Ed ora andate a tare un primo giro di prova. Divertitevi e non bisticciate.

— Possiamo prendere il cane? — chiese timidamente Pel di Carota con gli occhi sfavillanti dal piacere di sentire il peso della carabina sulla sua spalla.

— No. Niente cane. Farete il cane a turno, un po’ per ciascuno. Del resto i cacciatori abili non hanno bisogno di cane: essi non feriscono la preda, l’am-mazzano e non resta altro compito che raccoglierla e metterla nel carniere.

La mattinata è splendida. Non c’è un alito di vento e il cielo è così azzurro che, contro quel chiarore, sarà facile mirare anche a un moscerino.

Pel di Carota e Felice se ne vanno. Hanno gli abiti di ogni giorno e non hanno stivali adatti a camminare sulla terra arsa della brughiera. L’orlo dei loro pantaloni tocca i calcagni ma spesso il signor Lepic, che è un cacciatore provetto, ha assicurato che il vero cacciatore non ha bisogno di abiti adatti e che c’è maggior soddisfazione a inciampare nella terra arata e a scivolare nella mota quando solo la mira alla selvaggina deve polarizzare l’attenzione del cacciatore: più fango si dissecca sul bordo dei calzoni, più un cacciatore appare rispettabile, come se esibisse un trofeo in più.

Felice cammina a fianco del fratellino e gli dice:

— Son certo che non tornerai con le pive nel sacco.

— Spero — risponde a mezza bocca Pel di Carota che ancora non sa capacitarsi di quella buona disposizione del fratello nei suoi riguardi.

Il prurito e il peso che sente nel cavo della spalla su cui si incolla il calcio della carabina lo rende tanto fiero che crede d’essere aumentato di statura, tanto s’avvia diritto e con passo sicuro.

Passa un branco di passeri. Pel di Carota si ferma e resta immobile a seguire quel volo facendo cenno a Felice di star fermo. Il branco svolazza da una siepe all’altra. I due cacciatori si tengono curvi e si avvicinano senza rumore. Il branco è vivacissimo, non sosta un attimo, pigola e si posa qua e là. Felice si alza di scatto e impreca contro il fratello minore che non ha saputo approfittare di quella bella occasione. Pel di Carota, che ha il batticuore, ha tuttavia la pazienza, che è la prima virtù del cacciatore. Non vuole sprecare un sol colpo senza dimostrare la sua bravura. Sembra che i passeri, dopo averlo burlato con quel volare disordinato, ora lo aspettino.

Imbraccia il fucile e mira ma, in quell’istante, Felice gli abbassa di colpo la canna della carabina verso terra e dichiara:

— Non sparare, sei troppo distante.

— Credi? — mormora Pel di Carota intimidito dalla sicurezza con cui il fratello lo ha ammonito.

— Perdiana! Se non sai misurare le distanze, come vuoi poter adoperare una carabina di precisione? A stare curvi pare sempre di esserci sopra e, invece, si è distanti dal bersaglio.

E Felice, rabbioso per l’incompetenza di Pel di Carota, si alza di scatto. Il branco dei passeri si disperde, rapido, contro l’azzurro del cielo.

Un solo passero è rimasto in cima ad un sottile rametto di un albero che si piega sotto il suo piccolo peso e lo fa dondolare.