accosta,

ch'io (non so come) son tutta mutata.

Io 'l veggo, io 'l sento, e a pena vero parmi:

sento in maschio, di femina, mutarmi.

 

65

E se non fosse che senza dimora

vi potete chiarir, nol credereste:

e qual nell'altro sesso, in questo ancora

ho le mie voglie ad ubbidirvi preste.

Commandate lor pur, che fieno or ora

e sempremai per voi vigile e deste. -

Così; le dissi; e feci ch'ella istessa

trovò; con man la veritade espressa.

 

66

Come interviene a chi già; fuor di speme

di cosa sia che nel pensier molt'abbia,

che mentre più; d'esserne privo geme,

più; se n'afflige e se ne strugge e arrabbia;

se ben la trova poi, tanto gli preme

l'aver gran tempo seminato in sabbia,

e la disperazion l'ha sì; male uso,

che non crede a se stesso, e sta confuso:

 

67

così; la donna, poi che tocca e vede

quel di ch'avuto avea tanto desire,

agli occhi, al tatto, a se stessa non crede,

e sta dubbiosa ancor di non dormire;

e buona prova bisognò; a far fede,

che sentia quel che le parea sentire.

- Fa, Dio (disse ella), se son sogni questi,

ch'io dorma sempre, e mai più; non mi desti. -

 

68

Non rumor di tamburi o suon di trombe

furon principio all'amoroso assalto,

ma baci ch'imitavan le colombe,

davan segno or di gire, or di fare alto.

Usammo altr'arme che saette o frombe.

Io senza scale in su la rocca salto

e lo stendardo piantovi di botto,

e la nimica mia mi caccio sotto.

 

69

Se fu quel letto la notte dinanti

pien di sospiri e di querele gravi,

non stette l'altra poi senza altretanti

risi, feste, gioir, giochi soavi.

Non con più; nodi i flessuosi acanti

le colonne circondano e le travi,

di quelli con che noi legammo stretti

e colli e fianchi e braccia e gambe e petti.

 

70

La cosa stava tacita fra noi,

sì; che durò; il piacer per alcun mese:

pur si trovò; chi se n'accorse poi,

tanto che con mio danno il re lo 'ntese.

Voi che mi liberaste da quei suoi

che ne la piazza avean le fiamme accese,

comprendere oggimai potete il resto;

ma Dio sa ben con che dolor ne resto. -

 

71

Così; a Ruggier narrava Ricciardetto,

e la notturna via facea men grave,

salendo tuttavia verso un poggetto

cinto di ripe e di pendici cave.

Un erto calle e pien di sassi e stretto

apria il camin con faticosa chiave.

Sedea al sommo un castel detto Agrismonte,

ch'ave' in guardia Aldigier di Chiaramonte.

 

72

Di Buovo era costui figliuol bastardo,

fratel di Malagigi e di Viviano;

chi legitimo dice di Gherardo,

è; testimonio temerario e vano.

Fosse come si voglia, era gagliardo,

prudente, liberal, cortese, umano;

e facea quivi le fraterne mura

la notte e il dì; guardar con buona cura.

 

73

Raccolse il cavallier cortesemente,

come dovea, il cugin suo Ricciardetto,

ch'amò; come fratello; e parimente

fu ben visto Ruggier per suo rispetto.

Ma non gli uscì; già; incontra allegramente,

come era usato, anzi con tristo aspetto,

perch'uno aviso il giorno avuto avea,

che nel viso e nel cor mesto il facea.

 

74

A Ricciardetto in cambio di saluto

disse: - Fratello, abbià;n nuova non buona.

Per certissimo messo oggi ho saputo

che Bertolagi iniquo di Baiona

con Lanfusa crudel s'è; convenuto,

che preziose spoglie esso a lei dona,

ed essa a lui pon nostri frati in mano,

il tuo bon Malagigi e il tuo Viviano.

 

75

Ella dal dì; che Ferraù; li prese,

gli ha ognor tenuti in loco oscuro e fello,

fin che 'l brutto contratto e discortese

n'ha fatto con costui di ch'io favello.

Gli de' mandar domane al Maganzese

nei confin tra Baiona e un suo castello.

Verrà; in persona egli a pagar la mancia

che compra il miglior sangue che sia in Francia.

 

76

Rinaldo nostro n'ho avisato or ora,

ed ho cacciato il messo di galoppo;

ma non mi par ch'arrivar possa ad ora

che non sia tarda, che 'l camino è; troppo.

Io non ho meco gente da uscir fuora:

l'animo è; pronto, ma il potere è; zoppo.

Se gli ha quel traditor, li fa morire:

sì; che non so che far, non so che dire. -

 

77

La dura nuova a Ricciardetto spiace,

e perché; spiace a lui, spiace a Ruggiero;

che poi che questo e quel vede che tace,

né; tra' profitto alcun del suo pensiero,

disse con grande ardir: - Datevi pace:

sopra me quest'impresa tutta chero;

e questa mia varrà; per mille spade

a riporvi i fratelli in libertade.

