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VIII
E quando, avendo ingoiato tutti i boli isterici,
lei vedrà, nelle tristezze della felicità,
l’amante sognare in bianco milioni di Marie,
al mattino della notte d’amore, con dolore:
“Sai tu che ti ho fatto morire? Io ho preso la tua bocca,
il tuo cuore, tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che avete;
ed io, io sono malata: Oh! io voglio che mi si stenda
tra i Morti abbeverati dalle acque notturne!
“Ero molto giovane, e Cristo ha sporcato i miei aliti.
Mi ha riempito di disgusto fino alla gola!
Tu baciavi i miei capelli profondi come lane,
e io mi lasciavo andare… Ah! va bene, vi sta bene,
“Uomini! che non immaginate che la più innamorata
è, nella sua coscienza morsa da ignobili terrori,
la più prostituita e la più addolorata,
e che tutti i nostri slanci verso di voi sono errori!
“Perché la prima Comunione è ormai passata.
I tuoi baci, io non posso averli mai saggiati:
e il mio cuore e la mia carne dalla tua carne abbracciata
formicolano del bacio putrido di Gesú!”
IX
Allora l’anima guasta e l’anima desolata
sentiranno scorrere le tue maledizioni.
Si saranno adagiati sul tuo Odio inviolato,
sfuggiti, per la morte, alle giuste passioni,
Cristo! o Cristo, eterno predatore di energie,
Dio che per duemila anni votasti al tuo pallore,
inchiodate al suolo, per l’onta e le cefalee,
dove son riverse, le fronti delle donne in dolore.
Luglio 1871
LE CERCATRICI DI PIDOCCHI
(Les chercheuses de poux)
Quando la fronte del bambino, piena di rossi tormenti,
implora lo sciame bianco dei sogni indistinti,
vicino al suo letto vanno da lui due leggiadre sorelle
con dita fragili dalle unghie argentine.
Fanno sedere il bambino davanti al finestrone
aperto dove l’aria azzurra bagna un groviglio di fiori,
e nei suoi capelli grevi su cui cade la rugiada
passano le loro dita fini, terribili e graziose.
Lui ode cantare i loro aliti accorti
che olezzano di miele lungo vegetale e di rose,
e che talvolta un sibilo interrompe, salive
riprese sulle labbra o brama di baci.
Ascolta le loro ciglia nere sbattere nel silenzio
profumato; e le loro dita elettriche e dolci
fanno crepitare tra le sue grigie indolenze
sotto l’unghie regali la morte dei pidocchi.
Ecco che in lui sale il vino dell’Indolenza,
sospiro d’armonica che potrebbe delirare;
il bambino sente in sé, secondo la flemma delle carezze,
sorgere e morire senza sosta un desiderio di pianto.
IL BATTELLO EBBRO
(Le bateau ivre)
Poiché io scendevo i Fiumi impassibili,
non mi sentii più guidato dai tiranti:
li avevan bersagliati dei Pellerossa striduli,
inchiodati nudi ai pali colorati.
Io ero incurante d’ogni equipaggio,
portavo garni fiamminghi e cotoni inglesi.
Quando con i miei tiranti finirono i rumori,
i Fiumi m’han lasciato andare dove volessi.
Nello sciabordare furioso delle maree,
io, l’altro inverno, più sordo dei cervelli infantili,
io corsi! E le Penisole senza ormeggi
non hanno subito gazzarre più trionfanti.
La tempesta ha benedetto i miei risvegli marittimi.
Più leggero di un sughero ho danzato sulle onde
che si chiamano eterni rollii delle vittime,
dieci notti, senza rimpiangere l’occhio scialbo dei fari!
Più dolce che ai bambini la polpa di acidule mele,
l’acqua penetrò verde il mio scafo d’abete
e dalle macchie di vini blu e di vomiti
mi lavò, disperdendo il timone e l’ancora.
E da allora io mi sono bagnato nel Poema
del Mare, infuso d’astri e lattescente,
divorante i verdi-azzurri dove, galleggiamento livido
e rapito, un annegato pensoso talvolta discende.
