Moro, vieni qua:
io ti consegno qui con tutto il cuore,
- ma tu ce l’hai già come cosa tua -,
ciò che con tutto il cuore
avrei voluto impedirti di avere.
(A Desdemona)
Per causa tua, gioiello d’una figlia,
io debbo rallegrarmi in fondo all’anima
di non aver generato altri figli,
perché la fuga tua m’insegnerebbe
la tirannia di tenerli in catene.
(Al Doge)
Mio signore ho finito.
DOGE - Bene, lasciate or che parli io,
e possa pronunciare una sentenza
che, al pari dei gradini d’una scala,
valga a far risalire questi amanti
fino al vostro favore.
Quando i rimedi non servono più,
se si riesce a discernere il peggio
hanno termine pure le afflizioni
che la speranza teneva in sospeso.
Piangere sopra un male ormai passato
non giova ad altro che a tirarsi addosso
nuove afflizioni. Quando la fortuna
si prende quel che non si può serbare,
solo la tolleranza può riuscire
a mutare quel torto in una beffa.
Ruba qualcosa al ladro il derubato
che ride al ladro; ruba solo a sé
chi s’abbandona ad una pena inutile.
BRABANZIO - Ci rubi allora Cipro l’Ottomano,
perché se gli facciamo un bel sorriso,
non l’avremo perduta... No, signore!
S’adatta facilmente a certe massime
chi non sente che il labile conforto
che può venirgli da quelle parole;
sopporta male massima e dolore
chi per saldar la pena che lo ambascia
deve farsi prestar la tolleranza.
Certe massime, intese solamente
a inzuccherare od inasprir la pena
son di sapore forte in ambo i casi
e rischiano d’avere un doppio effetto.
Ma le parole son sempre parole;
ed io non ho sentito mai finora
che un cuore esulcerato può guarire
con ciò che può passargli per le orecchie.
Perciò torno umilmente a supplicarvi
di passare gli affari di governo.
DOGE - Il Turco sta navigando su Cipro
con formidabile apparecchio bellico.
Otello, a voi meglio che ad altri è nota
l’efficienza di quella piazzaforte;
e, sebbene teniamo là un vicario
di provata bravura e competenza,
sta tuttavia che l’opinione pubblica
ripone in voi più sicura fiducia.
Vi dovete pertanto rassegnare
a che possa offuscarsi forse il lustro
delle vostre fortune più recenti
con una spedizione come questa
che si presenta ardua e rischiosa.
OTELLO - Illustri ed onorandi senatori,
l’abitudine, questa gran tiranna,
ha fatto del giaciglio mio di guerra,
di dura selce e acciaio,
il mio letto tre volte spiumacciato.([32])
Io so trovare in me, pur nell’asprezza,
le mie risorse, devo riconoscerlo;
son pronto quindi ad assumermi il carico
di questa guerra contro gli Ottomani.
Perciò con massima umiltà inchinato
all’altissima vostra dignità,
chiedo che sia provvista alla mia sposa
un’acconcia sistemazione a Cipro,
un alloggio decente e un appannaggio,
nonché quegli agi e quella servitù
che si convengono al suo nuovo stato.
DOGE - Può restare col padre, se vi aggrada.
BRABANZIO - Questo son io a non volerlo, Doge.
OTELLO - Né io…
DESDEMONA - Né io. Restare con mio padre
per suscitargli moti d’impazienza
standogli innanzi agli occhi tutto il giorno,
davvero non mi va. Grazioso Doge,
degnatevi prestar benigno orecchio
a quanto sto per dirvi, e fate sì
che nella vostra voce di risposta
io trovi sufficiente garanzia
di buon ausilio alla pochezza mia.
DOGE - Parla, Desdemona. Che mi vuoi dire?
DESDEMONA - Ch’io abbia dato al Moro l’amor mio
per vivere la vita insieme a lui,
possono proclamarlo al mondo intero
l’aperta mia rivolta
e la tempesta delle mie fortune.
Arrendendosi a lui, il cuore mio
ha sposato altresì la professione
del mio signore([33]). La faccia di Otello
io l’ho vista, signore, nel suo animo;
ed agli onori suoi e al suo valore
ho consacrato insieme alla mia anima,
le mie sorti. Sicché tenermi a casa
a fare la falena della pace,
mentr’egli se ne parte per la guerra,
è come se mi fossero annullati
tutti i riti pei quali egli m’è caro;
ed io, privata della sua presenza,
condurrei una vita di tristezza.
