Non s'era conquistata la
fede e non aveva mai vôlti lungamente a lei tutti i suoi pensieri,
non aveva potuto esserne penetrato in tutti i suoi sentimenti. La
religione era per lui come la scienza per uno scolaro diligente che
ha la scuola in cima de' suoi pensieri e vi è assiduo, non trova
pace se non ha fatto i suoi compiti, se non si è preparato alle
ripetizioni, ma poi quando ha compiuto il proprio dovere, non pensa
più al professore né ai libri, non sente il bisogno di regolarsi
ancora secondo fini scientifici o programmi scolastici. Perciò egli
pareva spesso non seguire altro nella vita che il suo generoso
cuore ardente, le sue inclinazioni appassionate, le impressioni
vivaci, gli impeti della sua natura leale, ferita da ogni viltà, da
ogni menzogna, intollerante d'ogni contraddizione e incapace di
infingersi.
Aveva appena suggellata la lettera quando si bussò
all'uscio. La signora marchesa faceva dire a don Franco di scendere
per il rosario. In casa Maironi si recitava il rosario tutte le
sere fra le sette e le otto, e i servi avevan l'obbligo di
assistervi. Lo intuonava la marchesa, troneggiando sul canapè,
girando gli occhi sonnolenti sulle schiene e sulle gambe dei fedeli
prosternati per diritto e per traverso, quale nella luce più
opportuna ad un devoto atteggiamento e quale nell'ombra più
propizia ad un sonnellino proibito. Franco entrò in sala mentre la
voce nasale diceva le soavi parole
«Ave Maria, gratia
plena» con quella flemma, con quella
untuosità, che sempre gli mettevano in corpo una tentazione
indiavolata di farsi turco. Il giovane andò a cacciarsi in un
angolo scuro e non aperse mai bocca. Gli era impossibile di
rispondere con divozione a quella voce irritante. Non fece che
immaginare un probabile interrogatorio imminente, e masticare
risposte sdegnose.
Finito il rosario, la marchesa aspettò un momento in
silenzio e poi disse le sacramentali parole:
«Carlotta, Friend!»
Carlotta, la vecchia cameriera, aveva l'incarico di
pigliare, finito il rosario, Friend in braccio e di portarlo a
dormire.
«È qui, signora marchesa», disse
Carlotta.
Ma Friend, se era lì, si trovò altrove quando colei,
chinatasi, allungò le mani. Era di buon umore, quella sera, il
vecchio Friend, e gli piacque di giuocare a non lasciarsi prendere,
provocando Carlotta, sgusciandole sempre di mano, scappando sotto
il piano o sotto il tavolino a guardar con un ironico
scodinzolamento la povera donna che gli diceva «ven, cara, ven,
cara», con la bocca e «brütt
moster» con il
cuore.
«Friend!», fece la marchesa. «Andiamo! Friend! Da
bravo!»
Franco bolliva. Venutogli tra le gambe l'antipatico
mostricino infetto dell'egoismo e della superbia della sua padrona,
lo scosse da sé, lo fece ruzzolare tra le unghie di Carlotta che
gli diede per proprio conto una rabbiosa stretta e se lo portò via
rispondendo perfidamente ai suoi guaiti: «Cossa t'han faa, poer
Friend, cossa t'han faa, di' sü!»
La marchesa non disse parola né il suo viso marmoreo
tradì il suo cuore. Diede al cameriere l'ordine di dire al prefetto
della Caravina, se venisse, e anche a qualsiasi altro, che la
padrona era andata a letto. Franco si mosse per uscire anche lui
dietro ai servi, ma si trattenne subito onde non aver l'aria di
fuggire. Prese sulla caminiera un numero della
I. R. Gazzetta di
Milano, sedette presso sua nonna e
si mise a leggere, aspettando.
«Mi congratulo tanto», cominciò subito la voce
sonnacchiosa, «della bella educazione e dei bei sentimenti che ci
avete fatto vedere oggi.»
