Il conducente, allungando la mano all’indietro, tiene fermamente chiusa la portiera per impedirle di salire. Intuendone la diffidenza, lei gli esibisce la manciata di quattrini.) Una gita in taxi l’è roba da ridere, per me, Carletto. (L’uomo sorride e apre la portiera.) Eccoci. E el cest?

IL TAXISTA Da’ qua. Due pence extra.

LIZA No, non voglio che nissuno lo vede. (Lo spinge dentro il taxi, vi sale, continuando la conversazione attraverso il finestrino.) Ciao, neh, Freddy.

FREDDY (levandosi il cappello sbalordito). Ciao.

IL TAXISTA Dove?

LIZA Bucknam Pellis.4

IL TAXISTA E dove saria questo Bucknam Pellis?

LIZA Come, non sai dove che è? Nel Green Park, dove che sta di casa il re. Ciau, Freddy. Non voglio trattenerti. Ciau, neh.

FREDDY Ciao. (Se ne va.)

IL TAXISTA E allora? Cusa l’è ’sta storia di Bucknam Pellis? Cosa ci hai te a che fare con Bucknam Pellis?

LIZA Niente, naturale. Però non volevo che lui lo sa. Portem a ca’.

IL TAXISTA E dove saria casa?

LIZA Angel Court, Drury Lane, vicino alla bottega di Meiklejohn, quel che vende olio.

IL TAXISTA Questo sembra già più possibile, Marietta (Parte.)

* * *

Seguiamo il taxi fino all’ingresso di Angel Park, un angusto vicolo che si apre tra due botteghe, una delle quali è quella di Meiklejohn. Il taxi si ferma, e Liza ne esce tirandosi dietro il cesto.

LIZA Quanto fa?

IL TAXISTA (indicando il tassametro). Be’, non sai leggere? Un sellino.

LIZA Un sellino per due minuti!

IL TAXISTA Due minuti o dieci, l’è semper istess.

LIZA Be’, me non mi pare mica giusto.

IL TAXISTA Mai stata prima su un taxi?

LIZA (con aria di degnazione). Centinaia, migliaia di volte, giovinotto.

IL TAXISTA (ridendo). Buon per te, Marietta. Tienti il sellino, va’, bellessa, e tanti saluti a casa. Buona fortuna! (Parte.)

LIZA (umiliata). Impidente!

Prende il cesto e imbocca il vicolo che porta al suo alloggio: una stanzetta tappezzata di vecchissima carta da parati che nei punti più umidi pende a brandelli. Alla finestra, un vetro rotto rappezzato con carta. Il ritratto di un attore popolare e una stampa con dei figurini di moda, tutti terribilmente al di sopra dei mezzi della povera Liza, l’uno e l’altra strappati da qualche giornale e appuntati alla parete. Nel vano della finestra, una gabbia da uccelli, il cui inquilino è morto molto tempo fa: non ne resta che il ricordo.

Questi sono gli unici lussi visibili. Quanto al resto, è l’irriducibile minimo dei bisogni della miseria: un letto sfondato, sul quale sta accumulata ogni sorta di stracci capaci di garantire un po’ di calore; una cassa da imballaggio coperta da una stoffa con sopra una brocca, un catino e uno specchietto; un tavolo e una seggiola, residui di qualche cucina suburbana, e una sveglia sulla mensola sopra il caminetto mai usato. Il tutto, illuminato da una lampada a gas, per accendere la quale bisogna infilare un penny nel contatore. Affitto: quattro scellini la settimana.

Qui Liza, afflitta da stanchezza cronica ma troppo eccitata per mettersi a letto, se ne sta seduta a contare il suo tesoro, sognando e facendo progetti su come spenderlo, finché il gas si esaurisce, e allora per la prima volta lei si gode il piacere di poter infilare nel contatore un altro penny senza rimpianti: improvvisa prodigalità che non basta a estinguere il solito assillo della necessità di fare economia tanto da impedirle di rendersi conto che potrebbe sognare e fare castelli in aria a letto, più a buon mercato e più al caldo che non standosene seduta lì, senza fuoco. Si toglie allora scialle e gonna che aggiunge alla miscellanea di coperte. Poi si sfila le scarpe e si mette senz’altro a letto.

3. Letteralmente, parco della Grossa Dama. [N.d.T.]

4.