Lasciate dunque ch’io parta con lui.
OTELLO - (Al Doge)
Ch’ella abbia il vostro assenso, Vostra Grazia:
ve lo chiedo (mi sia giudice il cielo)
non già per compiacere alla mia voglia
e indulgere allo stimolo del sangue,
e ai giovani suoi slanci
nella lor differita e pur legittima
soddisfazione([34]), ma per generosa
e franca comprensione del suo animo.
(Ai senatori)
E storni il cielo dalle vostre menti
il pensiero ch’io possa trascurare
i vostri seri e maggiori interessi
quand’ella sia venuta con me. No.
Se mai si desse che i leggero-alati
capricci di Cupido
con la loro lasciva opacità
giungessero ad occludere in me stesso
le facoltà di pensare e d’agire
al punto da corrompere e macchiare
la mia impresa, faccian le massaie
del mio elmo una pentola,
ed ogni vile e indegna avversità
s’affolli e faccia impeto
contro la stessa mia reputazione!
DOGE - Sia quello che vorrete voi decidere
fra voi; ch’ella rimanga o ch’ella vada,
la situazione grida di far presto,
e la prestezza è l’unica risposta.
1° SENATORE - (A Otello)
V’imbarcherete questa notte stessa.
OTELLO - Con tutto il cuore.
DOGE - (A Otello)
Domani alle nove
noi torneremo ad adunarci qui.
Lascerete a Venezia un ufficiale
che a tempo debito vi recherà
le necessarie vostre credenziali
pel vostro rango e le vostre funzioni.
OTELLO - Sarà Jago, il mio alfiere, Vostra Grazia.
Alla sua scorta affido la mia sposa
e quant’altro le vostre signorie
crederan necessario confidarmi.
È uomo onesto e fidato allo scrupolo.
DOGE - E così sia. A tutti buonanotte.
(A Brabanzio)
In quanto a voi, magnifico signore,
se il valore non manca di bellezza,
colui che è vostro genero
è assai più bello di quanto sia nero.
1° SENATORE - Adieu, valente Moro;
e abbiate ogni riguardo per Desdemona.
BRABANZIO - (A Otello)
Sorvegliala, s’hai occhi per vedere:
ha ingannato suo padre,
ed è capace d’ingannare te.
(Escono il Doge, i Senatori, gli Ufficiali e tutti gli altri, tranne Otello, Desdemona, Jago e Roderigo)
OTELLO - Sulla sua fedeltà
son pronto ad impegnare la mia vita!
Onesto Jago, a te debbo lasciare
la mia Desdemona; vedi, ti prego,
che tua moglie l’assista pel momento.
E alla prima occasione favorevole
me l’accompagnerai tu stesso a Cipro.
Vieni, Desdemona, non ho che un’ora
per l’amore, sbrigare le faccende
e ricevere l’ultime istruzioni.
Siamo costretti ad obbedire al tempo.
(Escono Otello e Desdemona)
RODERIGO - Jago...
JAGO - Che dici, cuore nobilissimo?
RODERIGO - Che debbo fare, tu che dici?
JAGO - Diamine,
andare a casa e metterti a dormire!
RODERIGO - Io vado invece ad annegarmi, subito.
JAGO - Oh, se fai questo, non t’amerò più!
Ohibò, che stolto sei?
RODERIGO - Stoltezza è vivere
se la vita è tormento;
la ricetta è morire, se la morte
è il nostro medico.
JAGO - Oh, scelleraggine!
Ventott’anni che osservo questo mondo,
e dacché fui capace di distinguere
un atto di giustizia da un sopruso
mai mi fu dato d’incontrare un uomo
che sapesse voler bene a se stesso.
Io prima di pensare d’annegarmi
per i begli occhi d’una faraona,([35])
baratterei la mia natura d’uomo
con quella d’una scimmia babbuino.
RODERIGO - E che mi resta a fare?
Confesso che ho vergogna con me stesso
di sapermi a tal punto innamorato;
ma emendarmi non è la mia virtù.
