Alla fine vennero in molti.
Il mio Spagnolo aveva scovato in un angolo della città, vicino al cimitero, un altro Spagnolo, un compaesano. Questi era una specie di imprenditore funebre, un marmista che fabbricava tombe. Come tutte le persone che fanno un mestiere funebre, beveva forte. Così la bottiglia e la patria comune li condussero lontano; il musicista non abbandonò più il marmista. Il giorno stesso del concerto, giunta l’ora, erano insieme, ma dove? Era ciò che occorreva sapere. Si perlustrarono tutte le bettole, tutti i caffè della città. Alla fine fu scovato col suo amico, in un tugurio indescrivibile, completamente ubriaco, e l’altro anche. Seguirono scene analoghe, alla Kean e alla Frédérick. Infine acconsente ad andare a suonare, ma eccolo catturato da un’idea improvvisa: «Tu suonerai con me», dice al suo amico. Questi rifiuta; possedeva un violino, ma lo suonava come il più spaventoso dei menestrelli. «Suonerai, oppure non suono neanch’io».
Non ci furono prediche o buone ragioni che tenessero: bisognò cedere. Eccoli sul podio, davanti al fior fiore della borghesia del luogo. «Portate del vino», disse lo Spagnolo. Il becchino, che era conosciuto da tutti, ma certo non come musicista, era troppo ubriaco per vergognarsi. Portato il vino, non si ha più pazienza di stappare le bottiglie. I miei due mascalzoni le ghigliottinano a colpi di coltello, come le persone maleducate. Pensate che bell’effetto sulla provincia in ghingheri! Le signore si allontanano, e davanti a quei due ubriachi, a quei due mezzi-matti, molta gente scappò disgustata.
Ma la indovinarono quelli cui il pudore non spense la curiosità e che ebbero il coraggio di restare. «Comincia», dice il chitarrista al marmista. È impossibile esprimere quale genere di suoni uscì dal violino ubriaco; Bacco in delirio che tagliava la pietra con una sega. Cosa suonò, o cosa tentò a suonare? Poco importa, la prima aria che gli capitò a tiro. Tutt’a un tratto, una melodia energica e soave, capricciosa e unica nello stesso tempo, avvolge, soffoca, spegne, dissimula lo stridulo baccano. La chitarra canta così alto che il violino non si sente più. Eppure è proprio l’aria, l’aria avvinazzata che il marmista aveva intonato.
La chitarra si esprime con una sonorità dilatata; chiacchiera, canta, declama con un brio straordinario, e una sicurezza, una purezza di dizione inaudite. La chitarra improvvisava una variazione sul tema del violino alla cieca. Si lasciava guidare da lui e vestiva con splendore e tenerezza materna la tenue nudità dei suoi suoni. Il lettore comprenderà che è un fatto indescrivibile un testimone vero e serio mi ha raccontato la cosa. Il pubblico alla fine era più ubriaco di lui. Lo Spagnolo fu festeggiato, ossequiato, salutato da un immenso entusiasmo. Ma senza dubbio il carattere della gente locale gli dispiacque; perché fu l’unica volta che acconsentì a suonare.
E adesso dov’è? Qual è il sole che ha contemplato i suoi ultimi sogni? Quale terra ha ricevuto le sue spoglie di cittadino del mondo? Quale fosso ha accolto la sua agonia? Dove sono i profumi inebrianti dei fiori scomparsi? Dove i colori fatati degli antichi tramonti?
III
Non vi ho insegnato nulla di nuovo. Il vino è conosciuto da tutti; amato da tutti.
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