Moro, vieni qua:

io ti consegno qui con tutto il cuore,

- ma tu ce l’hai già come cosa tua -,

ciò che con tutto il cuore

avrei voluto impedirti di avere.

(A Desdemona)

Per causa tua, gioiello d’una figlia,

io debbo rallegrarmi in fondo all’anima

di non aver generato altri figli,

perché la fuga tua m’insegnerebbe

la tirannia di tenerli in catene.

(Al Doge)

Mio signore ho finito.

 

DOGE -                                               Bene, lasciate or che parli io,

e possa pronunciare una sentenza

che, al pari dei gradini d’una scala,

valga a far risalire questi amanti

fino al vostro favore.

Quando i rimedi non servono più,

se si riesce a discernere il peggio

hanno termine pure le afflizioni

che la speranza teneva in sospeso.

Piangere sopra un male ormai passato

non giova ad altro che a tirarsi addosso

nuove afflizioni. Quando la fortuna

si prende quel che non si può serbare,

solo la tolleranza può riuscire

a mutare quel torto in una beffa.

Ruba qualcosa al ladro il derubato

che ride al ladro; ruba solo a sé

chi s’abbandona ad una pena inutile.

 

BRABANZIO -                                               Ci rubi allora Cipro l’Ottomano,

perché se gli facciamo un bel sorriso,

non l’avremo perduta... No, signore!

S’adatta facilmente a certe massime

chi non sente che il labile conforto

che può venirgli da quelle parole;

sopporta male massima e dolore

chi per saldar la pena che lo ambascia

deve farsi prestar la tolleranza.

Certe massime, intese solamente

a inzuccherare od inasprir la pena

son di sapore forte in ambo i casi

e rischiano d’avere un doppio effetto.

Ma le parole son sempre parole;

ed io non ho sentito mai finora

che un cuore esulcerato può guarire

con ciò che può passargli per le orecchie.

Perciò torno umilmente a supplicarvi

di passare gli affari di governo.

 

DOGE -                                               Il Turco sta navigando su Cipro

con formidabile apparecchio bellico.

Otello, a voi meglio che ad altri è nota

l’efficienza di quella piazzaforte;

e, sebbene teniamo là un vicario

di provata bravura e competenza,

sta tuttavia che l’opinione pubblica

ripone in voi più sicura fiducia.

Vi dovete pertanto rassegnare

a che possa offuscarsi forse il lustro

delle vostre fortune più recenti

con una spedizione come questa

che si presenta ardua e rischiosa.

 

OTELLO -                                               Illustri ed onorandi senatori,

l’abitudine, questa gran tiranna,

ha fatto del giaciglio mio di guerra,

di dura selce e acciaio,

il mio letto tre volte spiumacciato.([32])

Io so trovare in me, pur nell’asprezza,

le mie risorse, devo riconoscerlo;

son pronto quindi ad assumermi il carico

di questa guerra contro gli Ottomani.

Perciò con massima umiltà inchinato

all’altissima vostra dignità,

chiedo che sia provvista alla mia sposa

un’acconcia sistemazione a Cipro,

un alloggio decente e un appannaggio,

nonché quegli agi e quella servitù

che si convengono al suo nuovo stato.

 

DOGE -                                               Può restare col padre, se vi aggrada.

 

BRABANZIO -                                               Questo son io a non volerlo, Doge.

 

OTELLO -                                               Né io…

 

DESDEMONA -                                Né io. Restare con mio padre

per suscitargli moti d’impazienza

standogli innanzi agli occhi tutto il giorno,

davvero non mi va. Grazioso Doge,

degnatevi prestar benigno orecchio

a quanto sto per dirvi, e fate sì

che nella vostra voce di risposta

io trovi sufficiente garanzia

di buon ausilio alla pochezza mia.

 

DOGE -                                               Parla, Desdemona. Che mi vuoi dire?