JAGO - Virtù! Sciocchezze! Sta in potere nostro
esser così o cosà! Il nostro corpo
è il nostro bel giardino,
e la volontà nostra il giardiniere:
piantare ortiche o seminar lattuga,
metter l’issopo ed estirpare il timo,
guarnirlo d’erbe d’una sola specie
o variegarlo con specie diverse,
mantenerlo infruttuoso per pigrizia
o concimarlo per farlo fruttare,
la facoltà di fare tutto questo
e d’agire nell’uno o l’altro modo
sta tutta nella nostra volontà.
Se la bilancia della nostra vita
non avesse su un piatto la ragione
da controbilanciar quello dei sensi,
il sangue e la bassezza degli istinti
ci trarrebbero inevitabilmente
alle più scriteriate conclusioni.
Ma per fortuna abbiamo la ragione
a raffreddarci le bramose voglie,
gli impulsi della carne, le libidini;
delle quali ciò che tu chiami amore
è soltanto un pollone od un germoglio.
Io la penso così.
RODERIGO - Non è possibile.
JAGO - È solo una libidine del sangue,
un’acquiescenza della volontà.
Evvia, sii uomo! Andare ad affogarti!
Annega gatti e cuccioletti ciechi!
Io mi son dichiarato amico tuo
e mi sento legato alla tua causa
con vincolo tenace e duraturo;
non ho potuto mai esserti utile
come in questo momento. Senti a me:
riempiti la borsa di denaro,
camuffati con una barba finta,
e vieni al nostro seguito alla guerra.
Ma, ti dico, riempiti la borsa.
L’amore di Desdemona pel Moro
non può durare a lungo...
(pensa a metter denaro nella borsa)
così come l’amore suo per lei.
Per lei è stato un inizio violento,
e la rottura seguirà, vedrai,
altrettanto violenta.
(Metti, metti denaro nella borsa).
Questi mori sono d’umor volubile
(fa che la borsa sia ben riempita)
e il cibo che gli è ora delizioso
come carrube,([36]) gli sarà amarissimo
come la coloquintide tra poco.
Ella dovrà cambiare, perché è giovane;
e, sazia che sarà del di lui corpo,
s’accorgerà della scelta sbagliata
e sentirà il bisogno di cambiare.
Perciò metti denaro nella borsa.
Se poi sei proprio deciso a dannarti,
fallo almeno in un modo più elegante
che non quello d’andarti ad affogare.
Se la sua santimonia([37])
ed un labile voto maritale
tra un barbaro selvaggio giramondo
ed una superfina veneziana
non sono ostacoli troppo difficili
da superare per la mia scaltrezza,
tu la godrai. Procurati il denaro.
Pensare d’annegarsi! Un accidente!
Sei maledettamente fuori strada.
Pensa, se mai, a morire impiccato
per esserti goduto il tuo piacere,
invece di pensare ad annegarti
per avervi dovuto rinunciare!
RODERIGO - Sarai tu cardine alle mie speranze
s’io persisto a sperare in un buon esito?
JAGO - Ci puoi contare. Va’, trova il denaro.
T’ho detto tante volte, e ti ripeto,
che il Moro mi sta in odio;
che mi sta a cuore solo la mia causa,
e quella tua con non minor ragione.
Andiamo dunque uniti alla vendetta.
Se puoi farlo cornuto,
procuri a me un piacere, a te un trastullo.
Molti eventi che ancor devono nascere
son nel grembo del tempo. E dunque avanti,
muoviti, su, procurati denaro.
E domani ne riparliamo. Adieu.
RODERIGO - Dove ci ritroviamo domattina?
JAGO - A casa mia.
RODERIGO - Ci sarò di buon ora.
JAGO - Adesso va’. Salute. Siamo intesi?
RODERIGO - Che cosa, intesi?
JAGO - Niente annegamenti.
RODERIGO - Sì, sì, d’accordo, non ci penso più.
Vado a vendere tutte le mie terre.
(Esce)
JAGO - Così riesco a fare ancora e sempre
di questo mio zimbello la mia borsa.
Profanerei la mia sudata scienza
a spender tempo con un tal minchione
se non per mio trastullo e mio profitto.
Io odio il Moro; e si crede, di fuori,
ch’egli abbia fatto pure le mie veci
nel mio letto... Non so se ciò sia vero;
ma il solo sospettarlo mi fa agire
contro di lui come fosse certezza.