Dove, tingendo d’un tratto i blu, deliri
e ritmi lenti sotto il rutilare del giorno,
più forti dell’alcol, più vasti delle nostre lire,
fermentano i rossori amari dell’amore.
Io so i cieli che scoppiano in lampi, e le trombe
e le risacche e le correnti: io so la sera,
l’Alba esaltata come uno stormo di colombe
e ho visto talvolta ciò che l’uomo ha creduto di vedere!
Io ho visto il sole basso, macchiato d’orrori mistici,
illuminando lunghi coaguli viola,
simili a ottoni di drammi antichissimi
rollando i flutti lontano i loro tremori di persiane!
Io ho sognato la notte verde di nevi abbagliate,
bacio che sale agli occhi del mare con placidità,
la circolazione di linfe inaudite
e il risveglio giallo e blu dei fosfori canori!
Io ho seguito, mesi interi, simili a transumanze
isteriche, l’onda lunga all’assalto delle scogliere,
senza sognare che i piedi luminosi delle Marie
potessero forzare i musi agli Oceani bolsi!
Io ho urtato, sapete, delle Floride incredibili
mescolate a fiori di occhi di pantere di pelle
d’uomini! Degli arcobaleni tesi come briglie
sotto l’orizzonte dei mari, a mandrie glauche!
Io ho visto fermentare le paludi enormi, nasse
dove imputridisce tra i giunchi ogni Leviatano!
Dei crolli d’acqua in mezzo alle bonacce
e le lontane cateratte verso gli abissi!
Ghiacciai, soli d’argento, flutti di madreperla, cieli di brace!
Ornamenti orridi in fondo a golfi bruni
dove i serpenti giganti divorati dalle cimici
cadono, da alberi contorti, con neri profumi!
Io avrei voluto mostrare ai bambini queste orate
dell’onda blu, questi pesci d’oro, questi pesci canori.
- Delle schiume di fiori hanno cullato le mie secche
e ineffabili venti m’han dato ali a momenti.
Talvolta, martire stanco dei poli e delle zone,
il mare, il cui singhiozzo addolciva il mio rullio,
montava verso me i suoi fiori d’ombra dalle ventose gialle
e io restavo, come donna in ginocchio...
Quasi isola, sbattendo sui miei bordi i litigi
e gli sterchi di uccelli strepitanti dagli occhi biondi,
e io vagavo, quando attraverso i miei fragili legami
gli affogati scendevano a dormire, all’indietro!
Ora io, battello perduto sotto i capelli delle anse,
gettato dall’uragano nell’aria senza uccelli,
io, cui i Monitori e i velieri anseatici
non avrebbero ripescato la carcassa ebbra d’acqua;
libero, fumante, carico di nebbie viola,
io che bucavo il cielo rossastro come un muro
che porti, confetture squisite per buoni poeti,
dei bicchieri di sole e dei mocci d’azzurro;
io che correvo, macchiato da lunule elettriche,
folle legno, scortato da ippocampi neri,
quando i lugli facevano crollare a colpi di randelli
i cieli ultramarini nelle ardenti voragini;
io che tremavo, sentendo frignare a 50 leghe
la fregola dei Behemot e i fitti Maelstrom,
filatore eterno di immutabilità blu,
io rimpiango l’Europa degli antichi parapetti!
Io ho visto gli arcipelaghi siderei! e le isole
i cui cieli deliranti sono aperti al vogatore:
- È in queste notti senza fondo che tu dormi e ti esili,
milioni d’uccelli d’oro, o futuro Vigore?
Ma, vero, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti,
ogni luna è atroce e ogni sole amaro:
l’acre amore m’ha gonfiato di torpori snervanti,
oh, che la mia chiglia schianti! Ch’io vada al mare!
S’io desidero un’acqua d’Europa, è la pozza
nera e fredda dove verso il crepuscolo profumato
un bambino accoccolato pieno di tristezze, lascia
un battello leggero come farfalla di maggio.
Io non posso più; bagnato dai vostri languori, o onde,
prendere la loro scia ai portatori di cotoni,
né traversare l'orgoglio delle bandiere e delle fiaccole,
né nuotare sotto gli occhi orribili dei pontoni.
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