 

DESDEMONA -                                               Ch’io abbia dato al Moro l’amor mio

per vivere la vita insieme a lui,

possono proclamarlo al mondo intero

l’aperta mia rivolta

e la tempesta delle mie fortune.

Arrendendosi a lui, il cuore mio

ha sposato altresì la professione

del mio signore([33]). La faccia di Otello

io l’ho vista, signore, nel suo animo;

ed agli onori suoi e al suo valore

ho consacrato insieme alla mia anima,

le mie sorti. Sicché tenermi a casa

a fare la falena della pace,

mentr’egli se ne parte per la guerra,

è come se mi fossero annullati

tutti i riti pei quali egli m’è caro;

ed io, privata della sua presenza,

condurrei una vita di tristezza.

Lasciate dunque ch’io parta con lui.

 

OTELLO -                                               (Al Doge)

Ch’ella abbia il vostro assenso, Vostra Grazia:

ve lo chiedo (mi sia giudice il cielo)

non già per compiacere alla mia voglia

e indulgere allo stimolo del sangue,

e ai giovani suoi slanci

nella lor differita e pur legittima

soddisfazione([34]), ma per generosa

e franca comprensione del suo animo.

(Ai senatori)

E storni il cielo dalle vostre menti

il pensiero ch’io possa trascurare

i vostri seri e maggiori interessi

quand’ella sia venuta con me. No.

Se mai si desse che i leggero-alati

capricci di Cupido

con la loro lasciva opacità

giungessero ad occludere in me stesso

le facoltà di pensare e d’agire

al punto da corrompere e macchiare

la mia impresa, faccian le massaie

del mio elmo una pentola,

ed ogni vile e indegna avversità

s’affolli e faccia impeto

contro la stessa mia reputazione!

 

DOGE -                                               Sia quello che vorrete voi decidere

fra voi; ch’ella rimanga o ch’ella vada,

la situazione grida di far presto,

e la prestezza è l’unica risposta.

 

1° SENATORE -                                               (A Otello)

V’imbarcherete questa notte stessa.

 

OTELLO -                                               Con tutto il cuore.

 

DOGE -                                               (A Otello)

Domani alle nove

noi torneremo ad adunarci qui.

Lascerete a Venezia un ufficiale

che a tempo debito vi recherà

le necessarie vostre credenziali

pel vostro rango e le vostre funzioni.

 

OTELLO -                                               Sarà Jago, il mio alfiere, Vostra Grazia.

Alla sua scorta affido la mia sposa

e quant’altro le vostre signorie

crederan necessario confidarmi.

È uomo onesto e fidato allo scrupolo.

 

DOGE -                                               E così sia. A tutti buonanotte.

(A Brabanzio)

In quanto a voi, magnifico signore,

se il valore non manca di bellezza,

colui che è vostro genero

è assai più bello di quanto sia nero.

 

1° SENATORE -                                               Adieu, valente Moro;

e abbiate ogni riguardo per Desdemona.

 

BRABANZIO -                                               (A Otello)

Sorvegliala, s’hai occhi per vedere:

ha ingannato suo padre,

ed è capace d’ingannare te.

 

(Escono il Doge, i Senatori, gli Ufficiali e tutti gli altri, tranne Otello, Desdemona, Jago e Roderigo)

 

OTELLO -                                               Sulla sua fedeltà

son pronto ad impegnare la mia vita!

Onesto Jago, a te debbo lasciare

la mia Desdemona; vedi, ti prego,

che tua moglie l’assista pel momento.

E alla prima occasione favorevole

me l’accompagnerai tu stesso a Cipro.

Vieni, Desdemona, non ho che un’ora

per l’amore, sbrigare le faccende

e ricevere l’ultime istruzioni.

Siamo costretti ad obbedire al tempo.

 

(Escono Otello e Desdemona)

 

RODERIGO -                                               Jago...

 

JAGO -                                Che dici, cuore nobilissimo?

