Schiacciare il capo a una pernice ferita, fingere di non aver paura ad andare, ogni sera, a chiudere il pollaio, mettere in fuga ipotetici banditi, erano glorie scontate.
Quel materasso al sole era la sua croce, il suo golgota, il suo supplizio.
Ogni sera, prima di andare a letto, Pel di Carota si ingegnava a prendere tutte le precauzioni del caso.
A tavola non beveva neppure una goccia d’acqua e, specialmente d’estate, la sete era un tormento indicibile.
Prima di coricarsi, girava intorno alla casa, quando andava a chiudere il pollaio, e mentalmente pregava il suo angelo custode di liberarlo da quell’incomodo liquido che stazionava dentro di lui e che non intendeva uscire. Ma veniva l’ora di andare a letto e non accadeva che di rado quella benedetta e tanto attesa liberazione.
A volte, il padre ed anche Felice, ridendo e spassandosela un mondo alle sue spalle, davano il buon esempio e lo invitavano a fare altrettanto.
Pel di Carota ci si metteva di buona volontà e gli pareva che la cosa fosse immensamente facile e quando i due, sghignazzando, domandavano:
— Tutto bene, Pel di Carota?
Dalla siepe a cui s’era accostato partiva una voce tutt’altro che fiera ad as-sicurare:
— Tutto bene.
Ma era una solenne bugia.
Contenendo una stizza che lo faceva fremere fino ad odiarsi accendeva, insieme agli altri, la sua candela e s’avviava sgomento alla sua stanza.
Si spogliava, s’inginocchiava sul nudo pavimento per pregare, e a piedi nudi, convinto che il freddo fosse un buon alleato, aspettava la madre.
Essa entrava, come ogni sera, tenendo ben in vista un recipiente utile ad evitare che il letto ricevesse la consueta pioggia e sempre con parole piuttosto dure ripeteva gli stessi insegnamenti:
— Impara a non essere pigro, appena lo stimolo ti avverte, non poltrire nel letto, svegliati, scendi, provvedi a quel che occorre: io sono stufa, arcistufa di queste tue prodezze notturne e se non ti correggi ti manderò a dormire nel fienile, capito? — questa era la sua buonanotte.
Pel di Carota diceva di sì, di sì, con la testa, che le parole gli si gelavano nella strozza, e la madre soffiava sulla candela, gli rimboccava le coperte e se ne andava chiudendo la porta a chiave sapendo che aveva paura a dormir solo.
E l’incubo notturno rimaneva a vegliare accanto a lui come un nemico im-placabile, deciso a distruggerlo.
— Mio Dio — pregava Pel di Carota con gli occhi già grevi di sonno —
mio Dio, fa’ che io mi svegli …
Ma raramente ciò accadeva.
Qualche volta scendeva a patti con se stesso ed era convinto che una ignota malattia s’annidasse nel suo corpo e si ostinava a supporre che le persone adulte dovessero sapere di che rimedio aveva bisogno. Il fatto di non sottoporlo ad una visita medica e ad una cura adatta riteneva che fosse a causa del loro palese disinteresse per lui e questo lo addolorava più di quanto non facessero le risatine amare e le parole offensive.
Una notte, il diavolo ci mise la coda e tutto andò a rovescio. Si svegliò, come se una mano lo avesse scosso ed avvertì, impellente, quel certo bisogno.
Se ne rallegrò come di una vittoria e saltò giù dal letto senza indugio.
La stanza era buia. La candela la lasciavano sul comodino ma non gli lasciavano gli zolfanelli, per timore di un incendio, sapendolo tanto sbadato.
Si inginocchiò a terra e tenendosi con una mano alla sponda del letto, cominciò a ispezionare il pavimento, sotto al letto, per afferrare quel certo recipiente. Ma per quanto la sua mano si allungasse a destra e a sinistra e percorresse l’intero spazio del pavimento occupato dal letto, non trovò nulla.
Si arrestò cercando di ricordare se, anche quella sera, sua madre aveva compiuto il consueto gesto. Non ricordava.
Tornò a ispezionare il pavimento, palmo a palmo, ma non trovò nulla. Intanto, quel certo bisogno urgeva in modo quasi spasmodico. Che fare?
Restò in piedi nella stanza buia, col freddo che saliva dal pavimento lungo le sue gambette esili, a riflettere: la mamma si era forse dimenticata di portare quel che cercava?
La porta della sua stanza era chiusa e mai più avrebbe destato tutta la casa per quella ridicola necessità di cui la più elementare educazione insegnava di non parlare mai.
La finestra munita di inferriata è impossibile utilizzarla perché non guarda in corte, ma s’affaccia sul salotto buono e, proprio sotto, c’è il divano e il tappeto di cui la mamma è tanto orgogliosa.
1 comment