Egli mi stima molto; tanto meglio
potrà perciò operare su di lui
il mio proposito... Cassio è un bell’uomo...
Vediamo... escogitare la maniera
d’ottenere il suo posto…
Come?... Ecco: passato un certo tempo,
avvelenare l’orecchio d’Otello
pian piano insinuandogli che Cassio
è troppo in confidenza con sua moglie.
La sua prestanza, i suoi modi galanti
son fatti apposta per destar sospetto,
per trascinar le donne all’adulterio.
Il Moro è d’indole franca ed aperta,
tanto da reputar uomini onesti([38])
quelli che tali son solo di fuori;
si lascerà menare per il naso
con la docilità d’un somarello...
Ecco, ci sono. Il mio disegno è fatto.
Ora tocca all’inferno ed alla notte
portare questo parto mostruoso
alla luce del mondo.
(Esce)
ATTO SECONDO
SCENA I
Porto nell’isola di Cipro
Entra MONTANO con due GENTILUOMINI
MONTANO - (Al 1° Gentiluomo, che sta in piedi su una altura)
Si vede niente da quel promontorio?
1° GENTILUOMO - Nulla di nulla. Il mare è così grosso,
ch’è impossibile scorgere una vela
sulla linea dell’ultimo orizzonte.
MONTANO - A quanto pare il vento ha urlato forte
in terraferma; mai più forti raffiche
hanno scosso i bastioni; se sul mare
esso ha infuriato con la stessa forza,
mi chiedo quali costole di quercia
possano ancor tener salda la tacca,([39])
quando montagne d'acqua
si squagliano violente su di esse.
Che aspettarci da ciò?
2° GENTILUOMO - La dispersione della flotta turca.
Ché solo a riguardarlo dalla riva,
il mare gonfio sembra schiaffeggiare
le nubi, e i flutti sbattuti dal vento
colla schiumosa ed alta lor criniera
gettar acqua su acqua verso l'alto
a raffreddare l'ardore dell'Orsa
e ad estinguerne il perenne fuoco.
Non ho mai visto turbamento simile
sulla faccia dell'infuriato flutto.
MONTANO - Se non s’è riparata in qualche rada,
la flotta turca è certo andata a picco.
Impossibile ch’abbia resistito.
Entra un terzo GENTILUOMO
3° GENTILUOMO - Buone nuove, ragazzi!
La nostra guerra è già bell’e finita!
Questo impetuoso ed aspro fortunale
ha dato al Turco una tale scrollata
che il suo piano ha subìto un brusco arresto.
Un nobile vascello di Venezia
ha visto il doloroso lor naufragio
ed il disastro cui è andata incontro
la più gran parte della loro flotta.
MONTANO - È vero quel che dite?
3° GENTILUOMO - Quel vascello è da poco entrato in porto:
era una veronese;([40])
n’è sbarcato testé Michele Cassio,
l’ufficiale di prima
del prode Otello; il Moro è anch’esso in mare
diretto anch’egli qui, incaricato
del comando supremo sopra Cipro.
MONTANO - Ne sono lieto. È un degno condottiero.
3° GENTILUOMO - M’è parso tuttavia che questo Cassio,
pur dicendosi molto confortato
per le perdite della flotta turca,
abbia l’aria piuttosto preoccupata
pel Moro, e prega che sia salvo,
perché in mare essi furono separati
da una violenta orribile burrasca.
MONTANO - Preghiamo che lo sia; l’ho già servito,
è uomo che sa bene comandare
come dovrebbe un perfetto soldato.
Ma via, rechiamoci tutti alla riva,
a vedere la nave testé entrata,
ed a scrutare insieme l’orizzonte
pel valoroso Otello,
fino dove l’occhio si può spinger oltre
e può discerner tra l’aperto mare
e l’azzurro del cielo.
3° GENTILUOMO - Sì, sì andiamo, perché ogni minuto
si può aspettare che approdi qualcuno.
Entra CASSIO
CASSIO - Grazie a voi, valorosi cittadini
di quest’isola nobile e guerriera,([41])
per l’alta vostra stima per il Moro!
Oh, gli apprestino i cieli una difesa
contro l’imperversar degli elementi,
perché l’abbiamo perduto di vista
in mezzo a un mare assai pericoloso!
MONTANO - È salda la sua nave?