 

RODERIGO -                                               Che debbo fare, tu che dici?

 

JAGO -                        Diamine,

andare a casa e metterti a dormire!

 

RODERIGO -                                               Io vado invece ad annegarmi, subito.

 

JAGO -                                               Oh, se fai questo, non t’amerò più!

Ohibò, che stolto sei?

 

RODERIGO -                                Stoltezza è vivere

se la vita è tormento;

la ricetta è morire, se la morte

è il nostro medico.

 

JAGO -                                Oh, scelleraggine!

Ventott’anni che osservo questo mondo,

e dacché fui capace di distinguere

un atto di giustizia da un sopruso

mai mi fu dato d’incontrare un uomo

che sapesse voler bene a se stesso.

Io prima di pensare d’annegarmi

per i begli occhi d’una faraona,([35])

baratterei la mia natura d’uomo

con quella d’una scimmia babbuino.

 

RODERIGO -                                               E che mi resta a fare?

Confesso che ho vergogna con me stesso

di sapermi a tal punto innamorato;

ma emendarmi non è la mia virtù.

 

JAGO -                                               Virtù! Sciocchezze! Sta in potere nostro

esser così o cosà! Il nostro corpo

è il nostro bel giardino,

e la volontà nostra il giardiniere:

piantare ortiche o seminar lattuga,

metter l’issopo ed estirpare il timo,

guarnirlo d’erbe d’una sola specie

o variegarlo con specie diverse,

mantenerlo infruttuoso per pigrizia

o concimarlo per farlo fruttare,

la facoltà di fare tutto questo

e d’agire nell’uno o l’altro modo

sta tutta nella nostra volontà.

Se la bilancia della nostra vita

non avesse su un piatto la ragione

da controbilanciar quello dei sensi,

il sangue e la bassezza degli istinti

ci trarrebbero inevitabilmente

alle più scriteriate conclusioni.

Ma per fortuna abbiamo la ragione

a raffreddarci le bramose voglie,

gli impulsi della carne, le libidini;

delle quali ciò che tu chiami amore

è soltanto un pollone od un germoglio.

Io la penso così.

 

RODERIGO -                        Non è possibile.

 

JAGO -                                               È solo una libidine del sangue,

un’acquiescenza della volontà.

Evvia, sii uomo! Andare ad affogarti!

Annega gatti e cuccioletti ciechi!

Io mi son dichiarato amico tuo

e mi sento legato alla tua causa

con vincolo tenace e duraturo;

non ho potuto mai esserti utile

come in questo momento. Senti a me:

riempiti la borsa di denaro,

camuffati con una barba finta,

e vieni al nostro seguito alla guerra.

Ma, ti dico, riempiti la borsa.

L’amore di Desdemona pel Moro

non può durare a lungo...

(pensa a metter denaro nella borsa)

così come l’amore suo per lei.

Per lei è stato un inizio violento,

e la rottura seguirà, vedrai,

altrettanto violenta.

(Metti, metti denaro nella borsa).

Questi mori sono d’umor volubile

(fa che la borsa sia ben riempita)

e il cibo che gli è ora delizioso

come carrube,([36]) gli sarà amarissimo

come la coloquintide tra poco.

Ella dovrà cambiare, perché è giovane;

e, sazia che sarà del di lui corpo,

s’accorgerà della scelta sbagliata

e sentirà il bisogno di cambiare.

Perciò metti denaro nella borsa.

Se poi sei proprio deciso a dannarti,

fallo almeno in un modo più elegante

che non quello d’andarti ad affogare.

Se la sua santimonia([37])

ed un labile voto maritale

tra un barbaro selvaggio giramondo

ed una superfina veneziana

non sono ostacoli troppo difficili

da superare per la mia scaltrezza,

tu la godrai. Procurati il denaro.

Pensare d’annegarsi! Un accidente!

Sei maledettamente fuori strada.