 

78

Io non voglio altra gente, altri sussidi,

ch'io credo bastar solo a questo fatto;

io vi domando solo un che mi guidi

al luogo ove si dee fare il baratto.

Io vi farò; sin qui sentire i gridi

di chi sarà; presente al rio contratto. -

Così; dicea; né; dicea cosa nuova

all'un de' dui, che n'avea visto pruova.

 

79

L'altro non l'ascoltava, se non quanto

s'ascolti un ch'assai parli e sappia poco:

ma Ricciardetto gli narrò; da canto

come fu per costui tratto del fuoco;

e ch'era certo che maggior del vanto

faria veder l'effetto a tempo e a loco.

Gli diede allor udienza più; che prima,

e riverillo, e fe' di lui gran stima.

 

80

Ed alla mensa, ove la Copia fuse

il corno, l'onorò; come suo donno.

Quivi senz'altro aiuto si concluse

che liberare i duo fratelli ponno.

Intanto sopravenne e gli occhi chiuse

ai signori e ai sergenti il pigro Sonno,

fuor ch'a Ruggier; che, per tenerlo desto,

gli punge il cor sempre un pensier molesto.

 

81

L'assedio d'Agramante ch'avea il giorno

udito dal corrier, gli sta nel core.

Ben vede ch'ogni minimo soggiorno

che faccia d'aiutarlo, è; suo disnore.

Quanta gli sarà; infamia, quanto scorno,

se coi nemici va del suo signore!

Oh come a gran viltade, a gran delitto,

battezzandosi alor, gli sarà; ascritto!

 

82

Potria in ogn'altro tempo esser creduto

che vera religion l'avesse mosso;

ma ora che bisogna col suo aiuto

Agramante d'assedio esser riscosso,

più; tosto da ciascun sarà; tenuto

che timore e viltà; l'abbia percosso,

ch'alcuna opinion di miglior fede:

questo il cor di Ruggier stimula e fiede.

 

83

Che s'abbia da partire anco lo punge

senza licenza de la sua regina.

Quando questo pensier, quando quel giunge,

che 'l dubio cor diversamente inchina.

Gli era l'aviso riuscito lunge

di trovarla al castel di Fiordispina,

dove insieme dovean, come ho già; detto,

in soccorso venir di Ricciardetto.

 

84

Poi gli sovien ch'egli le avea promesso

di seco a Vallombrosa ritrovarsi.

Pensa ch'andar v'abbi ella, e quivi d'esso

che non vi trovi poi, maravigliarsi.

Potesse almen mandar lettera o messo,

sì; ch'ella non avesse a lamentarsi

che, oltre ch'egli mal le avea ubbidito,

senza far motto ancor fosse partito.

 

85

Poi che più; cose imaginate s'ebbe,

pensa scriverle al fin quanto gli accada;

e ben ch'egli non sappia come debbe

la lettera inviar, sì; che ben vada,

non però; vuol restar; che ben potrebbe

alcun messo fedel trovar per strada.

Più; non s'indugia, e salta de le piume;

si fa dar carta, inchiostro, penna e lume.

 

86

I camarier discreti ed aveduti

arrecano a Ruggier ciò; che commanda.

Egli comincia a scrivere, e i saluti

(come si suol) nei primi versi manda:

poi narra degli avisi che venuti

son dal suo re, ch'aiuto gli domanda;

e se l'andata sua non è; ben presta,

o morto o in man degli nimici resta.

 

87

Poi seguita, ch'essendo a tal partito,

e ch'a lui per aiuto si volgea,

vedesse ella che 'l biasmo era infinito

s'a quel punto negar gli lo volea;

e ch'esso, a lei dovendo esser marito,

guardarsi da ogni macchia si dovea;

che non si convenia con lei, che tutta

era sincera, alcuna cosa brutta.

 

88

E se mai per adietro un nome chiaro,

ben oprando, cercò; di guadagnarsi,

e guadagnato poi, se avuto caro,

se cercato l'avea di conservarsi;

or lo cercava, e n'era fatto avaro,

poi che dovea con lei participarsi,

la qual sua moglie, e totalmente in dui

corpi esser dovea un'anima con lui.

 

89

E sì; come già; a bocca le avea detto,

le ridicea per questa carta ancora:

finito il tempo in che per fede astretto

era al suo re, quando non prima muora,

che si farà; cristian così; d'effetto,

come di buon voler stato era ogni ora;

e ch'al padre e a Rinaldo e agli altri suoi

per moglie domandar la farà; poi.

 

90

- Voglio (le soggiungea), quando vi piaccia,

l'assedio al mio signor levar d'intorno,

acciò; che l'ignorante vulgo taccia,

il qual direbbe, a mia vergogna e scorno:

Ruggier, mentre Agramante ebbe bonaccia,

mai non l'abandonò; notte né; giorno;

or che Fortuna per Carlo si piega,

egli col vincitor l'insegna spiega.

 

91

Voglio quindici dì; termine o venti,

tanto che comparir possa una volta,

sì; che degli africani alloggiamenti

la grave ossedion per me sia tolta.

