Cosě mandatemi un rigo, se potete, per farmi sapere se sarň benvenuta, tramite John, che si fermerŕ a chiederlo quando torna. Ma a lui non dite niente della mia partenza, per ora; perché si direbbe che non mi so tenere niente in bocca.
LETTERA XVII
Mia carissima Figlia,
Benvenuta, benvenuta, dieci volte la benvenuta tu sarai da noi; poiché tu vieni da noi innocente, e lieta, e onesta; e tu sei il bastone della nostra vecchiaia, e la nostra consolazione.
E anche se non potremo fare per te quello che vorremmo, tuttavia non temere che non vivremo lietamente insieme; fra le mie diligenti fatiche, e l’arcolaio della tua povera madre, e il tuo ricamo, non dubito che ce la caveremo sempre meglio.
Solo gli occhi della tua povera mamma cominciano a tradirla; benché io benedica Iddio di essere non meno forte, e capace, e disposto a faticare, che mai; e oh, mia cara bambina, la tua virtů mi ha reso, credo, piů forte e migliore di quanto fossi prima. Che cose benedette sono le prove e le tentazioni, quando abbiamo la forza di resistervi e di soggiogarle!
Ma sono in imbarazzo riguardo quelle quattro ghinee. Io penso che dovresti restituirle al tuo padrone; e d’altro canto le ho intaccate. Ahimč! Non me ne rimangono che tre; ma mi farň prestare la quarta, se posso, in parte sul mio salario, e in parte dalla signora Munford, e ti rispedirň tutta la somma, affinchč tu possa restituirla col prossimo passaggio di John, se te lo rivedrai davanti.
Voglio sapere come verrai. Immagino che l’onesto John sarŕ lieto di farti compagnia per parte del tragitto, se il tuo padrone non sarŕ cosě adirato da proibirglielo. E se sarň sufficientemente informato dell’ora, tua madre ti verrŕ incontro per cinque miglia, e io per dieci, o fino a incontrarti, fin dove si potrŕ andare in un giorno di vacanza; perché potrň avere il permesso di assentarmi in un’occasione simile: e ti riceveremo con piů letizia di quanta ne provammo alla tua nascita, o di quanta mai ne abbiamo provata in vita nostra.
E cosě che Iddio ti benedica, finché non arriverŕ il lieto momento! diciamo tua madre e io; e questo č tutto per ora, dai
Tuoi sinceramente affezionati Genitori.
LETTERA XVIII
Mio caro Padre,
Ringrazio te e mia madre mille volte per la vostra bontŕ verso di me, espressa nella vostra ultima lettera. A questo punto non vedo l’ora di aver finito i miei traffici, e di essere con voi. Sono tutt’un’altra persona da quando il mio padrone mi ha scacciata; e poiché verrň da voi da ragazza onesta, quale piacere č questo in confronto a quello che avrei provato se non avessi potuto vedervi che da colpevole! Bene, ben presto per me il tempo di scrivere sarŕ finito. Perciň voglio farne uso adesso, e raccontarvi tutto quello che č successo dopo la mia ultima lettera.
Mi meravigliavo perché la signora Jervis non mi aveva chiamato a cenare con lei, e temevo che fosse adirata; e quando ebbi terminata la mia lettera, non vedevo l’ora che salisse. Alla fine č arrivata; ma pareva schiva e riservata; e io ho detto: ŤMia cara signora Jervis, sono felice di vedervi; non siete adirata con me, speroť. Lei ha detto che le dispiaceva che le cose fossero arrivate a quel punto; e che aveva parlato a lungo col mio padrone, dopo che ero andata via; e che lui sembrava scosso da quanto avevo detto, e per il fatto che mi ero inginocchiata davanti a lui, e per la mia preghiera per lui, quando ero andata via. Aveva detto che ero una strana ragazza; non sapeva dove collocarmi. ŤMa č andata via?ť ha detto, Ťvolevo dirle qualcos’altro, ma si č comportata in modo cosě strano, che non sono riuscito a fermarla.ť Lei ha chiesto se doveva richiamarmi. Lui ha detto: ŤSěť, e poi: ŤNo, lasciatela andare; č meglio per lei e anche per me; e se ne andrŕ. Dove l’abbia preso non so dirlo; ma una con un carattere cosě non l’avevo mai incontrata in vita mia, a nessuna etŕť. Lei ha detto che lui le aveva ordinato di non dirmi tutto: ma pensava che non mi avrebbe mai piů fatto nessuna profferta, e che sarei potuta restare, immaginava, se lo avessi implorato come favore; benché neanche di questo fosse sicura.
ŤRestare! cara signora Jervisť, ho detto io, Ťma se il suo lasciarmi andar via č la notizia migliore che potessi ricevere. Io non vedo l’ora di tornare alla mia condizione precedente e che si avveri la sua minaccia. Mio padre e mia madre sono poveri e umili nel mondo, questo č vero. Spesso ho provato rimorso per il benessere in cui vivevo, malgrado la bontŕ della mia signora verso di me, mentre loro si trovavano nelle ristrettezze.