Pensa, se mai, a morire impiccato

per esserti goduto il tuo piacere,

invece di pensare ad annegarti

per avervi dovuto rinunciare!

 

RODERIGO -                                               Sarai tu cardine alle mie speranze

s’io persisto a sperare in un buon esito?

 

JAGO -                                               Ci puoi contare. Va’, trova il denaro.

T’ho detto tante volte, e ti ripeto,

che il Moro mi sta in odio;

che mi sta a cuore solo la mia causa,

e quella tua con non minor ragione.

Andiamo dunque uniti alla vendetta.

Se puoi farlo cornuto,

procuri a me un piacere, a te un trastullo.

Molti eventi che ancor devono nascere

son nel grembo del tempo. E dunque avanti,

muoviti, su, procurati denaro.

E domani ne riparliamo. Adieu.

 

RODERIGO -                                               Dove ci ritroviamo domattina?

 

JAGO -                                               A casa mia.

 

RODERIGO -                        Ci sarò di buon ora.

 

JAGO -                                               Adesso va’. Salute. Siamo intesi?

 

RODERIGO -                                               Che cosa, intesi?

 

JAGO -                        Niente annegamenti.

 

RODERIGO -                                               Sì, sì, d’accordo, non ci penso più.

Vado a vendere tutte le mie terre.

 

(Esce)

 

JAGO -                                               Così riesco a fare ancora e sempre

di questo mio zimbello la mia borsa.

Profanerei la mia sudata scienza

a spender tempo con un tal minchione

se non per mio trastullo e mio profitto.

Io odio il Moro; e si crede, di fuori,

ch’egli abbia fatto pure le mie veci

nel mio letto... Non so se ciò sia vero;

ma il solo sospettarlo mi fa agire

contro di lui come fosse certezza.

Egli mi stima molto; tanto meglio

potrà perciò operare su di lui

il mio proposito... Cassio è un bell’uomo...

Vediamo... escogitare la maniera

d’ottenere il suo posto…

Come?... Ecco: passato un certo tempo,

avvelenare l’orecchio d’Otello

pian piano insinuandogli che Cassio

è troppo in confidenza con sua moglie.

La sua prestanza, i suoi modi galanti

son fatti apposta per destar sospetto,

per trascinar le donne all’adulterio.

Il Moro è d’indole franca ed aperta,

tanto da reputar uomini onesti([38])

quelli che tali son solo di fuori;

si lascerà menare per il naso

con la docilità d’un somarello...

Ecco, ci sono. Il mio disegno è fatto.

Ora tocca all’inferno ed alla notte

portare questo parto mostruoso

alla luce del mondo.

 

(Esce)

ATTO SECONDO

 

 

 

SCENA I

 

Porto nell’isola di Cipro

 

Entra MONTANO con due GENTILUOMINI

 

MONTANO -                                               (Al 1° Gentiluomo, che sta in piedi su una altura)

Si vede niente da quel promontorio?

 

1° GENTILUOMO -                                               Nulla di nulla. Il mare è così grosso,

ch’è impossibile scorgere una vela

sulla linea dell’ultimo orizzonte.

 

MONTANO -                                               A quanto pare il vento ha urlato forte

in terraferma; mai più forti raffiche

hanno scosso i bastioni; se sul mare

esso ha infuriato con la stessa forza,

mi chiedo quali costole di quercia

possano ancor tener salda la tacca,([39])

quando montagne d'acqua

si squagliano violente su di esse.

Che aspettarci da ciò?

 

2° GENTILUOMO -                                               La dispersione della flotta turca.

Ché solo a riguardarlo dalla riva,

il mare gonfio sembra schiaffeggiare

le nubi, e i flutti sbattuti dal vento

colla schiumosa ed alta lor criniera

gettar acqua su acqua verso l'alto

a raffreddare l'ardore dell'Orsa

e ad estinguerne il perenne fuoco.