Intanto cercherò; convenienti

cagioni, e che sian giuste, di dar volta.

Io vi domando per mio onor sol questo:

tutto poi vostro è; di mia vita il resto. -

 

92

In simili parole si diffuse

Ruggier, che tutte non so dirvi a pieno;

e seguì; con molt'altre, e non concluse

fin che non vide tutto il foglio pieno;

e poi piegò; la lettera e la chiuse,

e suggellata se la pose in seno,

con speme che gli occorra il dì; seguente

chi alla donna la dia secretamente.

 

93

Chiusa ch'ebbe la lettera, chiuse anco

gli occhi sul letto, e ritrovò; quiete;

che 'l Sonno venne, e sparse il corpo stanco

col ramo intinto nel liquor di Lete:

e posò; fin ch'un nembo rosso e bianco

di fiori sparse le contrade liete

del lucido oriente d'ogn'intorno,

ed indi uscì; de l'aureo albergo il giorno.

 

94

E poi ch'a salutar la nuova luce

pei verdi rami incominciar gli augelli,

Aldigier che voleva essere il duce

di Ruggiero e de l'altro, e guidar quelli

ove faccin che dati in mano al truce

Bertolagi non siano i duo fratelli,

fu 'l primo in piede; e quando sentir lui,

del letto usciro anco quegli altri dui.

 

95

Poi che vestiti furo e bene armati,

coi duo cugin Ruggier si mette in via,

già; molto indarno avendoli pregati

che questa impresa a lui tutta si dia;

ma essi, pel desir c'han de' lor frati,

e perché; lor parea discortesia,

steron negando più; duri che sassi,

né; consentiron mai che solo andassi.

 

96

Giunsero al loco il dì; che si dovea

Malagigi mutar nei carriaggi.

Era un'ampla campagna che giacea

tutta scoperta agli apollinei raggi.

Quivi né; allor né; mirto si vedea,

né; cipressi né; frassini né; faggi,

ma nuda ghiara, e qualche umil virgulto

non mai da marra o mai da vomer culto.

 

97

I tre guerrieri arditi si fermaro

dove un sentier fendea quella pianura;

e giunger quivi un cavallier miraro,

ch'avea d'oro fregiata l'armatura,

e per insegna in campo verde il raro

e bello augel che più; d'un secol dura.

Signor, non più;, che giunto al fin mi veggio

di questo canto, e riposarmi chieggio.

 

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CANTO VENTISEIESIMO

 

 

1

Cortesi donne ebbe l'antiqua etade,

che le virtù;, non le ricchezze, amaro:

al tempo nostro si ritrovan rade

a cui, più; del guadagno, altro sia caro.

Ma quelle che per lor vera bontade

non seguon de le più; lo stile avaro,

vivendo, degne son d'esser contente;

gloriose e immortal poi che fian spente.

 

2

Degna d'eterna laude è; Bradamante,

che non amò; tesor, non amò; impero,

ma la virtù;, ma l'animo prestante,

ma l'alta gentilezza di Ruggiero;

e meritò; che ben le fosse amante

un così; valoroso cavalliero,

e per piacere a lei facesse cose

nei secoli avenir miracolose.

 

3

Ruggier, come di sopra vi fu detto,

coi duo di Chiaramonte era venuto,

dico con Aldigier, con Ricciardetto,

per dare ai duo fratei prigioni aiuto.

Vi dissi ancor che di superbo aspetto

venire un cavalliero avean veduto,

che portava l'augel che si rinuova,

e sempre unico al mondo si ritrova.

 

4

Come di questi il cavallier s'accorse,

che stavan per ferir quivi su l'ale,

in prova disegnò; di voler porse,

s'alla sembianza avean virtude uguale.

- è; di voi (disse loro) alcuno forse

che provar voglia chi di noi più; vale

a' colpi o de la lancia o de la spada,

fin che l'un resti in sella e l'altro cada? -

 

5

- Farei (disse Aldigier) teco, o volessi

menar la spada a cerco, o correr l'asta;

ma un'altra impresa che, se qui tu stessi,

veder potresti, questa in modo guasta,

ch'a parlar teco, non che ci traessi

a correr giostra, a pena tempo basta:

seicento uomini al varco, o più;, attendiamo,

coi qua' d'oggi provarci obligo abbiamo.

 

6

Per tor lor duo de' nostri che prigioni

quinci trarran, pietade e amor n'ha mosso. -

E seguitò; narrando le cagioni

che li fece venir con l'arme indosso.

- Sì; giusta è; questa escusa che m'opponi

(disse il guerrier), che contradir non posso;

e fo certo giudicio che voi siate

tre cavallier che pochi pari abbiate.

 

7

Io chiedea un colpo o dui con voi scontrarme,

per veder quanto fosse il valor vostro;

ma quando all'altrui spese dimostrarme

lo vogliate, mi basta, e più; non giostro.

Vi priego ben, che por con le vostr'arme

quest'elmo io possa e questo scudo nostro;

e spero dimostrar, se con voi vegno,

che di tal compagnia non sono indegno.