Rendendo incerte e precarie le fondamenta stesse del vivere associato, essa «distruggerebbe ogni costituzione civile» (cfr. Über den Gemeinspruch, cit., p. 156; tr. it. cit., p.162).

12

La valutazione kantiana della guerra è complessa e diversificata; oscilla dal ruolo positivo al veto posto dalla ragione pratica nei suoi confronti. In obbedienza al meccanismo naturale, è la guerra che induce gli uomini, per rifuggirla, a insediarsi e popolare gli angoli più remoti e inospitali del pianeta e, per fronteggiare le minacce alla loro sicurezza, a formare gli stati retti da leggi. In quanto parte del meccanismo della natura il suo ruolo positivo si esaurisce con il formarsi e il consolidarsi degli stati nazionali. Kant propone infatti di considerare la conformazione territoriale raggiunta al suo tempo dagli stati come definitiva; la guerra di espansione e di conquista diviene così inaccettabile alla ragione moralmente pratica. Ma neppure la formazione e il consolidamento degli stati nazionali può ritenersi sufficiente ad avviare un irreversibile progredire verso la pace: occorre una crescita e una generale estensione del diritto, come espressione della maturazione della moralità. Ed è proprio come istanza etico-giuridica che la pace si impone in questo progetto. Su questo tema cfr. M. Mori, Il problema della guerra nella filosofia della storia di Kant, Torino, 1979; La ragione delle armi. Guerra e conflitto nella filosofia classica tedesca (1770-1830), Milano, 1984; C. Cesa, Guerra e morale. Considerazioni su un luogo di «Alla pace perpetua», in Kant politico, cit., pp. 57-70.

13

Virgilio, Aeneis, I, 294-296.

14

Il determinismo naturale, rappresentato dalla conclusa sfericità del pianeta sul quale gli uomini sono destinati a convivere, e il diritto naturale, quello originario di ogni uomo all’eguale possesso della sua superficie, che Kant affianca immediatamente al primo, concorrono a sostenere le ragioni dell’ospitalità universale.

15

Lucrezio, De rerum natura, V, 234.

16

Seneca (non Agostino), Dialogi, I, De Providentia, V, 8.

17

Detto attribuito ad Antistene socratico.

18

Detto attribuito alla Scuola stoica.

19

Il concetto di natura resta, negli scritti di filosofia della storia, oscillante entro margini ampi: molto dello sviluppo dell’uomo, gran parte dei fini della società-storia e del loro perseguimento, sono dipendenti dalla natura e dal suo meccanismo. Ma l’uomo è animal rationale, oltre che ente di natura anche ente di ragione, libertà, creatività, che si autopone fini stabiliti secondo il proprio libero arbitrio, e cerca di perseguirli nella storia. Tuttavia, l’agire umano risulta ordinato a un disegno provvidenziale. È evidente che sono in gioco fattori diversi come determinismo naturale, teleologismo provvidenzialistico e libertà, che restano contigui e non contrapposti. Abitualmente e preferibilmente Kant parla di natura; quando introduce la Provvidenza, come somma sapienza, non intende introdurre una forza che dall’esterno interviene a modificare il corso degli eventi: la Provvidenza agisce, infatti, attraverso la natura; opera utilizzando le vie della natura umana, che deve comprendersi come natura razionale, espansivo-creativa, indefinitamente espansiva, perciò perfettibile, la qual cosa consente all’uomo di progredire nella moralità e nella giuridicità.

20

Kant rimarca il concetto di formazione morale come formazione della e alla libertà, e la convinzione che essa sia strettamente dipendente dalle strutture che consentono l’esercizio della libertà politica esterna. Il valore pedagogico della costituzione statuale repubblicana e dei suoi istituti per la promozione della cultura e per l’educazione alla moralità è ribadito qui, dopo il rapido cenno contenuto nella presa di distanza da A. Pope e da Mallet du Pan (nota 8).

21

Friederich Bouterwek (1766-1828) professore di filosofia e poeta, amico di Kant.

22

Il «secondo supplemento» fu aggiunto da Kant nella seconda edizione del Progetto (1796); in esso riprende, in parte, l’argomentazione della clausola salvatoria e anticipa quella del Conflitto delle facoltà (1798). Si tratta di una perorazione (da tenere segreta) volta agli stati a lasciar liberi di esprimersi e a tenere in giusta considerazione le «massime generali» indicate dal filosofo per la conduzione della guerra e per il raggiungimento degli accordi di pace, piuttosto che le sentenze del giurista. Dove, infatti, quest’ultimo tende, secondo Kant, ad attenersi alle norme vigenti, solo il filosofo possiede l’ampiezza di vedute e la propensione a ricercare nuove e più adeguate soluzioni. Perciò egli deve potersi esprimere liberamente e dev’essere ascoltato in quanto – secondo Kant – «naturalmente immune» da spirito fazioso e propagandistico. Su questo conviene lasciare le valutazioni al lettore.

23

Secondo la classificazione accademica del tempo, le facoltà di grado superiore erano quelle di teologia, giurisprudenza, medicina; la facoltà di filosofia, che era tradizionalmente in posizione inferiore (già Tommaso d’Aquino l’aveva definita ancilla theologiae) ha, invece, per Kant una ben diversa portata. Come chiarirà nel Conflitto delle facoltà (Der Streit der Fakultäten in drei Abschnitten, 1978, in Werke, Bd. 9, tr. it., in Scritti di filosofia della religione, a cura di G.