Non ho mai visto turbamento simile

sulla faccia dell'infuriato flutto.

 

MONTANO -                                               Se non s’è riparata in qualche rada,

la flotta turca è certo andata a picco.

Impossibile ch’abbia resistito.

 

Entra un terzo GENTILUOMO

 

3° GENTILUOMO -                                               Buone nuove, ragazzi!

La nostra guerra è già bell’e finita!

Questo impetuoso ed aspro fortunale

ha dato al Turco una tale scrollata

che il suo piano ha subìto un brusco arresto.

Un nobile vascello di Venezia

ha visto il doloroso lor naufragio

ed il disastro cui è andata incontro

la più gran parte della loro flotta.

 

MONTANO -                                               È vero quel che dite?

 

3° GENTILUOMO -                                               Quel vascello è da poco entrato in porto:

era una veronese;([40])

n’è sbarcato testé Michele Cassio,

l’ufficiale di prima

del prode Otello; il Moro è anch’esso in mare

diretto anch’egli qui, incaricato

del comando supremo sopra Cipro.

 

MONTANO -                                               Ne sono lieto. È un degno condottiero.

 

3° GENTILUOMO -                                               M’è parso tuttavia che questo Cassio,

pur dicendosi molto confortato

per le perdite della flotta turca,

abbia l’aria piuttosto preoccupata

pel Moro, e prega che sia salvo,

perché in mare essi furono separati

da una violenta orribile burrasca.

 

MONTANO -                                               Preghiamo che lo sia; l’ho già servito,

è uomo che sa bene comandare

come dovrebbe un perfetto soldato.

Ma via, rechiamoci tutti alla riva,

a vedere la nave testé entrata,

ed a scrutare insieme l’orizzonte

pel valoroso Otello,

fino dove l’occhio si può spinger oltre

e può discerner tra l’aperto mare

e l’azzurro del cielo.

 

3° GENTILUOMO -                                               Sì, sì andiamo, perché ogni minuto

si può aspettare che approdi qualcuno.

 

Entra CASSIO

 

CASSIO -                                               Grazie a voi, valorosi cittadini

di quest’isola nobile e guerriera,([41])

per l’alta vostra stima per il Moro!

Oh, gli apprestino i cieli una difesa

contro l’imperversar degli elementi,

perché l’abbiamo perduto di vista

in mezzo a un mare assai pericoloso!

 

MONTANO -                                               È salda la sua nave?

 

CASSIO -                                               La nave è di robusta costruzione

e il suo nocchiero è uno dei più esperti

e provati, perciò le mie speranze

se non son proprio sazie da morire,

son sottoposte a un’energica cura.

 

Grida da dentro: “Una vela! Una vela!”

Entra un quarto GENTILUOMO

 

CASSIO -                                               Che sono queste grida?

 

4° GENTILUOMO -                                               La città s’è svuotata; in riva al mare

gridano in folla: “Una vela! Una vela!”

 

CASSIO -                                               Le mie speranze mi dicevan vero:

è lui, è lui, il nostro comandante.

 

(Colpo di cannone da dentro)

 

2° GENTILUOMO -                                               Sparano la lor salva di saluto

dalla nave; vuol dir che sono amici.

 

CASSIO -                                               (Al 2° Gentiluomo)

Vi prego, monsignore, andate voi

ad accertarvi di chi sta arrivando,

e fateci sapere.

 

2° GENTILUOMO -                        Volentieri.

 

(Esce)

 

MONTANO -                                               (A Cassio)

Ma, ditemi, mio buon luogotenente,

il vostro generale s’è ammogliato?

 

CASSIO -                                               E assai felicemente, vi dirò.

Ha conquistato il cuor d’una fanciulla

che regge al vaglio d’ogni descrizione

la più entusiasta che si possa farne;

al di là delle lodi più esaltanti,

d’ogni più estrosa immaginazione;

al di là dei più capricciosi voli

delle osannanti penne dei poeti;

e l’essenziale sua semplicità

stanca ogni artista che voglia descriverla.

