Verra, Laterza, Bari, 1963, p. 309.
9
Proprio gli eventi rivoluzionari dell’ultimo quarto del XVIII secolo conterrebbero per Kant una dimostrazione di come i popoli (americano e francese nel caso specifico) pur fra resistenze, violenze e orrori, non solo coltivino sempre idee di libertà e di giustizia, ma, con il dovuto impegno, riescano anche a tradurre quelle idee, o parti di esse, in forme storico-politiche concrete.
10
Il concetto di millenarismo rinvia immediatamente alla tradizione religiosa che, nell’ambito del messianismo ebraico-cristiano e dell’apocalittica, vi ha sintetizzato l’intera questione del destino futuro dell’umanità, o di una sua parte, il popolo dei credenti, dei giusti, per l’enorme influenza che il millenarismo ha avuto sullo spirito popolare. Esso proietta alla fine della storia la realizzazione di una società di giustizia-felicità, che la profezia di salvezza futura contiene e che non è solo religiosa ma anche etica e politica. Dall’ebraismo passa al cristianesimo, nel quale la profezia di salvezza si adempie come redenzione, riscatto dal peccato, costruzione della comunità religiosa, ma anche politica fondata sul messaggio evangelico.
11
Il titolo originale è Zum ewigen Frieden. Ein philosophischer Entwurf von I. Kant, pubblicato a Königsberg, presso Nicolovius, nel 1795.
12
Über den Gemeinspruch. Das mag in der Theorie richtig sein, taugt aber nicht für die Praxis (1973), in Werke, cit., Bd. 7, tr. it., in Stato di diritto e società civile, cit.
13
Su questo cfr. L.Tundo, Kant. Utopia e senso della storia, Dedalo, Bari, 1998, parte seconda.
14
Per Rousseau, come per Kant, il fondamento dell’autonomia e anche della giustizia entro una società contrattuale, risiede nell’obbedire alla legge che ci si prescrive da se stessi: in tale obbedienza non solo il cittadino è pienamente libero, ma nel modello di deliberazione di ciascuno sopra se stesso trova anche compimento la giustizia.
15
Va però compresa la portata di tale eguaglianza che, nel pensiero politico kantiano, è relativa soltanto al rapporto giuridico cittadino-legge, e come tale compatibile con la «massima diseguaglianza» nella quantità e nel grado del possesso, nei beni di fortuna; oltre che addirittura compatibile con i diritti di alcuni su altri, al punto che «il benessere di uno molto può dipendere dalla volontà dell’altro», e che alcuni debbano comandare e altri obbedire. La compatibilità di condizioni tanto diverse e antitetiche è resa possibile dall’ordine di applicazione del principio di eguaglianza, che è esclusivamente quello universale della legge, nel quale è rilevante la «forma del giusto».
16
È una lettura di un certo fascino, legata all’interpretazione del secondo articolo definitivo come prospettiva della cosmopoli, che ci presenta un Kant inedito e una posizione politica estremamente avanzata, che, certo, egli avrebbe potuto ritenere necessaria in ordine al preciso obiettivo del raggiungimento della pace. Si può solo osservare che questa lettura interpretativa isola l’impostazione politico-costituzionale del progetto di pace perpetua, da Kant stesso pensata in termini stringenti, ma anche agili e sintetici, per non cadere nella trappola del trattato alla Saint-Pierre, dall’intero pensiero politico kantiano espresso negli scritti precedenti e anche in quelli successivi (cfr. G. Marini, Per una repubblica federale mondiale: il cosmopolitismo kantiano, in La filosofia politica di Kant, a cura di G. Chiodi, G. Marini, R. Gatti, F. Angeli, Milano, 2001, pp. 19-34).
17
Cfr. D. Archibugi, Principi di democrazia cosmopolitica, in D. Archibugi e D. Beetham, Diritti umani e democrazia cosmopolitica, Feltrinelli, Milano, 1998, pp. 66-121.
18
Nel 1787 si era riunita a Philadelphia la Convention costituzionale che preparò la Costituzione Federale americana con la quale gli Stati cedevano parte della sovranità, da poco conquistata con la guerra d’Indipendenza, per formare una «Unione più perfetta», come si legge nella Premessa alla Carta costituzionale.
19
Cfr. L’idea kantiana della pace perpetua due secoli dopo in L’inclusione dell’altro, tr. it., Feltrinelli, Milano, 1998, pp. 177-215.
20
C’è un netto ridimensionamento concettuale dell’idea di «straniero», tradizionalmente connessa con quella di nazionalità; a partire dalla terra, prima comune abitazione, divenuta luogo diviso e conteso, possesso esclusivo, dal quale chi è esterno è straniero e spesso antagonista, perciò nemico.
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Il riferimento di fondo del discorso kantiano è il problema che si produce storicamente con il processo di formazione e consolidamento degli stati nazionali: il loro imporsi indipendentemente da qualsivoglia limitazione o condizione restrittiva; la separazione della politica dal vincolo etico e il conseguente conflitto tra politica e morale, da cui la teorizzazione di una ragione dello stato diversa dalla ragione degli individui. Lo stato, e per esso l’uomo politico, diventa in tal modo libero di perseguire i propri scopi senza essere obbligato a tenere conto dei precetti morali, cui è invece tenuto l’individuo nei rapporti con gli altri individui.
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Secondo N. Bobbio, nel quale il tema della convergenza tra politica ed etica procede da uno sviluppo della posizione kantiana e weberiana, «la democrazia, in quanto presuppone ed esige una società pluralistica in cui i vari gruppi di potere concorrano pacificamente alla presa delle decisioni collettive, è un regime in cui gran parte delle decisioni vengono prese attraverso accordi fra i vari gruppi.
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