CASSIO - La nave è di robusta costruzione
e il suo nocchiero è uno dei più esperti
e provati, perciò le mie speranze
se non son proprio sazie da morire,
son sottoposte a un’energica cura.
Grida da dentro: “Una vela! Una vela!”
Entra un quarto GENTILUOMO
CASSIO - Che sono queste grida?
4° GENTILUOMO - La città s’è svuotata; in riva al mare
gridano in folla: “Una vela! Una vela!”
CASSIO - Le mie speranze mi dicevan vero:
è lui, è lui, il nostro comandante.
(Colpo di cannone da dentro)
2° GENTILUOMO - Sparano la lor salva di saluto
dalla nave; vuol dir che sono amici.
CASSIO - (Al 2° Gentiluomo)
Vi prego, monsignore, andate voi
ad accertarvi di chi sta arrivando,
e fateci sapere.
2° GENTILUOMO - Volentieri.
(Esce)
MONTANO - (A Cassio)
Ma, ditemi, mio buon luogotenente,
il vostro generale s’è ammogliato?
CASSIO - E assai felicemente, vi dirò.
Ha conquistato il cuor d’una fanciulla
che regge al vaglio d’ogni descrizione
la più entusiasta che si possa farne;
al di là delle lodi più esaltanti,
d’ogni più estrosa immaginazione;
al di là dei più capricciosi voli
delle osannanti penne dei poeti;
e l’essenziale sua semplicità
stanca ogni artista che voglia descriverla.
Rientra il secondo GENTILUOMO
Allora che mi dite, chi è sbarcato?
2° GENTILUOMO - Un certo Jago, l’alfiere del Moro.
CASSIO - Ha avuto una felice traversata,
ed anche assai veloce, a quanto pare.
Perfino le tempeste,
i mari gonfi e gli ululanti venti,
le scanalate ed erose scogliere
e le ammassate sabbie,
sommerse insidie all’innocente chiglia,
quasi compresi da tanta bellezza
rinunciano all’usata lor natura
per consentir che passi sana e salva
la divina Desdemona.
MONTANO - Chi è?
CASSIO - Colei di cui appunto vi parlavo,
capitana del nostro capitano,
da lui lasciata affidata alla scorta
del valoroso Jago il cui arrivo
anticipa di buoni sette giorni
le nostre previsioni. O grande Giove,
proteggi Otello e gonfia la sua vela
col tuo fiato possente,
ch’ei possa rallegrare questa baia
con la vista della sua alta prora,
e correr tra le braccia di Desdemona
a calmare il suo ansito d’amore,
infonder nuova fiamma ai nostri cuori
e recare sollievo a Cipro tutta.
Entrano JAGO, DESDEMONA, RODERIGO, EMILIA e gente del seguito
Oh, mirate! Il tesoro della nave
è sceso a terra! Uomini di Cipro,
piegate le ginocchia innanzi a lei!
Salute a te, signora! Benvenuta!
Che la divina grazia possa accoglierti
avanti, dietro, sempre, in ogni lato!
DESDEMONA - Grazie, valente Cassio. Che notizie
del mio signore?
CASSIO - Non è ancora giunto,
e non so altro se non che sta bene,
e dovrebbe approdare qui tra poco.
DESDEMONA - Oh, ch’io son tanto in pena...
Come è successo che vi siete persi?
CASSIO - Ci ha divisi la furibonda lotta
fra mare e cielo.
(Colpo di cannone da dentro)
Ma udite: una vela!
(Voci da dentro: “Una vela! Una vela!”)
2° GENTILUOMO - Dànno il loro saluto alla fortezza.
Sono amici anche questi, certamente.
CASSIO - (Al 2° Gentiluomo)
Andate per notizie.
(A Jago)
Buon alfiere, son lieto di vederti.
(A Emilia)
Benvenuta, signora!... Caro Jago,
non s’irriti la tua condiscendenza
s’io faccio sfoggio di galanteria:
è la maniera in cui m’hanno educato
che mi fa tanto ardito con le donne
da mostrarmi con loro sì espansivo.
(La bacia)
JAGO - S’ella vi desse, signor mio, le labbra
con quella stessa liberalità
con cui con me fa uso della lingua,
povero voi!
DESDEMONA - (A Jago)
Ma se sta sempre zitta!
