Leggi “I vecchi di Ceo ”. Tutti e due lasciano la vita
assai sereni: ma uno più, l’altro meno. Questi non ha in casa, come messe della
sua vita, se non qualche corona istmia o nemea, d’appio secco e d’appio verde
(oh! secco ormai anche questo!). L’altro, e ha di codeste ghirlande, e ha figli dei
figli. Tu sei quest’ultimo, o Adolfo; tu sei Panthide che ebbe il dono dalle Chariti!
Pisa, 30 giugno del 1994
GIOVANNI PASCOLI
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 7
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Giovanni Pascoli Poemi conviviali
– Solon Q
Solon
Triste il convito senza canto, come
tempio senza votivo oro di doni;
ché questo è bello: attendere al cantore
che nella voce ha l’eco dell’Ignoto.
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Oh! nulla, io dico, è bello più, che udire un buon cantore, placidi, seduti
l’un presso l’altro, avanti mense piene
di pani biondi e di fumanti carni,
mentre il fanciullo dal cratere attinge
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vino, e lo porta e versa nelle coppe;
e dire in tanto graziosi detti,
mentre la cetra inalza il suo sacro inno;
o dell’auleta querulo, che piange,
godere, poi che ti si muta in cuore
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il suo dolore in tua felicità.
“Solon, dicesti un giorno tu: Beato
chi ama, chi cavalli ha solidunghi,
cani da preda, un ospite lontano.
Ora te né lontano ospite giova
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né, già vecchio, i bei cani né cavalli
di solid’unghia, né l’amore, o savio.
Te la coppa ora giova: ora tu lodi
più vecchio il vino e più novello il canto.
E novelle al Pireo, con la bonaccia
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prima e co’ primi stormi, due canzoni
oltremarine giunsero. Le reca
una donna d’Eresso”. “Apri:” rispose;
“alla rondine, o Phoco, apri la porta”.
Erano le Anthesterie: s’apriva
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il fumeo doglio e si saggiava il vino.
Entrò, col lume della primavera
e con l’alito salso dell’Egeo,
la cantatrice. Ella sapea due canti:
l’uno, d’amore, l’altro era di morte.
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Entrò pensosa; e Phoco le porgeva
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 8
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Giovanni Pascoli Poemi conviviali
– Solon Q
uno sgabello d’auree borchie ornato
ed una coppa. Ella sedé, reggendo
la risonante pèctide; ne strinse
tacita intorno ai còllabi le corde;
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tentò le corde fremebonde, e disse:
Splende al plenilunio l’orto; il melo
trema appena d’un tremolio d’argento…
Nei lontani monti color di cielo
sibila il vento.
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Mugghia il vento, strepita tra le forre,
su le quercie gettasi… Il mio non sembra che un tremore, ma è l’amore, e corre,
spossa le membra!
M’è lontano dalle ricciute chiome,
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quanto il sole; sì, ma mi giunge al cuore, come il sole: bello, ma bello come
sole che muore.
Dileguare! e altro non voglio: voglio
farmi chiarità che da lui si effonda.
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Scoglio estremo della gran luce, scoglio
su la grande onda,
dolce è da te scendere dove è pace:
scende il sole nell’infinito mare;
trema e scende la chiarità seguace
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crepuscolare.
“La Morte è questa!” il vecchio esclamò. “Questo,” ella rispose, “è, ospite, l’Amore.”
Tentò le corde fremebonde, e disse:
Togli il pianto. È colpa! Sei del poeta
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nella casa, tu. Chi dirà che fui?
Piangi il morto atleta: beltà d’atleta
muore con lui.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 9
ACTA G.
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