Sbalzò attonito Achille
su, dal suo seggio, e il morto lion rosso
gli raspò con le curve unghie i garretti.
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E gli volgeva le parole alate:
“Vecchio, chi sei? donde venuto? Sembri,
sì, nell’aspetto Priamo re, ma regio
non è il mantello che ti para il vento.
Chi ti fu guida nella notte oscura?
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Parla, e per filo il tutto narra, o vecchio.” E gli parlava rispondendo il vecchio:
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 16
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Giovanni Pascoli Poemi conviviali
– Solon Q
“No, non ti sono io re, splendido Achille; un dio felice non mi fu l’auriga:
io da me venni. Tutti, anche i custodi
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dormono presso il crepitar dei fuochi.
Tu solo vegli; e non udii, venendo,
ch’esili stridi dagli eroi sopiti,
e che un sommesso brulichio dai morti.
E nella sacra notte a me fu guida
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un suono, il suono d’una cetra, Achille”.
IV
Lo guardò scuro e gli rispose Achille:
“Tu non m’hai detto il caro nome, e donde
vieni e perché. Non forse tu notturno
vieni, alle navi degli Achei ricurve,
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per dono grande, ad esplorare, o vecchio?” E gli parlava rispondendo il vecchio:
“Io sono aedo, o pieveloce Achille,
caro ai guerrieri, non guerriero io stesso.
Io nacqui sotto la selvosa Placo,
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in Thebe sacra, già da te distrutta.
Da te non vengo a liberarmi un figlio
cui lecchi il sangue un vigile tuo cane;
il figlio, no; recando qui sul forte
plaustro mulare tripodi e lebeti
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e pepli e manti e molto oro nell’arca.
Non a me copia, non a te n’è d’uopo;
ché tu sei già del tuo destino, e tutti
lo sanno, il cielo, l’infinito mare,
la nera terra, e lo sai tu ch’hai dato
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ai cari amici le tue prede e i doni
splendidi; ansati tripodi, cavalli,
muli, lustranti buoi, donne ben cinte,
e grigio ferro, e reso Ettore al padre
e la tua vita al suo dovere… Oh! rendi
100 dunque all’aedo la sua cetra, Achille!” Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 17
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Giovanni Pascoli Poemi conviviali
– Solon Q
V
Disse, e sporgea la mano alla sua cetra
bella, dedalea, ma l’argenteo giogo
era dai peli del lion coperto.
E il cuor d’Achille mareggiava, come
105 il mare in dubbio di spezzar la nave,
piccola, curva. E poi parlava, e disse:
“TE’”; riporgendo al pio cantor la cetra;
non sì che, urtando nel pulito seggio,
non mettesse, tremando, ella uno squillo.
110 Poi tacque, in mano dell’aedo, anch’ella.
Allora, stando, il pari a un dio Pelide
udì ringhiare i suoi grandi cavalli,
intese Xantho favellar com’uomo,
e parlar della sua morte al fratello,
115 Folgore, che gli rispondea nitrendo.
Allora udì su lui piangere il mare,
pianger le figlie del verace Mare,
lui, così bello, lui così nel fiore;
e molte con un improvviso scroscio
120 venir per trarlo via con sé; ma in vano.
E vide nella sacra notte il fato
suo, che aspettava alle Sinistre Porte,
come l’auriga asceso già sul carro,
la sferza in pugno, che all’eroe si volge, 125 sopragiungente nel fulgor dell’armi.
VI
E il vecchio disse le parole alate:
“Lascia ch’io vada senz’indugio, e porti
meco la cetra, che non forse il cuore
nero t’inviti a piangere, su questa
130 cetra di glorie, l’ancor vivo Achille.
Lascia che pianga e mare e terra e cielo;
tu no. Non devi inebbriar di canto
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– Solon Q
tu, divo Achille, l’animo sereno
che sa, non devi a te celare il fato,
135 non che ti volle ma che tu volesti.
Restaci grande, o Peleiade Achille!
Noi, canteremo. Noi di te diremo
che, sì, piangevi, ma lontano e solo,
e che dicevi il tuo dolore all’onde
140 del mare ed alle nuvole del cielo.
E noi diremo che una dea non vista
a frenar la tua fosca ira veniva,
e ti prendea per la criniera rossa,
rossa criniera che così sconvolta
145 poi ti lisciava un’altra dea non vista, nel tuo dolore; e che obbedivi a voci
dell’infinito o cielo o mare: avanti,
spingendo con un grande urlo d’auriga
verso la morte l’immortal tuo Xantho”.
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Disse e disparve nell’ambrosia notte.
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