Ora ecco la
sventura aggiunta del
genere umano: l’assetato, perché crede che un’anfora non
basti alla sua sete, sottrae agli altri assetati tutta l’anfora, di cui berrà una coppa
sola. Peggio ancora: spezza l’anfora, perché altri non beva, se egli non può bere.
Peggio che mai: dopo aver bevuto esso, sperde per terra il liquore perché agli altri
cresca la sete e l’odio. E infinitamente peggio: si uccidono tra loro, i sitibondi,
perché non beva nessuno. Oh! bevete un po’ per uno, stolidi, e poi fate di riem-pire la buona anfora per quelli che verranno!
Per questo, che io dico che la poca gioia che può aver l’uomo è nel poco, io
sono, caro Adolfo, sincero. Mi fu dato di povero il pregio del poco, sì per essermi
stato da altri rubato tutto, sì per avere io ricuperato, di quel poco, un pocolino.
“Il pregio del poco” ho detto… Ma in verità che cosa si può pretender di più
poco, che d’essere lasciato, fin che piaccia alla natura, con chi vi ha messo al
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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Giovanni Pascoli Poemi conviviali
– Prefazione Q
mondo? Basta: parliamo d’altro. Dunque del poco che mi fu sottratto, ho poi
ricuperato un pochino. E ne mostro, come è giusto, un pochino di gioia. Sono
dunque sincero, quando parlo della delizia che c’è, a vivere in una casa pulita,
sebben povera, ad assidersi avanti una tovaglia di bucato, sebben grossa, a coltivare qualche fiore, a sentir cantare gli uccelli… Ma questa sincerità si chiama,
dai malati di storia letteraria, Arcadia Io sono (…) un arcade. La mia, oltre
che finzione sarebbe anche sdolcinatura e mascolinatura, destinata a produrre,
se non si castiga a tempo, gli effetti più deleteri nell’organismo nazionale.
Consimili, chiedo io, a quelli che ha prodotti nel Giappone la contemplazione
ingenua degli uccelli e dei fiori? la predilezione per la piccola casa e il piccolo orto
e il semplice e puro tatami? Sciocchi! Io non credo troppo nell’efficacia della
poesia, e poco spero in quella della mia; ma se un’efficacia ha da essere, sarà di
conforto e di esaltazione e di perseveranza e di serenità. Sarà di forza; perché
forza ci ho messo,
non avendo nel mio essere, semplificato dalla sventura, se non
forza, da metterci; forza di poca vista, bensì, e di poco suono, perché, senza gale
e senza fanfare, è non altro che forza.
Dunque, nemmeno allora io era chiuso in un “giardino solitario” sebbene
fossi molto segregato e lontano e oscuro. Quando mi chiamaste tra quelle “energie militanti” tu e Gabriele d’Annunzio.
O mio fratello, minore e maggiore, Gabriele!
Già sette anni prima Gabriele aveva scritto, intorno ad alcuni miei so-netti, parole di gran lode. Già entrando nella mia Romagna, a cavallo, col suo
reggimento, cantava (e lo diceva al pubblico italiano) certi miei versi: Romagna solatìa, dolce paese!
Il giovinetto, pieno di grazia e di gloria, si rivolgeva ogni momento dalla
sua via fiorita e luminosa, per trarre dall’ombra e dal deserto e dal silenzio e, sì,
dalla sua tristezza, il fratello maggiore e minore. Io, nella irrequietezza della
vita, ho potuto talvolta dimenticare quel gesto gentile del fanciullo prodigioso;
ma ci sono tornato su, sempre, ammirando e amando. Ci torno su, ora, più che
mai grato, ora che raccolgo e a te, o Adolfo, re del Convito, consacro questi
poemi, dei
quali i primi comparvero nel
Convito e piacquero a lui. Piaceranno
agli altri? Giova sperare. O avranno la sorte d’un altro mio scritto conviviale, della Minerva Oscura , che poi generò altri due volumi, Sotto il Velame e La Mirabile Visione , e ancora una Prolusione al Paradiso , e altri ancora ne cree-Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 6
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– Prefazione Q
rà? Non mi dovrebbe troppo se questi Poemi avessero la sorte di quei volumi,
Essi furono derisi e depressi, oltraggiati e calunniati, ma vivranno. Io morrò;
quelli no. Così credo, così so: la mia tomba non sarà silenziosa. Il Genio di nostra
gente, Dante, la additerà ai suoi figli.
Prima di quel giorno, che verrà tanto prima per me, che per te e per Gabriele,
non vorremo finire il Convito , facendo l’ultimo dei dodici libri? Narreremo in
esso ciò che sperammo e ciò che sognammo, e ciò che seminammo e ciò che mie-temmo, e ciò che lasciamo e ciò che abbandoniamo. O Adolfo, tu sarai (non
parlo di Gabriele, ché egli s’è beato) più lieto men triste di me! Sai perché? Il
perché è in questo tuo libro.
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