D’Anna Thèsis Zanichelli
Giovanni Pascoli Poemi conviviali
– Solon Q
Muore la virtù dell’eroe che il cocchio
spinge urlando tra le nemiche schiere;
70
muore il seno, sì, di Rhodòpi, l’occhio
del timoniere;
ma non muore il canto che tra il tintinno
della pèctide apre il candor dell’ale.
E il poeta fin che non muoia l’inno,
75
vive, immortale,
poi che l’inno (diano le rosee dita
pace al peplo, a noi non s’addice il lutto) è la nostra forza e beltà, la vita,
l’anima, tutto!
80
E chi voglia me rivedere, tocchi
queste corde, canti un mio canto: in quella, tutta rose rimireranno gli occhi
Saffo la bella.
Questo era il canto della Morte; e il vecchio 85
Solon qui disse: “Ch’io l’impari, e muoia.” Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 10
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Giovanni Pascoli Poemi conviviali
– La cetra di Achille Q
Il cieco di Chio
O Deliàs, o gracile rampollo
di palma, ai piedi sorto su del Cyntho,
alla corrente del canoro Inopo;
figlia di Palma; di qual dono io mai
5
posso bearti il giovanetto cuore?
Ché all’invito de’ giovani scotendo
gl’indifferenti riccioli del capo,
gioia t’hai fatto del vegliardo grigio
cui poter falla e desiderio avanza.
10
E lui su le tue lievi orme adducevi
all’opaca radura ed al giaciglio
delle stridule foglie, in mezzo ai pini
sonanti un fresco brulichìo di pioggia
presso la salsa musica del mare.
15
Né già la bianca tua beltà celasti
a gli occhi della sua memore mano:
non vista ad altri, che a lui cieco e, forse, al solitario tacito alcione.
O Deliàs, e già finì la gara
20
de’ tunicati Iàoni: già tace
il vostro coro, grande meraviglia,
in cui nessuna di te meglio scosse
i procellosi crotali d’argento.
Ed il nocchiero su la nave nera
25
l’albero drizza, ed in su trae le pietre,
le gravi pietre su cui dondolando
dorme la nave nel loquace porto.
Ora un nocchiero addimandai: Nocchiero,
vago per l’onde come smergo ombroso,
30
dài ch’alla nave il pio cantore ascenda?
cieco uomo, e vive nella scabra Chio.
Così te veda un ospite all’approdo.
Tanto io gli dissi. Egli assentì; ché grande è del cantore, ben che nudo e cieco,
35
la grazia in uno ardor di venti, in una
ai cuori alati ritrosia di calma.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 11
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Giovanni Pascoli Poemi conviviali
– La cetra di Achille Q
E di qual dono, o Deliàs, partendo,
né so per dove, su la nave nera,
posso bearti il giovanetto cuore?
40
Ché non possiedo, fuor della bisaccia
lacera, nulla, e dell’eburnea cetra.
E il canto, industre che pur sia, non m’offre se non un colmo calice ed un tocco
di pingue verro e, terminato il canto,
45
una lunga nel cuore eco di gioia.
Io cieco vo lungo l’alterna voce
del grigio mare; sotto un pino io dormo,
dai pomi avari: se non se talora
m’annunziò, per luoghi soli, stalle
50
di mandriani un subito latrato;
o, mentre erravo tra la neve e il vento,
la vampa da un aperto uscio improvvisa
nella sua casa mi svelò la donna
che fila nel chiaror del focolare.
55
Pur non già nulla dar non può, sì molto,
il cieco aedo; e quale a me tu dono,
negato a tutti, della tua bellezza,
offristi, donna; né maggior potevi;
tale a te l’offro, né potrei maggiore.
60
Cieco non ero, e ciò pascea con gli occhi, che rumino ora bove paziente;
e il fior coglievo delle cose, ch’ora
nella silenziosa ombra mi odora.
Era per aspri gioghi il mio cammino,
65
degli uomini vetusti, antelunari.
Nacquero sopra le montagne nere,
che ancor la luna non correa su quelle:
nacque dopo essi, e palpitò per loro
gemiti strani. Era un meriggio estivo:
70
io sentiva negli occhi arsi il barbaglio
della via bianca, e nell’orecchio un vasto tintinnìo di cicale ebbre di sole.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 12
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Giovanni Pascoli Poemi conviviali
– La cetra di Achille Q
Ed ecco io vidi alla mia destra un folto.
bosco d’antiche roveri, che al giogo
75
parea del monte salir su, cantando
a quando a quando con un improvviso
lancio discorde delle mille braccia.
Entrai nel bosco abbrividendo, e molto
con muto labbro venerai le ninfe,
80
non forse audace violassi il musco
molle, lambito da’ lor molli piedi.
E giunsi a un fonte che gemea solingo
sotto un gran leccio, dentro una sonora
conca di scabra pomice, che il pianto
85
già pianto urgea con grappoli di stille
nuove, caduchi, e ne traeva un canto
dolce, infinito. Io là m’assisi, al rezzo.
1 comment