«Accetto», rispose Franco senza levar gli occhi dal
giornale.
«Bene, caro», replicò la nonna imperturbata. E
soggiunse:
«Ho piacere che quella signorina vi abbia
conosciuto; così, se mai sapeva di qualche progetto, sarà ben
contenta che non se ne parli più».
«Contenti tutt'e due», disse
Franco.
«Voi non sapete niente affatto se sarete contento.
Specialmente se avete ancora le idee d'una
volta.»
Udito questo, Franco posò il giornale e guardò la
nonna in faccia.
«Cosa succederebbe», diss'egli, «se avessi ancora le
idee d'una volta?»
Non parlò stavolta in tono di sfida, ma con serietà
tranquilla.
«Ecco, bravo», rispose la marchesa. «Spieghiamoci
chiaro. Spero e credo bene che un certo caso non succederà mai, ma,
se succedesse, non state a credere che alla mia morte ci sarà
qualche cosa per voi, perché io ho già pensato in modo che non ci
sarà niente.»
«Figùrati!», fece il giovine,
indifferente.
«Questi sono i conti che dovrete fare con me»,
proseguì la marchesa. «Poi ci sarebbero quelli da fare con
Dio.»
«Come?», esclamò Franco. «I conti con Dio li farò
prima che con te e non dopo!»
Quando la marchesa era côlta in fallo tirava sempre
diritto nel suo discorso come se niente fosse.
«E grossi», diss'ella.
«Ma prima!», insistette Franco.
«Perché», continuò la vecchia formidabile, «se si è
cristiani si ha il dovere d'obbedire a suo padre e a sua madre e io
rappresento vostro padre e vostra madre.»
Se l'una era tenace, l'altro non l'era
meno.
«Ma Dio vien prima!», diss'egli.
La marchesa suonò il campanello e chiuse la
discussione così:
«Adesso siamo intesi».
Si alzò dal canapè all'entrar della Carlotta e disse
placidamente:
«Buona notte».
Franco rispose «buona notte» e riprese
la Gazzetta di
Milano.
Appena uscita la nonna, gittò via il foglio, strinse
i pugni, si sfogò senza parole, con un furibondo sbuffo, e saltò in
piedi, dicendo forte:
«Ah, meglio, meglio, meglio! Meglio così», fremeva
in sé «meglio non condurla mai, la mia Luisa, in questa maledetta
casa, meglio non farle soffrir mai questo impero, questa superbia,
questa voce, questo viso, meglio viver di pane e d'acqua e aspettar
il resto da qualunque lavoro cane, piuttosto che dalle mani della
nonna: meglio far l'ortolano, maledetto sia, far il barcaiuolo, far
il carbonaio!»
Salì nella sua camera, risoluto di romperla con
tutti i riguardi. «I conti con Dio?», esclamò sbattendosi l'uscio
dietro. «I conti con Dio se sposo Luisa? Ah vada tutto, cosa me ne
importa, mi vedano, mi sentano, mi facciano la spia, glielo dicano,
glielo contino, gliela cantino che mi fanno un
piacerone!»
Si vestì in fretta e in furia, urtando nelle
seggiole, aprendo e chiudendo il cassettone a colpi. Mise un abito
nero, per sfida; discese le scale rumorosamente, chiamò il vecchio
domestico, gli disse che sarebbe stato fuori tutta la notte, e
senza badare alla faccia tra sbalordita e sgomenta del pover'uomo,
a lui molto devoto, si slanciò in istrada, si perdette nelle
tenebre.
Egli era fuori da due o tre minuti, quando la
marchesa, già coricata, mandò Carlotta a vedere chi fosse venuto
giù correndo dalle scale. Carlotta riferì ch'era stato don Franco e
dovette subito ripartire con una seconda missione. «Cosa voleva don
Franco?». Stavolta la risposta fu che don Franco era uscito per un
momento. Questo
momento fu
pietosamente aggiunto dal vecchio servitore.
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