 

Rientra il secondo GENTILUOMO

Allora che mi dite, chi è sbarcato?

 

2° GENTILUOMO -                                               Un certo Jago, l’alfiere del Moro.

 

CASSIO -                                               Ha avuto una felice traversata,

ed anche assai veloce, a quanto pare.

Perfino le tempeste,

i mari gonfi e gli ululanti venti,

le scanalate ed erose scogliere

e le ammassate sabbie,

sommerse insidie all’innocente chiglia,

quasi compresi da tanta bellezza

rinunciano all’usata lor natura

per consentir che passi sana e salva

la divina Desdemona.

 

MONTANO -                                Chi è?

 

CASSIO -                                               Colei di cui appunto vi parlavo,

capitana del nostro capitano,

da lui lasciata affidata alla scorta

del valoroso Jago il cui arrivo

anticipa di buoni sette giorni

le nostre previsioni. O grande Giove,

proteggi Otello e gonfia la sua vela

col tuo fiato possente,

ch’ei possa rallegrare questa baia

con la vista della sua alta prora,

e correr tra le braccia di Desdemona

a calmare il suo ansito d’amore,

infonder nuova fiamma ai nostri cuori

e recare sollievo a Cipro tutta.

 

Entrano JAGO, DESDEMONA, RODERIGO, EMILIA e gente del seguito

 

Oh, mirate! Il tesoro della nave

è sceso a terra! Uomini di Cipro,

piegate le ginocchia innanzi a lei!

Salute a te, signora! Benvenuta!

Che la divina grazia possa accoglierti

avanti, dietro, sempre, in ogni lato!

 

DESDEMONA -                                               Grazie, valente Cassio. Che notizie

del mio signore?

 

CASSIO -                        Non è ancora giunto,

e non so altro se non che sta bene,

e dovrebbe approdare qui tra poco.

 

DESDEMONA -                                               Oh, ch’io son tanto in pena...

Come è successo che vi siete persi?

 

CASSIO -                                               Ci ha divisi la furibonda lotta

fra mare e cielo.

 

(Colpo di cannone da dentro)

 

Ma udite: una vela!

 

(Voci da dentro: “Una vela! Una vela!”)

 

2° GENTILUOMO -                                               Dànno il loro saluto alla fortezza.

Sono amici anche questi, certamente.

 

CASSIO -                                               (Al 2° Gentiluomo)

Andate per notizie.

(A Jago)

Buon alfiere, son lieto di vederti.

(A Emilia)

Benvenuta, signora!... Caro Jago,

non s’irriti la tua condiscendenza

s’io faccio sfoggio di galanteria:

è la maniera in cui m’hanno educato

che mi fa tanto ardito con le donne

da mostrarmi con loro sì espansivo.

(La bacia)

 

JAGO -                                               S’ella vi desse, signor mio, le labbra

con quella stessa liberalità

con cui con me fa uso della lingua,

povero voi!

 

DESDEMONA -                                               (A Jago)

Ma se sta sempre zitta!

 

JAGO -                                               Parla troppo. Lo sperimento sempre,

e specie quando ho voglia di dormire...

Certo, davanti a Vostra Signoria,

lo riconosco, frena un po’ la lingua,

ma dentro seguita a rimuginare.

 

EMILIA -                                               Hai ben poca ragione a dir così.

 

JAGO -                                               Eh, fuor di casa voi siete pitture,

e campanelli nei vostri salotti;

siete gatte selvatiche in cucina,

santarelline quando ci ingiuriate

e diavolesse quando vi offendete;

abili attrici a fare le massaie,

buone massaie solamente a letto!

 

DESDEMONA -                                               Calunniatore! Vergogna! Vergogna!

 

JAGO -                                               Vergogna un corno! So quello che dico.