Con l’ago me la so cavare, sapete; e non sono mai stata una scansafatiche: e chissŕ che non possa trovare lavoro e riuscire cosě a contribuire al loro benessere, invece di essere solo un peso? Un confortante pensiero, questo, signora Jervis! Lasciatemelo godere.ť
La signora Jervis, cara anima buona! ha pianto davanti a me, e ha detto: ŤBene, bene, Pamela, non credevo di averti dimostrato cosě poco affetto, da farti esprimere tanta gioia per il fatto di lasciarmi. Sono certa di non aver mai avuto un figlio che mi fosse caro la metŕ di quanto lo sei tuť.
Ho pianto al sentirla cosě buona con me, come in realtŕ ella č sempre stata; e ho detto: ŤChe cosa dovrei fare secondo voi, cara signora Jervis? siete la persona che amo di piů subito dopo mio padre e mia madre, e lasciare voi č il primo dolore che provo nel congedarmi da questo posto; ma non č forse assodato che se restassi per me sarebbe la rovina totale?
Dopo simili proposte e simili minacce, e il suo paragonarsi a un perfido stupratore proprio nell’occasione della sua ultima proposta; e il suo averla volta in scherzo, suggerendoci di farne una graziosa storia in un romanzo - posso restare ed essere al sicuro? Non si č abbassato due volte? E non č forse il caso che io stia in guardia contro la terza, per paura che collochi meglio le sue trappole, poiché forse non si aspettava che una povera serva resistesse al suo padrone? E non sembrerŕ una specie di avallo ad azioni simili, se restassi dopo questo?
Sarebbe un incoraggiarlo, in sostanza, a rinnovare i suoi tentativi, poiché cosě egli si crederebbe perdonato per quanto non si dovrebbe perdonareť.
Lei mi ha stretta a sé e ha detto: ŤDa dove hai preso tutta la tua sapienza e tutti i tuoi buoni concetti, alla tua etŕ? Io ti vorrň sempre bene. Perň, Pamela, sei proprio decisa a lasciarci?ť ŤSě, mia cara signora Jervisť, ho detto io, Ťpoiché, allo stato attuale delle cose, come potrei fare altrimenti? Perň prima terminerň i miei obblighi verso questo luogo, se posso; e spero che mi darete un attestato per quanto riguarda la mia onestŕ, affinchč non si possa pensare che sono stata scacciata per delle colpe commesse.ť ŤUn attestato! sě, questo lo.farňť, ha detto lei, Ťti darň un attestato quale mai ragazza alla tua etŕ si č meritata.ť ŤE io sono certať, dissi io, Ťche vi amerň e onorerň sempre come mia terza migliore amica, dovunque andrň, o qualunque cosa sarŕ di me.ť
E cosě ce ne siamo andate a letto, e io non mi sono piů svegliata finché non č stato tempo di levarsi; il che ho fatto allegra come un uccellino, e mi sono accinta alle mie faccende con piacere.
Perň credo che il mio padrone sia molto irritato con me, poiché mi č passato accanto due o tre volte e non mi ha rivolto la parola; e verso sera mi ha incontrata nel corridoio che porta al giardino, e mi ha detto una parola quale non avevo mai sentito in vita mia dalla sua bocca, rivolta a uomo, donna o bambino. Poiché prima ha detto: ŤQuesta creatura mi viene sempre fra i piedi, direiť. Io ho detto, standogli piů vicina che potevo (e il passaggio era cosě ampio che avrebbe potuto contenere anche una carrozza): ŤSpero di non restarci ancora a lungo, fra i piedi di vostra eccellenzať. ŤChe tu sia da!ť ha detto lui (questa era la parola forte), Ťpiccola strega che non sei altro; non ho pazienza con te.ť
Io ho tremato a sentirgli dir questo; ma avevo visto che era irritato; e, dato che me ne vengo via, non ci ho badato troppo.
Quando una persona commette azioni malvagie, miei cari genitori, non c’č da stupirsi se poi pronuncia parole malvagie.
Possa Iddio tener lontano dalle cose malvagie e dalle malvagie parole
La vostra obbediente Figliola.
LETTERA XIX
Poiché il nostro John non ha avuto occasione di passare dalle parti vostre, torno a scrivere le due lettere insieme. Ancora non posso dire quando verrň via, e nemmeno come verrň; perché la signora Jervis ha mostrato al mio padrone il panciotto a fiori che gli sto ricamando, e lui ha detto: ŤNon sembra male; sarŕ meglio che quella creatura rimanga finché non lo avrŕ finitoť.
Fra lui e la signora Jervis sono passati dei discorsi privati di cui lei non mi dice; tuttavia continua a essere piena di benevolenza con me, e io non le ho tolto la minima fiducia. Sarei molto vile se lo facessi. D’altro canto, questo č certo, ella deve assecondarlo, e obbedire a tutti i suoi comandi legittimi; ad altri, credo proprio, non obbedirebbe, č troppo buona, e mi vuole troppo bene. Perň lei dovrŕ rimanere quando io non ci sarň piů, e quindi non deve incorrere nel malanimo.
Di nuovo ha insistito con me perché mi umilii, e chieda di restare. ŤMa che cosa ho fatto, signora Jervis?ť ho detto.
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