All’inizio L una certa sciocca e irresistibile ilarità si impadronisce di voi. Le parole più volgari, le idee più semplici prendono una fisionomia bizzarra e nuova. Questa allegria è proprio insopportabile anche a voi che la provate; ma è inutile opporsi. Il demone vi ha invaso; tutti gli sforzi che farete per resistere non serviranno che ad accelerare il progredire del male. Ridete della vostra stupidità e della vostra follia; i vostri compagni vi ridono sotto il naso, e non ce l’avete con loro, perché la benevolenza comincia a manifestarsi.
Questa languida allegria, questo malessere nella gioia, questa insicurezza, questo oscillare dell’alterazione dura generalmente poco. Capita talvolta che persone totalmente incapaci di fare giochi di parole, improvvisino interminabili sfilze di calembours, associazioni di idee del tutto improbabili, e fatte per sviare i più abili maestri di quest’arte bislacca. In pochi minuti i nessi delle idee divengono così vaghi, i fili che tengono uniti i vostri concetti sono così tenui, che possono capirvi soltanto i vostri complici, i vostri correligionari. I vostri folleggiamenti, i vostri scoppi di risa appaiono il colmo della stupidità a chiunque non sia nel vostro stesso stato.
La saggezza di questo infelice vi diverte oltre misura, il suo sangue freddo vi spinge agli ultimi confini dell’ironia; vi appare il più folle e il più ridicolo di tutti gli uomini. Quanto ai vostri compagni, vi intendete perfettamente con loro. Ben presto vi intendete solo con gli occhi. In effetti è una situazione abbastanza comica quella di uomini che godono di un’allegria incomprensibile per chi non si trova nei loro stesso mondo. Hanno una profonda compassione di lui. Da quel momento, l’idea di superiorità avanza all’orizzonte del vostro intelletto. Presto crescerà smisuratamente.
In questa prima fase, sono stato testimone di due scene abbastanza grottesche. Un celebre musicista, che ignorava le proprietà dell’hascisc, e forse non ne aveva mai sentito parlare, capita in un gruppo in cui quasi tutti ne avevano preso. Si tenta di fargli capire i suoi meravigliosi effetti. Egli ride con garbo, come un uomo che si presta per qualche istante, proprio per spirito di buona creanza, perché è educato. Si ride molto; perché l’uomo che ha preso l’hascisc è dotato, in un primo momento, di una meravigliosa intelligenza del comico. Gli scoppi di risa, gli incomprensibili eccessi, gli inestricabili giochi di parole, i gesti barocchi continuano. Il musicista dichiara che questa imitazione caricaturale di artisti è goffa, che d’altra parte dev’essere faticosa per gli autori.
La gioia aumenta: «Questa imitazione caricaturale è forse buona per voi, non per me», dice. «Basta che sia buona per noi», replica egoisticamente uno dei malati. Scoppi di risa interminabili riempiono la sala. Il mio uomo si arrabbia e vuole andarsene. Qualcuno chiude la porta e nasconde la chiave. Un altro si inginocchia davanti a lui, e piangendo gli dichiara, a nome di tutta la combriccola, che, se sono commossi e profondamente impietositi per lui e per la sua inferiorità, nondimeno saranno animati da eterna benevolenza.
Lo si supplica di suonare della musica, e lui si rassegna. Appena il violino s’era fatto sentire, i suoni, diffondendosi nell’appartamento, avvincevano a caso qualcuno dei malati. Non si udivano che sospiri profondi, singhiozzi, gemiti laceranti, torrenti di lacrime. Il musicista, scosso, si interrompe, crede di essere in una casa di folli. Si avvicina a quello la cui beatitudine faceva più chiasso; gli chiede se soffre molto e ciò che bisognerebbe fare per dargli sollievo. Uno spirito positivo, che neppure lui aveva assaggiato la beatifica droga, propone della limonata e qualcosa di acido.
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