Sono un turco se mento. È verità.

Vi alzate la mattina

solo per trastullarvi e stare in ozio,

e andate a letto a lavorar d’impegno.

 

EMILIA -                                               Non sarai tu a scriver le mie lodi.

 

JAGO -                                               Per carità, non darmi un tale incarico!

 

DESDEMONA -                                               E se doveste fare quelle mie,

che scrivereste?

 

JAGO -                        Gentile signora,

non mi mettete a fronte a certe strette:

perché io sono nulla, se non critico.

 

DESDEMONA -                                               E tuttavia provatevi: coraggio!...

Qualcuno è andato al porto?

 

JAGO -                        Sì, signora.

 

DESDEMONA -                                               (A parte)

Non sono certo in vena d’allegria:

mi sforzo solo di dissimulare

quel che ho dentro, mostrandomi diversa...([42])

(Forte a Jago)

Dunque, allora, che elogio mi fareste?

 

JAGO -                                               Ci sto pensando; ma m’accorgo, ahimè,

che l’estro m’esce fuori dalla zucca

come il vischio da un panno di lanetta;

e strappa via cervello e tutto il resto.

Ma la mia musa ha le doglie del parto

ed ecco quello ch’essa dà alla luce:

 

“S’ella è leggiadra e saggia,([43])

“tra bellezza e saggezza,

“questa userà per sé,

“e altri useranno l’altra”.

 

DESDEMONA -                                               Non c’è male. E se invece è nera e saggia?

 

JAGO -                        “Se è nera ed ha saggezza,

“troverà sempre un bianco

“ch’ami la sua negrezza”.

 

DESDEMONA -                                               Di bene in meglio.

 

EMILIA -                                E s’ella è bella e stolta?

 

JAGO -                        “Donna bella non fu mai donna stolta,

“se quella sua stoltezza

“ad avere un erede fu rivolta”.([44])

 

DESDEMONA -                                               Questi son vecchi sciocchi paradossi

da far rider gli idioti nelle bettole.

Qual sorte miseranda avete in serbo

per una donna che sia brutta e stolta?

 

JAGO -                        “Al mondo non son donne stolte e brutte

“che non facciano quello che fan tutte”.

 

DESDEMONA -                                               O penosa ignoranza!

Tu lodi meglio tutto quel che è peggio!

Ma che lode offriresti a quella donna

che per l’altezza della sua virtù

ne avesse giusto riconoscimento

perfino da un maligno maldicente?

 

JAGO -                        “Donna bella e non altera

“parlò sempre veritiera,

“se non fu giammai ciarliera.

“Se ricchezze ella ebbe a josa,

“non fu mai troppo pomposa”.

“Rifuggì dal dir: “Vorrei,

“pur dicendo: “Lo potrei”.

“Se irritata sa ordinare

“a se stessa di interdire

“ogni stimolo a reagire,

“e l’offesa dissipare.

“Se non fu mai così frale

“di cervello da scambiare

“una testa di merluzzo

“per la coda d’uno struzzo;

“s’è capace di pensare

“e il pensiero suo celare;

“se sa il viso non voltare

“a guardar gli spasimanti

“che la seguono galanti,

“quella è sì la donna adatta,

“se mai venne in mezzo a tante

“una femmina sì fatta.”

 

DESDEMONA -                                               Adatta a che?

 

JAGO -                        Ad allattar citrulli,

e a registrare i conti della spesa.([45])

 

DESDEMONA -                                               O storpissima e sterile morale!

Emilia, tu non imparar da lui,

anche s’è tuo marito.

Che dite, Cassio? Non sembra anche a voi

un profano e sboccato consigliere?

 

CASSIO -                                               Parla come gli viene, a briglia sciolta.

Si fa apprezzare più come soldato,

senza dubbio, che come letterato.

 

JAGO -                                               (A parte)

Oh, la prende per mano.