In occasione della necessità di finanziare la guerra contro la Scozia era accaduto che i common-lawyers avessero rifiutato i prestiti al re, riacutizzando così lo scontro fra Corona e Parlamento che sfocerà nella Rivoluzione degli anni 1640-52. Successivamente, dopo la Gloriosus Revolution (1688), Guglielmo III d’Oranges, con l’Exchequer Bill e l’istituzione della Banca d’Inghilterra, inaugurò una vera e propria politica di finanziamento della guerra attraverso il debito pubblico.
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Nikolaus Graf von Windisch-Grätz (1744-1802), filosofo morale e politico, indisse un concorso al fine di escogitare «formule di contratto» univoche per prevenire il contenzioso derivante dai cambiamenti di proprietà, che, come Kant stesso dice, non ebbe esito positivo.
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Il termine eone, nell’accezione gnostica e neoplatonica, indica un essere superiore, come gli angeli, che procede per emanazione dal Principio supremo, e funge da mediatore fra il mondo divino e quello umano. Kant lo utilizza qui a ulteriore chiarimento del concetto di eguaglianza di fronte al dovere, che mentre coinvolge tutti gli uomini e anche gli esseri superiori, non si può applicare a Dio, il quale resta al di fuori del vincolo di eguaglianza. Vi si può scorgere un’allusione ai monarchi assoluti, i quali facendo discendere da Dio la loro sovranità pretendevano di porsi all’esterno dell’eguaglianza che lega tutti gli uomini.
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La costituzione repubblicana è indicata da Kant non in relazione alla forma del dominio (di uno, di pochi, del popolo: autocrazia, aristocrazia, democrazia), bensì in relazione alla forma del governo; vale a dire in relazione alle modalità secondo cui lo stato utilizza la propria autorità. Queste modalità devono essere fissate da un atto della volontà generale, ovvero dalla costituzione, che può essere di due tipi: repubblicana (che ricorda da vicino la costituzione rivoluzionaria del 1791), in cui vige la divisione dei poteri e la rappresentanza del potere legislativo; oppure dispotica, in cui il volere privato del principe vale come volere pubblico. Tuttavia, per Kant, anche la democrazia equivale a un dispotismo, perché unificando il legislatore con l’esecutore e i rispettivi poteri li confonde e rende privo di forma, informe, il governo stesso. In realtà ciò che suscita la diffidenza di Kant nei confronti della forma democratica è — come si diceva nell’Introduzione — il modello diretto o assembleare emerso in fase rivoluzionaria.
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Jacques Mallet du Pan (1749-1800), pubblicista ginevrino, è l’autore di un opuscolo violentemente antirivoluzionario: Considération sur la nature de la Révolution de France et sur les causes qui en prolongent la durée (Londra 1793). L’opuscolo contiene, in chiusura, la citazione di un verso del poeta Alexander Pope (Essays on Man, III, 303, un brillante scritto di saggistica morale in versi) giudicato vero da Mallet du Pan, ma che Kant non condivide e al quale oppone il principio pedagogico che la forma di governo ha una influenza diretta sul popolo.
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Per un’analisi filologicamente molto attenta, ma con esiti interpretativi diversi, di questo secondo articolo definitivo, si vedano i saggi di G. Marini, Il diritto cosmopolitico nel progetto kantiano Per la Pace Perpetua, con particolare riferimento al secondo articolo definitivo, e di M. Mori, Pace Perpetua e pluralità degli stati in Kant, in Kant politico. A duecento anni dalla «Pace Perpetua», Biblioteca di «Studi kantiani», 3, Pisa-Roma 1996.
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Lo jus gentium della tradizione giusnaturalistica, da C. Wolff a E. Vattel a G. Achenwall, attribuito ai popoli, alle gentes, per semplice fictio metodologica, come dice Wolff, dal momento che in realtà si riferisce agli stati, finisce per rimarcare la inconciliabilità fra il riconoscimento di un’autorità cui tutti si sottomettono, quale principio fondativo del diritto interno, e la sua estensione analogica al diritto internazionale; inconciliabilità causata dalla sovrana indipendenza di ogni stato, che non trova nel diritto naturale una norma vincolante gli stati, perciò una forma condivisa di coazione esterna. La sua assenza rende del tutto inefficace il tentativo dello jus gentium di distogliere gli stati dai loro propositi bellicosi e si traduce di fatto nel diritto degli stati alla guerra. Occorre perciò andare oltre lo jus gentium, che non consente di superare lo sbarramento normativo-positivo, della presenza di stati indipendenti e sovrani, e procedere verso lo jus cosmopoliticum o civitas gentium.
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Il «popolo potente e illuminato» che si è costituito in Repubblica è quello francese dopo la Rivoluzione. Per Kant la Rivoluzione francese è un segno storico nel quale si può riconoscere la tendenza del genere umano, considerato nella sua totalità, seppure «diviso in popoli e stati», verso il progresso morale. La rivoluzione non è un generico mutamento di una realtà politica e istituzionale, bensì un salto storico verso il progresso (cfr. Der Streit der Fakultäten, cit., pp. 350-395; tr. it. cit., pp. 315-329). Quella francese è per Kant un’esperienza storica esemplare; per quanto possa essersi manifestata in un contesto di crudeltà e di violenza tali da disorientare i benpensanti, essa ha provocato nell’animo degli spettatori una «partecipazione», una sintonia di aspirazioni «che rasenta l’entusiasmo» per l’affermazione del diritto. È l’orizzonte etico-giuridico verso cui la Rivoluzione si è diretta a suscitare l’entusiasmo dello spirito, non solo in Kant, ma anche in Hegel che nelle lezioni del 1822 usa la stessa espressione. Per una comprensione approfondita di questo Enthusiasm si veda J.-R Lyotard, L’entusiasmo. La critica kantiana alla storia, tr.it., Milano 1989. Ben diversa è invece la posizione kantiana sulla rivoluzione in generale. In una costituzione civile, stabilita su base contrattuale, è l’irresistibilità del potere coattivo delle leggi che vincola in modo assoluto tutti i membri dello stato. La resistibilità alle leggi — la seditio o la rebellio —comporterebbe il più grande e punibile dei delitti, dice Kant.
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