Poi, non so come, un dio mi vinse: presi

l’eburnea cetra e lungamente, a prova

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col sacro fonte, pizzicai le corde.

Così scoppiò nel tremulo meriggio

il vario squillo d’un’aerea rissa:

e grande lo stupore era de’ lecci,

ché grande e chiaro tra la cetra arguta

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era l’agone, e la vocal fontana.

Ogni voce del fonte, ogni tintinno,

la cava cetra ripetea com’eco;

e due diceva in cuore suo le polle

forse il pastore che pascea non lungi.

100 Ma tardo, al fine, m’incantai sul giogo d’oro, con gli occhi, e su le corde mosse

come da un breve anelito; e li chiusi,

vinto; e sentii come il frusciare in tanto di mille cetre, che piovea nell’ombra;

105 e sentii come lontanar tra quello

la meraviglia di dedalee storie,

simili a bianche e lunghe vie, fuggenti

all’ombra d’olmi e di tremuli pioppi.

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 13

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Giovanni Pascoli Poemi conviviali – La cetra di Achille Q

Allora io vidi, o Deliàs, con gli occhi,

110 l’ultima volta. O Deliàs, la dea

vidi, e la cetra della dea: con fila

sottili e lunghe come strie di pioggia

tessuta in cielo; iridescenti al sole.

E mi parlò, grave, e mi disse: Infante!

115 qual dio nemico a gareggiar ti spinse, uomo con dea? Chi con gli dei contese,

non s’ode ai piedi il balbettìo dei bimbi, reduce. Or va, però che mite ho il cuore:

voglio che il male ti germogli un bene.

120 Sarai felice di sentir tu solo,

tremando in cuore, nella sacra notte,

parole degne de’ silenzi opachi.

Sarai felice di veder tu solo,

non ciò che il volgo vìola con gli occhi,

125 ma delle cose l’ombra lunga, immensa,

nel tuo segreto pallido tramonto.

Disse, e disparve; e, per tentar che feci

le irrequiete palpebre, più nulla

io vidi delle cose altro che l’ombra,

130 pago, finché non m’apparisti al raggio della tua voce limpida, o fanciulla

di Delo, o palma del canoro Inopo,

sola tu del mio sogno anche più bella,

maggior dell’ombra che di te serpeggia

135 nel mio segreto pallido tramonto.

Ora a te sola ridirò le storie

meravigliose, che sentii quel giorno

come vie bianche lontanar tra i pioppi.

E quale il tuo, che non maggior potevi,

140 tale il mio dono, né potrei maggiore;

ché il bene in te qui lascerò, come ape

che punge, e il male resterà più grave,

grave sol ora, al tuo cantor, cui diede

la Musa un bene e, Deliàs, un male!

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 14

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Giovanni Pascoli Poemi conviviali – Solon Q

La cetra d’Achille

I

I re, le genti degli Achei vestiti

di bronzo, tutti, sì, dormian domati

dal molle sonno, e i lor cavalli sciolti

dal giogo, avvinti con le briglie ai carri, 5

pascean, soffiando, il bianco orzo e la spelta.

Dormivano i custodi anche de’ fuochi,

abbandonato il capo sugli scudi

lustri, rotondi, presso i fuochi accesi,

al cui guizzare balenava il rame

10

dell’armi, come nuvolaglia a notte,

prima d’un nembo. Domator di tutto

teneva il sonno i Panachei chiomanti,

mirabilmente, nella notte ch’era

l’ultima notte del Pelide Achille;

15

e in cuore ognuno lo sapea, nel cielo

e nella terra, e tutti ora sbuffando

dalle narici il rauco sonno, in sogno

lo vedean fare un grande arco cadendo,

e sollevare un vortice di fumo;

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ma in sogno senza altro fragor cadeva,

simile ad ombra; e senza suono, a un tratto, i cavalli e gli eroi misero un ringhio

acuto, i carri scosser via gli aurighi,

mentre laggiù, sotto Ilio, alta e feroce

25

la bronzea voce si frangea, d’Achille.

II

Dormian, sì, tutti; e tra il lor muto sonno giungeva un vasto singhiozzar dal mare.

Piangean le figlie del verace Mare,

nel nero Ponto, l’ancor vivo Achille,

30

lontane, ch’egli non ne udisse il pianto.

Ed altre, sì, con improvviso scroscio

ululando montavano alla spiaggia,

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 15

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Giovanni Pascoli Poemi conviviali – Solon Q

per dirgli il fato o trarlo a sé; ma in vano: fuggian con grida e gemiti e singhiozzi

35

lasciando le lor bianche orme di schiuma.

Ma non le udiva, benché desto, Achille,

desto sol esso; ch’egli empiva intanto

a sé l’orecchio con la cetra arguta,

dedalea cetra, scelta dalle prede

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di Thebe sacra ch’egli avea distrutta.

Or, pieno il cuore di quei chiari squilli, non udiva su lui piangere il mare,

e non udiva il suo vocale Xantho

parlar com’uomo all’inclito fratello,

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Folgore, che gli rispondea nitrendo.

L’eroe cantava i morti eroi, cantava

sé, su la cetra già da lui predata.

Avea la spoglia, su le membra ignude,

d’un lion rosso già da lui raggiunto,

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irsuta, lunga sino ai piè veloci.

III

Così le glorie degli eroi consunti

dal rogo, e sé con lor cantava Achille,

desto sol esso degli Achei chiomanti:

ecco, avanti gli stette uno, canuto,

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simile in vista a vecchio dio ramingo.

E gli fu presso e gli baciò le mani

terribili.