JAGO - Parla troppo. Lo sperimento sempre,
e specie quando ho voglia di dormire...
Certo, davanti a Vostra Signoria,
lo riconosco, frena un po’ la lingua,
ma dentro seguita a rimuginare.
EMILIA - Hai ben poca ragione a dir così.
JAGO - Eh, fuor di casa voi siete pitture,
e campanelli nei vostri salotti;
siete gatte selvatiche in cucina,
santarelline quando ci ingiuriate
e diavolesse quando vi offendete;
abili attrici a fare le massaie,
buone massaie solamente a letto!
DESDEMONA - Calunniatore! Vergogna! Vergogna!
JAGO - Vergogna un corno! So quello che dico.
Sono un turco se mento. È verità.
Vi alzate la mattina
solo per trastullarvi e stare in ozio,
e andate a letto a lavorar d’impegno.
EMILIA - Non sarai tu a scriver le mie lodi.
JAGO - Per carità, non darmi un tale incarico!
DESDEMONA - E se doveste fare quelle mie,
che scrivereste?
JAGO - Gentile signora,
non mi mettete a fronte a certe strette:
perché io sono nulla, se non critico.
DESDEMONA - E tuttavia provatevi: coraggio!...
Qualcuno è andato al porto?
JAGO - Sì, signora.
DESDEMONA - (A parte)
Non sono certo in vena d’allegria:
mi sforzo solo di dissimulare
quel che ho dentro, mostrandomi diversa...([42])
(Forte a Jago)
Dunque, allora, che elogio mi fareste?
JAGO - Ci sto pensando; ma m’accorgo, ahimè,
che l’estro m’esce fuori dalla zucca
come il vischio da un panno di lanetta;
e strappa via cervello e tutto il resto.
Ma la mia musa ha le doglie del parto
ed ecco quello ch’essa dà alla luce:
“S’ella è leggiadra e saggia,([43])
“tra bellezza e saggezza,
“questa userà per sé,
“e altri useranno l’altra”.
DESDEMONA - Non c’è male. E se invece è nera e saggia?
JAGO - “Se è nera ed ha saggezza,
“troverà sempre un bianco
“ch’ami la sua negrezza”.
DESDEMONA - Di bene in meglio.
EMILIA - E s’ella è bella e stolta?
JAGO - “Donna bella non fu mai donna stolta,
“se quella sua stoltezza
“ad avere un erede fu rivolta”.([44])
DESDEMONA - Questi son vecchi sciocchi paradossi
da far rider gli idioti nelle bettole.
Qual sorte miseranda avete in serbo
per una donna che sia brutta e stolta?
JAGO - “Al mondo non son donne stolte e brutte
“che non facciano quello che fan tutte”.
DESDEMONA - O penosa ignoranza!
Tu lodi meglio tutto quel che è peggio!
Ma che lode offriresti a quella donna
che per l’altezza della sua virtù
ne avesse giusto riconoscimento
perfino da un maligno maldicente?
JAGO - “Donna bella e non altera
“parlò sempre veritiera,
“se non fu giammai ciarliera.
“Se ricchezze ella ebbe a josa,
“non fu mai troppo pomposa”.
“Rifuggì dal dir: “Vorrei,
“pur dicendo: “Lo potrei”.
“Se irritata sa ordinare
“a se stessa di interdire
“ogni stimolo a reagire,
“e l’offesa dissipare.
“Se non fu mai così frale
“di cervello da scambiare
“una testa di merluzzo
“per la coda d’uno struzzo;
“s’è capace di pensare
“e il pensiero suo celare;
“se sa il viso non voltare
“a guardar gli spasimanti
“che la seguono galanti,
“quella è sì la donna adatta,
“se mai venne in mezzo a tante
“una femmina sì fatta.”
DESDEMONA - Adatta a che?
JAGO - Ad allattar citrulli,
e a registrare i conti della spesa.([45])
DESDEMONA - O storpissima e sterile morale!
Emilia, tu non imparar da lui,
anche s’è tuo marito.
Che dite, Cassio? Non sembra anche a voi
un profano e sboccato consigliere?
CASSIO - Parla come gli viene, a briglia sciolta.
Si fa apprezzare più come soldato,
senza dubbio, che come letterato.
JAGO - (A parte)
Oh, la prende per mano.
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